La cantante Mollie King |
sabato 31 luglio 2010
L'invasione delle supermosche
venerdì 30 luglio 2010
Scoperta la stella più pesante
La nebulosa della Tarantola |
R136a1 è caratterizzata da una massa 265 volte quella del Sole, con una luminosità 10 milioni di volte maggiore della nostra stella (ma forse all'inizio della sua attività era ancora più massiccia). Prima di questa scoperta gli scienziati erano convinti che non potessero esistere astri brillanti di luce propria 130 volte più pesanti del Sole. Per questo motivo andranno rivisti alcuni parametri fisici concernenti la vita delle stelle. Alla sua identificazione – nella nebulosa della Tarantola - si è giunti grazie al lavoro del Very Large Telescope dell'ESO, osservatorio astronomico europeo che si trova in Cile. Un autentico caso di “serendipity”: gli scienziati stavano infatti cercando di chiarire i misteri di nebulose situate a decine di migliaia di anni luce da noi, quando sono casualmente incappate in questo “mostro stellare”. Paul Crowther, dell'University of Sheffield, precisa che con la scoperta di R136a1 sono state individuate anche altre stelle con temperature di oltre 40mila gradi, e sette volte più calde del Sole. «Sono astri che brillano molto», dice Crowther, «sono gigantesche, ma le più grandi vivono solo 3 milioni di anni».
mercoledì 28 luglio 2010
Mosca, la città più trafficata del mondo
Arteria moscovita congestionata dal traffico |
martedì 27 luglio 2010
Un milanese a spasso per le alte vie della Valtournanche
Un piccolo strappo alla regola. Oggi, anziché riportare qualche notizia, posto questo raccontino, uscito originariamente per Milanoweb. Prima di essere un giornalista scientifico, infatti, sono un naturalista, un puro e semplice contemplatore della flora e la fauna di ogni paese e città. In questi giorni sto peraltro leggendo "Le mappe dei miei sogni" (Mondadori), ritrovando - nel dodicenne protagonista - me stesso quand'ero piccino, sempre a caccia di nuove piante, insetti, o minerali da classificare...
Ho visto per la prima volta il Cervino sul finire degli anni '80: ero con i miei genitori, mio fratello e qualche amico di scuola. Fu il CAI (Club Alpino Italiano) del mio paese a organizzare l'escursione a Zermatt, località alle pendici della Grande Becca, sul versante Svizzero. La "piramide" del Cervino mi lasciò di stucco: non capivo come potesse essere così ben disegnata, e come dei temerari potessero addirittura aver raggiunto la sua cima. La mia seconda occasione l'ho avuta ieri, con mia moglie e le mie due piccole, in visita a Cervinia, per un week-end. E ancora una volta sono rimasto basito davanti alla sua maestosità. Domenica. Mattina presto. Mentre la mia "truppa" si gode ancora un buon sonno ristoratore, dopo una serata passata a far baldoria, io parto per il Colle del Breuil, cima di 3.325 metri, proprio sotto lo "sguardo" severo del Matterhorn: è un modo per riviverlo in prima persona (cosa che quand'ero piccino non ho potuto fare) e per dare un po’ sfogo alla mia passione per la natura alpestre. Il primo tratto è tranquillo. Supero una chiesetta e una seggiovia. Poi comincio a inerpicarmi per andare a vedere da vicino una cascata. Il cielo è blu, l'aria frizzante, brilla il sole. Mi soffermo sulla straordinaria varietà di specie vegetali. Perché da noi non è così? Riconosco i fiori di arnica, non ti scordar di me (in gran quantità), genzianella, campanula, achillea, silene, piantaggine. E la famosa Carlina delle Alpi. Spinosa come sempre, m'induce a riflettere sul significato evolutivo delle sue spine: a cosa le serviranno? A cosa possono servire delle spine a una pianta che cresce a quote dove praticamente non sussistono predatori? Ancora l'evoluzione darwiniana stuzzica il mio pensiero, mentre odo il fischio acuto delle marmotte. Qui, però, è tutto molto più chiaro. Solo in questo modo, infatti, simili animali riescono a comunicare fra loro in modo efficace, in un ambiente ostile come quello d'alta montagna. Mi sdraio per osservare le loro tane: sono molto profonde. Ho letto che possono avere vari ingressi e arrivare fino a 20 metri di lunghezza. Se così non fosse, difficilmente potrebbero superare i rigori invernali. Le marmotte vanno, infatti, in letargo. Con la cattiva stagione la loro temperatura corporea scende da 35 a 5 gradi centigradi, e il cuore rallenta da 130 a 15 battiti al minuto. Riprendo il cammino. Nel giro di un paio d'ore raggiungo il Rifugio Lo Riondet, ex Duca D'Abruzzi, a 2.802 metri. Nei paraggi non c'è nessuno. Il rifugio sembra disabitato. Le porte sono chiuse. Sbircio dalle finestre ma non vedo un'anima viva. Proseguo quindi nella mia escursione, seguendo il sentiero 35, prima di cominciare la salita vera e propria verso il Colle del Breuil. C'è un piccolo camminatoio che mal disegna il crinale di una collinetta morenica. Decido di seguirlo. Il vento prende a soffiare con insospettato vigore. In varie occasioni sbando e rischio di cadere. Supero i 3.000 metri di quota, ma dopo una mezz'oretta di pietraia, mi rendo conto di aver clamorosamente sbagliato strada. Come se non bastasse, non c'è in giro "mezzo" alpinista, e la temperatura sta drasticamente calando, rattrappendomi mani, guance e orecchie. In compenso, posso osservare da una posizione privilegiata la silhouette del Cervino: 4.478 metri di ortogneiss, roccia metamorfica, "figlia" di collisioni fra la placca europea e quella africana, avvenute 100 milioni di anni fa. È uno spettacolo. Prima di partire mi sono documentato. La montagna è stata "vinta" per la prima volta il 14 Luglio 1865, dalla spedizione di Edward Whymper. Altre ascensioni leggendarie sono state quella di Walter Bonatti (prima salita invernale della parete Nord, in solitaria) nel 1965, e quella di Hans Kammerlander (salita delle 4 creste del Cervino in 24 ore) nel 1992. Nonostante le condizioni atmosferiche avverse, insisto e raggiungo la cima della morena, dove il vento è paurosamente più forte (e freddo). Adesso, però, ho un quadro un po’ più preciso della mia marcia: tra me e il sentiero che dovrei prendere c'è un vallone di pietre raggiungibile solo attraverso un pendio ripidissimo. Ho 2 alternative: o torno indietro o rischio. Rischio, cercando si tenere la situazione, comunque, sotto controllo. Scendo così il pendio morenico praticamente col sedere, cercando di smuovere meno pietre possibili, e di non sbilanciarmi troppo. Alla fine l'ho vinta e riesco a riguadagnare la rotta maestra. Al Colle del Breuil mancano solo 150 metri di dislivello, ma mi rendo conto che ormai ho le "batterie" completamente scariche, i muscoli delle gambe a pezzi, è già mezzogiorno, i miei mi aspettano. In più, ci sarebbe un nevaio da attraversare e non ho l'attrezzatura idonea. A malincuore mi tocca fare dietrofront. Riprendo il sentiero 35 e comincio la discesa verso Plan Maison, rimirando con la Grande Becca, il Monte Dragone, il Corno del Teodulo e il Furggen. Lungo il rientro focalizzo la mia attenzione sulle nevi perenni: tutto qui? Con le incredibili precipitazioni che ci sono state fino a 2 mesi fa, mi sarei aspettato distese glaciali molto più ampie. E invece, ecco la prova che l'effetto serra sta realmente condizionando il clima globale: non basta infatti un inverno particolarmente freddo (come l'ultimo che abbiamo avuto) per dire che il surriscaldamento globale non esiste, occorrerebbero anche estati molto più fresche che - di fatto - da decenni non si hanno più. In un paio d'ore sono a "casa": su un plaid rosa, in mezzo a un prato, c'è una piccoletta di nemmeno 2 anni che batte le mani, felice di poter riabbracciare il suo papà.
Ho visto per la prima volta il Cervino sul finire degli anni '80: ero con i miei genitori, mio fratello e qualche amico di scuola. Fu il CAI (Club Alpino Italiano) del mio paese a organizzare l'escursione a Zermatt, località alle pendici della Grande Becca, sul versante Svizzero. La "piramide" del Cervino mi lasciò di stucco: non capivo come potesse essere così ben disegnata, e come dei temerari potessero addirittura aver raggiunto la sua cima. La mia seconda occasione l'ho avuta ieri, con mia moglie e le mie due piccole, in visita a Cervinia, per un week-end. E ancora una volta sono rimasto basito davanti alla sua maestosità. Domenica. Mattina presto. Mentre la mia "truppa" si gode ancora un buon sonno ristoratore, dopo una serata passata a far baldoria, io parto per il Colle del Breuil, cima di 3.325 metri, proprio sotto lo "sguardo" severo del Matterhorn: è un modo per riviverlo in prima persona (cosa che quand'ero piccino non ho potuto fare) e per dare un po’ sfogo alla mia passione per la natura alpestre. Il primo tratto è tranquillo. Supero una chiesetta e una seggiovia. Poi comincio a inerpicarmi per andare a vedere da vicino una cascata. Il cielo è blu, l'aria frizzante, brilla il sole. Mi soffermo sulla straordinaria varietà di specie vegetali. Perché da noi non è così? Riconosco i fiori di arnica, non ti scordar di me (in gran quantità), genzianella, campanula, achillea, silene, piantaggine. E la famosa Carlina delle Alpi. Spinosa come sempre, m'induce a riflettere sul significato evolutivo delle sue spine: a cosa le serviranno? A cosa possono servire delle spine a una pianta che cresce a quote dove praticamente non sussistono predatori? Ancora l'evoluzione darwiniana stuzzica il mio pensiero, mentre odo il fischio acuto delle marmotte. Qui, però, è tutto molto più chiaro. Solo in questo modo, infatti, simili animali riescono a comunicare fra loro in modo efficace, in un ambiente ostile come quello d'alta montagna. Mi sdraio per osservare le loro tane: sono molto profonde. Ho letto che possono avere vari ingressi e arrivare fino a 20 metri di lunghezza. Se così non fosse, difficilmente potrebbero superare i rigori invernali. Le marmotte vanno, infatti, in letargo. Con la cattiva stagione la loro temperatura corporea scende da 35 a 5 gradi centigradi, e il cuore rallenta da 130 a 15 battiti al minuto. Riprendo il cammino. Nel giro di un paio d'ore raggiungo il Rifugio Lo Riondet, ex Duca D'Abruzzi, a 2.802 metri. Nei paraggi non c'è nessuno. Il rifugio sembra disabitato. Le porte sono chiuse. Sbircio dalle finestre ma non vedo un'anima viva. Proseguo quindi nella mia escursione, seguendo il sentiero 35, prima di cominciare la salita vera e propria verso il Colle del Breuil. C'è un piccolo camminatoio che mal disegna il crinale di una collinetta morenica. Decido di seguirlo. Il vento prende a soffiare con insospettato vigore. In varie occasioni sbando e rischio di cadere. Supero i 3.000 metri di quota, ma dopo una mezz'oretta di pietraia, mi rendo conto di aver clamorosamente sbagliato strada. Come se non bastasse, non c'è in giro "mezzo" alpinista, e la temperatura sta drasticamente calando, rattrappendomi mani, guance e orecchie. In compenso, posso osservare da una posizione privilegiata la silhouette del Cervino: 4.478 metri di ortogneiss, roccia metamorfica, "figlia" di collisioni fra la placca europea e quella africana, avvenute 100 milioni di anni fa. È uno spettacolo. Prima di partire mi sono documentato. La montagna è stata "vinta" per la prima volta il 14 Luglio 1865, dalla spedizione di Edward Whymper. Altre ascensioni leggendarie sono state quella di Walter Bonatti (prima salita invernale della parete Nord, in solitaria) nel 1965, e quella di Hans Kammerlander (salita delle 4 creste del Cervino in 24 ore) nel 1992. Nonostante le condizioni atmosferiche avverse, insisto e raggiungo la cima della morena, dove il vento è paurosamente più forte (e freddo). Adesso, però, ho un quadro un po’ più preciso della mia marcia: tra me e il sentiero che dovrei prendere c'è un vallone di pietre raggiungibile solo attraverso un pendio ripidissimo. Ho 2 alternative: o torno indietro o rischio. Rischio, cercando si tenere la situazione, comunque, sotto controllo. Scendo così il pendio morenico praticamente col sedere, cercando di smuovere meno pietre possibili, e di non sbilanciarmi troppo. Alla fine l'ho vinta e riesco a riguadagnare la rotta maestra. Al Colle del Breuil mancano solo 150 metri di dislivello, ma mi rendo conto che ormai ho le "batterie" completamente scariche, i muscoli delle gambe a pezzi, è già mezzogiorno, i miei mi aspettano. In più, ci sarebbe un nevaio da attraversare e non ho l'attrezzatura idonea. A malincuore mi tocca fare dietrofront. Riprendo il sentiero 35 e comincio la discesa verso Plan Maison, rimirando con la Grande Becca, il Monte Dragone, il Corno del Teodulo e il Furggen. Lungo il rientro focalizzo la mia attenzione sulle nevi perenni: tutto qui? Con le incredibili precipitazioni che ci sono state fino a 2 mesi fa, mi sarei aspettato distese glaciali molto più ampie. E invece, ecco la prova che l'effetto serra sta realmente condizionando il clima globale: non basta infatti un inverno particolarmente freddo (come l'ultimo che abbiamo avuto) per dire che il surriscaldamento globale non esiste, occorrerebbero anche estati molto più fresche che - di fatto - da decenni non si hanno più. In un paio d'ore sono a "casa": su un plaid rosa, in mezzo a un prato, c'è una piccoletta di nemmeno 2 anni che batte le mani, felice di poter riabbracciare il suo papà.
lunedì 26 luglio 2010
La religiosità dei medici
Si è soliti pensare che gli scienziati non credano in Dio, e - in effetti - anche i più recenti studi dicono che la maggior parte di essi si professa atea o comunque agnostica. Fa dunque un certo scalpore sapere - grazie a uno studio condotto da esperti dell’Università di Chicago - che addirittura tre quarti dei medici si professano profondamente religiosi. In questo caso, però, i ricercatori statunitensi dicono che i medici non vanno considerati scienziati a tutti gli effetti, perché si cimentano in discipline dove il valore etico e morale è molto più sentito rispetto ad altre professioni: un "dottore" ha a che fare direttamente con la vita e la morte, con temi come l'eutanasia, l’aborto, la sessualità, che senza dubbio solleticano maggiormente la coscienza e quindi più facilmente coinvolgono l'argomento Dio. In sostanza i medici sarebbero sospinti più degli altri scienziati a trovare un significato in più a ciò che viene dettato dalla nuda e cruda analisi genetica, biologica, molecolare, e via dicendo. Lo studio ha specificatamente messo in luce che il 76% dei medici crede in Dio; il 90% partecipa a funzioni religiose qualche volta all’anno; il 55% afferma che la fede è addirittura in grado di influenzare la pratica medica. Secondo l'articolo pubblicato sulle pagine del Journal of General Internal Medicine, l’ateismo, tipico di studiosi come fisici, chimici, matematici, ma anche evoluzionisti, è un movimento di pensiero alla cui base vi è la negazione totale dell’esistenza di un essere soprannaturale. Lo racconta benissimo il celebre biologo Richard Dawkins (video sotto). Tra i non credenti, però, è possibile distinguere tra atei e agnostici, in realtà una classificazione di massima, che comprende al suo interno un'eterogeneità di "forme di (non) credo" molto più complessa. Tra atei e non credenti nel mondo vi sono più di un miliardo di persone, circa il 20% della popolazione totale. In Italia non credenti e atei sono circa il 15% della popolazione.
Il Dio castigamatti di Dawkins
Il Dio castigamatti di Dawkins
domenica 25 luglio 2010
LO STRESS DELLE VACANZE HITECH
Ieri parlavamo della società che cambia e del fatto che le donne - sempre più spesso - guadagnano più degli uomini. Oggi, dunque, ritorniamo sui mutamenti sociali in atto, affrontando il tema delle vacanze, che non sono più riconducibili a quelle di un tempo - momento di svago assoluto e rilassamento totale - essendosi trasformate in un aspetto del vivere moderno non sempre positivo. Il riferimento è al fatto che metà dei lavoratori torna a casa dalle vacanze più stanco e più stressato di prima. Il motivo? L'hitech. Una volta si andava al mare o in montagna e si staccava veramente da tutto e da tutti: al massimo ci si poteva distrarre con la tv e con qualche nastro musicale. Oggi invece le cose sono drasticamente cambiate: con la scusa dell'essere sempre e comunque "connessi" il nostro cervello non stacca mai, e si è sempre e costantemente stimolati da input esterni. Anche di natura lavorativa. Risultato: in spiaggia se non siamo al telefonino, stiamo ascoltando l'iPod, quando rientriamo in casa, se non ci attacchiamo al pc portatile, smanettiamo con la macchina fotografica digitale che ci consente di fare foto all'infinito, o chattiamo con qualche nuovo amico virtuale. "La tipica vacanza estiva annuale, che dovrebbe consentire di dire stop alla frenesia dei giorni lavorativi e rilassarsi, sta rapidamente scomparendo", rivelano gli esperti dell'Institute of Leadership & Management (ILM), autori di uno studio che ha coinvolto 2500 lavoratori. Molti professionisti in vacanza trascurano moglie e figli per controllare morbosamente le mail. (A questo proposito vi suggeriamo la lettura "La tirannia delle mail", di John Freeman, Codice Edizioni). Altri non possono fare a meno di collegarsi a Facebook per far sapere al mondo che il tempo è bellissimo e che in spiaggia si sta da dio. Penny de Valk, a capo della ricerca, dice che "la tecnologia aiuta molto in ambito lavorativo, poi però è anche difficile staccarsene". Qualche numero. L'80% dei vacanzieri risponde 'frequentemente' alle mail; il 50% a telefonate "lavorative"; il 10% compie addirittura una toccata e fuga dall'ufficio per sincerarsi del fatto che sia tutto in regola. Più di due terzi delle persone intervistate possiede un BlackBerry, da cui non può separarsi o un telefonino smart che controlla ossessivamente. E così la vacanza, da momento di relax, si trasforma in una performance professionale da "corrispondente". È del 40% la stima di lavoratori che rientra dalle ferie più stanca di prima. Non poco. Il fenomeno è figlio anche del fatto che si vive sempre sul chi va là. Gran parte di chi non riesce a "staccare" ha, infatti, un lavoro precario: molti pseudo-dipendenti temono di tornare dalle vacanze e ritrovarsi a spasso. Cary Cooper della Lancaster University Management School parla di "cultura del "presenteeism", l'esatto contrario dell'assenteismo: chi va in ferie rimane sempre collegato e così facendo fa sapere al diretto superiore che lui al lavoro ci tiene e che non può assolutamente lasciarlo a casa. "Un vero incubo per molti lavoratori", dice Cooper, che si domanda: "Se non si prende del tempo per stare con la propria famiglia in vacanza, quando lo si prende?". Il riferimento è peraltro a lavoratori che durante l'anno a casa non ci sono quasi mai. Persone che in media lavorano più di cinquanta ore la settimana (il 40% degli intervistati) o addirittura più di sessanta ore, il 10%. Per altri, invece, la costante reperibilità è lo stratagemma utilizzato per non trovarsi sommersi di lavoro al rientro. "Questo atteggiamento deriva dal fatto che, già dal primo giorno che si mette piede in spiaggia, prevediamo di tornare a casa e di avere moltissimo da fare", dice de Valk. Siamo presi dall'ansia ancora prima di fare il primo bagno, mentre sarebbe indispensabile staccare la spina, per la propria salute, fisica e mentale, per le persone con cui stiamo viaggiando, e non ultimo, per imparare a vedere il lavoro da un punto di vista più trasversale. "Tutti hanno bisogno di una pausa che poi finisce per ripercuotersi positivamente anche sulla propria professione", dice la scienziata. Alternative? Poche. Se proprio non si può fare a meno di rimanere "connessi", si può almeno cercare di farlo con una certa "distanza". È utile fissare dei paletti. Per esempio si può decidere di controllare le mail una sola volta al giorno, mentre si potrebbe tranquillamente fare a meno dei social network: se anche non ci facciamo sentire per un paio di settimane, non se ne accorge nessuno.
sabato 24 luglio 2010
Un terzo delle donne guadagna più degli uomini
The Times They're a changin, cantava Bob Dylan nel 1963. I tempi stanno cambiando. E ancora oggi il titolo di questa canzone è quanto mai attuale. Uno degli aspetti più curiosi della società moderna è che ormai la disparità fra uomo e donna non esiste più: i movimenti femministi e le lotte per l'equiparazione dei sessi hanno avuto successo e ora il rapporto fra mamme e papà è fortemente mutato. Al di là delle dinamiche organizzative di una famiglia - i papà che portano a spasso i bebè, e cambiano i pannolini, le mamme che escono a bere con le amiche, e gestiscono gli affari famigliari - c'è un fenomeno di tutto riguardo che sta addirittura sovvertendo la tendenza di un tempo: oggi, sempre più spesso, le mogli guadagnano più dei mariti, mettendo sovente in soggezione l'uomo che perde definitivamente il suo ruolo cardine di capo famiglia. Uno studio pubblicato in questi giorni in Inghilterra dal titolo "The Woman and Work Survey 2010" dice che circa un terzo delle donne guadagna più dell'uomo e che le entrate femminili sono frequentemente le più importanti per il reddito famigliare. Il 30% delle donne britanniche guadagna più del partner, mentre si attesta al 19% la percentuale di esponenti femminili che guadagna tanto quanto il marito; un risultato - anche in questo caso - notevole, tenuto conto del fatto che le donne che lavorano a tempo pieno prendono, in media, a parità di professione, circa il 20% in meno degli uomini. È anche una questione di mentalità. Se così non fosse difficilmente si spiegherebbe l'alta percentuale di casi in cui, addirittura, il papà fa la parte della mamma, laddove il marito cura i bambini più della moglie, perché quest'ultima lavora a tempo pieno ed è sempre fuori casa. Eppure le donne sono felicissime di questa situazione. Raramente rinuncerebbero al loro posto di lavoro. Il 50% delle mamme intervistate dice che è molto felice di poter lavorare, anche a tempo pieno. Due terzi delle donne desidera conservare il lavoro anche dopo aver messo al mondo dei figli. Solo chi ha i bimbi molto piccoli opterebbe per un part-time. Secondo gli esperti questa tendenza non è negativa. Va però accettato serenamente il fatto che ormai i rapporti uomo-donna sono cambiati, focalizzando i giusti presupposti per un nuovo modo di vivere la convivenza, basata sulla condivisione dei tanti impegni che riguardano una famiglia. "Se in una coppia la donna guadagna di più e rimane più tempo fuori casa", spiegano i ricercatori, "è giusto che sia l'uomo a prendersi più cura dei figli, facendo in pratica ciò che tradizionalmente spetterebbe a una mamma". L'argomento è stato trattato poco tempo fa anche dai tecnici del National Equality Panel. In questo caso si parla di circa il 20% delle donne che guadagna più del marito, e del 25% che prende come il partner. In Italia i dati sono leggermente differenti: da noi come sempre le mode e le tendenze cominciano a farsi vedere/sentire 3-4 anni dopo gli USA e la Gran Bretagna. Secondo l'Istat le mogli che lavorano di più e guadagno più dei mariti sono, comunque, salite all'8,9%, contro il 7,1% del 2007. Però c'è chi avverte dicendo che questa tendenza non è solo frutto della società che cambia, ma anche della crisi che incombe: "Alcune mogli che incassano più dei mariti sono semplicemente le spose dei cassintegrati e dei precari", rivela Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'Istat per le indagini sulle condizioni e la qualità della vita.
venerdì 23 luglio 2010
Anche gli animali simulano l'orgasmo
Si è soliti pensare che siano solo le donne a simulare l’orgasmo ma non è così. È vero per quanto riguarda la specie umana, ma non si può dire altrettanto per gli animali, dove spesso è anche il maschio a far finta di provare piacere durante un "incontro amoroso". La conferma arriva da un interessante studio effettuato da Tommaso Pizzari, ricercatore presso l'Università di Leeds, in Inghilterra, il quale ha scoperto che nei volatili, in particolare fra le galline, è il maschio a fingere l'orgasmo. È uno stratagemma evolutivo che gli consente di non sprecare lo sperma e tenere lontani eventuali rivali. Pizzari ritiene che i galli, soprattutto quelli più possessivi, fingono di fecondare le galline montandole, ma in realtà evitano di deporre il proprio seme all’interno della cloaca femminile: così facendo privano le galline dalla volontà di volersi accoppiare con altri partner, mantenendo la loro supremazia nel pollaio. Per arrivare a questo risultato lo studioso inglese ha applicato un’imbracatura a undici galline, in modo da consentire l'accoppiamento, ma non la fecondazione. In seguito ha visto che, sia le galline fecondate, che quelle che si erano solo accoppiate, erano meno propense a nuovi "incontri": è la prova che l’inseminazione non distoglie l’attenzione delle femmine dai maschi, basta la semplice azione dell’accoppiamento. Ritornando alla nostra specie, molti uomini temono che la loro compagna simuli l'orgasmo. Non a torto. Stando, infatti, a un’indagine di Shere Hite sulla sessualità femminile, più del 50% delle donne simula abitualmente il piacere derivante dall'orgasmo. Talvolta lo fanno per insicurezza, perché hanno paura di essere giudicate frigide, o addirittura di essere abbandonate. Alcune, invece, simulano per non ferire l'orgoglio del partner: in questo caso è evidente che il problema da risolvere è innanzitutto la mancanza di comunicazione nella coppia. Il lavoro di Pizzari, infine, si va ad aggiungere ad altri numerosi studi da lui condotti sull'etologia dei volatili e aiuta a spiegare il motivo per cui - tra le molte specie di animali esistenti, dagli insetti, ai mammiferi, fino agli uccelli - è così diffuso il sesso senza trasferimento di sperma.
giovedì 22 luglio 2010
PERFECT CITIZEN CONTRO I CYBER-CRIMINALI
Al via, negli Stati Uniti, un nuovo progetto per prevenire qualsiasi tipo di cyber-attacco. Battezzato “Perfect Citizen”, ha come obiettivo proteggere le infrastrutture pubbliche, la rete elettrica, internet, il corretto funzionamento delle centrali nucleari. Ne dà notizia il “Wall Street Journal” riferendosi all'azione di una serie di sensori che – opportunamente distribuiti sulla rete informatica – sono in grado di identificare in anticipo qualunque aggressione cyber- criminale, lanciando istantaneamente l'allarme. A capo dell'iniziativa c'è la National Security Agency (NSA), organismo governativo USA predisposto per la sicurezza nazionale. L'accordo di 100 milioni di dollari è già stato stipulato con i tecnici della società elettronica Raytheon. Non tutti però sono d'accordo con questa iniziativa del Governo. C'è infatti chi teme un controllo eccessivo delle reti informatiche, tale da condizionare perfino l'esistenza di normali cittadini.
mercoledì 21 luglio 2010
Boom di meduse nei mari italiani. Colpa dell'effetto serra
Caravella portoghese spiaggiata |
martedì 20 luglio 2010
Un bizzarro errore di indicizzazione
Digiti su Google "Vatican" e compare il sito "pedofilo.com". Ma si è trattato di un abbaglio, di un errore d'indicizzazione: ora il problema è stato completamente risolto. L'inconveniente si è protratto sabato scorso per qualche ora, e oggi viene così spiegato da Simona Panseri, responsabile comunicazione di Google Italia: "Quel sito replicava il contenuto del sito ufficiale del Vaticano. Ma ora è tutto a posto". In realtà non è stato facilissimo ripristinare il normale funzionamento del sito. S'è infatti reso indispensabile l'intervento di super esperti che è andato avanti per qualche ora. Ma cosa si cela dietro a questo insolito fenomeno? Probabilmente un hacker. Gli hacker sono quelle figure che si impegnano nell'affrontare sfide intellettuali per aggirare le limitazioni imposte dalla Rete. Non sono dei veri e propri cyber criminali, ma poco ci manca. Curioso in ogni caso il fatto che questo caos si sia verificato proprio in questo periodo in cui il Vaticano è sotto accusa per lo scandalo dei preti pedofili. Però la conferma dell'azione di un hacker non è ancora arrivata: "Confermeremo solo quando avremo indicazioni più precise dagli ingegneri americani che seguono la vicenda", precisa Panseri. Il sito del Vaticano, super visitato - lo scorso anno è stato cliccato un miliardo e 300milioni di volte - è facilmente preso di mira dagli hacker. Di solito il dominio è preservato da "scudi" difensivi molto efficienti - il più noto è "San Michele" - ma questa volta, evidentemente, qualcosa è andato storto e con Google è stato possibile destabilizzare il cuore virtuale della Santa Sede. Secondo gli esperti il giro d'affari intorno al business della pedopornografia online tocca i tre miliardi di euro l'anno. Ogni giorno nascono 135 nuovi siti pedopornografici. I piccoli vengono facilmente aggirati da soggetti spesso poco consapevoli della propria parafilia. I pedofili iniziano frequentando siti destinati ai giovanissimi - chat, forum, siti di videogame - spacciandosi per coetanei, affrontando i temi preferiti dai bimbi - poi affondano la lama introducendo gradualmente tematiche sessuali e richiedendo fotografie. Da qui il passo al primo pericolosissimo incontro potrebbe non essere lontano. Stando alle statistiche diffuse da Telefono Azzurro il 60% dei piccoli che ha subito abusi sessuali ha meno di 12 anni, e nel 66% dei casi si tratta di bambine. Eppure per tenere maggiormente a bada il problema basterebbe solo un po’ più di attenzione da parte dei genitori. "Regalare al proprio figlio di 7-8 anni un telefonino con fotocamera o abbandonarlo davanti a un pc senza filtri significa favorire la pedopornografia", rivela a Sette Cristina Bonucci, poliziotta psicologa impegnata nella lotta alla pedopornografia online. "Il computer è peggio della tv. Con la tv il pedofilo non entra in casa". Esiste per esempio il cosiddetto "filtro famiglia", un software in grado di selezionare pagine internet in base a criteri specifici: si opta, in pratica, per una "navigazione controllata" che preserva i piccoli da "incontri inopportuni". Scientificamente parlando la pedofilia è un disturbo del desiderio sessuale concernente adulti attratti da soggetti in età pre-puberale: il limite di riferimento oscilla fra gli 11 e i 13 anni. Non va confusa con la pederastia riferita a persone mature che provano attrazione per gli adolescenti. Secondo gli scienziati in molti casi il pedofilo ha subito lui stesso da piccolo degli abusi. L'identikit del pedofilo? Uomo, single, di cultura medio-alta. In realtà il fenomeno coinvolge frequentemente anche le donne. Studi condotti in Gran Bretagna e in USA dicono che nel 5-20% dei casi, le violenze vengono commesse da donne. In questo caso il riferimento è a ragazze di 22-23 anni (spesso baby-sitter) quasi sempre con qualche problema psichiatrico o di abuso di stupefacenti alle spalle.
lunedì 19 luglio 2010
(Im)possibili viaggi nel tempo, nello spazio e nella mente umana
Michio Kaku durante una conferenza |
Novembre 03, Scientific American
IN CHE MODO E' CAMBIATO NEGLI ULTIMI ANNI L'APPROCCIO SCIENTIFICO AI VIAGGI NEL TEMPO?
Anche solo dieci anni fa chi fra gli scienziati parlava di viaggi nel tempo veniva deriso. Oggi, però, le cose sono cambiate. Siamo a una svolta epocale: ieri bisognava dimostrare la possibilità di viaggiare nel tempo, oggi restano solo da individuare le leggi fisiche alla base del fenomeno, dato ormai per scontato.
Maggio 10, tio.ch
I BUCHI NERI POTREBBERO CONSENTIRE LA COMUNICAZIONE CON MONDI LONTANI?
Nell'universo i buchi neri sono piuttosto abbondanti; una civiltà che riuscisse a venire a capo dei numerosi problemi tecnici ad essi associati, potrebbe considerarli seriamente come una possibile via di fuga dal nostro universo.
UN ESEMPIO SPECIFICO?
Il wormhole situato al centro dell'anello di Kerr può connettere il nostro universo ad altri universi, o a punti diversi dello stesso universo. L'unico modo per capirlo sarebbe quello di inviare delle sonde, usando un supercomputer per calcolare la distribuzione delle masse nel cosmo e le correzioni quantistiche alle equazioni di Einstein attraverso il wormhole.
Ottobre 08, Dailygrail.com
LEI E' UNO DEI POCHI SCIENZIATI A PARLARE DI UFO SENZA PRECONCETTI.
In ambito scientifico il termine UFO non viene nemmeno considerato – tenuto conto del fatto che la distanza fra le stelle è così grande che ci vorrebbero migliaia di anni per un extraterrestre per raggiungere la Terra - ma io la vedo in modo diverso. Mi riferisco alla possibilità dell'esistenza di civiltà un milione di anni più progredite della nostra (civiltà di Tipo III, secondo la scala Kardasherv) per le quali i viaggi interstellari potrebbero non essere un'utopia.
Gennaio 09, Scienzaeconoscenza.it
SU COSA SI BASA LA TEORIA DELLE STRINGHE?
Sulla semplice idea che ciascuna delle centinaia di particelle subatomiche che osserviamo in natura si manifesti come vibrazioni di una corda, la quale assomiglia a un elastico molto sottile. Ciascuna vibrazione corrisponde a una particella subatomica. La stringa, muovendosi, costringe lo spazio-tempo circostante ad arrotolarsi, come Einstein aveva predetto. In tal modo, otteniamo una splendida unificazione della teoria dei quanti e della relatività. È l'unica teoria che possa vantare un simile risultato.
Marzo 10, Bigthink.com
IN 90 SECONDI SI PUO' RIASSUMERE CIO' CHE EINSTEIN HA FATTO?
Se dovessi fare un elenco delle venti persone più importanti dell'umanità, metterei di sicuro anche Einstein. I re e le regine vanno e vengono, molti imperatori hanno lasciato delle tracce storiche della loro esistenza, ma niente di più. Einstein invece con le sue teorie ha rivoluzionato il modo di concepire l'uomo e l'universo. Einstein è la risposta a tutto. Tutto ciò che vediamo intorno a noi, l'elettronica, i satelliti, gli acceleratori di particelle, partono dal suo lavoro.
Giugno 10, 20minutos.es
COSA POTRANNO FARE I NOSTRI FIGLI CHE NOI ANCORA NON POSSIAMO REALIZZARE?
Potranno accedere a internet con strumenti hitech applicabili agli occhiali o alle lenti a contatto. Non avranno alcun problema se si ammaleranno al fegato, al cuore, ai reni: la rigenerazione degli organi in laboratorio sarà una realtà.
Aprile 08, Sfsignal.com
NEL SUO LIBRO “FISICA DELL'IMPOSSIBILE” TRATTA TEMI CHE OGGI SONO A ESCLUSIVO APPANNAGGIO DELLA CINEMATOGRAFIA. COSA POTREMO VEDERE REALIZZATO FRA POCO?
Chiamo Classe I le tecnologie impossibili che saranno possibili entro qualche decina d'anni. Sorprendentemente, la maggior pare di ciò che vediamo oggi nei film rientra in questa categoria. Nella Categoria I annovero, per esempio, invisibilità, teletrasporto, telecinesi, telepatia.
Marzo 2010, Bigthink.com
COME FINIRA' L'UNIVERSO?
Siamo abituati a pensare che l'universo invecchiando rallenti la sua corsa post Big-Bang. In realtà dalle ricerche emerge che l'universo sta accelerando in modo galoppante. Da ciò deduciamo che non ci sarà nessun Big Crunch. Dunque l'ipotesi più plausibile è che un giorno guardando il cosmo non vedremo più nulla perché le galassie saranno troppo distanti fra loro e le stelle avranno bruciato tutto il loro “combustibile”.
Intervista pubblicata sul mensile Newton
domenica 18 luglio 2010
ANIME BESTIALI
Uomini e donne in amore, come se fossero degli animali. Una follia? Forse. In ogni caso questo è ciò che propone una studiosa inglese convinta che in ogni persona risieda "l'anima" di un particolare animale in grado di comandare i nostri istinti e le nostre volontà. Sandra Scantling è una docente dell'Università del Connecticut. La scienziata ha osservato l'attività del talamo - regione del cervello legata alle relazioni affettive - e ha scoperto che il temperamento "amoroso" dell'uomo è assimilabile a quattro animali: leone, orso, ape, lontra. Vediamone uno a uno. Una persona è classificabile fra i leoni nel momento in cui - conoscendo un potenziale partner sessuale - si dimostra più cacciatore che preda; è un soggetto che ama di più corteggiare che essere corteggiato. I leoni in amore, dice Scantling, sono affascinanti, intraprendenti, ed egocentrici. Amano l’indipendenza e difficilmente sopportano le critiche. Hanno però un grosso punto debole: l’infedeltà. Chi è leone ha, infatti, poca pazienza, si stanca presto, e sovente quando il rapporto comincia ad accusare il peso della routine è facile che diriga il suo interesse da un’altra parte. Tipologia leonina per antonomasia è l’attrice statunitense Angelina Jolie, le cui vicende amorose sono arcinote. I partner ideali per il leone? La lontra e l’orso. Con la prima, in particolare, il feeling sessuale è eccellente. Chi ha un approccio sessuale assimilabile all'orso è un soggetto sostanzialmente tranquillo, pacato, perfino introverso, amante della bella vita, ma senza grossi scossoni. Presumibilmente non gli piace avere troppa gente per casa e anche i pettegolezzi lo stuzzicano solo fino a un certo punto. Talvolta ama anche starsene solo. Sessualmente può sembrare un po’ frenato o inibito: in realtà trova difficile soprattutto comunicare le proprie esigenze, e stimolare adeguatamente il partner. Per l’individuo orso il compagno ideale è la lontra che con i suoi guizzi spensierati è in grado di farlo rinsavire un po’ dallo stato di torpore che perennemente lo contraddistingue. Un riferimento tra i big? Probabilmente la suadente, ma altrettanto pigrissima Paris Hilton. L’ape è il terzo animale classificato da Scantling. Qui ci troviamo di fronte a una persona ligia al dovere, super precisa, meticolosa all’eccesso, e per questo pericolosamente noiosa. Il rischio di avere a che fare con un’ape, che si tratti di una romantica passeggiata lungo mare, o di un’avventura di natura sessuale, è quello di sentire presto il desiderio di cambiare aria per andare a divertirsi un po’. L’ape non osa mai e mai trova il coraggio di farsi avanti e di lasciarsi andare. Il rapporto peggiore immaginabile tra le specie considerate da Scantling è dunque quello tra un’ape e un orso. I due rischierebbero, infatti, di addormentarsi dopo un paio di minuti di conversazione. Per l’ape quindi il consiglio è quello di "fidanzarsi" con un focoso leone o con un'indomabile lontra, animali con i quali potrebbe sentirsi più desiderosa di uscire dai suoi rigidi schemi mentali. Tra gli uomini il riferimento è alla cantante Mariah Carey. In ultima analisi c'è la lontra. In questo caso all’animale fa riferimento un uomo o una donna in cui la fantasia e il desiderio di libertà non hanno freni. Personaggi riconducibili a questa sezione “tassonomica” sono soggetti gioiosi, giocosi, che non conoscono la timidezza, e anzi talvolta risultano perfino troppo furbi e arroganti. Come per il leone anche le lontre sono poco fedeli. Il loro difetto è soprattutto quello di non saper dir di no. Ogni occasione è pertanto buona per rimorchiare qualcuno indipendentemente dal fatto di essere coniugati o meno. Il compagno ideale è un leone: tra i due si instaura un giusto mix di fantasia ed energia. Una lontra doc? Jennifer Lopez.
sabato 17 luglio 2010
RECORDMAN MATEMATICI
Gert Mittring |
BOX
Martin Nowak: il 18 febbraio 2005 scopre il nuovo numero primo più grande: è il numero 225,964,951-1, equivalente a 7,816,230 cifre.
Uday Shankar: ha appena sedici anni ed è in grado di calcolare la radice, il cubo e la decima potenza di un qualunque numero di 30 cifre.
Gert Mittring, matematico tedesco, risolve in 11,8 secondi la tredicesima radice di un numero di cento cifre.
Alexis Lemaire, francese, 24 anni, pochi giorni fa compie la sua impresa più clamorosa: calcola a mente, in circa cinque minuti, la radice tredicesima di un numero a 200 cifre.
giovedì 15 luglio 2010
SALVIAMO L'ULTIMA TIGRE
100mila. Tanti erano gli esemplari di tigre, liberi di scorrazzare per il continente asiatico fino ai primi del Novecento: dalla Turchia all'Estremo oriente. Poi l'uomo ha cominciato un'assurda guerra contro questo animale, fino a portarlo sull'orlo dell'estinzione: oggi, infatti, ne rimangono allo stato brado solo 3mila esemplari. Eppure - nonostante gli sbagli compiuti negli anni - le tigri continuano a essere cacciate e uccise per i motivi più diversi, nonostante il recente allarme lanciato in Qatar, alla Conferenza internazionale sul traffico delle specie protette, e l'imminente summit in Russia (a settembre), voluto da Putin in persona, per dire definitivamente stop all'azione dei bracconieri. Il punto è che - come per il maiale - della tigre non si butta via niente. Ogni parte del suo corpo è utile all'industria per ottenere prodotti che poi andranno sicuramente a ruba, alimentando l'economia (in nero) e giovando alle tasche d'impresari senza troppi scrupoli: una tigre morta vale 25mila dollari. Il mercato illegale riguardante questi felini corrisponde a un giro di affari superiore ai 20 miliardi di dollari l'anno (13,5 miliardi di euro). Le ossa della tigre sono eccellenti per soddisfare le esigenze delle industrie farmaceutiche meno ortodosse. Quelle delle zampe anteriori dell'animale sminuzzate e messe a mollo nell'acqua fredda, servono a produrre medicinali efficaci contro il mal di testa. L'omero di una tigre costa 3.200 dollari al chilogrammo, e serve a combattere l'ulcera e/o i reumatismi. Addirittura le ossa della tigre vengono sbriciolate per la vendemmia: da esse, infatti, si ricava un vino pregiatissimo, da 200 dollari a bottiglia (un po’ meno se non è invecchiato). La coda del felino asiatico viene usata per curare malattie della pelle, dermatiti e psoriasi. Il pene sarebbe un formidabile tonico per la sessualità: una tazza di zuppa di pene di tigre, a Taiwan, costa fino a 320 dollari. E non è finita qui. Della tigre si utilizzano anche i baffi, gli occhi e gli artigli. I baffi - che in termine scientifico vengono detti 'vibrisse' - sembrerebbero ideali per vincere il mal di denti. In alcune località asiatiche vengono invece venduti come amuleti caccia sfortuna. Gli occhi curano l'epilessia (un paio di bulbi oculari costano 170 dollari); gli artigli - specialmente a Sumatra - vengono trasformati in gioielli elegantissimi e preziosissimi, per la gioia delle ricche signore dell'Estremo oriente, ma anche dei tanti turisti che si avventurano in questi angoli del pianeta e desiderano portare a casa un cimelio assai originale. C'è poi la pelle delle tigri che viene utilizzata per alimentare l'industria del tappeto: dall'epidermide del felino si ottengono pregiati drappi di tessuto per abbellire le case, ma anche amuleti sciamanici per scacciare gli spiriti maligni e pellami per abiti cerimoniali. La pelle della tigre può essere valutata fino a 20mila dollari. Non sono, comunque, solo i cacciatori ad accanirsi su questi animali, recuperando parti anatomiche "sensibili" al commercio clandestino. Spesso il mercato nero è alimentato anche dai custodi dei parchi zoologici dell'Asia. Presso lo zoo di Guilin, in Cina, si assiste quotidianamente a uno spettacolo increscioso. Le tigri moribonde vengono, infatti, riunite tutte in un piccolo spazio, e obbligate a sbranarsi fra loro per la gioia di quanti potranno l'indomani beneficare di una loro tibia o perone. Oggi le poche tigri rimaste allo stato selvatico sono rappresentate da cinque sottospecie: la tigre siberiana o dell'Amur, la tigre cinese o della Manciuria, la tigre indocinese, la tigre di Sumatra e la tigre del Bengala. Tre sottospecie (Bali, Giava, del Caspio) sono scomparse negli ultimi cinquant'anni. Il rischio estinzione per le tigri non è dovuto solo ad azioni violente dell'uomo, ma anche al progressivo restringimento del loro habitat naturale, ridotto del 40% negli ultimi 10 anni. Nella peggiore delle ipotesi le tigri potrebbero scomparire dalla faccia della Terra nel giro di una ventina d'anni. Questo il parere degli esperti di Save The Tiger, associazione americana con sede a Washington. Intanto - in occasione dell'anno della tigre che cade proprio nel 2010 - si stanno moltiplicando gli sforzi per cercare di arginare il problema. In prima linea gli uomini della Global Tiger Initiative, in collaborazione con la Banca Mondiale. L'ente vuole strappare dal rischio estinzione la tigre entro il 2020.
Circolo Magnolia: un esempio di ecosostenibilità
Pannelli solari a Copenaghen |
martedì 13 luglio 2010
Scoperta l'età esatta della Terra: 4.467 miliardi di anni
La Terra? Potrebbe essere molto più giovane di quanto previsto finora. Stando, infatti, alle conclusioni di un team di studiosi inglese, il nostro pianeta avrebbe raggiunto le dimensioni attuali 4.467 miliardi di anni fa: in precedenza si riteneva la Terra fosse più vecchia di circa 100 milioni di anni. Per arrivare a questi risultati gli scienziati hanno valutato le caratteristiche chimiche del mantello terrestre e quelle delle meteoriti. Gli studiosi ritengono che il pianeta abbia assunto la sua forma attuale - tramite processi geologici complessi - in 100 milioni di anni, mentre prima si era convinti che questo "accrescimento" non fosse durato più di 30 milioni di anni. Lo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Geoscience è frutto del lavoro di John Rudge, dell'Università inglese di Cambridge (per contatti: jfr23@cam.ac.uk). Il ricercatore sostiene che la Terra non si è formata "di colpo" tramite un processo continuo e progressivo, ma attraverso fasi varie più o meno spedite: "Gli scienziati hanno fino a oggi considerato l'accrescimento terrestre di tipo esponenziale", dice Rudge, "in realtà esso deriva da continui 'stop and start'". La nuova teoria risulta verosimile in quanto l'accrescimento terrestre è dipeso da una serie di collisioni con altri corpi celesti e dall'accumulo progressivo di detriti. "La Terra non si formò tutta in una sola volta", si legge su Newton, "ma andò aumentando sempre più le proprie dimensioni fino a raggiungere quelle attuali. Questa crescita non fu spontanea, ma si dovette agli impatti e alle fusioni di molti piccoli pianeti, residui della nebulosa primordiale che aveva originato il sistema solare". Il definitivo stop è, dunque, giunto con l'acquisizione dell'equilibrio chimico tra gli elementi del nucleo metallico e quelli del mantello di silicato. In particolare l'evento clou fu quello che generò anche la Luna, dall'impatto con un corpo celeste riconducibile a un protopianeta. Secondo gli studiosi ci sarebbe, pertanto, stata un'iniziale crescita omogenea per circa 30 milioni di anni, seguita da una fase di silenzio di circa 40 milioni di anni, prima della risoluzione definitiva del processo di sviluppo geologico, durata altri 30 milioni di anni: in realtà c'è chi pensa che la Terra possa aver raggiunto il 70% delle sue dimensioni attuali in soli 10 milioni di anni. "Se i nostri calcoli sono corretti, possiamo così stimare che la Terra si sia formata in circa 100 milioni di anni", precisa Rudge. Dello stesso avviso Bernard Bourdon, professore dell'Istituto di Geochimica e Petrologia presso l'ETHG di Zurigo secondo il quale "100 milioni di anni sarebbe il tempo più coerente per la formazione della Luna e della Terra". Da oggi quindi - se qualcuno dovesse chiederci quanti anni ha il nostro pianeta - dovremmo rispondere 4.467 miliardi di anni e non più 4.537 miliardi di anni.
Il cinema preistorico dei camuni
Incisione rupestre della Valcamonica |
lunedì 12 luglio 2010
L'analisi del DNA restituisce l'identità a 250 caduti nella battaglia di Fromelles
Soldati in trincea durante la battaglia di Fromelles |
domenica 11 luglio 2010
La "sinfonia spaziale" di Saturno
sabato 10 luglio 2010
Mr. Pooh, la storia di un gabbiamo convinto di essere un gatto
Mr. Pooh con uno degli ospiti di casa Grimwood |
giovedì 8 luglio 2010
Kyle Kane, il ragazzo più forte del mondo
Il dodicenne Kyle Kane |
Kyle all'opera...
Estate 2010: occhio allo stress e agli attacchi di panico
Terremoto di magnitudo 5,4 colpisce la California
Una forte scossa di terremoto - di magnitudo 5,4 - ha colpito nelle ultime ore la California. Gli esperti del Servizio geologico USA hanno individuato l'origine del sisma a 11,7 chilometri di profondità, a 94 chilometri dalla città di San Diego. La scossa - registrata alle 16.53 di ieri ora locale (1.53 in Italia) - è stata percepita anche nella città di Los Angeles. "È stata una scossa decisamente forte, durata 10-15 secondi", rivela Miguel Manzano, capitano del dipartimento dei Vigili del fuoco di Borrego Springs. "Ci siamo presi un po’ di paura quando abbiamo visto oscillare i lampadari e alcuni quadri cadere dalle pareti", raccontano alcuni testimoni, "ma la situazione è presto rientrata nella norma". A parte qualche smottamento nei pressi dell'Highway 111, rilevati dalla polizia di Palm Springs, per il momento non si segnalano danni gravi a cose o a persone, tuttavia il terremoto riporta l'attenzione sul famoso Big One, il forte sisma che potrebbe in futuro colpire la California. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Nature, all'interno della faglia di San Andrea, che scorre nel cuore dello Stato USA, si starebbe accumulando un'energia elevatissima che potrebbe presto essere rilasciata con un super terremoto. Alla base del fenomeno, il costante movimento verso nord della crosta che si trova a ovest della faglia, e quello verso sud della crosta situata a est. "Lo stress cui è sottoposta la lunga faglia di San Andrea avrebbe dovuto far slittare di almeno sette metri i due fianchi della struttura", spiega Yuri Fialko, dello Scripps Institution of Oceanography a La Jolla (USA), "cosa che non è avvenuta, provocando un accumulo eccezionale di energia". Per questo motivo il Big One "potrebbe non essere così lontano". Il sisma interesserebbe due città densamente abitate come San Francisco e Los Angeles. Risale a cento anni fa l'ultimo catastrofico terremoto che colpì la California: si ebbero 3mila morti e la distruzione pressoché totale di San Francisco.
(Pubblicato su http://www.milanoweb.com/)
(Pubblicato su http://www.milanoweb.com/)
mercoledì 7 luglio 2010
Epidemiologo USA svela i segreti della sindrome del Golfo
La sindrome del Golfo? È una malattia a tutti gli effetti, spiegabile anche dal punto di vista scientifico. Lo rivela l’epidemiologo Robert Haley dell’Università del Texas, USA. L’esperto ha verificato che nel sangue degli ex combattenti coinvolti nella guerra del ’91 contro il regime di Saddam Hussein è presente un particolare enzima, che viene prodotto naturalmente dall’organismo per distruggere i composti simili al gas sarin. Secondo l’autore molti soldati avrebbero subito l'azione dell'arma chimica sotto la soglia d’allarme che avrebbe permesso di rendersi effettivamente conto del problema e da qui poter prendere precauzioni immediate. Nonostante le ipotesi avanzate dall’epidemiologo texano i governi inglese e americano ancora non si sbilanciano, e preferiscono mantenere la linea tenuta finora la quale afferma che le truppe coinvolte negli scontri della prima Guerra del Golfo non abbiano mai avuto a che fare con simili armi. Il composto peptidico individuato da Haley risponde al nome di “paraossonasi”. Gli studi di Robert Haley sono stati anticipati dalla rivista scientifica New Scientist e pubblicati anche dallo United States Departement of Veterans Affaire. In una nota si legge che “una rilevante proporzione di veterani del Golfo soffre di patologie sistemiche non spiegabili in base allo stress del conflitto o a malattie psichiatriche”. Per sindrome del Golfo si intende tutta quella serie di disturbi concernenti problemi cognitivi, dolori articolari, mal di testa, senso di affaticamento, sintomi lamentati dai reduci della prima guerra del Golfo in misura sensibilmente superiore rispetto ai reduci di altre guerre.
martedì 6 luglio 2010
Non lavorano, non studiano, non si formano. Sono i "Neet", la nuova casta di nullafacenti
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