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Uno dei principali fenomeni
provocati dall'effetto serra riguarda lo scioglimento dell'Artico. Alcuni
geologi ambientali prevedono, entro pochi decenni, di poter attraversare in
lungo e in largo il Polo Nord. Per prevenire la scomparsa definitiva delle
distese glaciali c'è, dunque, chi propone ingegnose (e spesso bizzarre) opere
che possano in qualche modo mantenere “refrigerato” il Polo, stabilizzando nel
tempo la tenuta dei ghiacci. Una delle idee più interessanti è stata da poco
avanzata da Stephen Salter, studioso dell'Università di Edimburgo, convinto di
poter costruire sulle isole Faroe o su quelle che sorgono in prossimità dello
stretto di Bering, delle gigantesche torri in grado di creare nuvole artificiali.
Come? Utilizzando l'acqua del mare.
Salter si rifà all'architettura
dei paesi delle basse latitudini, che contempla le tinte cromatiche più calde,
bianco soprattutto, in virtù della loro capacità di respingere i raggi del
sole. Allo stesso modo ritiene che si possa fare con le nuvole, offrendo delle
superfici ideali per riflettere la luce solare e con essa il calore. Le torri,
montate su un'apposita intelaiatura galleggiante, avrebbero il compito di
assorbire l'acqua del mare per spruzzarla in punti precisi del cielo: le
piccole goccioline d'acqua salata fungerebbero da nuclei di condensazione
ideali per la genesi di nuovi corpi nuvolosi che determinerebbero un calo delle
temperature e la salvaguardia dei ghiacci. «Si pensa alla progettazione di cinquanta
piattaforme in grado di rilasciare trenta chilogrammi al secondo di acqua
nebulizzata», dice Salter, «spendendo per ognuna, prevedibilmente, qualche
milione di dollari. Lo scopo non sarebbe quello di abbassare la temperatura su
scala globale, ma mantenere perlomeno quella attuale, già compromessa
dall'attività umana».
Salter ha avanzato la sua proposta
anche al Parlamento londinese, nella speranza che gli amministratori della
metropoli possano favorire questa sua iniziativa da lui stesso definita “geo-ingegneristica”.
Del resto il problema non riguarda solo lo scioglimento dei ghiacci ma anche i
grossi rischi legati alle ingenti quantità di metano presente nel cuore
dell'Artico; e che potrebbero danneggiare ulteriormente l'atmosfera e il clima
a livello mondiale. Perdite di metano a causa del clima impazzito si stanno già
registrando in molti punti del permafrost siberiano che, liberatosi dalla
coltre glaciale, consente alla sostanza gassosa di raggiungere gli strati
atmosferici: una ricerca da poco pubblicata su Science parla di otto milioni di
tonnellate di molecole di metano che si liberano annualmente nell'aria in
questo punto del pianeta. Lo stesso problema si sta verificando in Alaska, dove
- secondo un articolo pubblicato su Nature Geoscience - il rilascio di gas
serra parrebbe del 50% superiore alle stime fatte fino a oggi.
Il metano ha un impatto ancor più
devastante dell'anidride carbonica sull'andamento climatico, con un potenziale
di riscaldamento globale venti volte superiore a quello del biossido di
carbonio. Gli studi affermano che è responsabile del 18% dell'incremento
dell'effetto serra. La sua alta capacità di trattenere calore dipende dalla
struttura chimica che lo contraddistingue, una molecola asimmetrica dotata di un
atomo di carbonio e quattro idrogeni, ottimale per immagazzinare le radiazioni
infrarosse provenienti dalla superficie terrestre. Prerogativa condivisa,
peraltro, con altri gas serra come l'ossido nitroso e gli idrofluorocarburi.
Non tutti i climatologi, però,
condividono la proposta di Salter. Per alcuni, infatti, le opere di
geo-ingegneria potrebbero avere gravi ripercussioni sul pianeta, partendo dal presupposto
che nessuno può prevedere con certezza ciò che accadrebbe a livello
meteorologico. Inoltre una soluzione del genere avrebbe solo una funzione palliativa:
servirebbe a curare una situazione difficile, ma non a guarirla.
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