La presenza di dolore cronico in un punto del corpo modifica la rappresentazione e la percezione che il nostro cervello ha dello spazio intorno a quel punto. È il risultato ottenuto dalla ricerca “Neglect-like tactile dysfunction in chronic back pain”, apparsa sul sito della rivista Neurology. Dai risultati degli esperimenti sembra che ciò che accade all’esterno di una parte del corpo interessata da dolore sia processato più lentamente, come se il dolore modificasse le variabili spazio e tempo percepite dal cervello. Il lavoro è stato condotto da un gruppo di neuro-scienziati che fa capo a tre istituti: l’Università di Milano-Bicocca la University of South Australia e il Neuroscience Research Australia. Gli esperimenti sono stati fatti in Australia su tre gruppi di dodici pazienti affetti da mal di schiena cronico unilaterale, patologia scelta perché molto diffusa e perché tra le più costose in termini di mancata produttività stimata in miliardi di dollari ogni anno per i soli paesi occidentali. I ricercatori hanno applicato dispositivi elettromeccanici che producono vibrazioni tattili in tre punti del corpo dei pazienti: su una mano sana, sul punto dolente della schiena e su un altro punto del corpo sano. Quindi, hanno presentato due identici stimoli vibratori su due di queste aree e hanno notato che gli stimoli vengono processati dal cervello più lentamente se provenienti dall’area dolorante rispetto a quelli provenienti dalle aree sane. I ricercatori hanno inoltre rilevato che se la mano sana viene posizionata vicino alla parte del corpo dolorante anche gli stimoli provenienti dalla mano vengono processati più lentamente. La conclusione alla quale sono giunti gli studiosi è che se una mano è tenuta vicina all’area dolorante, il cervello quasi ‘neglige’ quella mano. «Non è tanto sorprendente che in pazienti affetti da dolore cronico ci siano cambiamenti nel modo in cui il cervello processa l’informazione proveniente dalla parte del corpo dolorante – spiega il professor Lorimer Moseley della University of South Australia -, quello che invece stupisce è che tale problema sembra avere a che fare con lo spazio che circonda il corpo oltre che con il corpo in sè». «L’apparente similarità tra i nostri risultati e la distorsione spazio-temporale predetta dalla teoria della relatività - aggiunge il ricercatore Alberto Gallace, psicobiologo dell’Università di Milano-Bicocca - è sicuramente qualcosa di molto intrigante per uno scienziato. Nel fenomeno osservato nel nostro studio la distorsione in questione non riguarda lo spazio fisico esterno ma piuttosto la capacità del nostro cervello di rappresentare correttamente tale spazio all’interno dei suoi circuiti neurali. Questa scoperta ci apre nuove prospettive nella ricerca del modo in cui il cervello interagisce con il mondo esterno e, in particolare, nel modo in cui questa interazione può essere alterata dalla presenza di dolore cronico». La scoperta potrebbe aprire interessanti prospettive in campo terapeutico per lo sviluppo di nuove cure del dolore basate su aspetti spaziali. «Che vi sia un’interazione tra dolore e variabili spaziali – conclude Gallace – era già emerso in una recente ricerca dell’Università di Milano-Bicocca e dello University College di Londra sulla riduzione del dolore incrociando le braccia. Anche se, in quel caso, il fenomeno era stato registrato su dolore provocato in modo artificiale su soggetti sani».
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