Sempre più spesso l’Europa si
affida al consumo di carbone per ottenere energia. È quanto emerge da
un’indagine effettuata dal Washington Post. Due i motivi di questo incremento:
la volontà di staccarsi definitivamente dalla dipendenza dall’energia nucleare,
e i prezzi bassi della materia prima estratta negli USA. Le stime relative ai
primi nove mesi del 2012, parlano di un aumento del consumo di carbone in
Europa del 26%. Fra i paesi maggiormente coinvolti dal fenomeno c’è la Germania che, dopo il
disastro nucleare di Fukushima, non ha più intenzione di affidarsi all’energia
dell’atomo, per ricorrere alle rinnovabili e, appunto, al carbone. Sulla stessa
linea l’Inghilterra, con un’impennata del consumo di carbone del 73%; a ruota
seguono molti altri paesi europei, fra cui Italia e Spagna; il Belpaese, in
particolare, segnala 7,2 tonnellate di carbone acquistato durante il range
temporale di analisi preso in considerazione dagli americani.
Ma rincorrendo il carbone, si
rischia di compromettere seriamente gli equilibri naturali del pianeta,
influenzando e peggiorando fenomeni climatici come l’effetto serra. Di questo
passo è difficile prevedere che si possa entro il 2050 affidarsi per l’80% alle
fonti rinnovabili, come previsto da gran parte dei paesi europei. L’America,
intanto, esulta, perché, al contrario, fa sempre meno ricorso al carbone,
affidandosi al gas. Però, come sottolinea David Baldock, direttore esecutivo
dell’Institute for European Environmental Policy di Londra, c’è poco da
rallegrarsi, visto che soddisfa i criteri ambientali locali, ma li peggiora nei
paesi dove spedisce le proprie materie prime. Il problema è che le centrali
elettriche a carbone inquinano pesantemente l’ambiente, causando altissime
emissioni di gas serra.
La notizia divulgata dal WP
incuriosisce perché normalmente si è soliti associare l’utilizzo sconsiderato
del carbone a paesi come l’India o la Cina.
E invece, ora, tocca anche ai paesi super sviluppati. Ma c’è
chi tende a smorzare i toni, sostenendo che il ritorno al carbone sarà solo
momentaneo, uno stratagemma per giungere all’impiego definitivo di fonti
alternative. Ne sono convinti Justin Guay del Sierra Club e Lauri Myllyvirta di
Greenpeace International. Entrambi sottolineano un’evidenza che conforta: in nessun paese europeo si stanno
costruendo nuove centrali a carbone. Si prevedeva la realizzazione di 112
centrali nel 2008; in realtà ne sono andate in porto solo 3; 73 progetti sono
stati ufficialmente abbandonati. Tuttavia fa notizia l’avvio della nuovissima centrale
a lignite tedesca da 2.200 MW, di proprietà RWE, a Colonia. Ma anche in questo
caso gli esperti rassicurano gli ambientalisti, dicendo che è sorta solo per
sostituire quella da 2.400 MW che andrà presto in pensione.
Comunque andranno le cose, quel
che è certo è che in questo momento il 39% dell’energia elettrica mondiale è
fornita dal carbone. Nel 2009 la produzione complessiva è stata di sei miliardi
di tonnellate, con un incremento del 2,5% rispetto al 2008. In Italia le cose
vanno un po’ meglio che altrove, considerato che la produzione di energia
elettrica proviene per il 60% dal gas naturale e per il 20% dalle rinnovabili.
Fra i maggiori consumatori di carbone c’è la Cina che, secondo BP Statistical Review of Word
Energy, incide sull’ambiente più di ogni altro paese: nel 2011 ha sfruttato 1839
milioni di TEP (tonnellate equivalenti di petrolio), per far funzionare i
propri impianti di energia elettrica, bruciando carbone per trasformare l’acqua
in vapore e far funzionare le turbine per l’ottenimento di energia meccanica. L’India
segue a ruota. Stando, infatti, alle conclusioni di uno studio condotto dalla
multinazionale Citigroup, il paese asiatico importa almeno 120 milioni di
tonnellate di carbone ogni anno.
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