martedì 5 luglio 2016

Alla corte di Jupiter


Il più grande pianeta del sistema solare: ora lo possiamo vedere da vicino grazie a Juno. La navicella della Nasa, lanciata nel 2011 da Cape Canaveral, è arrivata a destinazione, e in questo momento sta girando intorno all'orbita del gigante gassoso. Ci rimarrà fino al mese di febbraio del 2018, dandoci la possibilità di studiare molti aspetti ancora parzialmente sconosciuti del corpo celeste: composizione dell'atmosfera, massa, attività del campo magnetico e di quello gravitazionale. La navicella ha raggiunto il suo obiettivo sfruttando una serie di pannelli solari al posto dei tradizionali RTG (generatori termoelettrici a radioisotopi), impiegati fin dall'esplorazione lunare. Come per le missioni analoghe ci si è basati sul cosiddetto effetto fionda, che sfrutta la forza gravitazionale dei pianeti per acquistare velocità e muoversi più rapidamente verso l'obiettivo, cercando di consumare meno energia possibile. La missione parla anche italiano perché a bordo di Juno c'è lo spettrometro a infrarossi Jiram, finanziato dall'Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e il Ka-Band Translator, da un progetto dell'Università La Sapienza di Roma: verranno impiegati per la mappatura di Giove e per lo studio della gravità. C'è anche una placca in alluminio che riporta il manoscritto di Galielo Galilei con il quale descrisse per la prima volta le lune gioviane. Le altre apparecchiature comprendono un radiometro, per studiare le zone più profonde dell'atmosfera di Giove; e il Fluxgate Magnetometer, per fare luce sulle dinamiche del nucleo del pianeta, di cui praticamente non si sa nulla. Già in altre occasioni un mezzo umano s'è trovato dalle parti di Giove; ma è questa la prima volta che arriva a 4mila km dalla superficie dopo un viaggio di 3,5 miliardi di km. Venti metri di larghezza per quasi cinque di altezza; un colosso che proverà anche ad avvicinarsi ai famosi vortici dell'atmosfera gioviana. Cosa che prima non era mai stata fatta. Le sonde Pioneer giunsero a Giove negli anni Settanta. Grazie a esse potemmo avere importanti delucidazioni sulle fasce di Van Allen (particelle cariche di plasma trattenute dal campo magnetico del pianeta), e sulla famosa "macchia rossa", fra le tempeste più potenti di Giove, che dura da almeno trecento anni, potenzialmente capace di inghiottire due o tre pianeti come il nostro. Ulysses, sonda realizzata dalla collaborazione fra l'Agenzia Spaziale Europea e la Nasa, sorvolò il quinto pianeta del sistema solare a circa 400mila chilometri di distanza. Era il 1992. Non arrivarono foto, ma informazioni sulle aurore boreali e la magnetosfera. Nel 1995 fu la volta della sonda Galileo che orbitò intorno al pianeta per sette anni dandoci ragguagli in merito all'attività vulcanica di Io (uno dei satelliti di Giove), all'ipotesi di un oceano sotto la superficie ghiacciata di Europa, e alla presenza di anelli che circondano il corpo celeste. Nel 2000 la sonda Cassini-Huygens, destinata a raggiungere Saturno nel 2004, spedì 26mila fotografie, consentendoci di studiare nei dettagli la turbolenta circolazione atmosferica. Ora tocca a Juno. E non sarà finita qui. C'è ancora Europa Jupiter System Mission, con l'entrata in azione di due sonde dell'Esa e della Nasa, che raggiungeranno Giove e i suoi satelliti nel 2026. 

venerdì 1 luglio 2016

Le macchine del futuro


In futuro guideremo macchine completamente automatiche: a bordo, si pigia un pulsante, poi faranno tutto loro. E' una promessa che è già realtà, e che un domani potrà essere consuetudine, ma non si sono fatti i conti con un aspetto fondamentale: l'auto resta pur sempre un oggetto meccanico e per quanto perfettamente tarato per una guida sicura, non potrà mai sostituire la sensibilità e la consapevolezza umana, tali da far sì che un mezzo possa realmente andare dove decidiamo di dirigerlo. Ecco perché pochi giorni fa, a bordo di una macchina avveniristica, è avvenuto il primo incidente mortale: un ex militare dei corpi speciali Navy Seal, il quarantenne Joshua Brown, si è infilato sotto il rimorchio di un tir e per lui non c'è stato più scampo. Colpevole la sua Tesla Model che non ha saputo distinguere il colore bianco del camion, da quello del cielo; e una serie di coincidenze sfortunate, fra cui quella relativa all'altezza della base del rimorchio, perfettamente compatibile con quella del muso della supercar. Da qui sono partite tutta una serie di considerazioni, che, se da una parte puntano a incentivare ulteriormente l'impiego di queste vetture, dall'altro sollevano interrogativi per i quali le risposte ancora latitano. L'incidente avvenuto su un'autostrada della Florida, dalle parti di Williston, sottolinea l'incompatibilità fra la volontà umana e quella dell'autovettura. Il militare viaggiava tranquillo per la sua strada, in modalità autopilot; ma non ha potuto fare nulla quando l'auto non ha azionato il freno. La casa automobilistica statunitense salvaguarda la sua proposta dicendo che solo in questo modo sarà possibile diminuire gli incidenti sulle strade. Confortata dalle statistiche: il sinistro costato la vita a Brown è il primo dopo 130 milioni di miglia affrontate a bordo di una macchina "intelligente"; contro i 94 milioni di miglia legati agli incidenti mortali alla guida delle auto tradizionali. Andando avanti di questo passo, secondo gli esperti della Tesla, le cose non potranno che migliorare (e sono dello stesso parere anche Google e altri simpatizzanti del self driving). Ma i dubbi permangono. Perché di pari passo con la sofisticazione delle auto del futuro, incombono problemi di natura etica. Si parla infatti di codice della morte, per designare una competenza che potrà presto essere appannaggio di auto analoghe. Alle automobili, in caso di emergenza, sarà conferita la capacità di scegliere dove andare a sbattere, e quindi di decidere chi salvare fra un autista e, per esempio, un gruppo di pedoni o un ciclista. Da un mero calcolo matematico potrebbero dunque stabilire il destino di un uomo, dotate esclusivamente di un'"intelligenza" artificiale. Non è il massimo. Ecco perché ci sono centri che stanno già studiando la "moralità" delle macchine del futuro e altri valutando quanto potranno essere realmente apprezzati mezzi programmati per sacrificare il conducente; benché l'istinto umano sia quello di rischiare la vita pur di non investire qualcuno. Sarà anche per questi dilemmi che la Nhtsa, l'ente governativo americano per la sicurezza stradale, ha aperto un'inchiesta per fare luce sull'incidente avvenuto in Florida. 25mila veicoli smart verranno sottoposti a ulteriori verifiche: «L'incidente», dicono i responsabili dell'istituzione statunitense, «richiede un esame della progettazione e delle performance di ogni aiuto alla guida in uso al momento dello schianto». Intanto i titoli in Borsa della casa costruttrice sono crollati, con una perdita superiore al 3%. E così la fiducia in un mezzo dotato di una tecnologia ancora in via di sviluppo e non del tutto affidabile. Rimane stabile solo il prezzo base delle Tesla: 66mila dollari.