E' il frutto di un test elaborato una ventina di anni fa, utilizzato oggi per la prima volta su un campione di migliaia di persone. Così è stato possibile verificare un'attitudine umana favoleggiata da sempre, ma mai presa davvero in considerazione: la lettura degli occhi. Non si tratta di un test d'iridologia, bensì della capacità empatica di alcune persone di saper leggere le espressioni del volto per capire come sta l'altra persona, cosa sta pensando e quali potrebbero essere le sue prossime mosse. L'Università di Cambridge è giunta alla conclusione che tutti, più o meno, hanno questo dono: ma è verosimilmente molto più spiccato nelle donne. I test rivelano infatti che sono principalmente loro a mostrare una perfetta corrispondenza fra il luccichio di uno sguardo e l'emozione che da esso trapelerebbe. Varun Warrier, a capo della ricerca, parla del «più grande studio mai effettuato sull'empatia cognitiva».
Un test molto semplice,
caratterizzato da fotogrammi che illustrano esclusivamente le aree oculari di
alcuni volti presi come campione. I partecipanti alla sperimentazione hanno
dovuto valutare la risposta emotiva del modello analizzato. E, in effetti, è
emerso che le donne azzeccavano quasi sempre la risposta corretta, gli uomini
molto meno. Perché? La risposta risiede nell'evoluzione umana e nei ruoli che
maschio e femmina hanno avuto nel corso della storia (e della preistoria). La
donna si è sempre occupata dei figli; i maschi della caccia. Evidentemente per
le donne è stato necessario diventare abili nel saper "diagnosticare"
le emozioni altrui, per corrispondere adeguatamente alle esigenze della prole.
In fondo, accade ancora oggi. Le donne - checché se ne dica - sono (e saranno) sempre
e comunque molto più esperte degli uomini a interpretare i messaggi dei più piccoli;
perché sanno leggere perfettamente i loro sguardi, senza dover decifrare parole
e sillogismi.
Va peraltro tenuto conto del fatto che psicologia e medicina, un
tempo, non erano contemplate, e dunque le uniche possibilità per capire come
stava dal punto di vista emotivo una persona, erano quelle legate all'innata
capacità di decrittare correttamente un'occhiata o una particolare espressione
del viso. C'è pertanto di mezzo la genetica; perché a monte di questo studio
gli scienziati di Cambridge hanno isolato un gene particolare posto sul
cromosoma 3; o meglio, una variante di questo gene, esplicitamente legata alla "lettura
degli occhi". Il cromosoma 3 è molto grande e rappresenta il 6,5% del DNA
complessivo di una cellula. Possiede più di mille geni e duecento milioni di
nucleotidi (componenti base del DNA rappresentate da uno zucchero a cinque
atomi di carbonio, una base azotata e un gruppo fosfato). E dunque è coinvolto
in molte funzioni organiche. Per esempio nella determinazione del colore dei
capelli. Il gene MITF presente nel cromosoma 3 attiva specifici enzimi che
producono due tipi di melanina, pigmento alla base dei diversi tipi di chioma.
Ma
il cromosoma 3 è soprattutto legato a una zona del cervello chiamata striato,
che sarebbe coinvolta nell'empatia e nella capacità di comprendere le esigenze
e le emozioni dei nostri interlocutori. Il gene selezionato è stato battezzato
LRRN1, tuttavia i ricercatori indicano l'empatia come il frutto di un mix di
fattori concernenti lo sviluppo di una persona: «L'empatia ha una base
senz'altro genetica», rivela Thomas Bourgeron, che ha contribuito alla ricerca,
«ma vanno anche valutati i contesti sociali ed educativi di un individuo e
soprattutto le esperienze vissute nei primi anni di vita». Altro campo di
indagine è quello delle patologie. Malattie come l'autismo, espressamente
legate all'incapacità di sapere leggere le emozioni altrui. E non è un caso che
nei test effettuati le persone colpite da questa patologia siano state anche
quelle più in difficoltà nel sapere dare una giustificazione all'espressione di
un volto. Risultati interessanti si sono ottenuti anche nel campo dello studio
dell'anoressia, fra i disturbi alimentari più diffusi. Il futuro?
Capire come
quest'attitudine sia distribuita nella popolazione mondiale e comprendere i
meccanismi che si celano dietro ai rapporti interpersonali e alla sopportazione
dello stress. L'empatia, infatti, aiuterebbe anche a combattere ansie e
frustrazioni. Lo dimostrano gli studi di Sarina Rodrigues della facoltà di
Psicologia all'Oregon State University. Secondo la scienziata la tendenza ad
arrabbiarci e a infastidirci per qualcosa, potrebbe essere sopportata meglio se
fossimo in grado di leggere le richieste che trapelano dagli occhi degli altri.
E fa degli esempi. Al cinema, due giovani sgranocchiano dolci, rompendo il
silenzio della sala, disturbando i vicini; ma l'opinione di chi viene
disturbato cambierebbe sapendo che i ragazzi mangiano solo per contenere la
rabbia derivante da una recente delusione amorosa. Dipende, insomma, dal punto
di vista dell'osservatore; che potrebbe, appunto, mutare radicalmente, se imparassimo
a essere più empatici.
Esercizi
empatici
Un suggerimento
per imparare a diventare empatici: ascoltare il proprio battito cardiaco (senza
premere le arterie). E' la proposta di Geoffrey Bird, ricercatore
dell'Università di Oxford. Il test ha coinvolto 72 volontari; che sono stati
invitati a contare i battiti del proprio cuore e poi a valutare le espressioni
di volti che comparivano su alcuni video. I più bravi a enumerare la sequenza
dei battiti erano anche quelli più abili a interpretare i pensieri altrui. Si
tratta di un processo chiamata "enterocezione". Con esso si impara
innanzitutto ad ascoltare se stessi, per arrivare poi a comprendere chi ci
circonda; basandosi sulla fisiologia comandata dall'ipotalamo, parte
fondamentale del cervello.
Il
pensiero altrui? Si impara leggendo
Ma per
migliorare l'empatia ci si può affidare anche a una tecnica molto meno
sofisticata: la lettura. Stando infatti alle conclusioni di una ricerca
effettuata presso la New School for Social Research di New York, le abilità
empatiche sono direttamente proporzionali al tempo speso leggendo. E' vero
soprattutto per ciò che riguarda la lettura dei romanzi di finzione. Il
lettore, infatti, può immedesimarsi nella parte del protagonista, imparando
senza rendersene conto a calarsi nei panni altrui. Una tecnica che protratta
nel tempo, può effettivamente giovare alla capacità di sapere intuire ciò che
un interlocutore sta elaborando a livello cerebrale. I risultati più
interessanti sono stati ottenuti sui bimbi delle elementari.
L'empatia
animale
E nel regno animale? Pare improbabile, eppure l'empatia è verificabile anche in specie cognitivamente meno progredite della nostra. Sono state condotte delle sperimentazioni sulle arvicole delle praterie (Microtus ochrogaster), animali simili ai criceti, e si è visto che anche in esse è viva la capacità di "comprendere" le "emozioni" di altri componenti della famiglia. Lo studio pubblicato dai ricercatori dello Yerkes National Primate Research Center della Emory University, asserisce che esiste in questa specie l'attitudine a consolare i "parenti" afflitti da malattie o altri disagi, favoriti dall'incremento dei valori dell'ossitocina, ormone non a caso battezzato "dell'amore".
E nel regno animale? Pare improbabile, eppure l'empatia è verificabile anche in specie cognitivamente meno progredite della nostra. Sono state condotte delle sperimentazioni sulle arvicole delle praterie (Microtus ochrogaster), animali simili ai criceti, e si è visto che anche in esse è viva la capacità di "comprendere" le "emozioni" di altri componenti della famiglia. Lo studio pubblicato dai ricercatori dello Yerkes National Primate Research Center della Emory University, asserisce che esiste in questa specie l'attitudine a consolare i "parenti" afflitti da malattie o altri disagi, favoriti dall'incremento dei valori dell'ossitocina, ormone non a caso battezzato "dell'amore".
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