sabato 31 marzo 2018
L'universo di Hawking
L’ultima considerazione sul cosmo la espresse pochi giorni
fa, indicando che prima del Big Bang non ci fosse nulla. Si auspicano infatti
altre tesi, ma nell’intervista effettuata per il programma Star Talk dice
chiaramente che il tempo non avrebbe avuto senso di esistere prima della grande
esplosione che portò alla formazione dell’universo, circa 13,6 miliardi di anni
fa; perlomeno non nella forma con cui noi siamo soliti valorizzarlo. E per esprimere
questa tesi non ha rinunciato ancora una volta alla sua proverbiale fantasia e
ironia: “Non c’è nulla a sud del Polo Sud, quindi non c’era niente prima del
Big Bang”. Il Big Bang, appunto. Da qui infatti partono gli studi di Stephen
Hawking per capire il significato dell’universo, ricerche che gli hanno fatto
compagnia dai tempi dell’università fino alla cattedra di Cambridge che ha
gestito dal 1979 al 2009. Secondo Hawking tutto ha avuto inizio con il Big Bang
e ha fine con i buchi neri, concetto riconducibile a una lettura trasversale
delle teorie einsteniane. In particolare, il suo grande contributo alla
scienza, arriva da una scoperta che porta il suo nome: la radiazione di
Hawking. Occorre una piccola premessa. Far sposare la relatività einsteniana e
la meccanica quantistica (in pratica l’infinitamente grande con l’infinitamente
piccolo) non è cosa facile. Le leggi che regolano il moto dei pianeti cozzano
con quelle che giustificano il comportamento degli atomi. I buchi neri sono
corpi galattici capaci di inghiottire ogni cosa, anche la luce. Ma lontano dal
loro cuore è possibile prevedere un concetto che in qualche modo fa sposare
gravità e quantistica. Tecnicamente il riferimento è alla “teoria quantistica
dei campi nello spazio-tempo curvo” che può essere spiegata con l’intuizione di
Hawking. Lo scienziato afferma che anche i buchi neri sono in grado di produrre
una radiazione luminosa. Tuttavia non si tratterebbe dell’emissione vera e
propria di un buco nero, bensì di particelle virtuali che per un meccanismo
quantistico divengono tangibili a causa della forza di gravità. Cosa significa?
Vuol dire che i buchi neri sono molto più complicati di quello di credevamo e
che non è vero che sono davvero capaci di divorare ogni angolo di materia;
anzi. La verità è che anch’essi disperdono energia, tanto da poter un giorno
sparire del tutto o addirittura “evaporare”. Da qui parte la “teoria del
tutto”. Gravità e quantistica vanno a braccetto, sottoforma di particelle e
antiparticelle, in corrispondenza del cosiddetto “orizzonte degli eventi”: il
punto dello spazio-tempo limitrofo al buco nero che separa i posti da cui
possono sfuggire segnali, da quelli da cui niente può “scappare”. E’ stato
formulato da Hawking in compagnia di un altro gigante dell’astrofisica, Roger
Penrose, dell’Università di Oxford. La conclusione è che l’orizzonte
degli eventi è sottoposto a continua espansione. Fenomeno che ricorda uno dei
paradigmi fondamentali della fisica: l’entropia. Con questo termine si designa
il grado di disordine di un sistema; (si può pensare a un uovo che cade e si
rompe, passando da una condizione di ordine a una di disordine, soggiacendo
all’incontrovertibilità del tempo). L’universo si comporterebbe nello stesso
modo: si espande all’infinito e diviene sempre più disordinato, come accade con
l’orizzonte degli eventi: il più bel regalo che Stephen Hawking potesse
lasciarci in eredità.
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