Fra i mali che affliggono
l'ambiente ce n'è uno che pare inesorabile e irreversibile: è la frammentazione dei territori. Un
fenomeno che sta mettendo a dura prova molte specie animali; specialmente
quelle di grossa taglia. E' stato recentemente compiuto un lungo lavoro che ha
permesso di evidenziare le specie più a rischio fra i mammiferi. I test
compiuti dagli scienziati della Colorado State University, in Usa, evidenziano
uno stretto rapporto fra la frammentazione degli habitat e il collo di bottiglia. Con quest'ultimo termine si intende il livello
minimo oltre il quale una popolazione non può scendere: indica il numero
degli esemplari che la compongono e che sotto una certa soglia è indice di
estinzione. Il colpevole? L'uomo. «Per la prima volta nella storia della Terra,
una sola specie, la nostra, domina il globo», racconta Kevin Crooks, professore
presso il Dapartement of Fish, Wildlife, and Conservation Biology. «Ma tanto
più noi siamo connessi e uniti da infrastrutture, tanto maggiori sono i
problemi arrecati alle altre specie».
Lo studio s'è concentrato sulle
relazioni precise fra stato di frammentazione di un determinato territorio, e
impatto specifico su una particolare specie. Così è stato possibile sviluppare il primo inventario che cataloga le specie
in pericolo in relazione all'impoverimento dei territori; caratterizzato da
mappe geografiche illustranti i punti precisi in cui l'impatto antropico è più
difficile da gestire. Due le considerazioni principali: lo sviluppo urbano e la deforestazione. La crescita delle città è
direttamente proporzionale al depauperamento genetico delle specie, e alla
riduzione della biodiversità; e analogamente, la deforestazione, priva gli
animali di corridoi sicuri attraverso i quali muoversi da un territorio
all'altro. Crooks ha citato l'esempio dei leoni di montagna, nei primi del
Novecento diffusi in tutti gli Stati Uniti, ma oggi molto più rari. La caccia
indiscriminata li ha fortemente ridimensionati, e ora la frammentazione del
territorio sta facendo il resto. Non si sa quanti ce ne siano (anche perché
sono animali molto schivi, difficili da censire), tuttavia si è consci dell'impossibilità
che hanno di muoversi liberamente per il continente, e dell'incremento del
fenomeno di l'imbreeding (incrocio fra consanguinei); anticamera di sterilità e malattie genetiche.
Va poi tenuto conto di un altro
aspetto, ossia la necessità delle specie di migrare da una latitudine
all'altra. Il cambiamento climatico, infatti, ha portato molte specie a
muoversi verso nord, ma la frammentazione dei territori risulta un ostacolo
insormontabile; e l'animale che vive in un contesto climatico che non gli è
congeniale, alla fine, può solo estinguersi. Soluzioni? «E' un problema che va
affrontato su larga scala», dice Crooks, «prima che nuove specie scompaiano per
sempre». Si parla dunque di connettività, auspicando interventi che possano, se
non ripristinare gli ambienti del passato, almeno fornire dei
"passaggi" per muoversi da una zona all'altra senza dover fare i
conti con la firma dell'uomo. «I
corridoi per la fauna selvatica», clonclude Crooks, «ne parliamo da tempo, ma
ora è arrivato il momento di agire».
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