domenica 13 luglio 2008
La pelle 'perfetta' per la puntura di zanzara
Una sera estiva qualunque, stiamo assistendo a un concerto, all’aperto, non lontani da un laghetto. A un certo punto cominciano a ronzare le zanzare. L’amico al nostro fianco è tranquillo. Noi no: per chissà quale misterioso motivo i fastidiosi ditteri sembrano prendersela solo con noi, punzecchiandoci di continuo. Possibile che le zanzare preferiscano il nostro sangue a quello del nostro amico? È la domanda che da sempre si pongono gli scienziati e che da poco sta cominciando ad avere una risposta: sì, anche le zanzare – in fatto di ‘cibo’ - hanno le loro preferenze, e quindi non tutte le persone vengono colpite da questi insetti allo stesso modo, alcuni sembrano essere molto più vulnerabili. “In media una persona su dieci attrae in modo eccezionale le zanzare – spiega Jerry Butler, professore dell’università della Florida. Come è noto, però, non tutte le zanzare sono nocive. Lo sono solo le femmine che, grazie al sangue dell’uomo, riescono a produrre uova fertili. I maschi adulti si nutrono invece di succhi vegetali. “Sono state condotte varie ricerche sulle molecole umane in relazione ai gusti delle zanzare - dice Joe Conlon, dell’American Mosquito Control Association -. Tuttavia non siamo ancora in grado di dire, con precisione, quali e quante sono quelle che attirano di più gli insetti. Si dovrebbero analizzare moltissime molecole, per avere un quadro preciso delle loro preferenze”. In ogni caso, secondo gli studiosi, ci sono almeno tre categorie di persone più suscettibili delle altre alle punture di zanzara: gli individui che presentano alte concentrazioni di steroidi o colesterolo; chi ha la pelle acida, ricca di sostanze come l’acido urico; i soggetti che, respirando, emettono molta anidride carbonica e acido lattico. A questi va poi aggiunto chi suda molto, la cui sensibilità alle punture di ditteri è già nota. La zanzara, tramite sensori posizionati sulle antenne, può ‘percepire’ certe sostanze emesse dall’uomo fino a 50 metri di distanza. Ma dove si nascondono le zanzare? Alcune aree geografiche sono sicuramente più frequentate di altre. Le zanzare dimorano soprattutto lungo le aree costiere. Ma si trovano a loro agio anche nell’entroterra, specialmente a ridosso di stagni e acquitrini. Possiamo quindi stare tranquilli andando in montagna? Mica tanto. Benché questi insetti non amino particolarmente le alte quote, alcuni esemplari sono stati trovati lungo la catena himalayana e in posti come l’Alaska dove d’estate – sviluppandosi molti acquitrini – trovano l’ambiente ideale per riprodursi. Rimedi? Secondo uno studio condotto da Mark Fradin, ricercatore presso la Chapel Hill Dermatology, il DEET (dietilmetilbenzamide o dietiltoluamide), principio attivo presente in molti spray in commercio (si trova sia al supermercato che in farmacia), è il più efficace nel tenere a bada le zanzare. Il suo effetto dura circa cinque ore. Tra i prodotti naturali sono invece utili l’olio di eucalipto o di soia. Recentemente, presso il comune di Buccinasco (MI), l’Amministrazione comunale ha invece pensato di piantumare degli alberi in grado di tenere lontane le zanzare e che tutti potrebbero mettere in giardino. Si tratta di una specie arborea brasiliana chiamata catambra che produce il ‘catalpolo’, sostanza fortemente repellente. La pianta antizanzara è efficace anche contro la temibile zanzare tigre, arrivata in Italia una decina d’anni fa.
Melissa, zenzero, lavanda. Così si cura il mal d'amore
In Italia, una volta, per riuscire a conquistare la donna del cuore, si stringevano fra le mani un po’ di foglie di achillea. Analogamente, in Francia, le ragazze desiderose di incontrare un bravo ragazzo da sposare, appendevano coroncine di erica agli alberi. Oggi, naturalmente, nessuno crede più a questi ‘miracoli’ delle piante, eppure ci sono veramente dei vegetali contraddistinti da qualità medicamentose in grado - se non di fare incontrare l’amore della vita - di alleviare le pene d’amore: patemi del cuore che, a seconda dei casi, possono procurare ansie e paure, tristezze e malinconie, cali del desiderio e della passione. Vediamo dunque una a una quali sono queste piante ‘magiche’, seguendo la traccia di un sevizio apparso sulla rivista Viversani, con il contributo di Paola Nannei, medico chirurgo di Milano, e le erboriste Daniela Casiraghi e Marialuisa Musso della stessa città. Per combattere l’ansia e il timore di rimanere soli gli specialisti consigliano la melissa (Melissa officinalis), il biancospino (Crataegus oxyacantha), e il basilico (Ocinum basilicum). In tutti i tre i casi, l’ideale è assumere 30 gocce di tintura madre (acquistabile in erboristeria), disciolte in acqua, una o due volte al giorno. L’alternativa sono gli infusi, ottenuti lasciando per 10 minuti un cucchiaino dell’erba selezionata in una tazza d’acqua bollente. Ognuna di queste piante ha il potere di smorzare l’ansia, ma non solo. La melissa, in più, aiuta la digestione, il basilico profuma l’alito e il biancospino diminuisce il battito cardiaco. Se si vuole invece dare una scossa alla propria sessualità, la raccomandazione degli scienziati è quella di avvalersi di piante come lo zenzero (Zingiber officinale), la santoreggia (satureia hortensis) e l’ylang-ylang (Cananga odorata). Lo zenzero ha proprietà afrodisiache. Inoltre è uno stimolante generale e un efficace ricostituente conosciuto da molto tempo dalla farmacopea cinese per contrastare affaticamento, astenia e impotenza. Lylang-ylang è un’erba di origine orientale. In ambito sessuale agisce come un potente rilassante del sistema nervoso. In particolare se si vogliono ottenere buoni risultati occorre assumere 3 o 4 gocce di essenza della pianta per tre o quattro volte nell’arco della giornata. Della santoreggia si utilizzano le foglie e i fiori sia essiccati, sia freschi. Una tisana o un decotto di santoreggia, associato magari a qualche foglia di salvia, aiuta a ricaricare le funzioni cerebrali legate all’eccitamento. Un’aggiunta di santoreggia e verbena al bagno caldo stimola l’energia sessuale. Infine se il problema è l’umore che non ne vuole sapere di rimettersi in sesto, dopo una crisi sentimentale, basta affidarsi alla liquirizia (Glycyrrhiza glabra) e alla lavanda (Lavandola officinalis). La prima può essere acquistata in erboristeria sottoforma di caramelle e serve a fornire energia e buonumore. Occorre però fare attenzione a non esagerare, perché questo vegetale, se assunto in dosi eccessive, può provocare ritenzione idrica e innalzamento della pressione arteriosa. La seconda – il cui potere è specificatamente quello di domare una emotività eccessiva - la si consuma raccogliendo i fiori della pianta in un cucchiaino che va poi rovesciato in una tazza di acqua bollente. Infine si beve il liquido ottenuto dopo averlo filtrato.
Dita nel naso antistress. Lo fa anche la regina
Ognuno di noi lo fa, magari senza farci caso. Il più delle volte per scaricare lo stress, la tensione. Solo in rare circostanze può essere infatti la conseguenza di un problema più serio, respiratorio o addirittura psicologico. Stiamo parlando della abitudine di mettersi le dita nel naso. Secondo un recente studio condotto dagli americani, pubblicato sulla rivista Journal of clinical psychiatry, e ripreso da OkSalute, il 97,6 percento delle persone si mette le dita nel naso 4 volte al giorno. Il 7,6 percento compie questa azione fino a 20 volte al dì. Analogamente, dei ricercatori inglesi del Museo delle scienze di Londra, hanno scoperto che il 35 percento degli adulti si ‘scaccola’ più di cinque volte al giorno, con “meticolosità e non senza un sottile autocompiacimento”. Perfino la regina d’Inghilterra è stata fotografata mentre si puliva il naso con le mani; ed è in buona compagnia visto che, con lei, sono stati colti in ‘flagrante’ molti altri personaggi dello star system come la principessa Carolina di Monaco, Flavio Briatore, Vince Vaughn, Diane Keaton. La ricerca - compiuta su 200 ragazzi delle scuole superiori – mette in luce che, l’abitudine di strofinarsi incivilmente il naso, inizia in tenera età. Poi, col tempo, per alcuni diventa una vera e propria mania. Secondo gli scienziati pulirsi il naso con le mani procura sollievo, autogratifica. E in pratica - come quando mastichiamo l’apice di una matita, scarabocchiamo, arrotoliamo i capelli - serve ad allontanare lo stress. Il naso di solito si mantiene pulito da solo, grazie a microscopiche ciglia presenti nelle narici: il muco passa alla faringe, dove viene deglutito, in 12-15 minuti. In caso contrario ci si serve del fazzoletto o di soluzioni saline ipotoniche spray. Se però si soffre frequentemente di epistassi (sangue dal naso) o malformazioni anatomiche delle alte vie respiratorie (turbinati ipertrofici) possono formarsi accumuli secchi di muco che rendono difficoltosa la respirazione, inducendoci, di conseguenza, a liberare il naso con le mani. Fin qui, comunque, al di là delle possibili ripercussioni sociali, è tutto nella norma. Si entra invece nel campo della patologia quando - indipendentemente dalla secchezza del muco e dalla necessità benigna di scaricare lo stress (per esempio prima di un esame) - si infilano le mani nel naso troppo frequentemente. Lo studio americano dice che, quando una persona si pulisce il naso con le mani più di venti volte al giorno, potrebbe soffrire di rinotillexomania. È una malattia riconducibile alla famiglia dei disturbi ossessivo-compulsivi. Ci si strofina continuamente il naso non per necessità, ma per conflitti, disagi interiori, che portano a un accumulo di ansie ingiustificate. Quando ci si ammala di rinotillexomania è quindi necessario rivolgersi a uno specialista. Gli psicologi hanno notato che chi si mette sempre le mani nel naso è spesso un individuo caratterizzato dalla mancanza di prospettive esistenziali e che può comportarsi in questo modo per attirare l’attenzione. Il fenomeno colpisce numerosi adolescenti, soprattutto quelli più aggressivi e desiderosi di trasgredire le regole. Sono gli stessi individui che, in casi limite, possono trasformarsi in vandali o attaccabrighe. Il problema degenera quando alla compulsività subentra anche un atteggiamento sadomasochistico. In questi casi il malato di rinotillexomania non si accontenta di infilarsi ossessivamente le dita nel naso, ma si fa anche del male, ferendosi. Infine, alla luce di queste considerazioni, stupiscono le recenti conclusioni del noto pneumologo austriaco, Friedrich Bischinger, secondo il quale ‘scaccolarsi’ non è un vizio, ma un’ottima abitudine. Lo studioso afferma che mettersi le dita nel naso e poi in bocca per ingoiare il prodotto del proprio corpo giova alla respirazione e al sistema immunitario. “Con le dita - spiega Bischinger - si raggiungono punti in cui col fazzoletto è impossibile arrivare. Mangiare quel che si estrae, poi, aiuta gli anticorpi. Di fatto il naso è un filtro vero e proprio. Lì si raccolgono un gran numero di batteri e quando li facciamo arrivare all’intestino funzionano proprio come una medicina moderna, testata per rafforzare il sistema immunitario. È una cosa assolutamente naturale e in più gratuita”. E quando il muco non viene ingoiato? Come asseriscono gli studiosi della Wisconsin University finisce, nella maggior parte dei casi, sotto la scrivania, sotto la sedia, o appiccicato al primo mobile che capita a tiro.
Scrivere a mano aguzza la mente e fissa i ricordi
È quasi imbarazzante ammetterlo, ma la maggior parte di noi ormai ha grande difficoltà a scrivere a mano. Ovunque l’avvento del computer ha sostituito l’azione di impugnare una biro e comporre parole e frasi, al punto che, quando ci si cimenta con questo tipo di scrittura, vengono fuori composizioni a dir poco ‘futuristiche’ e incomprensibili: ghirigori, lineette, puntini, riccioli, molto più simili a un geroglifico che non a un testo scritto in italiano. Eppure scrivere a mano fa bene alla salute, tiene allenata la mente e aiuta a cementare i ricordi. Sono di questo parere non solo i medici, ma anche chi vive di parole. Il riferimento è a scrittori conosciutissimi come Andrea Vitali, Claudio Magris, Federico Moccia, e non ultimo il Premio Nobel per la letteratura del 2006, Orhan Pamuk. Gli specialisti dell’università milanese Bicocca, dicono sulla rivista OkSalute che, perdendo la abilità di scrivere a mano, stiamo perdendo anche la capacità di riflettere su ciò che si sta scrivendo: un testo scritto a mano porta sempre a elaborare qualche pensiero in più, rispetto a quando si scrive tramite mail o col telefonino. Secondo gli esperti scrivere a mano aguzza la capacità di analisi e riflessione. Disintossica la mente. Impone un ritmo rallentato rispetto alle richieste di velocità che ci arrivano da ogni parte. Annulla il ‘multitasking’ (il compiere affannosamente più cose assieme come scrivere, parlare al telefono, scaricare musica). Scrivere a mano porta ad affrontare le cose con maggiore calma, migliora la capacità di pensiero e di memorizzazione. Aiuta poi a ritrovare il contatto con i nostri sensi, in primo luogo il tatto, sempre meno sollecitato nell’era virtuale. La scrittura manuale è anche uno strumento che permette di esternare idee e sentimenti, senza contare che una penna e un foglio sono molto meno pesanti e ingombranti di un pc. In pratica – consigliano gli studiosi - il tradizionale diario personale sarebbe meglio continuare a scriverlo a mano (come si è sempre fatto) e non su un blog. La scrittura manuale è da tempo utilizzata nelle terapie mediche per combattere malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Inoltre è consigliata nella terapia cognitivo comportamentale, laddove viene suggerito al paziente di annotare le proprie emozioni giornaliere, e di rifletterci sopra. Il problema di non sapere più scrivere a mano sta coinvolgendo sempre di più anche i giovanissimi. Molti scienziati parlano di un ritorno all’analfabetismo; di una scrittura che sta diventando sempre più sciatta e banale. Oggi i ragazzi a scuola scrivono “xké 6 lì?”, anziché “Perché sei lì?”. A riprova dell’importanza, specialmente per i più giovani, di scrivere a mano, Steve Graham, professore presso la statunitense Vanderbilt University, ha condotto un esperimento su alcuni bambini delle scuole elementari. Ha selezionato un gruppo di scolari di sei anni, in grado di scrivere con la matita solo una dozzina di lettere al minuto e gli ha consigliato di seguire un programma speciale, esercizi di quindici minuti al giorno per tre volte alla settimana. Risultato. Dopo un paio di mesi, non solo i bambini erano diventati molto più veloci a scrivere a mano, ma avevano anche imparato a comporre strutture sintattiche molto più articolate rispetto ai coetanei. Con ciò gli studiosi concludono dicendo che non è necessario disfarsi del computer e della tecnologia per stare meglio con noi stessi; la raccomandazione è semplicemente quella di non dimenticarci di scrivere a mano, e di dedicarci a questa attività ogni volta che abbiamo un po’ di tempo libero. “L’ideale sarebbe affiancare la scrittura manuale a quella del pc, una danza fra l’antico e il presente – racconta a Libero Duccio Demetrio, professore ordinario di Filosofia dell’educazione e di Teorie e pratiche della narrazione dell’università degli studi Milano-Bicocca -. Scrivere a mano è un buon esercizio per la memoria e aiuta la concentrazione. Il computer è lo strumento ideale per scrivere messaggi e comunicare nel mondo del lavoro. Il consiglio, quindi, è quello di giocare su due registri, considerando sempre l’importanza del pensiero, della riflessione e della meditazione”.
L'emicrania si cura anche in sala operatoria
Un pacemaker simile a quello utilizzato per risolvere alcuni problemi cardiaci potrebbe rappresentare una nuova cura per l’emicrania, male di cui soffrono milioni di persone. Il riferimento è a un elettrodo in grado di stimolare il nervo vago e normalmente impiegato per contrastare malattie come l’epilessia e la depressione maggiore. Gli esperti dell’Istituto Neurologico Besta di Milano sono i primi in Europa ad essere arrivati a queste conclusioni dopo aver operato due pazienti depressi, insensibili ai farmaci. In contemporanea, sono giunti a questo importante traguardo, anche degli studiosi canadesi (Halifax) e americani (New York): “Possiamo dire di essere arrivati per caso a questo risultato – spiega a Libero Angelo Franzini, il neurochirurgo del Besta di Milano che ha effettuato i due interventi – trattando con la cosiddetta ‘stimolazione vagale’ due pazienti affetti da depressione maggiore (ed emicrania) ci siamo accorti che l’intervento non serve a migliorare solo la depressione ma anche il mal di testa cronico. Da qui pensiamo quindi di muoverci per approfondire gli studi, e verificare se questo tipo di terapia può essere ufficialmente predisposto per combattere l’emicrania”. È da sette anni che al Besta di Milano vengono operati pazienti depressi con la ‘stimolazione vagale’. La tecnica è nata in Usa una decina di anni fa. Consiste in un’operazione di circa un’ora. Si pratica una piccola incisione sul collo di circa tre centimetri, all’altezza delle carotidi e si inserisce un minuscolo elettrodo. Si fissa poi sotto la clavicola un generatore elettrico (grande come un orologio) funzionante a batterie, che si collega all’elettrodo con un filo. Dall’elettrodo infine parte l’impulso elettrico che serve a stimolare il nervo vago, direttamente collegato alle aree cerebrali, alla base di malattie come l’emicrania e la depressione maggiore: “Il nervo vago è il decimo delle dodici paia di nervi del cranio che partono dal tronco encefalico – dice Franzini – stimolandolo riusciamo a controllare la depressione e verosimilmente la emicrania. I risultati si iniziano a vedere dopo qualche mese dall’intervento. Dei due che abbiamo portato a termine, il primo è avvenuto un anno fa, l’ultimo, un mese fa. Riferendoci quindi al primo caso possiamo dire che ci sono stati significativi miglioramenti sia per quanto riguarda la depressione (che comunque ci aspettavamo), sia per la emicrania (che invece si sono rivelati una sorpresa)”. La stimolazione del nervo vagale viene utilizzata in medicina per curare la depressione, ma anche certe forme di epilessia che non rispondono bene ai farmaci. Attualmente, con questa tecnica, è stato possibile curare molti pazienti, riducendo le loro crisi del 50 percento. L’operazione non è eccessivamente invasiva e non ha grossi effetti collaterali se non quelli tradizionalmente associati a ogni tipo di intervento chirurgico: “Possono comparire ematomi o infezioni – conclude Franzini – come per ogni altro intervento in sala operatoria. In ogni caso la ‘stimolazione vagale’ è ben tollerata”. Una volta installato il pacemaker rimane nel corpo del paziente per tutta la vita. Ogni quattro anno però è necessario sottoporsi a un piccolo intervento per cambiare le batterie.
Sessanta ricette d'autore. I diabetici si godono la tavola
Triglie con couscous, acqua di pomodoro, erba cedrina e anguria. Filetto di ricciola dorato con caponata di verdure. Gateau di carciofi con scafata di verdure e pesto di mentuccia. I piatti di qualche rinomato ristorante? Macchè. Sono queste tre delle sessanta ‘ricette d’autore’ presenti nel libro ‘La Dolce Vita’, presentato ieri a Milano, sotto la supervisione dell’Associazione Italiana Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI) e dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD). Scopo della pubblicazione aiutare tutti coloro che soffrono di diabete, ma anche chi, semplicemente, intende avvalersi di un’alimentazione sana ed equilibrata, in grado di contrastare patologie di ogni tipo. Sono ricette semplici, con le quali tutti possono cimentarsi, senza avere esperienze particolari in cucina. “Con questo lavoro intendiamo sottolineare l’importanza della dieta in malattie come il diabete, ma anche il fatto che, un regime alimentare sano, non deve per forza andare di pari passo con restrizioni dietetiche e piatti privi di gusto – spiega Giuseppe Marelli, Direttore del gruppo di lavoro ‘Alimentazione e Diabete’ di AMD -. Nel libro infatti, grazie alla collaborazione fra chef e medici, sono presenti 60 ricette in grado di soddisfare il palato anche della persona più esigente, rispettando però i requisiti di una dieta ottimale. In questo modo non facciamo altro che mettere in pratica la cosiddetta ‘Terapia Medica Nutrizionale’”. Il libro è suddiviso in quattro capitoli. Il primo e il secondo affrontano il tema della malattia e forniscono indicazioni generali sulla patologia diabetica, a partire dai fattori di rischio, per arrivare alla prevenzione e al controllo. Il terzo è il capitolo clou, in cui vengono elencate le ricette, e spiegato il modo in cui è possibile realizzarle utilizzando precisi ingredienti. Il quarto, infine, chiude con le schede biografiche degli chef e gli indirizzi dei medici coinvolti nell’iniziativa. “‘La Dolce Vita’ risponde alla volontà di far crescere la sensibilità dell’opinione pubblica sulla patologia – dice Vera Buondonno, Presidente della Associazione Italiana Diabetici – e offre alle persone con diabete uno strumento di assoluta qualità e originalità dove le regole si sposano alla creatività nel segno di una consapevolezza, quella di volere mangiare correttamente per stare bene, che non limita, ma perfeziona il piacere della tavola, giungendo a esaltare gusto, colore, profumo dei piatti e il piacere di condividerli con i propri amici e familiari”. Il libro sarà distribuito gratuitamente presso i centri di diabetologia, le sedi sul territorio nazionale dell’Associazione italiana diabetici e a chiunque voglia richiederlo rivolgendosi, a partire da fine luglio, al numero verde 800 82 00 82. Oggi in Italia soffre di diabete il 4 percento della popolazione. Nel 2025 il dato salirà al 10 percento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo entro il 2025 ci saranno 350milioni di malati.
Meduse, razze e pesci pietra. Le insidie nascoste sott'acqua
L’ennesimo fatto di cronaca relativo ai pericoli del mare risale all’altro ieri, quando due fidanzati, imbattendosi in un branco di meduse, al largo di Marina di Vecchiano (Pisa), hanno riportato abrasioni e ustioni in varie parti del corpo. Ogni anno è lungo l’elenco di persone che subiscono attacchi da animali marini, tuttavia molti inconvenienti potrebbero essere evitati se solo si conoscessero di più le caratteristiche delle specie acquatiche, e le modalità di intervento nei casi di infortunio. Ecco dunque - seguendo un servizio apparso sulla rivista Come Stai – quali sono gli animali marini più pericolosi e quali i suggerimenti da seguire per evitare brutte sorprese. Iniziamo dalle meduse, fra le specie più note e potenzialmente pericolose per l’uomo. Le due specie più insidiose del Mediterraneo sono l’Aurelia aurita e la Pelagia nocticula. Il contatto con i loro tentacoli può provocare spasmi muscolari, nausea, vomito, oltre alle caratteristiche lesioni epidermiche, molto simili alle ustioni. In caso di contatto non si deve sfregare (come spesso si fa) la parte lesa con gli asciugamani. Occorre invece rimuovere i frammenti dei tentacoli con pinzette o mani protette da guanti, trattare il punto colpito con aceto o ammoniaca e infine spalmare creme a base di cortisone. Le attinie (Anemonia solcata) – dette anche anemoni di mare – sono molto belle a vedersi, presentando tentacoli simili ai petali di un fiore. È necessario però starle alla larga: basta infatti sfiorarle per infortunarsi. In questi casi si interviene somministrando al bagnante ferito un antinfiammatorio (Voltaren) e un antistaminico (Polarim crema): così si impedisce la diffusione delle tossine velenose. I pesci pietra (Synanceia verrucosa) e i pesci leone (Pterois volitans) appartengono alla famiglia degli scorpioidi. La loro abilità è quella di sapersi mimetizzare molto bene nei fondali. Se disturbati si difendono con aculei connessi a ghiandole velenifere. Diversi i sintomi provocati da una puntura di scorpioide, fra cui dolori addominali e difficoltà respiratorie (in rari casi aritmie). Per risolvere il problema il consiglio è quello di immergere la parte colpita in acqua molto calda, azione che serve a inattivare il veleno. Poi conviene correre in ospedale, dove i medici potrebbero indicare una cura a base di antibiotici. Le razze (Taeniura lymma) possiedono quattro aculei velenosi sul dorso. Le loro punture causano arrossamento e gonfiore, qualche volta infezioni, o perdite cospicue di sangue. Il loro veleno è termolabile per cui – anche in questo caso - basta trattare la parte ferita con acqua calda per scongiurare danni peggiori. Fra gli animali marini ci sono anche i noti ricci (Paracentrotus lividus), appartenenti al raggruppamento tassonomico degli echinodermi. Abitano i fondali rocciosi ed è facile calpestarli. In caso di puntura è utile usare una pinzetta per togliere uno a uno gli aculei; se troppo profondi è meglio invece correre al pronto soccorso perché potrebbero subentrare delle infezioni. I serpenti di mare (come l’australiano Laticauda colubrina) sono di solito pacifici, ma se disturbati possono attaccare con denti cavi pieni di veleno. Anche qui, l’unica soluzione, è quella di correre al più presto al vicino ospedale, per evitare problemi seri come disturbi della parola e paralisi respiratorie. Infine ci sono le tracine (Trachinus draco), animali, come gli scorpioidi, abituati a vivere sul fondo marino. In caso di attacco la raccomandazione è quella di intervenire con una pinzetta per rimuovere gli aculei, e l’acqua calda per bloccare l’azione velenifera.
Ulcera o ipertensione. Anche la malattia dipende dal carattere
Secondo molti scienziati è possibile stabilire il rischio di ammalarsi di una certa patologia studiando il carattere o il temperamento di una persona. Fino a ieri questa teoria si basava su due principali tipologie caratteriali – A (ostile e competitivo), B (sereno e tranquillo); oggi, invece, alla luce delle numerose ricerche fatte, gli specialisti affermano che le tipologie caratteriali sono molte di più, e che quindi è possibile stabilire con maggiore precisione il legame tra temperamento e malattie. Dean Hamer del U.S. National Cancer Institute afferma che i tratti del carattere di una persona dipendono in parte dalla genetica, in parte dall’ambiente in cui si è cresciuti e dall’educazione ricevuta. Partendo, dunque, da questi presupposti, gli esperti parlano di 10 temperamenti-tipo ognuno dei quali legato a specifiche manifestazioni patologiche. Iniziamo dalla personalità ‘impulsiva’. Sono individui che agiscono senza pensare, e danno l’impressione di avere sempre fretta. Secondo gli specialisti del Finnish Institute of Occupational Health rischiano soprattutto di ammalarsi di ulcera. Lo studio condotto su 4mila persone indica che il pericolo – per questi soggetti - di soffrire di disturbi all’apparato digerente, è 2,4 volte superiore alla media. Sotto stress, gli impulsivi, producono infatti succhi gastrici in eccesso, alla base del male. Gli ‘allegri’ - contrariamente a quanto si pensa - presentano un’aspettativa di vita più bassa della media. “Senso dell’umorismo e ilarità sono inversamente proporzionali alla longevità – ammettono i ricercatori dell’università della California. Le persone allegre troppo spesso sottostimano il pericolo, e rischiano pertanto di ammalarsi o farsi male più degli altri. Il tipo ‘ansioso’ rischia tre volte di più di essere colpito da ipertensione. Secondo uno studio della Northern Arizona University l’ormone dello stress, in qualche modo, facilita l’indurimento delle arterie. Le donne, invece, che soffrono di crisi d’ansia acute legate magari a fobie, rischiano più delle altre di essere colpite da infarto. Esperimenti condotti presso l’università di Antwerp svelano che dopo dieci anni di trattamento per malattie coronariche il 27 percento degli ansiosi decede, contro il 7 percento delle persone più tranquille. La personalità ‘aggressiva’ è vittima dell’arteriosclerosi. Test scozzesi effettuati coinvolgendo 2mila persone rivelano che questo atteggiamento comportamentale facilità l’infiammazione cronica delle arterie. Inoltre gli aggressivi soffrono di più di depressione. I ‘timidi’ vanno facilmente incontro a infezioni virali. Ricerche condotte sugli animali mettono in luce che gli individui socievoli hanno un sistema immunitario più forte, fondamentale per combattere le malattie veicolate da virus e batteri. Essere ‘ottimisti’, invece, serve a tenere lontane le malattie. In media una persona che pensa sempre positivo vive 7,5 anni più della media. I livelli di cortisolo (ormone dello stress) sono più bassi della norma, e si è più protetti da psicopatologie. Il ‘riservato’ soffre soprattutto di disturbi emotivi, e rischia di ammalarsi di cuore. Studiosi di Harvard hanno associato questo temperamento con un battito cardiaco più veloce del normale. Anche il ‘coscienzioso’, come l’‘ottimista’, tende a campare di più. In questo caso il riferimento è a una personalità capace di valutare attentamente il proprio stato di salute, senza mai drammatizzare, e curandosi meticolosamente. Studiosi della Nottingham University assicurano che le persone coscienziose, per esempio, rischiano meno malattie derivanti dal colesterolo cattivo o dall’ipertensione. Il ‘nevrotico’ si ammala facilmente di cuore, mal di testa, e ulcera. Lo stress abbassa le sue difese immunitarie e aumenta la vulnerabilità agli agenti patogeni. In più c’è il rischio di depressione. L’‘estroverso’ accumula facilmente chili di troppo e diventa obeso. Questa tipologia caratteriale riguarda individui compagnoni, che spesso non sanno cosa voglia dire mantenere la linea. Infine il ‘pessimista’ è legato alla possibile insorgenza del morbo di Parkinson. In questo caso però – spiegano i ricercatori della Mayo Clinic - non è possibile stabilire ancora una relazione fra causa ed effetto.
Scosse, suoni, peperoncino. Quanto resiste il nostro corpo
Quali e quanti sono i limiti del corpo umano? Quanta elettricità possiamo sopportare? Qual è il suono più forte sopportabile dalle nostre orecchie? Sono alcuni dei quesiti posti a vari ricercatori - sull’ultimo numero del mensile Airone - riguardo le massime resistenze umane, il limite oltre il quale la fisiologia umana non può andare. Iniziamo dalla velocità. Secondo gli scienziati la velocità massima assoluta di un corridore è (teoricamente) di 43,06 chilometri all’ora, corrispondenti a 11,96 metri al secondo. Oltre non si può andare se non correndo il rischio di vedere staccarsi il tendine dal ginocchio. In realtà nessun uomo è mai giunto a tanto, visto che il record attuale di velocità è di 42,52 chilometri all’ora. Quanta elettricità può sopportare un corpo umano? Partendo da casi eccezionali come quello del ranger americano Roy Sullivan che è stato colpito 7 volte da un fulmine salvandosi ogni volta, gli esperti dicono che il limite teorico è di 27mila volt. (Il record attuale però non è mai stato calcolato). Quando la corrente elettrica è troppo elevata il cuore si ferma per un processo noto come fibrillazione ventricolare. In caso di emorragie quanto sangue deve fuoriuscire da un corpo prima che sopraggiunga la morte? Tenuto conto che un adulto sano ha in corpo, in media, 3,8-5,6 litri di sangue, i ricercatori affermano che il limite teorico di un individuo che va incontro a dissanguamento è di 1,9-2,8 litri (pari a circa il 50 percento del volume totale). Il record attuale è del 75 percento del volume totale; un record eccezionale, registrato una sola volta e quindi non generalizzabile, se si pensa che perdite ematiche superiori al 30 percento richiedono trasfusioni, e che oltre il 40 percento il rischio di vita è molto alto. Per ciò che riguarda il sapore dei cibi, quanto piccante può essere un alimento per essere digerito senza problemi? Il limite teorico è 5 grammi di capsaicina (principio attivo del peperoncino); il record attuale 0,1 grammi. In caso di cibi eccessivamente piccanti potrebbero subentrare dolori, spasmi e difficoltà respiratorie. Nella peggiore delle ipotesi può sopravvenire l’infarto. (La sostanza più piccante mai deglutita da un uomo è un condensato di capsaicina, 10mila volte più piccante di un vindaloo, nota pietanza indiana condita con specie e peperoncino). Quanto potente deve essere un pugno prima che le ossa dell’avambraccio si frantumino? Il limite teorico parla di 50KiloNewton, quello attuale di 3KiloNewton. Oltre il limite teorico le ossa si rompono perché non possono sopportare le 5 tonnellate di compressione muscolare, derivanti appunto da un cazzotto sprigionato con una forza di 50kiloNewton. (Si è calcolato che per arrivare al limite teorico sarebbe necessario un tricipite con una circonferenza di 55 centimetri). E il freddo? Fino a che temperatura può abbassarsi un corpo umano per non subire gravi contraccolpi? Gli esperti dicono che il limite teorico è 0 gradi centigradi, momento in cui nei tessuti si formano dei cristalli di ghiaccio che distruggono le cellule. In realtà la ‘sopportazione’ umana è molto più scarsa. A 36 gradi le capacità di reazione e giudizio vengono meno; a 35 gradi non si è già più in grado di comporre il proprio nome; a 34 gradi si entra in coma; a 20 gradi il cuore smette di battere. Clamoroso quindi il caso di una bambina che è stata trovata viva dopo aver vagato a una temperatura di -20 gradi centigradi, con il cuore che aveva smesso di battere e una temperatura corporea di 16 gradi. Infine: qual è il suono più forte sopportabile dall’orecchio umano? Il limite teorico è 200 decibel; il record attuale 175 decibel. A partire da 186 dB il rischio di arresto cardiaco è molto elevato. Ma anche un’esposizione a 97 decibel per 30 minuti consecutivi può essere molto pericolosa. I rumori più molesti sono provocati, per esempio, dal colpo di un cannone o da un jet al decollo. Per avere un’idea delle misurazioni in decibel basta ricordare che in media un concerto rock produce suoni di 125 decibel.
La fabbrica di piante che fa 'nascere' le mele dall'acciaio
Una superficie di 91 ettari coperta da vetri e intelaiature in acciaio che consentano la crescita di 1,3 milioni di piante, indipendentemente dalla stagione e dal clima. È il progetto che sta per essere avviato in Gran Bretagna, nel Kent, il cosiddetto Giardino dell’Inghilterra, per incrementare del 15 percento la produzione inglese agricola, e ridimensionare quindi le importazioni di frutta e verdura. Alla nuova gigantesca area coltivata è stato dato il nome ‘Thanet Earth’. La notizia è stata divulgata in questi giorni da tutti i principali quotidiani inglesi dopo l’inaugurazione della prima serra, una struttura grande tanto quanto 10 campi di calcio, illuminata e riscaldata artificialmente. Il progetto nella sua interezza – che prevede l’entrata in funzione di sette serre - vedrà la luce entro il 2010 e coprirà un’area grande 6 volte lo zoo di Londra. Fresca Group, la compagnia costruttrice - per ribattere alle numerose critiche sollevate dagli ambientalisti (e dai concorrenti) – dice che Thanet Earth è una grande occasione per l’Inghilterra di offrire prodotti agricoli in ogni stagione, coltivati in modo ‘naturale’. Inoltre afferma che non ci saranno ripercussioni ambientali. Parte dell’acqua utilizzata per irrigare costantemente i vegetali sarà ricavata dalle piogge e verrà raccolta in enormi cisterne, e parte della anidride carbonica sprigionata dai 32 generatori a gas necessari per il fabbisogno energetico della struttura, sarà convogliata nelle serre in modo da essere assorbita dalle piante. Il posto offrirà poi più di 500 posti di lavoro. A ‘Thanet Earth’ cresceranno soprattutto pomodori, cetrioli, cocomeri, peperoni. Le piante però non si svilupperanno su un normale terreno di coltura, ma su substrati artificiali, le ‘lane di roccia’, a nove centimetri dal suolo, costituendo le cosiddette colture idroponiche. Un sistema di gocciolamento regolato da software appositi assicurerà alle piante l’acqua necessaria per accrescersi. Attraverso la somministrazione di liquidi le piante riceveranno anche i nutrimenti essenziali per svilupparsi, fosforo, potassio, e azoto. Le serre di ‘Thanet Earth’ saranno riscaldate di inverno e in estate manterranno costante la loro temperatura, che si aggirerà intorno ai 28 gradi centigradi. Per combattere i parassiti non verranno utilizzati i pesticidi ma predatori naturali, insetti come le api e le vespe. In questo modo si terranno a bada soprattutto i pericolosi afidi. Dunque con il sistema idroponico le piante si svilupperanno più velocemente rispetto ai tradizionali sistemi agricoli, anche per via di un maggiore controllo dei nutrimenti. Infine una rapida crescita garantirà una maturazione anticipata e un periodo di crescita totale per il raccolto più ristretto. Dice Steve McVickers, capo esecutivo di Thanet Earth: “Le colture idroponiche non sono una novità. Ciò che è assolutamente nuovo è l’avvio di coltivazioni idroponiche su larga scala, come previsto dal nostro progetto. In questo modo pensiamo di incrementare la produzione agricola nazionale e ridimensionare le importazioni”.
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