Un cuore sano pompa nell’organismo 4,5-5 litri di sangue al minuto, consentendo l’ossigenazione dei tessuti e il buon funzionamento degli organi. Quando, però, questo meccanismo si inceppa, può subentrare il cosiddetto scompenso cardiaco, male di cui soffrono un milione di italiani, (14 milioni in Europa). Nei casi più gravi c’è una sola soluzione: il trapianto. Questo intervento, però, non può essere sempre fatto per due motivi: l’età avanzata del paziente e la mancanza di organi. Alternative? Oggi a disposizione dei malati di scompenso cardiaco ci sono terapie farmacologiche specifiche, che però non sempre funzionano. Ma da domani le cose potrebbero cambiare. Studiosi americani dell’azienda “Circulite” hanno infatti sviluppato il più piccolo ‘cuore artificiale’ del mondo, un “device” in grado di andare a sostituire in parte – per circa il 50% - l’attività della pompa cardiaca, distribuendo per l’organismo 3 litri di sangue al minuto e vincendo, in pratica, lo scompenso cardiaco. Questa nuova invenzione della tecnica verrà presentata ufficialmente nel corso del XXIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca (Sicch), in programma dall’8 all’11 novembre a Roma. Ma in cosa consiste e come funziona il ‘cuore artificiale’ più piccolo del mondo? Si tratta di un piccolo strumento, una micro-pompa, grande come una pila mini-stilo (e pesante 25 grammi), che viene inserito in una tasca sottocutanea a livello toracico, similmente a ciò che avviene con i tradizionali pacemaker. Dal cuore artificiale parte una cannula che va a prelevare il sangue dall’atrio sinistro del cuore per poi pomparlo per tutto l’organismo tramite la arteria ascellare. All’esterno, fissato a una apposita cintura legata alla vita, ci sono le batterie leggerissime, da ricaricarsi ogni 14 ore, che con un filo molto sottile soddisfano il fabbisogno energetico del dispositivo. L’intera durata dell’intervento – giudicato mini-invasivo (si parla di una toracotomia parziale) – è di circa un’ora. Finora la micro-pompa è stata impiantata in 14 pazienti arruolati in un trial coordinato da Bart Meyns - responsabile Unità di Cardiochirurgia presso il “Gasthuisberg University Hospital”, in Belgio – e avviato 7 mesi fa presso i centri cardiochirurgici di Lovanio, Hannover e Munster. I primi dati ricavati dalle sperimentazioni dimostrano che l’impianto del ‘cuore artificiale più piccolo del mondo’ porta a un recupero immediato dell’attività cardiocircolatoria. “È una conquista molto importante nella ricerca e nella messa a punto di nuove soluzioni tecnologiche che siano di supporto al paziente affetto da scompenso cardiaco, una patologia ancora poco conosciuta ma molto diffusa e di enorme impatto sociale – ha detto Ettore Vitali, presidente Sicch. La nuova micro-pompa è indicata anche per le persone più giovani, già sofferenti di cuore ma non ancora in una situazione critica tale da dover ricorrere al trapianto. “Il nuovo dispositivo ha l’enorme vantaggio, data la sua facilità di applicazione, di poter essere impiantato anche in pazienti giovani con un grado moderato della malattia, prevenendo così un danno d’organo che con il passare del tempo, nei casi più severi, può essere risolto solo con un trapianto cardiaco”. Lo scompenso cardiaco è causato principalmente da malattie coronariche e ipertensione. Recenti stime prevedono che nel 2020 ci saranno 30milioni di malati in tutta Europa. Sebbene la sopravvivenza a questa malattia negli ultimi 50 anni sia notevolmente migliorata, la mortalità rimane comunque elevata. Il 40% dei malati muore entro un anno dal primo ricovero ospedaliero e solo il 25% degli uomini e il 38% delle donne sopravvive oltre i 5 anni dalla diagnosi. In Italia ogni hanno si hanno 170 mila nuovi casi di scompenso cardiaco e ogni giorno si verificano 500 ricoveri ospedalieri. Negli ultimi 5 anni il numero di ricoveri per scompenso è aumentato del 40%. La malattia, tanto per offrire un termine di paragone con altre patologie, è molto più comune dei più frequenti tumori: mammella, testicoli, utero e intestino.
venerdì 7 novembre 2008
Tanta acqua e niente zuccheri. I falsi miti per dimagrire
“Chi mangia durante la notte ingrassa più degli altri”. È questa una delle tante dicerie popolari legate all’alimentazione, consolidata anche da studi recenti, a favore della tesi secondo la quale chi si nutre soprattutto nella prima parte della giornata, ha un indice di massa corporea minore rispetto a chi mangia nelle ore notturne. In realtà non ci sono prove concrete a favore di questa teoria. L’accumulo di calorie durante il giorno e la notte non è differente. A queste conclusioni è giunta Christine Rosenbloom, ricercatrice presso la Georgia State University. La scienziata - nel corso del recente American Dietetic Association’s annual meeting tenutosi a Chicago - ha fatto un elenco dei dieci miti principali legati all’alimentazione e con precise spiegazioni li ha sfatati una volta per tutte. Vediamo – dopo questo primo assaggio – quali sono gli altri. “Evitare i cibi con alti livelli di zucchero è la miglior mossa da fare per dimagrire”. Non è vero. Secondo Rosenbloom i cosiddetti “indici glicemici” vanno osservati attentamente quando si vuole cambiare stile alimentare, ma non devono essere presi come unico riferimento per dimagrire. Per raggiungere questo scopo è semmai necessario attenersi alle regole dettate da un buon dietista. “La caffeina non è salutare”. Altro mito da sfatare. Secondo la ricercatrice Usa potrebbe addirittura essere vero il contrario, che cioè la caffeina fa bene. Numerosi studi hanno per esempio evidenziato che la caffeina aiuta a tenere lontano malattie come il morbo di Parkinson e la gotta. Al limite è sconsigliato far bere troppo caffé ai più piccoli: “I bambini ingannano, sembra che bevino un sorsetto di caffé, in realtà ne assaggiano molto di più – sottolinea Rosenbloom. “I grassi fanno sempre male”. Errato. Solo alcuni tipi di grassi fanno sempre male. Ce ne sono alcuni che fanno bene all’organismo, come quelli monosaturi e polinsaturi contenuti per esempio negli oli di oliva, zafferano e girasole. In quantità moderate questi lipidi possono contribuire ad abbassare il livello di colesterolo nel sangue. “Evitare il sodio e preferire il sale marino a quello da tavola”. È vero fino a un certo punto. Innanzitutto il nostro palato non è in grado di valutare la quantità di sodio contenuto in un alimento, inoltre spesso sono i cibi ad essere salati indipendentemente dalla quantità di sale che si utilizza. Il sale marino, a parità di volume (per esempio in un cucchiaino da tè), contiene meno sodio solo perché ha dei chicchi più grossolani. “Bere tanta acqua aiuta a perdere peso”. Questa è un’assurdità. I meccanismi che presiedono al senso della sete e a quello della fame non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro. Con ciò una persona potrà bere quanto vuole, ma non per questo perderà chili. “Il riso integrale è meglio di quello raffinato”. Altra diceria popolare. È solo parzialmente vero. Secondo Rosenbloom l’ideale sarebbe fare metà e metà. In particolare il riso raffinato contiene elementi importanti per contrastare malattie come la spina bifida. “Il riso raffinato – spiega la studiosa americana – contiene grosse quantità di elementi importanti come l’acido folico, riboflanina, niacina, tiamina, ferro. Il riso integrale ha più fibre, vitamine, selenio, zinco e potassio”. “Troppo zucchero causa problemi comportamentali ai più giovani”. Questa teoria deriva dal fatto che molti genitori associano l’iperattività di un bambino con assunzioni smodate di cibi zuccherati o zollette. In realtà l’iperattività di un bimbo – spiega Rosenbloom – dipende molto di più dal suo carattere (quindi dalla genetica) e dall’ambiente in cui cresce. “Le proteine sono gli elementi più importanti per la dieta di un atleta”. È un’idea sbagliata. Certamente gli sportivi abbisognano di maggiori quantità proteiche rispetto a chi è sedentario, tuttavia questo non significa che chi fa sport debba necessariamente abbuffarsi di cibi proteici, tantomeno ricorrere a integratori. La studiosa ha calcolato che dopo un pesante esercizio gli atleti consumano piccole quantità di proteine ripristinabili assumendo una semplice zolletta di cioccolato. Infine, l’ultimo mito alimentare evidenziato da Rosenbloom riguarda l’idea che “dolcificanti come lo sciroppo di frumento fanno ingrassare”. In realtà – rivela la ricercatrice – non esistono sostanziali differenze fra questo prodotto e il comune zucchero da tavola.
Cuore e Alzheimer. I motivi per sposarsi
Un paio di mesi fa uno studio condotto da Hui Liu, professore di sociologia alla Michigan State University, diceva che le persone sposate stanno molto meglio dei single: soffrono meno di depressione, ansia e patologie legate al sistema cardiovascolare. Ora nuovi studi condotti in varie università confermano questa tesi, aggiungendo che ci sono almeno “sei ragioni scientifiche per andare all’altare”. La prima riguarda un dato statistico: le persone sposate, statisticamente, vivono una decina d’anni in più rispetto alle persone sole. Una ricerca condotta dall’università di Chicago ci dice che un uomo sposato campa circa 10 anni in più rispetto a un single; mentre una donna con la fede al dito vive in media 5 anni in più rispetto alle donne senza marito. Secondo i ricercatori le persone sposate – soprattutto gli uomini - mangiano meglio di chi non vive con un partner e hanno una vita molto più regolare e gratificante di altri. Il matrimonio funge poi da antidepressivo. Uno studio danese ha evidenziato che la famiglia è un antidoto alla solitudine, prerogativa dei disturbi dell’umore, primo fra tutti, appunto, la depressione. Col matrimonio viene meno anche il rischio di ammalarsi di Alzheimer. Stando infatti a una ricerca presentata nel recente congresso internazionale sull’Alzheimer di Chicago, chi si sposa ha un rischio addirittura del 50 percento in meno di cadere vittima di una patologia neurodegenerativa. Secondo i ricercatori la demenza senile viene tenuta a bada da un’attività mentale più dinamica, tipica di chi può contare su una presenza fissa al proprio fianco. Chi porta la fede al dito sta meglio anche dal punto di vista cardiovascolare. I suoi livelli pressori infatti sono più bassi di chi non è sposato, e inoltre sono minori i rischi di andare incontro a gravi scompensi cardiovascolari come l’ictus e l’infarto. Anche qui, probabilmente, svolge un ruolo determinante l’alimentazione: chi vive da solo ha infatti più probabilità di mangiare male e abbuffarsi di cibi grassi e poco nutrienti. Sempre a questo proposito, uno studio effettato dai ricercatori dell’università di Pittsburgh, ha evidenziato che le arterie degli uomini felicemente sposati sono molto “più pulite” di quelle dei single, quindi meno intasate da colesterolo e trigliceridi. Con un buon matrimonio, inoltre, si tiene lontano il rischio di ammalarsi di tumore alla prostata o, per chi già malato, di morire anzitempo. Una ricerca pubblicata dal Journal of Urology – riporta il mensile OkSalute - dice che il sesso è un fattore protettivo per la prostata, e che chi vive in copia mediamente lo fa più spesso di chi sta solo. Aggiunge poi che un marito malato campa di più di un single colpito dallo stesso morbo, potendo contare sull’affetto e la disponibilità dei propri cari, fattori chiave per affrontare la malattia. Infine il matrimonio è in grado addirittura di ostacolare la comunissima influenza. Secondo i ricercatori dell’università di Birmingham chi si giura amore eterno ha un sistema immunitario più efficiente. In particolare si è visto che le persone felicemente sposate soffrono meno di sintomi influenzali quali tosse, febbre, raffreddore e mal di gola.
Acqua, fuoco e prati. I sogni rivelano i problemi di salute
Si sogna per scaricare le emozioni, lo stress, per esorcizzare le paure e riorganizzare i pensieri accumulati durante la giornata. Per Freud, in particolare, il sogno è una paura rimossa nell’inconscio o un desiderio. A volte, però, il sogno può anche comunicare che, nel nostro organismo, non tutto va come dovrebbe. In questi casi, quindi, l’attività onirica diventa la spia di un malessere, una indisposizione, o addirittura una malattia vera e propria. Per capire quando un sogno intende comunicarci qualcosa sulla nostra salute ci viene incontro un libro appena uscito intitolato “Sogni e salute” (edizioni Red), scritto dal medico Emilio Minelli e da Nicla Vozzella. I due esperti illustrano sei tipi di sogni standard, e per ognuno di essi mettono in evidenza la malattia corrispondente, sollecitandoci a tenere un quadernetto sul comodino, così da annotare i sogni che facciamo e poter eventualmente correre ai ripari prima che sia tropo tardi. Partiamo dai sogni concernenti voli o cadute, nei quali ci ritroviamo protagonisti di cadute improvvise, magari mentre ci stiamo arrampicando su una roccia o su un albero o voliamo a bordo di un aeroplano. Questa tipologia di sogni rientra nei cosiddetti ‘sogni d’aria’ e riguarda i polmoni. Chi fa esperienze oniriche di questo genere potrebbe avere problemi respiratori come asma, bronchite cronica, raffreddori e riniti. In alternativa può anche voler dire che si sta attraversando un periodo burrascoso, ansioso e stressante, come se mancasse sempre l’aria. Quando, invece, il soggetto principale di un sogno è il fuoco (per esempio un incendio, o un’eruzione vulcanica), significa che qualcosa non va a livello cardiaco, circolatorio o emozionale. Nel peggiore dei casi potremmo essere vittime di cardiopatie o coronopatie, ipotesi che necessiterebbero di approfondimento per evitare brutte conseguenze. In altri – meno gravi - di una eccessiva eccitabilità davanti a eventi comuni del vivere quotidiano. Sognare di muoverci in mezzo a boschi e prati vuol dire che il fegato potrebbe non funzionare come dovrebbe. In particolare se, in pieno sogno, ci sentiamo stanchi vuol dire che il nostro organo epatico non è più in grado di smaltire efficacemente le tante scorie accumulate dal metabolismo, e potrebbe quindi esserci il rischio di epatiti o intossicazioni. Se nel sogno, invece, ci sentiamo particolarmente tonici, significa che potremmo avere problemi di emorroidi, mal di testa o contratture muscolari. Sognare degli ostacoli o delle difficoltà mentre compiamo un’azione come correre a prendere il metrò o camminare per strada, indicano deficit nell’attività del pancreas e della milza. In questi casi l’attività onirica è la spia di un rallentamento del flusso linfatico, o venoso, con cellulite, disfunzioni della composizione del sangue e grande stanchezza. Quando invece il sogno ha come protagonista l’acqua (per esempio una tempesta, un naufragio, l’andamento irregolare di un torrente ), significa che ci potrebbero essere problemi legati alla funzionalità renale, ma anche altri disturbi come ritenzione idrica, perdita di memoria, calo della libido, depressione, osteoporosi. L’ultimo gruppo di sogni riguarda quelli aventi come soggetto città sconosciute e per questo poco familiari e minacciose. In questi frangenti può per esempio capitare di trovarci in mezzo al traffico di una metropoli che non abbiamo mai visto, totalmente rimbambiti dal viavai di automobili e persone. È la prova che qualcosa si è inceppato nel nostro intestino. Chi fa questo tipo di sogni può dunque soffrire di coliti, stitichezza, intolleranze alimentari, calo delle difese immunitarie. La conferma, infine, dell’efficacia dei sogni come autodiagnosi viene anche dagli studi condotti dal noto neurologo Oliver Sacks. Lo scienziato statunitense afferma che molti disturbi sono accompagnati da alterazioni quantitative o qualitative del sonno, e da sogni particolari. E che alcuni pazienti sognano l'insorgere di una malattia, prima che possa manifestarsi palesemente.
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