Obesità,
sterilità e disturbi cardiovascolari. Sono i malanni di cui soffrono gli
elefanti sparsi per gli zoo del pianeta. Lo rivela uno studio condotto dagli
esperti dell'University of Alabama, in Usa. Gli scienziati ritengono che, a
lungo andare, questi problemi potrebbero ripercuotersi negativamente sulla
sopravvivenza della specie in cattività. Un aspetto di cui tenere conto, se si
pensa che gli esemplari che vivono in libertà, sono costantemente a rischio per
via delle attività di bracconaggio. I ricercatori sono giunti a questi
risultati dopo aver riscontrato proboscidati con percentuali di grasso
particolarmente elevate, in relazione ad alterazioni del ciclo di ovulazione
nelle femmine. E' la prova che i chili di troppo potrebbero danneggiare i
processi legati all'accoppiamento. La notizia è diramata dal Lincoln Park di
Chicago, dove le statistiche hanno già dimostrato un forte calo dei parti: in
media in un anno ci dovrebbero essere sette nascite, ma da un po’ di tempo non
si arriva a tre. Ma il fenomeno si sta verificando un po’ in tutti i centri
zoologici del pianeta, dove gli animali sono protetti in spazi troppo piccoli
per le loro necessità biologiche. Da una parte c'è il problema relativo alla
somministrazione inadeguata di cibo, dall'altra preoccupa la mancanza di
movimento patita dagli animali in cattività, che si ripercuote pesantemente sul
metabolismo. C'è, dunque, il pericolo che, in una cinquantina d'anni, i
proboscidati degli zoo potranno sparire completamente.
lunedì 2 novembre 2015
mercoledì 30 settembre 2015
Google ordina il computer atomico
Comunicare nello
spazio e sulla terra in modo da non essere mai intercettati e poter quindi
consegnare senza problemi un messaggio segreto: è il sogno di ogni governo, di
tutti i servizi di intelligence, e, in fondo, di ognuno di noi, abituati a
scambiarci informazioni via mail o tramite Facebook con il timore di essere
"scoperti". O volendo dare voce all'immaginazione, potremmo azzardare
di più, pensando a una realtà aliena che ci attacca e che alla fine perde la
sfida con i terrestri, perché dotati di un sistema di "messaggistica"
impossibile da decifrare. Attualmente, però, tutto ciò è un'utopia. Perché la
comunicazione tradizionale attuale si basa sulle onde radio e la fibra,
messaggi che possono essere "letti" e "manipolati". In
pratica se qualcuno spedisce un dato criptato secondo il sistema attuale, può
essere scoperto perché c'è chi può individuare la "chiave di
lettura". Da oggi però le cose potrebbero cambiare grazie all'invenzione
di un futuristico sistema di comunicazione basato sull'impiego dei fotoni. Sono
le particelle elementari della luce. Cos'hanno di diverso dagli altri
messaggeri? Non possono essere intercettati e quindi "rubati". Se non
distruggendoli. Non è facile comprenderlo perché presuppone conoscenze avanzate
di fisica, che fra le altre cose concerne il famoso paradosso di Schroedinger,
tale per cui un gatto è allo stesso tempo vivo e morto.
Ma proprio in
questi giorni un team di scienziati italiani ha reso noto di essere riuscito a
comunicare tramite la luce. «E' una prima assoluta nel mondo'», ha detto il presidente
dell'Asi, Roberto Battiston. Trasmissioni dati quantistiche erano state finora
tentate a Terra, ma su distanze dieci volte inferiori».
Alcune
informazioni sono state "impacchettate" sottoforma di raggi quantizzati
e spedite verso il satellite Lares, lanciato nello spazio nel 2012; da qui
hanno poi raggiunto di nuovo la superficie terrestre, portando con sé i dati
che servivano al test. E' il successo ottenuto dai ricercatori del Centro di
Geodesia spaziale di Matera dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), in collaborazione
con gli esperti dell'Università di Padova. Il messaggio quantistico inviato
nello spazio ha viaggiato per 1.700 chilometri. Un record. Prima si era
arrivati a 144 chilometri. Non è la prima volta in assoluto che si arriva a una
comunicazione a livello quantistico. Precedentemente il fenomeno era stato
ottenuto fra le Isole Canarie di La Palma e Tenerife, coinvolgendo gli
strumenti dell'Optical Ground Station dell'Esa. Anche in questo caso è stato
possibile appurare lo scambio di informazioni fra due fotoni sottoforma di
qubit (assimilabili ai classici bit).Interessa tanto
questa notizia, perché è in corso una vera e propria gara per riuscire a
elaborare il primo sistema di comunicazione quantistica ufficiale. In questo
modo ci si potrebbe avvantaggiare dell'ipotesi di poter usufruire per la prima
volta di messaggi impossibili da codificare. Che si muovono a grandissima
velocità. Non è solo una questione legata alla possibilità di impiego in campo
militare perché da qui si aprono nuove sfide; tipo quella di poter creare il
primo centro di comunicazione quantistica spaziale. Compito che in un futuro
non tanto lontano potrà essere assolto per esempio della stazione spaziale
internazionale. E da qui si può partire per lo scenario più fantascientifico:
il teletrasporto. Perché se è vero che oggi siamo riusciti a spedire dei
minimessaggi quantistici, un domani c'è chi spera di poter inviare corpi e
oggetti da una parte all'altra del pianeta. O dove solo la più fervida immaginazione
può suggerire; come nei bellissimi esempi offerti da film come Star Trek e
Stargate.
Acqua marziana
C'è acqua su
Marte? Chissà quante volte avremo sentito pronunciare questa domanda in ambito
scientifico. Ora arriva la risposta ufficiale: sì. L'ha annunciato ieri
pomeriggio la Nasa, durante una conferenza stampa che parlava di
"importante svolta" per quanto riguarda lo studio del Pianeta rosso.
E arriva poche settimane dopo lo scoop relativo a 452b, l'esopianeta che
promette di avere molte caratteristiche in comune con la Terra (lo sapremo con
certezza nei prossimi mesi/anni) e di possedere quindi i requisiti per ospitare
la vita. La scoperta è avvenuta grazie all'azione della sonda americana Mro
(Mars Reconnaissance Orbiter) lanciata nel 2005. «Abbiamo la prima prova
dell'esistenza di un ciclo dell'acqua su Marte», dice Enrico Flamini,
coordinatore dell'Agenzia spaziale italiana (Asi). Significa che ci possono
essere anche processi di evaporazione e forse precipitazioni. Non sempre, ma nei
periodi più caldi (su Marte la temperatura arriva al massimo a 20-25 gradi
all'equatore, ma le minime raggiungono senza problemi i -130 gradi). Durante
l'estate marziana, in pratica.
In questi
frangenti si formerebbero dei ruscelletti di acqua salmastra che scorrerebbero
per periodi più o meno lunghi lasciando inequivocabili "segni" sulla
superficie. Nulla a che vedere con i "canali" di Schiaparelli, ma pur
sempre metri di terriccio bagnato che potrebbero rivoluzionare le nostre
conoscenze sul quarto pianeta del sistema solare. Ne parlò per la prima volta
nel 2011 Lujendra Ojha, del Georgia Institute of Technology di Atlanta, dopo
avere identificato strane formazioni geologiche imparentate con quelle
terrestri limitrofe a minuscole strisce d'acqua. Intuì la presenza di sali che
fuoriescono dalle viscere del pianeta sottoforma di perclorato di magnesio e
perclorato di sodio. E che l'acqua allo stato liquido, grazie a questi
"intrusi", può trovarsi sotto il tradizionale punto di liquefazione
(zero gradi). Difficile dire da dove provenga. Forse da depositi glaciali (ma
non è esclusa anche l'origine atmosferica).
Sul Pianeta
rosso si è sempre saputo dell'esistenza dell'acqua allo stato solido, vale a
dire sottoforma di ghiaccio. Ma è questa la prima volta che si parla di
fiumiciattoli, dove il liquido più importante per ogni organismo vivente scorrerebbe
liberamente all'interno di minuscoli e periodici alvei. Cosa significa
comprendere che su Marte c'è acqua allo stato liquido? Significa tutto, per la
vita che potrebbe esserci e per le possibilità che avrà l'uomo di conquistare
il Pianeta rosso (se riuscirà a difendersi dai raggi ultravioletti e dalle
basse temperature). «Per la sostenibilità degli uomini questa scoperta avrà
conseguenze enormi», rivela Doug McCuistion, del Nasa Mars Exploration Program.
Perché uno degli enigmi fondamentali legati alla probabilità di sopravvivenza
della nostra specie su Marte dipende proprio da questo parametro.Il nostro corpo
non può prescindere dall'acqua, lo stesso vale per le piante e tutti gli altri
animali; se si escludono specie particolari come i tardigradi - animali
microscopici - che resisterebbero senza liquidi per periodi lunghissimi. I
vegetali potrebbero compiere la fotosintesi clorofilliana e liberare ossigeno
nell'aria rendendo ulteriormente ricca l'atmosfera marziana. E dunque l'ipotesi
della vita sul Pianeta rosso nel passato potrebbe ora apparire del tutto attendibile.
Da tempo si parla di microrganismi che non siamo ancora stati in grado di
identificare. Il meteorite marziano ALH rinvenuto in Antartide nel 1984 suggerì
la presenza di batteri allo stato fossile, poi rivelatesi delle semplici
strutture minerarie. Ma ora cambia tutto. Perché prevedibilmente in un rivolo
marziano i batteri potrebbero davvero sguazzare beati.
venerdì 18 settembre 2015
Il nuovo Homo
Fino a venti
anni fa era tutto molto più semplice. Si partiva da una specie di scimmione,
l'Australopithecus, e in un paio di step - Homo habilis e Homo erectus - si
arrivava alla nostra specie, l'Homo sapiens sapiens. Facilissimo. Oggi, però,
grazie ai progressi della scienza, le cose sono precipitate, e quelle che erano
appena quattro specie antenate dell'uomo moderno sono diventate una ventina.
Potremmo farcene una ragione, ma il punto è che non passa anno senza che i
quotidiani di mezzo mondo, spulciando qualche rivista scientifica, non tirino
fuori per l'ennesima volta, l'inequivocabile titolo: scoperta una nuova specie
umana. Fino a quando tutto ciò sarà credibile? E soprattutto, avanti di questo
passo quanti prozii dovremo contare per comprendere appieno il nostro cammino
evolutivo?
Domande che
sorgono spontanee all'indomani della notizia diffusa dall'University of
Witswaterstrand di Johannesburg, in SudAfrica, e dal National Geographic. Di
cosa si tratta? Dei resti di una quindicina di ominini (raggruppamento
tassonomico comprendente noi e gli scimpanzé) vissuti fra i due e i due milioni
e mezzo di anni fa. In SudAfrica, a una cinquantina di chilometri da
Johannesburg. Erano di bassa statura, magrolini, non pesavano più di cinquanta
chilogrammi, ma i tratti scimmieschi non erano così preponderanti come nelle
cosiddette forme australopitecine (il vero e proprio anello di congiunzione fra
noi e le scimmie). Erano più intelligenti degli Australopithecus. Benché possedessero
un cervello piccolo, grande quanto un'arancia, la loro attitudine a seppellire
i corpi mostra la tendenza al ragionamento, e a regalare un degno riposo ai
propri cari, consuetudine nota solo alla nostra specie (e ai neandertaliani). Il
luogo del ritrovamento è riconducibile a una specie di piccolo cimitero
arcaico, separato dalle zone adiacenti e caratterizzato da resti di individui
morti presumibilmente per cause naturali.
Alla luce di
questi risultati i ricercatori non hanno tardato a riportare l'ipotesi di una
nuova specie che fa sempre più rumore del rinvenimento di un "banale"
Homo habilis o di un Australopithecus afarensis, entrambi conosciuti da
parecchi anni. Ecco dunque il suo nome: Homo naledi (attenzione al rigore
scientifico, va maiuscolo il genere, minuscolo la specie). La vera notizia però
è un'altra. Ci vorrà del tempo per stabilire se Homo naledi - stella nascente
in lingua sotho - è davvero un altro germoglio evolutivo, ma nessuno può negare
che proprio in questo frangente sia stato scoperto in un colpo solo il più alto
numero di resti appartenenti al genere Homo. In paleoantropologia si urla al
miracolo quando salta fuori una nuova falange, un pezzo femore, un occipitale, figuriamoci
quando si scoprono le tracce di ben quindici individui, per un totale di 1.500
frammenti ossei. La scoperta è sensazionale. «Homo naledi è già la specie
fossile meglio conosciuta nella linea evolutiva dell'uomo», dice Lee Berger,
della National Geographic Society, divenuto famoso nel 2010, dopo il rinvenimento
dell'Australopithecus sediba, altra "leggendaria" new entry
nell'elenco delle specie che ci precedettero.Il SudAfrica.
Ecco l'altra vera notizia. Fino a pochi anni fa si pensava che la culla
evolutiva dell'uomo fosse riconducibile alla cosiddetta Rift Valley, a cavallo
fra Kenya e Tanzania. E' qui che trovarono Lucy, l'Australopithecus afarensis,
nonché il più antico antenato dei gorilla, il Chororapithecus abyssinicus. Con
le ultime scoperte, invece, il baricentro evolutivo si sta spostando sempre più
verso sud, e il SudAfrica pare in pole position nella classifica delle nazioni
che ci dettero i natali. Senza andare troppo in là nel tempo, è di pochi mesi
fa il rinvenimento nelle grotte di Sterkfontein di un'altra specie battezzata
Australopithecus prometheus. Certo, era molto più antica dell'ultima ritrovata,
ma è curioso notare che probabilmente visse in contemporanea a Lucy, la mamma
di tutti noi. E il futuro della ricerca in campo paleoantropologico parte
ancora da qui. «Ci sono centinaia per non dire migliaia di resti da studiare»,
chiude Berger. E le grotte di Sterkfontein hanno ancora parecchi misteri da
svelare.
giovedì 10 settembre 2015
L'altra Terra
E' dalla metà
degli anni novanta che cerchiamo pianeti al di fuori del sistema solare. Da
allora ne abbiamo scoperti migliaia. Ieri però, per la prima volta, è stata
ufficializzata l'individuazione di un corpo celeste delle dimensioni della
Terra ubicato nella cosiddetta "habitable zone". Di cosa si tratta?
Di un'area ben precisa occupata da un certo pianeta in rotazione attorno a una
stella, dove possono sussistere le condizioni climatiche per lo sviluppo della
vita. Dove non c'è troppo freddo, n'è troppo caldo; dove l'acqua può scorrere
liberamente creando i presupposti per la formazione di quei mattoncini della
vita chiamati amminoacidi e l'atmosfera imprigionare gli elementi necessari a
processi naturali come la fotosintesi. La notizia è stata diramata dalla Nasa
ieri sera alle 18.00, auspicando la seria possibilità di identificare un mondo
in tutto e per tutto simile alla Terra.
«E' una cosa che
le persone hanno sognato per migliaia di anni», rivelano i tecnici dell'ente
spaziale statunitense. Vari disegnatori si sono già messi all'opera cercando di
immaginare quali possano essere le potenziali caratteristiche della Terra bis.
Sembra di vedere un fumetto di fantascienza degli anni sessanta, ma questa
volta non è solo frutto della fantasia umana, bensì di dati certi, recuperati
grazie al lavoro di Kepler, un super telescopio lanciato nel 2009 per fare luce
sui misteri degli esopianeti. Nelle grafiche compaiono montagne caratterizzate
da affascinanti cime e torrenti che scorrono alle loro pendici, creando meandri
e canyon. La verità è che non è ancora possibile affermare con sicurezza che si
tratti di un pianeta roccioso, tuttavia le prime analisi propendono per questa
tesi; fondamentale per sperare nella presenza della vita. Per arrivare a questa
certezza sarà necessario valorizzare massa e densità dell'oggetto celeste.
Il nuovo pianeta
è stato battezzato Kepler 452b. E' un corpo situato a 1.440 anni luce dal
nostro sistema solare, nella costellazione del Cigno. La stella da cui dipende
è un po’ più luminosa del sole, ma le sue dimensioni sono molto simili a quelle
terrestri. E' anche un po’ più "maturo" del nostro pianeta. Si stima
che abbia sei miliardi di anni, contro i 4,5 miliardi della Terra. Può
significare molte cose. In primis che la vita possa essersi sviluppata
prendendosi tutto il tempo necessario. «Ha trascorso miliardi di anni intorno
alla sua stella», dice Jon Jenkins, che coordina i dati provenienti da Kepler, «potrebbe
avere ospitato la vita in passato, e ospitarla tuttora». Altri dati riguardano
il periodo di rivoluzione del pianeta, il tempo che impiega a girare intorno al
corpo madre: 385 giorni, contro i 365 giorni terrestri. E c'è poi la distanza
fra i due corpi che è pressoché identica a quella che separa il sole dalla
Terra, vale a dire 150 milioni di chilometri. Significa che potrebbe esistere
un perfetto bilancio energetico fra le due realtà cosmiche, altro parametro
chiave a favore dello sviluppo delle molecole organiche.Dunque
l'avventura di Kepler prosegue per conoscere nel dettaglio le altre
caratteristiche di Kepler 452b, forte del fatto che il pianeta individuato non
è l'unico ad avere certe caratteristiche. La scrematura dei dati provenienti da
uno dei più potenti telescopi mai progettati dall'uomo, rivela l'esistenza di
altri undici corpi a cui dare un nome e un significato. Non è escluso che ce ne
possa essere qualcun altro simile a Kepler 452b, se non addirittura qualcosa di
ancora più vicino alla Terra. Già quattro anni fa Kepler fece sobbalzare gli
esperti della Nasa, dopo aver tradotto i segnali provenienti da Kepler 22b.
Altro pianeta interessante, sempre nella costellazione del Cigno, ma con
caratteristiche intermedie fra un pianeta roccioso e un gigante gassoso. Le
analisi hanno evidenziato una realtà cosmica molto più grande della Terra, ma
con una temperatura superficiale prevedibilmente compresa fra -11 gradi e 22
gradi centigradi; né più né meno il divario termico stagionale riscontrabile in
moltissime località terrestri.
Kepler 452b, dieci
domande per saperne di più, con la collaborazione di Isabella Pagano,
ricercatrice di astrofisica dell'Osservatorio di Catania e coordinatrice
nazionale per l'Italia del progetto Plato dell'Esa.
1. Davvero Kepler 452b è un'altra Terra?
E' un paragone forzato, ma rende bene l'idea. La certezza è che il
telescopio Kepler ha "fotografato" un pianeta caratterizzato da
dimensioni molto simili a quelle terrestri. Per poter parlare di una Terra bis
è però necessario conoscere la massa del corpo e poi risalire alla sua
consistenza, che può essere rocciosa o gassosa. In questo momento non esistono
ancora i mezzi per farlo, per via dell'eccessiva distanza.
2. Cosa distingue Kepler 452b da tutti gli
altri pianeti scoperti finora?
Orbita
intorno a una stella molto simile al sole e la distanza che lo separa da essa è
uguale a quella che ci distanzia dalla nostra. E' dunque situato in quella che
viene chiamata "habitable zone", una zona abitabile, ma non
necessariamente abitata. Anche Venere e Marte risiedono in una zona simile ma,
per quelle che sono attualmente le nostre conoscenze, non presentano tracce di
vita.
3. Quali sono le possibilità che sul pianeta appena
scoperto ci sia vita?
La
vita è più probabile lì che in altre parti del cosmo, ma non si hanno certezze.
Ci sono aspetti che possono indurre all'ottimismo. Il fatto che l'irraggiamento
e il calore possano essere simili a quelli terrestri, sono prove a conforto
della vita. E in sei miliardi di anni avrebbe avuto tutto il tempo per
svilupparsi.
4. Come potremmo immaginarci gli abitanti di Kepler
452b?
Forse
sono simili a noi. Se avessimo numeri relativi alla massa e alla gravità
potremmo azzardare di più. Così è difficile entrare nei dettagli, anche usando
l'immaginazione. Magari hanno dieci occhi o venti gambe. Potrebbe anche essere
un mondo abitato esclusivamente da microrganismi o specie che non riusciamo
nemmeno a ipotizzare.
5. E' immaginabile che nell'universo esista una
civiltà superiore alla nostra?
Le
statistiche dicono di sì. Solo nella nostra galassia ci sono cento miliardi di
stelle e moltissime come il sole. Se consideriamo che praticamente ogni stella
ha dei pianeti, le probabilità sono elevatissime. Esiste un calcolo
probabilistico che stima la possibilità
di 600mila civiltà tecnologiche.
6. Cosa
significa 1.440 anni luce di distanza?
Significa
che la luce ha lasciato Kepler 452b 1.440 anni fa. Quando da noi stava finendo
l'epopea dell'impero romano. Se l'uomo
volesse dunque raggiungere Kepler 452b impiegherebbe 1.440 anni
viaggiando alla velocità della luce, cosa per ora impossibile, se non in
qualche episodio di Star Trek.
7. Come
si fa a capire che ha sei miliardi di anni?
Si
utilizzano metodi diversi. Si studia per esempio la rotazione di una stella su
se stessa. Una stella giovane ruota molto velocemente. E' più lenta se è
vecchia. Il sole ruota su se stesso in trenta giorni, e infatti è una stella a
metà del suo cammino. Alcune giovani impiegano due o tre giorni. Si studiano
anche le cosiddette righe del litio, un elemento strettamente connesso ad astri
appena formati.
8. Come si svolge la ricerca di nuovi pianeti?
Ci
sono vari sistemi. Il più usato analizza il percorso di un pianeta che transita
davanti a una stella, determinando un indebolimento della luce dell'astro. Così
si è fatto con il telescopio Kepler.
9. Qual è il futuro
dell'esoplanetologia?
In
questo momento facciamo già molte più cose rispetto al passato. Siamo in grado
di verificare la massa di alcuni pianeti, di studiarne la composizione
atmosferica e addirittura di predire la colorazione del cielo. E' accaduto, per
esempio, con GJ3470, un altro esopianeta, molto più vicino di Kepler 452b, a
soli 100 anni luce da noi.
10. Quanto c'è ancora da scoprire sull'universo?
In
realtà sappiamo poco o niente di materia oscura, energia oscura, teoria delle
stringhe, multiversi. L'uomo deve ancora comprendere i meccanismi di formazione
dei sistemi planetari, cosa determini la loro evoluzione e le condizioni perché
la vita possa svilupparsi.
venerdì 24 luglio 2015
Kepler scopre la Terra bis
Ieri Plutone, oggi Kepler 452b. E l'uomo
vola sempre più in alto. E l'astronomia è sempre più cool (e da prima pagina)...
mercoledì 22 luglio 2015
I segreti di Plutone
Si trova a 4.500
milioni di chilometri dal sole e sulla sua superficie la temperatura oscilla
costantemente fra i -230 e i -210 gradi centigradi. Gli orbitano intorno cinque
piccole "biglie" rocciose, la più nota delle quali prende il nome dal
famoso traghettatore dell'Ade, Caronte. Sono questi i numeri più significativi del
nono corpo del sistema solare, un tempo giudicato un pianeta a tutti gli
effetti, declassato nel 2006 a pianeta nano. Di Plutone, però, si è sempre
saputo pochissimo per via dell'enorme distanza dal "cuore" del
sistema solare e per le sue minuscole dimensioni, inferiori perfino a quelle
della Luna. Fino a ieri. Oggi, infatti, sono arrivate le prime immagini del
pianeta nano, grazie alla sonda statunitense New Horizons che è giunta ad
appena 12mila 500 chilometri dalla superficie del corpo celeste, sì e no la
distanza che separa il Nord Africa dal Nord Europa; un'inezia in termini
astronomici.
«Possiamo
finalmente studiare la geologia di Plutone», rivela Curt Niebur, della Nasa,
«soffermandoci sulle aree più intriganti dell'oggetto celeste, come quella
della "coda della balena"». E' una zona particolarmente scura della
superficie, che potrebbe suggerire una geologia peculiare e un dinamismo
roccioso tutt'altro che scontato. Non è solo questo punto a incuriosire, ma
anche un ampio territorio che richiama le fattezze di un cuore. Si sviluppa per
circa 2mila chilometri, è di colore biancastro, e al momento è impossibile
spiegarne l'esatta natura.
«Il pianeta
presenta superfici molto diverse fra loro», conferma John Grunsfeld, astronauta
della Nasa, sostenuto da Amanda Zangari, ricercatrice del Southwest Research
Institute, che arriva addirittura a ipotizzare che in un punto sia possibile
"ricostruire" i lineamenti di Pluto, il cane della Disney. Forse un
altro esempio di prosopagnosia, l'attitudine umana a vedere volti dove non ci
sono. Più prosaico il parere di Charles Krauthammer, Premio Pulitzer del
Washington Post, secondo il quale «nonostante i recenti fallimenti della razza
umana, c'è ancora l'ambizione di raggiungere i più grandi obiettivi».
A capo del
progetto ci sono i tecnici della Johns Hopkins University di Laurel, nel
Maryland, che ieri hanno potuto alzare le mani al cielo dopo nove anni di attesa.
Tanto è infatti il tempo che separa il traguardo di oggi, dalla partenza della
sonda avvenuta il 19 gennaio del 2006. Un vero miracolo dell'ingegneria
spaziale, in grado di percorrere 14 chilometri al secondo. E' stata lanciata il
19 gennaio del 2006 dalla base di Cape Canaveral, con a bordo le ceneri dello
scopritore di Plutone, Clyde W. Tombaugh. E da domani inizierà a spedire
informazioni alla Terra. Cosa interessa di Plutone?
La sua
superficie, di cui si può già intuire qualcosa, ma anche la sua atmosfera, che
si suppone sia rappresentata perlopiù da monossido di carbonio, azoto e metano.
Si verificherebbe peraltro un fenomeno particolare, l'opposto di quel che
accade su Venere (e sulla Terra), una sorta di effetto serra al contrario. Così
si giustificherebbero le bassissime temperature, dovute a repentine
trasformazioni dallo stato solido a quello gassoso.Si intende anche
capire qualcosa di più della relazione che intercorre fra Plutone e Caronte,
una specie di sistema planetario binario, dovuto a uno scontro avvenuto 4,5
miliardi di anni fa con un corpo della fascia di Kuiper; similmente a ciò che
accadde fra la Terra e la Luna. E dopo questo traguardo New Horizons si spingerà
verso i confini più estremi del sistema solare, oltre la stessa fascia di
Kuiper, puntando gli occhi sul mistero della nube di Oort, da dove provengono
le comete. «Non vedo l'ora di conoscere le numerose informazioni che avremo a
disposizione fra poco tempo», dice il grande astrofisico Stephen Hawking,
«grazie alla storica missione New Horizons».
martedì 30 giugno 2015
Messaggi fotonici
Comunicare nello
spazio e sulla terra in modo da non essere mai intercettati e poter quindi
consegnare senza problemi un messaggio segreto: è il sogno di ogni governo, di
tutti i servizi di intelligence, e, in fondo, di ognuno di noi, abituati a
scambiarci informazioni via mail o tramite Facebook con il timore di essere
"scoperti". O volendo dare voce all'immaginazione, potremmo azzardare
di più, pensando a una realtà aliena che ci attacca e che alla fine perde la
sfida con i terrestri, perché dotati di un sistema di "messaggistica"
impossibile da decifrare. Attualmente, però, tutto ciò è un'utopia. Perché la
comunicazione tradizionale attuale si basa sulle onde radio e la fibra,
messaggi che possono essere "letti" e "manipolati". In
pratica se qualcuno spedisce un dato criptato secondo il sistema attuale, può
essere scoperto perché c'è chi può individuare la "chiave di
lettura". Da oggi però le cose potrebbero cambiare grazie all'invenzione
di un futuristico sistema di comunicazione basato sull'impiego dei fotoni. Sono
le particelle elementari della luce. Cos'hanno di diverso dagli altri
messaggeri? Non possono essere intercettati e quindi "rubati". Se non
distruggendoli. Non è facile comprenderlo perché presuppone conoscenze avanzate
di fisica, che fra le altre cose concerne il famoso paradosso di Schroedinger,
tale per cui un gatto è allo stesso tempo vivo e morto.
Ma proprio in
questi giorni un team di scienziati italiani ha reso noto di essere riuscito a
comunicare tramite la luce. «E' una prima assoluta nel mondo'», ha detto il presidente
dell'Asi, Roberto Battiston. Trasmissioni dati quantistiche erano state finora
tentate a Terra, ma su distanze dieci volte inferiori».
Alcune
informazioni sono state "impacchettate" sottoforma di raggi quantizzati
e spedite verso il satellite Lares, lanciato nello spazio nel 2012; da qui
hanno poi raggiunto di nuovo la superficie terrestre, portando con sé i dati
che servivano al test. E' il successo ottenuto dai ricercatori del Centro di
Geodesia spaziale di Matera dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), in collaborazione
con gli esperti dell'Università di Padova. Il messaggio quantistico inviato
nello spazio ha viaggiato per 1.700 chilometri. Un record. Prima si era
arrivati a 144 chilometri. Non è la prima volta in assoluto che si arriva a una
comunicazione a livello quantistico. Precedentemente il fenomeno era stato
ottenuto fra le Isole Canarie di La Palma e Tenerife, coinvolgendo gli
strumenti dell'Optical Ground Station dell'Esa. Anche in questo caso è stato
possibile appurare lo scambio di informazioni fra due fotoni sottoforma di
qubit (assimilabili ai classici bit).Interessa tanto
questa notizia, perché è in corso una vera e propria gara per riuscire a
elaborare il primo sistema di comunicazione quantistica ufficiale. In questo
modo ci si potrebbe avvantaggiare dell'ipotesi di poter usufruire per la prima
volta di messaggi impossibili da codificare. Che si muovono a grandissima
velocità. Non è solo una questione legata alla possibilità di impiego in campo
militare perché da qui si aprono nuove sfide; tipo quella di poter creare il
primo centro di comunicazione quantistica spaziale. Compito che in un futuro
non tanto lontano potrà essere assolto per esempio della stazione spaziale
internazionale. E da qui si può partire per lo scenario più fantascientifico:
il teletrasporto. Perché se è vero che oggi siamo riusciti a spedire dei
minimessaggi quantistici, un domani c'è chi spera di poter inviare corpi e
oggetti da una parte all'altra del pianeta. O dove solo la più fervida immaginazione
può suggerire; come nei bellissimi esempi offerti da film come Star Trek e
Stargate.
mercoledì 24 giugno 2015
Rivoluzione quantistica
e così rieccomi in prima pagina. questa volta con un articolo di meccanica quantistica. non proprio leggerissimo… ma tant'è…qui per tutti gli altri articoli: Rivista della Natura
domenica 3 maggio 2015
Perché non riusciamo ancora a prevedere i terremoti
10mila morti. E
ancora una volta un evento sismico ci coglie impreparati, al punto che viene
spontaneo chiedersi come, nonostante i progressi della scienza, non sia ancora
possibile prevedere un terremoto. Eppure è così. Di fronte alle bizzarrie della
tettonica a zolle, la disciplina che spiega le dinamiche della deriva dei
continenti, l'uomo brancola nel buio. Il problema è che nessuno è in grado di
indagare adeguatamente le profondità della terra, per capire dove si sta accumulando
energia, pronta a manifestarsi sottoforma di un evento sismico. Siamo peraltro all'oscuro
di molte faglie (fratture rocciose legate ai terremoti) che potrebbero
provocare scosse telluriche ovunque, da un momento all'altro. Di Katmandu sappiamo
che sorge su un territorio altamente sismico, dove la placca indiana spinge su
quella euroasiatica, ma non di più. Nella migliore delle ipotesi, quindi, siamo
capaci di individuare una zona potenzialmente a rischio, ma non affermare se un
terremoto potrà verificarsi domani, fra cento o mille anni.
Il caso più noto
riguarda la faglia di Sant'Andrea, in California, che divide la placca
nordamericana da quella pacifica, e il famigerato Big One. I sismologi
ribadiscono che ci sarà un grosso terremoto in California, ma senza stabilire
una data. Parkfield è un centro che sorge proprio sulla faglia, dove ogni
ventidue anni si verifica un forte sisma. Da tempo si studia il territorio per
poter avanzare una valida teoria che permetta di prevedere l'arrivo di una
scossa. Per ora il risultato migliore riguarda un terremoto previsto per il
1993, avvenuto nel 2004. Non proprio confortante. Al 2005 risalgono invece le
ricerche più approfondite sul Big One. I sismologi prevedono un terremoto
catastrofico entro il 2035 che, nel 67% dei casi, colpirà Los Angeles con una
magnitudo superiore a 7 (in Nepal è stata di 7,8). Nel 2007 arriva la conferma
dello Uniform California Earthquake Rupture Forecast: entro trent'anni, con una
probabilità del 99,7%, la California sarà colpita da un evento sismico di
magnitudo superiore a 6,7.
Ma la difficoltà
di prevedere efficacemente un fenomeno naturale non riguarda solo la
sismologia. Pensiamo ai vulcani. Anche in questo caso, spesso, gli eventi sono
improvvisi e lasciano poco spazio all'intervento umano. Se non a livello
preventivo. Sei giorni fa, l'ultimo episodio. Il vulcano Calbuco, in Cile, fra
i più pericolosi vulcani della zona, ha eruttato dopo oltre quarant'anni di
silenzio. Non è stato difficile predisporre un piano di evacuazione perché le
scosse sismiche, che di norma precedono un'eruzione, venivano monitorate già da
qualche ora. Ma nessuno poteva preannunciare con largo anticipo la sua attività
esplosiva. Anche gli ultimi studi sul Vesuvio sono vaghi. Ricerche ipotizzano
un'imminente eruzione, ma nessuno sa dire quando avverrà di preciso. Le
previsioni sono solo di natura statistica. La ricostruzione storica dice che il
Vesuvio erutta su larga scala ogni mille anni e su media scala ogni
quattrocento, cinquecento anni. L'ultima potente eruzione risale al 1631, ma il
risultato di qualunque calcolo non sarebbe in fondo così diverso dall'opportunità
offerta da un manuale di astrologia.
Infine, la
climatologia. Lasciando perdere le previsioni del tempo tradizionali, che frequentemente
fanno cilecca, basta dare uno sguardo alle ricerche sull'effetto serra e le
possibili conseguenze del surriscaldamento globale. Gli scienziati da più di
venti anni prevedono un incremento costante delle temperature su scala globale,
con gravissime ripercussioni a livello ambientale. Ma un nuovo studio
australiano pubblicato su Nature Climate Change, sfata questa teoria, affermando
che la crescita della temperatura superficiale terrestre è rallentata negli
ultimi anni. Il motivo? Gli alisei, i venti costanti che spirano verso
l'equatore, che ultimamente starebbero soffiando con maggiore intensità, spingendo
gli strati di acqua calda in profondità. Il fenomeno provocherebbe un
raffreddamento delle aree circostanti, con un abbassamento medio delle
temperature. Insomma, le previsioni in questo caso ci sono, ma la loro
attendibilità è ancora tutta da provare.
sabato 28 febbraio 2015
Cyborg, nuova frontiera evolutiva
Un bacino in
titanio costruito in laboratorio e sostituito a quello malato, dà modo di
comprendere il livello medico chirurgico raggiunto negli ultimi anni. E lascia
presagire che fra non molto sarà possibile intervenire sempre più spesso in
questo modo, sradicando completamente una malattia, tramite l'innesto di
porzioni anatomiche costruite daccapo. Fa scalpore il risultato ottenuto al Cto
di Torino, ma è già da un po’ i centri medici più avanzati adottano questa
soluzione, al punto che qualcuno ha avanzato l'ipotesi che l'uomo bionico -
tante volte accarezzato nei romanzi di fantascienza - sarà presto realtà. In
che modo? Con la meccanica, da una parte, con le staminali, dall'altra. La
realtà cibernetica è, dunque, il futuro. Il film Robocop, girato nel 1987, fu
illuminante in questo senso. Il protagonista muore e "risorge" con
braccia meccaniche e un rivestimento in titanio e kevlar, fibra cinque volte
più resistente dell'acciaio. Tre giorni fa l'ennesima prova che le narrazioni cinematografiche
parafrasano frequentemente la cronaca. Easton LaChappelle è un diciannovenne
americano che ha ideato un braccio artificiale azionato dal pensiero, più
leggero di un arto umano normale, ma con le stesse potenzialità. Non è sfuggito
alla Nasa che l'ha già scritturato battezzandolo il nuovo Steve Jobs. Luke è un
altro braccio robotico azionato dai segnali elettrici prodotti da elettrodi
collegati ai muscoli del paziente. E' già stato approvato dalla Food and Drug
Administration e il riferimento a Luke Skywalker della saga Guerre Stellari non
è casuale. Ma la storia degli innesti meccanici non finisce qui. E non riguarda
solo gli arti. Da tempo si impiegano le protesi valvolari per curare i cuori
malati. Le valvole possono contenere silicone, leghe a base di cromo e nichel,
teflon. L'apparato cardiocircolatorio può contare anche sulle arterie
artificiali, approntate di recente in Inghilterra, per andare incontro a chi
dovrà subire, per esempio, un intervento di bypass, ma non possiede vene sostitutive
per irrorare correttamente il muscolo cardiaco. Il futuro è più affascinante e
praticamente riguarderà ogni distretto anatomico, tranne forse il cervello
(dato che alcuni suoi aspetti fisiologici non sono ancora stati compresi).
L'anno scorso a Zurigo hanno presentato un robot che funziona come un essere
umano. Significa che prelevandogli un tendine, o qualunque altra parte "anatomica",
si può potenzialmente intervenire su ogni tessuto. Gli organi artificiali sono,
in parte, già realtà. Nei meeting di bioingegneria si parla sempre più spesso
di rene bioartificiale, bioingegneria dei tessuti, plastiche e resine
indistruttibili, perfettamente compatibili con i materiali organici. In
Inghilterra, Martin Wickham, del Leatherhead Food Institute, ha ideato un
sistema meccanico che imita lo stomaco umano; in Usa, Shuvo Roy,
dell'University of California, ha messo a punto un prototipo di rene
artificiale grande come una tazzina di caffè. E sempre negli Stati Uniti è
stato disegnato al computer un orecchio e stampato in 3d, pronto per essere
impiantato nei bimbi colpiti da una rara malattia dell'organo uditivo. Insomma,
Hollywood a parte, il primo cyborg è già fra noi.
Via al doping chirurgico
Dell'argomento
s'è iniziato a parlare insistentemente dopo la rivelazione di Tiger Woods,
campione di golf americano, che afferma di essersi sottoposto a un trattamento
chirurgico per potenziare la sua vista. E poter quindi giocare al meglio delle
sue capacità. «Così vedo le buche più grandi», spiega. Ma la sua vista era già
perfetta e qui sta il punto: sempre più persone, a partire proprio dal campione
statunitense, si sottopongono a sedute chirurgiche per migliorare qualche parte
del corpo e in questo modo ottenere i risultati migliori in ambito sportivo,
professionale, intellettuale. In gergo si parla di "doping
chirurgico"; un vero e proprio boom da metà degli anni Duemila a oggi. Sono
centinaia i giocatori di golf che hanno subito l'intervento, una tecnica più
che consolidata battezzata Lasik. Consiste nel rimodellamento della cornea
tramite laser, pochi minuti di pazienza e il gioco e fatto. I primi interventi
risalgono al 1989 e a oggi ne hanno beneficiato anche militari e astronauti.
Così è possibile sviluppare un potenziale visivo di quindici decimi, contro i
tradizionali dieci decimi di chi vede normalmente e non ha alcun problema di
miopia, ipermetropia o astigmatismo. Significa poter vedere una mosca a nove
metri di distanza, rispetto a chi la vede a sei metri. Una rivoluzione che
porta, di fatto, allo sviluppo di una supervista; e può, dunque, interessare
anche altri distretti anatomici, coinvolgendo figure che nulla hanno a che
vedere con il golf. Un altro esempio giunge dal mondo della corsa, del calcio e
del ciclismo. E il riferimento, in questo caso, è al modellamento del setto
nasale per consentire una migliore respirazione e quindi un'ossigenazione più
importante delle aree polmonari, strettamente legate alle potenzialità
muscolari. Sono interventi chirurgici che fino a oggi venivano effettuati su
pazienti colpiti da malanni come sinusiti o deviazione naturali dei setti
nasali. Un'alternativa vincente all'impiego dei pericolosi anabolizzanti? I
pareri sono discordanti. E comunque la storia del doping chirurgico non finisce
qui. Interventi invasivi per migliorare le prestazioni atletiche sono stati
compiuti anche sui giocatori di baseball, per incrementare l'efficacia dei
muscoli del braccio. Il lavoro dei medici si concentra sul legamento
collaterale ulnare, all'altezza del gomito, che viene ricostruito per renderlo
più efficiente, e non solo per guarirlo da qualche trauma. Parte dal
presupposto che i giocatori di oggi puntano tutto sulla velocità della palla, a
discapito della finezza del lancio, ma così facendo sottopongono gli arti a
sforzi eccessivi, che alla fine accompagnano tutti allo stesso destino: la
chirurgia. Che ora diviene, appunto, doping chirurgico. Anche i polpacci, i
bicipiti e i tricipiti vengono "aiutati" con iniezioni di Synthol, sostanza
controversa, che migliora la prestanza muscolare, ma parrebbe appannaggio
soprattutto dell'estetica. Ne fanno uso i culturisti, dando vita, spesso, a corporature
innaturali e sproporzionate rispetto ad altri contesti anatomici. Lo sportivo
si sottopone a iniezioni intramuscolari che possono proseguire per settimane,
fino all'ottenimento del risultato desiderato. Ma si può andare incontro a problemi,
infezioni, ascessi e indebolimento dei nervi. Infine il futuro non può che
guardare al cervello, che comanda ogni nostro minimo gesto e naturalmente ogni
azione muscolare, e alla genetica. Si parla di stimolazione transcranica
elettrica o magnetica, di medicine da usare "consapevolmente" per
migliorare le prestazioni cognitive, e futuristicamente di strumenti che
potrebbero addirittura essere innestati nel cervello per aumentare le sue
potenzialità. E c'è il doping genetico, che intende intervenire sul Dna per
"ordinare" all'organismo di sviluppare determinati organi o
particolari muscoli utili a specifiche discipline sportive.
domenica 25 gennaio 2015
Occhi di falco e... copyright
Sicché oggi torno in prima pagina dopo mesi di latitanza.
Colgo occasione per ricordare ai lettori che la penuria di articoli dell'ultimo
periodo è semplicemente dovuto al fatto che per questioni di copyright tutti i
nuovi pezzi vengono pubblicati direttamente sul sito della Rivista della
Natura. Per continuare quindi a leggere di scienze, ambiente e antropologia,
l'indirizzo è il seguente: http://www.rivistanatura.com/
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