Un libro in uscita in questi giorni racconta cosa sarebbe oggi l'Italia se Garibaldi con i suoi Mille non fosse salpato dalla Liguria per la conquista del meridione. E riflette su un ipotetico futuro costruito sulla vittoria di un movimento indipendentista desideroso di riportare il Belpaese a prima del 1861. Un gioco curioso, ma anche una disciplina letteraria ben precisa chiamata ucronia, che fa delle ipotesi storiche il suo cavallo di battaglia
Regno di
Sardegna, Lombardo Veneto, Granducato di Toscana, Stato Pontificio,
Savoia, Regno delle Due Sicilie... È l'Italia del 1848, un Paese
diviso in numerose strutture amministrative, indipendenti e con
storie a sé stanti. Con l'inizio delle guerre di Indipendenza, però,
tutto cambia, in concomitanza con l'affermazione, soprattutto fra la
gente comune, del desiderio di unità nazionale. Nel 1860 l'evento
clou che apre definitivamente le porte al nuovo Stato italiano: la
Spedizione dei Mille. Giuseppe Garibaldi, soprannominato l'eroe dei
due mondi, con un manipolo di coraggiosi volontari salpa da Quarto,
in Liguria, alla volta della Sicilia, dove sbarca a Marsala. Assedia
Gaeta e conquista il Regno delle Due Sicilie, esiliando
definitivamente i borboni. L'Italia s'è desta, ma questa è la
storia che tutti conosciamo. Cosa sarebbe successo, invece, se le
cose non fossero andate così? Se Garibaldi, per esempio, si fosse
fermato a Marsala e i Savoia, anziché espandersi a sud, avessero
pensato di volgere le loro attenzioni alla Francia? E cosa
succederebbe oggi se un movimento indipendentista riuscisse a
spaccare l'Italia in due, riportandoci a prima dell'Unità?
Fantastoria, certo, ma è proprio da quesiti analoghi che è partito
Pasquale Chessa, giornalista culturale ed ex insegnante di Storia dei
fascismi presso l'Università La Sapienza di Roma, per scrivere il
suo ultimo saggio Se Garibaldi avesse perso (Marsilio
Editore), coinvolgendo i migliori storici italiani.
Un'Italia
divisa in due blocchi, nord e sud, separati dallo Stato Pontificio.
Vede così il Belpaese Giovanni Sabbatucci, cattedra di Storia
contemporanea alla Sapienza di Roma, senza l'epopea garibaldina.
L'Unità sarebbe dunque sopraggiunta più tardi, verosimilmente in
concomitanza con la fine della prima guerra mondiale, con il
riassestamento di gran parte dei confini degli stati europei.
Avrebbe, in pratica, seguito il destino di altre nazioni come la
Yugoslavia e la Cecoslovacchia. E se, invece, settentrione e
meridione fossero rimasti isolati anche in seguito al primo conflitto
mondiale? «Il piccolo Stato dell’Italia settentrionale si sarebbe
evoluto così da assomigliare alla Slovenia o all'Austria, ma senza
grandi successi politici», spiega Sabbatucci. «Mentre il Regno
delle Due Sicilie sarebbe diventato una sorta di Grecia, altrettanto
depresso, debole e con una forte dipendenza internazionale».
Diverso il
parere dello storiografo Mario Isnenghi, secondo il quale Garibaldi
non ha né vinto, né perso: di conseguenza non si può formulare
un'ipotesi attendibile su ciò che sarebbe potuto essere il futuro
italiano senza la missione garibaldina. Giudicando contradditoria
l'immagine storica dell'Eroe dei due Mondi, rimanda pertanto a
infinite possibilità di lettura e usi politici della sua memoria.
«Dal mio punto di vista il condottiero è stato politicamente
sconfitto, ma militarmente ha trionfato», rivela Isneghi. «Senza la
Spedizione dei Mille, presumibilmente, non ci sarebbe stato il
Risorgimento e quindi nemmeno l'Italia».
Parte prima,
invece, Emilio Gentile, docente di Storia contemporanea a Roma,
fantasticando sulla vittoria di Carlo Alberto nel 1848, contro il
maresciallo Radetzky, che, come è noto, non c'è stata. In questo
caso sarebbe stata possibile l'evoluzione di un grande regno
monarchico liberale dell'Italia del centro-nord, ma non quella
inerente i presupposti per la missione delle giubbe rosse: gran parte
degli italiani, infatti, sarebbe già stata soddisfatta e non avrebbe
fomentato ulteriori rivolte. «Piuttosto sarebbero potuti entrare in
conflitto Piemonte e Regno delle Due Sicilie», sottolinea lo
storico.
Questo è,
dunque, quel che sarebbe potuto accadere nel passato, ma nel
presente, che tipo di evoluzione avrebbe l'Italia se un leader
politico riuscisse a creare le premesse per la frammentazione del
Paese? Per Giuseppe Berta, professore di Storia contemporanea presso
l'Università Bocconi di Milano, difficilmente si potrà giungere a
un risultato simile, perché ci vorrebbe una forza internazionale
fortissima per raggiungere delle misure così drastiche, mantenendo
il consenso popolare. Per avallare la sua tesi fa un paragone con la
realtà belga. «Anversa è credibile perché è uno dei porti più
grandi d’Europa, cosa che ha richiesto degli sforzi immani»,
afferma Berta. «Si provino a immaginare gli stessi sforzi in Italia,
come cancellare dalla carta geografica delle località per fare dei
bacini come è accaduto, appunto, nelle Fiandre. Già questo scenario
ci dà la misura dalla sua scarsa credibilità».
Anche
Sabbatucci è sostanzialmente concorde con il collega, ritenendo il
ritorno a prima dell'Unità un'ipotesi assai remota. Fa riferimento a
una classe dirigente forte, appoggiata da un altrettanto solido
consenso popolare, situazione non riferibile alla realtà italiana
attuale: la Lega Nord viene, infatti, giudicata da Sabbatucci una
semplice azione di disturbo, che non ha niente a che vedere con la
capacità reale di una struttura o un organo in grado di mobilitare
le masse e condizionarle al punto da portarle a credere in
rivoluzioni così importanti. «Guardando ai numeri, d’altra parte,
la Lega non ha ottenuto successi sostanziali in nessuna grande città
del nord», precisa lo storico. «Con queste premesse, quindi, non
credo si possa riuscire a sfasciare un paese. È un’azione che in
negativo può fare parecchio, ma in positivo non può fare nulla».
Ma c'è
anche chi la pensa diversamente. Per Gentile, infatti, non è da
escludere la possibilità di “ritorno alle origini”, perché,
spiega «la follia umana, quando comincia a giocare con certe parole
di gravità estrema, come secessione, può sempre trovare un
gruppo di gente che, fanatizzata da questa idea, pensi di doversi
sacrificare per realizzarla». Con ciò lo studioso non si considera
affatto tranquillo, benché razionalmente incredulo dinanzi al fatto
che un domani possa verificarsi un summit fra il governatore del
Molise e il presidente della Cina.
Non è la
prima volta, comunque, che si fantastica su scenari storici
appannaggio dell'immaginazione. C'è addirittura una disciplina
letteraria specifica che si occupa di queste fantastorie:
l'ucronia. Nella Histoire de la Monarchie universelle: Napoléon
et la conquete du monde, per esempio, lo scrittore Louis
Geoffroy, fantastica sulla campagna di Russia napoleonica:
l'imperatore di Francia, anziché far ritorno a Parigi con la coda
fra le gambe, conquista Mosca e fonda un impero universale segnato
dai prodigiosi progressi della scienza e della tecnica. Nel 1931 lo
storico britannico John Collings Squire invita alcuni esponenti
dell'intellighenzia contemporanea, tra cui Winston Churchill, a
ricostruire ipotetiche trame storiche pubblicandole all'interno
dell'antologia Se la storia fosse andata diversamente (If
It Had Happened Otherwise). L'americano Philip K. Dick, nel 1961,
dà alle stampe La svastica sul sole: in esso ipotizza la
vittoria dei tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale, con il
mondo diviso in due blocchi geografici e amministrativi,
rispettivamente comandati da Germania e Giappone. Anche il letterato
Fred Allhoff affronta un argomento simile portando addirittura le
armate naziste a invadere gli USA: il libro si intitola Lightning
in the Night e viene pubblicato
sulla rivista Liberty Magazine.
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