Che
la scienza sia astrusa ai più, è noto. Tuttavia suona strano sapere che quasi
nessuno sia al corrente della molecola per antonomasia, quella che ci concede
la vita, e senza la quale ogni processo metabolico sarebbe impossibile.
Probabilmente molti ricondurrebbero la disanima al DNA, l’acido nucleico che
assicura la trasmissione dei caratteri ereditari e dà l’input alla formazione
delle proteine. Ma il DNA è una molecola complessa, costituita da tre parti
assemblate fra loro: uno zucchero a cinque atomi di carbonio (il
desossiribosio), un gruppo fosfato e una base azotata. La molecola di cui
stiamo parlando è, per la verità, più semplice; caratterizzata da uno scheletro
a base di atomi di carbonio, circondato da idrogeni e da gruppi ossidrilici
(idrogeno + ossigeno). È il glucosio, che avremo senz’altro sentito nominare,
ma di cui sappiamo poco o nulla. E invece parte tutto da qui. La vita è infatti
sbocciata perché a un certo punto le cellule hanno iniziato a bruciare glucosio
per ottenere energia. Che per la biologia dell’uomo significa correre, pensare,
scrivere, leggere. E via dicendo. Senza glucosio avremmo un’autonomia di poche
ore, pochi giorni al massimo. Oltre, ogni essere vivente superiore non avrebbe
scampo. Grazie al glucosio viviamo e prosperiamo. Ma se godiamo di questo
privilegio evoluzionistico, dovremmo dire grazie a quegli esseri viventi che
troppo spesso ignoriamo o riteniamo organismi di serie b: i vegetali. Non solo
i grandi alberi delle foreste, le sequoie millenarie e i tigli dei nostri
parchi; ma anche quelle insignificanti erbette che crescono lungo i cigli delle
strade: parietarie, soffioni, romici, piattelli, piantaggini. Così lontane dal
nostro immaginario da non conoscerne nemmeno i nomi. E invece dovremmo imparare
a ossequiarle con piglio filosofico perché in fondo, se esistiamo, è anche
grazie a loro. Che sanno ricavare qualcosa che a noi è precluso: il glucosio,
appunto. La fotosintesi clorofilliana significa esattamente questo: produrre
zuccheri e ossigeno tramite la conversione di molecole base come l’acqua e
l’anidride carbonica in strutture più complesse; sotto l’impulso fornito
dall’energia luminosa capace di scalzare gli elettroni della clorofilla
contenuta nelle foglie. La magia è compiuta. E non a caso i vegetali vengono chiamati
autotrofi, in grado cioè di ottenere il “tutto” dal “nulla”. I vertebrati se lo
possono sognare. A questa stregua sono molto più funzionali delle banalissime
alghe microscopiche come le diatomee. La nostra specie è all’ultimo stadio. In
termini evoluzionistici e per quel che riguarda la catena alimentare, infatti,
si parte da chi è in grado di produrre il glucosio, rendendolo disponibile agli
ultimi arrivati. Come? Semplicemente con l’alimentazione. E qui entra in gioco
il cervello appannaggio delle specie più progredite. Uomo, in primis. Pensiamo
a quel che accade tutte le mattine dopo la colazione. La prima ora lavorativa o
scolastica se ne va veloce, poi la seconda, al limite la terza. Ma alla quarta è
per tutti la stessa cosa: acquolina. Il cervello indica che le scorte di
glucosio sono esaurite e che se si vuole andare avanti a lavorare o studiare è
necessario rifornirsi di energia. Ed ecco lo snack di metà mattina o, già che
ci siamo, del pranzo. Sediamo la nostra fame per riequilibrare il livello di
zuccheri nel sangue che altrimenti manderebbe in tilt l’organismo. Il cibo che
introduciamo viene sminuzzato e veicolato nel circolo ematico attraverso
piccole estroflessioni intestinali, chiamate villi. Così le materie prime
possono raggiungere ogni distretto organico, ogni parte del corpo, confortando
la stretta relazione fra cellule e glucosio. Qui, grazie all’emoglobina, giunge
anche l’ossigeno, che aggredisce i carboidrati battezzando un lungo e
complicato processo sintetizzabile con una parola: catabolismo. Avviene in
tutte le nostre cellule, senza moriremmo. Il glucosio viene presto trasformato
in molecole via via più piccole, rimbalzando dal citoplasma (la parte della
cellula che contiene i vari organuli cellulari, ma non il nucleo), ai
mitocondri, la centrale energetica di un corpo cellulare. E il risultato è una
molecola altrettanto emblematica: l’ATP. Vagamente ricorda il nucleotide del
DNA, ma è contraddistinto da uno zucchero leggermente diverso (il ribosio) e da
tre gruppi fosfati. L’ATP è l’energia. Diventa ADP e consente ogni nostra
azione o pensiero. Ma il glucosio, paradossalmente, se troppo abbondante, può
determinare malattie. Dipende, infatti, da dove proviene. Quello introdotto con
la frutta è più salutare di quello che deriva dalla lavorazione industriale. E
come è noto c’è una stretta relazione fra zuccheri e una patologia tipica del
modernismo: il diabete di tipo 2. Diverso dal tipo 1, detto anche giovanile, e
dipendente dall’incapacità del pancreas di secernere insulina. Nel 2 l’accumulo
eccessivo di zuccheri cozza con l’adeguata assimilazione di insulina da parte del
sangue. La glicemia sale e oltre un certo livello scatena legami pericolosi fra
zuccheri e proteine, anticamera di gravi disordini metabolici. Insomma, è
doveroso riconoscere al glucosio il
ruolo chiave nella vita delle cellule, ma senza dimenticare che una semplice dieta
sbagliata può mettere a repentaglio processi biochimici che si sono instaurati in
milioni di anni.
Bruciare energia
Il
metabolismo varia da individuo a individuo, ed è quasi sempre delineato dalla
genetica. C’è chi consuma tutti gli zuccheri che ingerisce, e chi li accumula
provocando a lungo andare disordini legati al diabete e ai chili di troppo. In
parte, però, il fenomeno è influenzato dall’alimentazione. Broccoli, pomodori,
peperoni, mirtilli, aumentano il metabolismo. Alcuni hanno importanti
ripercussioni sulla salute. I broccoli favoriscono i processi depurativi e
migliorano l’attività intestinale. Contengono alte concentrazioni di boro, che
contribuisce alla fisiologia del tessuto osseo, spesso compromessa col passare
degli anni. La vitamina C è appannaggio degli agrumi; anch’essi raccomandati
nelle diete ipocaloriche. Il pompelmo, in particolare, influisce sul livello di
grassi nel sangue, abbassando il contenuto dei trigliceridi e del colesterolo
cattivo.
Questione di
calorie
Parlando
di biochimica e alimentazione, ricorre spesso il termine “caloria”. Con esso si
intende l’energia necessaria per incrementare di 1 grado centigrado la
temperatura di un chilogrammo di acqua (soggetta a una pressione standard di 1
atmosfera). Da qui partono tutte le considerazioni relative all’accumulo di
zuccheri e di grassi, in funzione del metabolismo. È chiaro, infatti, che l’aumento
di calorie è direttamente proporzionale al rischio di non essere in grado di
bruciare tutto ciò che introduciamo con l’alimentazione. Un grammo di
carboidrati, per esempio, sviluppa 3,5 kcal. Al top ci sono i superalcolici che
dal 2020 saranno, però, dotati di etichette riportanti il livello di calorie.
Com’è noto, infatti, non tutti i cibi e le bevande hanno questo obbligo. Ma la
Commissione Europea sta cambiando rotta e nel giro di pochi anni ogni prodotto
alimentare dovrà evidenziare i propri contenuti.
Il metabolismo
basale
Qualunque
sia, comunque, il regime dietetico osservato, va tenuto conto del cosiddetto
metabolismo basale che caratterizza ogni individuo. Si intendono tutte quelle
funzioni fondamentali come respirazione, battito cardiaco, attività renale… In
pratica tutto ciò che bruciamo anche senza volerlo, perché parte dei meccanismi
espressi dal nostro corpo per consentirci di vivere regolarmente. Risente della
termogenesi alimentare, che permette ad alcuni individui di mangiare senza
ingrassare; col beneficio di un accumulo superiore ai normopeso di molecole
chiamante catecolamine, adrenalina e noradrenalina; prodotte per contrastare il
calo di zuccheri. Può non essere facile stabilire il metabolismo basale perché
rischia di essere influenzato dalle azioni quotidiane. Per questo motivo le
analisi vanno condotte dopo dodici ore di digiuno e dopo una notte riposante.
Al bando anche farmaci e sigarette.
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