La prima volta fu nei primi anni
del Novecento, con le ricerche di Nicolae Paulescu, professore di fisiologia
dell’Università di Bucarest: lo scienziato riuscì a ottenere artificialmente
l’insulina necessaria a guarire un cane ammalato di diabete, cambiando per
sempre il corso delle biotecnologie. Poi le cose si sono affinate e attualmente
se ne produce in quantità in laboratorio, così da consentire a chi possiede un
pancreas deficitario di poter vivere normalmente. Oggi, un nuovo importante
risultato: lo sviluppo di embrioni di pecora contenenti cellule umane; e se
fino a questo momento lo scopo è stato quello di produrre insulina per poter
gestire i livelli troppo alti di glucosio nel sangue, fra pochi anni la
soluzione potrebbe arrivare dallo sviluppo di organi umani presenti in altri
animali, pronti per essere introdotti in un organismo malato. È una nuova
frontiera della medicina.
La notizia arriva dalla Stanford
University, in Inghilterra. Gli scienziati hanno ottenuto embrioni di ovini
contenenti cellule di Langerhans provenienti dall’uomo. Sono quelle legate
all’azione pancreatica e responsabili della produzione di insulina. Chi ha il
diabete di tipo I, detto anche giovanile, presenta, infatti, un’azione ridotta
e talvolta assente di queste cellule, che predispone alla malattia per tutta la
vita; (al contrario chi è colpito dal diabete adulto può essere curato con una
terapia farmacologica molto meno invasiva che può in certi casi permettere una
remissione del morbo). I test hanno riguardato una percentuale minima di
tessuti chimera, ma pur sempre promettente: una cellula umana, ogni 10mila
cellule di pecora. E non è esattamente la prima volta; perché un obiettivo
simile era stato ottenuto anche nei maiali qualche anno fa, in un rapporto di
uno a 100mila. Perché è così importante questo traguardo?
Perché se siamo in grado di fare
crescere un embrione di pecora contenente cellule umane, si può seriamente
pensare che fra non molto si potrà giungere a sviluppare ovini adulti
caratterizzati da organi destinati alla nostra specie. In particolare in questo ambito
si sta lavorando allo sviluppo di pancreas umani. Lo step successivo, infatti,
sarà quello di comprendere fino a che punto si è in grado di permettere lo
sviluppo di un embrione contenente cellule provenienti da un altro
raggruppamento tassonomico. Negli esperimenti di Stanford l’evoluzione
dell’embrione chimera si è protratto per 28 giorni, ma già si pensa a un futuro
test spalmato su 70 giorni. “Riuscirebbe a dare prove ancora più convincenti”,
dice Hiro Nakauchi, coinvolto nello studio. Peraltro si dovrà incrementare
l’impiego di cellule umane; perché quantità troppo esigue non permetterebbero
la formazione di un organo intero.
E se le cose dovessero prendere
la piega giusta, sarà una rivoluzione in campo medico e sociale. Tenendo conto
dell’alto numero di persone che è in attesa di un trapianto di organo. Il sondaggio
NHS Blood and Trasplant ha rivelato che nel 2016 sono scomparse 460 persone,
nell’attesa di ricevere un organo da un donatore. Dati del genere non avrebbero
più senso di esistere. Anche perché le probabilità di successo di un trapianto
sarebbero molto più alte. Partendo dal presupposto che non si tratterà di un
xenotrapianto – trapianto di un organo di origine animale – ma di una tecnica
che beneficerà di un corredo cromosomico perfettamente assimilabile a quello
umano. In sostanza, non ci sarebbero i caratteristici problemi legati al
rigetto. Quel che accade ancora oggi, e che può essere tenuto a bada solo con
una pesante terapia a base di immunosoprressori.