Un calciatore, un ciclista, un tennista, qualunque sportivo sottoposto alla azione di particolari sostanze chimiche (doping) è in grado di ottenere prestazioni eccellenti, senz’altro migliori di quelle dei rispettivi colleghi. Tuttavia, come è noto, le cosiddette “sostanze proibite” non si possono prendere: dai controlli si viene infatti a sapere tutto e poi scattano multe e squalifiche. Ma se uno stratagemma fosse in grado di far credere all’organismo di essere dopato - tanto da indurlo a performance altrettanto straordinarie - senza di fatto esserlo, che cosa succederebbe? Probabilmente il calciatore, il ciclista o il tennista a cui accennavamo prima, avrebbe sempre la meglio sugli altri atleti, in pratica vincerebbe quasi sempre, senza correre alcun rischio di essere colto in flagrante, poiché di fatto non ha trasgredito alcuna regola. Un’utopia? Non proprio. Stando infatti ai risultati di uno studio effettuato da ricercatori dell’università di Torino, guidati da Fabrizio Benedetti, sarebbe possibile giungere a questi risultati semplicemente somministrando (iniettando) a uno sportivo una sostanza qualunque (inerte), dicendogli però che ha effetti medicamentosi, e che, in particolare, è in grado di fornirgli energia fisica in sovrappiù. È dunque il classico effetto placebo che però in ambito sportivo non era mai stato testato. Con questo termine – dicono gli specialisti – si indica la risposta dell’organismo a una terapia che non deriva dai principi attivi in essa presenti, bensì dalle attese di un individuo; in altre parole, l’effetto placebo è la conseguenza del fatto che un malato – specie se è positivamente condizionato da precedenti e benefici trattamenti - si aspetta o crede che la terapia funzioni, indipendentemente dalla sua efficacia reale. Stando agli studi fin qui compiuti sull’effetto placebo si stima che quest’ultimo possa in media funzionare nel 30 percento dei casi; un numero enorme se si pensa che ci riferiamo a 30 persone su cento che, praticamente, guariscono da una certa malattia – o da un particolare dolore o cattiva sensazione - senza assumere alcuna medicina. Secondo gli esperti l’effetto placebo è soprattutto efficace per il trattamento del dolore fisico, della depressione, dell’ipertensione e dell’ulcera. Per altre malattie come le infezioni o i tumori non esistono invece prove che funzioni. La ricerca torinese, in particolare, è stata divulgata sulle prestigiose riviste NewScientist ed Economist e ha visto il coinvolgimento di 40 persone, divise in 4 squadre. Gli scienziati hanno diviso i partecipanti al test in due gruppi. A un gruppo sono state somministrate (intramuscolo) per vari giorni sostanze chimiche come la morfina; all’altro non è stato dato nulla. Giunto il giorno dei test, al gruppo trattato con i vari principi attivi, è stata iniettata una sostanza inerte, facendogli credere però che fosse identica a quella assunta i giorni precedenti e potenzialmente in grado di predisporre a performance migliori. Infine si sono misurati i parametri fisici relativi alla resistenza fisica e al dolore nei due gruppi e si è scoperto che gli sportivi sottoposti a effetto placebo erano quelli con un rendimento decisamente migliore; in pratica, se si fossero giocate delle partite vere – a calcio, a tennis, a pallacanestro – il gruppo degli sportivi sottoposti a effetto placebo avrebbe avuto maggiore probabilità di vincere. Conclusione: secondo i ricercatori torinesi anche in questo caso l’effetto placebo è efficace e dunque si potrebbe pensare di rinforzare le prestazioni degli sportivi non dopandoli, ma semplicemente facendogli credere di essere stati dopati.
Intervista a Fabrizio Benedetti, del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Torino.
Cosa si intende per effetto placebo?
L’effetto placebo consiste nella semplice constatazione scientifica che, se si dà a un gruppo di malati una sostanza innocua (il placebo) spacciandola per un farmaco efficace, un certo numero degli ammalati ne trarrà beneficio; cioè la ‘terapia’ avrà effetti benefici reali.
È possibile che questo fenomeno possa verificarsi anche negli atleti?
È prevedibile supporre che possa accadere la stessa cosa anche in ambito sportivo. Qui, in particolare, si determina in un atleta un effetto doping, senza usare il doping.
Altri studi contemplano l’impiego dell’effetto placebo?
Sì, ci sono molti studi nuovi sul placebo e la sfida attuale è quella di capire dove (in quali malattie) e come (con che meccanismi) l’effetto placebo avviene.
Si parla anche di malattie come il morbo di Parkinson?
Nel Parkinson l'effetto placebo è molto pronunciato ed è dovuto ad un rilascio di dopamina nel cervello. Nel 2004, in un lavoro su Nature, avevamo dimostrato che un placebo modifica l'attività di singoli neuroni nel cervello del paziente parkinsoniano.
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