Trovandosi
intorno a un fuoco a discutere, scherzare, sognare, con un po’ di alcol in
corpo: così sarebbe nata la civiltà. Leggeri stati di ebbrezza avrebbero,
infatti, determinato una maggiore loquacità, un migliore rapporto fra le genti,
indispensabile per l'evoluzione di un tessuto sociale più solido e funzionale. E'
ciò che emerge da uno studio condotto in USA, presso l'University of
California. Charlie Bamforth, a capo della ricerca, è ancora più prosaico:
tutto ciò che ci circonda - dai computer, alle navicelle spaziali, dall'ultimo
iPod, al nuovo disco del nostro gruppo preferito - è figlio della birra.
Secondo lo scienziato americano prima che l'uomo venisse in sua conoscenza, conduceva
un'esistenza nomade e vivendo di caccia, allevamento e raccolta, il suo livello
sociale era piuttosto scarso. Poi ha scoperto che la fermentazione di un
particolare vegetale, l'orzo, dava una bevanda che rendeva tutti un po’ più
euforici e desiderosi di uscire dai tradizionali schemi comportamentali e da lì
ha iniziato a consumarla metodicamente. Era l'optimum per affrontare
dispiaceri, avversità, scontri con bestie feroci e per poter pianificare con un
pizzico di sana incoscienza qualunque azione particolarmente insidiosa. Ma era
anche il presupposto per la creatività e i guizzi geniali che avrebbero presto
portato all'affermazione del cosiddetto "agglomerato sociale" e
quindi alle prime forme di civiltà. Jeffrey P. Kahn, psichiatra di fama
internazionale, non usa mezzi termini e rivela che «la birra ci ha
letteralmente civilizzato», e che ancora oggi «abbiamo bisogno di birra». Pare
una provocazione, ma non va confusa con un monito a darci dentro con la bottiglia.
C'è un retroscena di natura antropologica che non può essere trascurato. Agli
albori della civiltà ci fu davvero il bisogno di qualcosa che rendesse l'uomo
meno primitivo e più umano, ma questo fondamentale passaggio non ci sarebbe
stato senza un "elemento" che potesse rendere le persone più
amichevoli. Oggi gli scienziati hanno capito bene cos'è: la birra, appunto, benché
quelle primordiali fossero un po’ meno forti di quelle attualmente in commercio.
La pensa così anche Brian Hayden, della Simon Fraser University, in Canada.
Secondo lo studioso d'oltreoceano la coltivazione dei cereali, e quindi l'avvio
della civiltà, corrispose con l'esigenza di produrre vegetali che fornissero al
popolo bevande alcoliche. Solo in un secondo momento ci si rese conto che i
cereali potevano costituire anche un elemento essenziale nella dieta. Ci aiuta peraltro
il confronto con una delle più antiche civiltà della storia: quella dei sumeri,
per i quali la birra era una bevanda sacra, che conferiva non solo gioia e coraggio,
ma anche sapienza e pace. E' noto, infatti, che fra i vari dèi legati alla
religiosità dei tempi, ci fosse anche Ninkasi, matrona della birra; il padre si
chiamava Enki, il dio dell'acqua, la madre Ninti, la regina delle acque
sotterranee. Non incarnava solo la bevanda ricavata dall'orzo, ma anche
l'ebbrezza, la seduzione, l'attrazione sessuale, la fertilità. In Mesopotamia
divenne presto una bevanda per ricchi. Poi conquistò i costumi egiziani, cinesi
e romani. Fino a oggi, che riguarda ogni parte del mondo, con numeri record in
paesi come la Germania, l'Austria e l'Irlanda.
Intervista a Andrea Pincketts:
Le
pare attendibile questa tesi?
Senza dubbio, e mi piace testimoniarla
con la storia di Noè, che dopo avere raggiunto la terraferma, costruisce per
prima cosa un altare dedicato a Dio, e subito dopo pianta una vigna. In pratica
l'uomo delle caverne si trasforma in un uomo delle taverne.
Perché
la taverna o l'osteria?
Perché sono i luoghi di socializzazione
per eccellenza. In questi ambiti sono nati capolavori, sono state organizzate
le rivoluzioni, movimenti di ogni genere.
Ne
parla anche nel suo ultimo libro.
Che si intitola non a caso "Mi
piace il bar".
Lo
psichiatra americano Khan ritiene che ancora oggi abbiamo bisogno di birra.
Sono assolutamente d'accordo con lui.
Quando,
però, l'assunzione di alcol diviene problematica?
Quando una persona non sa gestire il
proprio bere, quando si diventa violenti o l'alcol diviene un rifugio dal resto
del mondo. Anziché uscire, si rientra nella caverna del proprio inconscio
malato.
Jack
London ha scritto un bellissimo libro sull'alcol intitolato "John
Barleycorn". In una recente edizione lei ha curato la prefazione.
E ne parlo abbondantemente anche nel mio
ultimo lavoro. Il suo rapporto con l'alcol era quello che caratterizzò molti
altri grandi scrittori. Colossali opere, partorite da epiche bevute.