Si chiama anuptafobia e corrisponde alla paura patologica, esagerata, di rimanere single, di non riuscire cioè a trovare un partner con il quale costruire un rapporto importante e magari formare una famiglia. Fa parte delle cosiddette ‘nuove fobie’ comprendenti anche la quasimodofobia (paura di non avere un corpo perfetto), la biofobia (terrore che la vita sulla Terra sia irrimediabilmente a rischio), l’oicofobia (timore di subire intromissioni nella propria vita privata). Il disagio colpisce soprattutto gli over 30, ma non sono esclusi i giovanissimi. Nella società in cui viviamo i malati di questa fobia sono in costante aumento. E ciò pare dovuto a fenomeni di isolamento sociale, favoriti da tratti comportamentali peculiari. L’anuptafobico è spesso un individuo che fa fatica a stringere amicizie, ha scarsa fiducia nelle proprie capacità, e vive complessi di inferiorità. “Secondo recenti teorie la patologia potrebbe anche essere il risultato di una condizione di protratto legame con la famiglia d’origine: l’ammalato percepisce più o meno lucidamente la forza del vincolo che lo unisce ai genitori, talvolta idealizzati, ma, sempre più spesso, realmente benestanti e irraggiungibili sul piano socio-economico e culturale – spiegano dei ricercatori dell’università di Milano -. I genitori giocano quindi un ruolo narcisistico tenendo legato a sé il figlio o la figlia, esprimendo giudizi severi e stroncanti sul candidato, mai in possesso del requisito giusto. In altri casi c’è invece una reale difficoltà a trovare l’anima gemella dettata da un’ideale di partner vivo solo nella propria immaginazione”. I sintomi del male sono quelli tipici delle fobie e comprendono ansia, panico e sindromi depressive. Durante un attacco acuto di anuptafobia possono poi comparire sudorazione, tachicardia, paura di morire. Spesso la malattia ha una andamento ciclico. A periodi di relativo benessere si interlcalano periodi di profonda prostrazione. Tante volte ciò coincide con momenti particolari come la festa di San Valentino, le festività natalizie, le vacanze estive, e le feste di compleanno. Terapie? La letteratura scientifica non offre molti spunti sulle terapie da adottare per far fronte alla anuptafobia. È comunque fondamentale che il sintomo venga inquadrato da un terapeuta esperto e trattato in modo integrato e tempestivo. Da sottolineare che le terapie a orientamento dinamico o cognitivo comportamentale (psicoterapie brevi che durano anche meno di un anno) offrono i vantaggi di un sollievo significativo a breve termine e una buona possibilità di risoluzione di problematiche più complesse collegate. I farmaci sono soprattutto utili per curare i momenti di crisi acuta, ma devono sempre essere associati alla psicoterapia.
Ma è vero che l’anuptafobia riguarda anche i belli? Assolutamente sì. La bellezza è un fattore soggettivo. Sicché una persona può essere oggettivamente bella, ma non piacersi. E viceversa un bruttone può benissimo ricordare un vanesio. Quando incontriamo una persona non siamo quasi mai colpiti dalla sua avvenenza, ma da qualcosa di più profondo, nascosto nelle pieghe del carattere, e nelle espressioni del viso. Dunque una persona oggettivamente poco gradevole può piacere più di un belloccio; mentre il bello può non essere in grado di mettere in luce il meglio di sé e non essere in grado di rapportarsi agli altri. Va poi tenuto presente che, tante volte, il fatto di ritenersi brutti è una specie di scappatoia: in questo modo si evita l’impegno che il mettersi in relazione con gli altri comporta.
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