mercoledì 26 dicembre 2018
Tsunami in Indonesia: ecco i motivi
Il riferimento è a una delle aree
sismiche più sensibili del pianeta: quella che mette in comunicazione Sumatra
con l’isola di Giava. Qui la piattaforma della Sonda, una sorta di
prolungamento dell’Asia continentale, si scontra con la placca del Pacifico, formando
e distruggendo nuova crosta terrestre. Secondo un principio consolidato che
spiega la genesi dei continenti, maturato dallo scienziato tedesco Alfred
Wegener nel 1912. In particolare, il vulcano battezzato Anak Krakatau (figlio
del Krakatoa), è quel che rimane di una gigantesca esplosione vulcanica
avvenuta nel 1883; e che causò un boato udibile fino a 5mila chilometri di
distanza, generando uno tsunami con onde alte quaranta metri, in grado di
raggiungere la velocità di 300 chilometri all’ora. L’episodio di ieri è stato
meno imponente, ma comunque catastrofico. Con onde alte venti metri e probabili
frane sottomarine. Non si spiegherebbe altrimenti il silenzio dei sismografi
che inizialmente avevano suggerito un generico innalzamento del livello marino,
riconducibile a un comune evento mareale. E invece non è stato così. Non ci
sono ancora conferme, ma di fronte a un simile aumento del livello delle acque,
il problema potrebbe essere imputabile proprio a movimenti rocciosi
sottomarini, non registrati dai sismografi. O addirittura potrebbe essere stata
la combinazione simultanea di entrambi i fenomeni, alta marea e frana
sottomarina, affiancati da una condizione atmosferica favorevole al movimento
delle acque verso la terraferma. La tesi della frana sottomarina è sposata
anche dagli scienziati della Sapienza di Roma; che riferiscono di un caso
simile registrato nel 2002 alle pendici dello Stromboli, nel Tirreno, con onde
alte dieci metri; provocato appunto dal collasso di materiale roccioso. Parrebbe,
in compenso, escluso l’evento sismico. Gegar Prasetya, cofondatore del Tsunami
Research Center, in Indonesia, asserisce che sabato non ci sia stato alcun
terremoto, e che dunque l’unico responsabile dell’evento naturale potrebbe
essere il vulcano Anak Krakatau. “L’eruzione deve avere reso instabile i pendii
del vulcano, e probabilmente un fianco della montagna è crollato su se stesso”,
dice Prasetya. E non si esclude che eventi del genere possano essersi
verificati nel passato recente, quando le coste non erano ancora occupate da
abitazioni. Controverso il parere di Rudi Suhendar, responsabile dell’Agenzia geologica
dell’Indonesia. Secondo lo scienziato non c’entrano né il terremoto, né il
vulcano, ma solo le condizioni metereologiche. Si appella al fatto che negli
ultimi giorni sia caduta nel sud est asiatico molta pioggia, che potrebbe avere
in qualche modo innescato l’onda anomala. In queste ore, proprio a causa del
maltempo, stanno proseguendo con fatica le ricerche, per dare un senso a questo
nuovo episodio catastrofico in una zona già pesantemente martoriata dalle
bizzarrie della natura. Rimando non solo al clamoroso boato di fine Ottocento,
ma anche a continui fenomeni tellurici ed eruttivi che contraddistinguono il
vulcano dagli anni Cinquanta a oggi. Si stima che la montagna cresca di tredici
centimetri alla settimana; confermando il grande dinamismo della crosta
sottostante. Influenzata dai movimenti del mantello, che comunicano con
l’esterno attraverso moti convettivi, che spingono verso l’alto il magma. Dal
2007 si può dire che il vulcano non stia fermo un attimo. Liberando in
continuazione gas, ceneri e lapilli. Da tempo gli scienziati suggeriscono di
mantenersi ad almeno tre chilometri di distanza dal vulcano. Ieri, l’ultima
drammatica sentenza dell’Anak Krakatau.
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