martedì 24 ottobre 2017

Pipenet, e la posta arriva a casa con un drone


Se ne parlò per la prima volta una decina di anni fa, grazie alla lungimiranza di un team di scienziati dell'Università di Perugia; di Pipenet, un sistema di trasporto ad altissima velocità, costituito da tubi sotto vuoto dove capsule prive di attrito possono trasportare merci leggere fino 1500 km/h. Ottima idea, ma di fatto poco utilizzabile, per il problema "dell'ultimo miglio", vale a dire la difficoltà a recapitare buste e pacchi presso i singoli domicili. Ora, però, lo scoglio sembra essere superato grazie a una nuova interessante proposta: i droni. Sono velivoli che viaggiano senza il pilota, controllati da un computer di bordo. Secondo Franco Cotana, a capo del progetto, «i droni preleveranno le merci da Pipenet per consegnare il pacchetto o la spesa fin sopra al nostro balcone». Come? 

Attraverso un motore elettrico, e una sorta di droniporto posizionato su ogni ballatoio o terrazzino, pronto ad accogliere le macchine volanti. «Le nostre case saranno attrezzate con una mini area di "atterraggio"», rivela Cotana, «mentre i droni si muoveranno in un raggio compreso fra 2 e 3 chilometri». Dunque il binomio Pipenet e droni permetterà di realizzare, per merci leggere inferiori ai 5 chili, un trasporto rapido e con consegna a domicilio. Per pesi maggiori fino a 30 o 50 chili la tubazione dovrà, invece, arrivare fino alla consegna finale, ma in questo caso si tratterà di fabbriche o attività imprenditoriali. Le tubazioni, infatti, continueranno a rappresentare il nocciolo del sistema di trasporto. «Grazie a esse sarà possibile trasportare merci per grandi distanze», continua Cotana, «anche per migliaia di chilometri». 

Un sistema ingegnoso che permetterà di rispettare l'ambiente, con un impatto sul territorio minimo: «Le tubazioni di Pipenet, con un diametro di circa un metro», dice Cotana, «si potranno installare anche sotto il mare o in affiancamento a ferrovie ed autostrade. La merce viaggerà per chilometri e chilometri, restituendo, grazie all'attrito, oltre il 70% dell'energia spesa per accelerare le capsule». In meno di un'ora un pacco potrà coprire la tratta Reggio Calabria-Milano, risultato che nemmeno il trasporto aereo può garantire. Con grandi risparmi in tempo e denaro. Gli scienziati hanno, infatti, calcolato un risparmio complessivo di circa il 40% rispetto al tradizionale trasporto stradale. Un esempio pratico: per recapitare un paio di tonnellate di materiale da Roma a Firenze sono necessari 225 grammi di petrolio, cifra che crollerebbe a 86,4 grammi se il riferimento è Pipenet. Il sistema basa in pratica la sua azione su una tecnologia simile a quella predisposta per il Maglev, il noto treno a levitazione magnetica realizzato a Shanghai dai rappresentati della ThyssenKrupp, una ditta tedesca; ma in questo caso, anziché trasportare le persone, recapita posta, e prevedibilmente alimenti, vestiti, pezzi di ricambio, medicine. 

L'aria all'interno delle tubature è prelevata da apposite pompe, liberando da qualunque "resistenza" il passaggio della merce. Cotana prevede l'installazione di quattro tubazioni, due in una direzione e due in un'altra, così da poter coprire in pochi anni le principali "rotte" nord-sud, est-ovest. Situazione attuale e programmi futuri? «Parteciperemo ai bandi Horizon 2020 per realizzare un impianto dimostratore  completo,  partendo dall'ampliamento del prototipo in scala reale già realizzato a Terni. Altri sviluppi futuri riguarderanno inoltre l'interfacciamento con i droni che rappresentano oggi la piu interessante prospettiva a beve e medio termine per le molteplici applicazioni nelle città intelligenti». 

mercoledì 18 ottobre 2017

L'oro delle stelle di neutroni


Di nuovo l'interferometro Ligo, in Usa, e quello di Virgo, in Italia. Di nuovo antenne hitech puntate verso il cielo, in grado di captare le onde gravitazionali, apoteosi del pensiero einsteniano; confermato per la quinta volta in pochi mesi, e reso noto nel corso della conferenza Internazionale della National Science Foundation tenutasi a Washington ieri pomeriggio. Ma questa volta raccontano una storia mai vista: lo scontro fra due straordinari oggetti cosmici, le stelle di neutroni. E' il segreto di un'onda diversa, dove anche la luce sottoforma di raggi gamma è riuscita nel suo intento di raggiungere la Terra per dare il via ufficialmente a una nuova pagina dell'astronomia. «Un fenomeno da lasciare a bocca aperta», ha detto Craig Wheeler, dell'Università del Texas, negli Stati Uniti. E c'è un ghiotto presupposto: l'esistenza all'interno delle stelle di neutroni d'incommensurabili quantità d'oro. 

Una stella funziona grazie a particelle chimiche che vengono costantemente bruciate generando energia. Le stelle bruciano innanzitutto gli elementi più leggeri della tavola periodica: idrogeno ed elio. Quando si arriva al carbonio, sesto elemento della tavolozza di Mendeleev, significa che la stella è ormai prossima al collasso: ha bruciato tutto l'elio e attende che la temperatura arrivi a un numero colossale (6 x 10 elevato all'ottava gradi Kelvin), per disintegrare anche gli atomi di carbonio innescando reazioni a catena, che sulla Terra sarebbero impensabili. D'altra parte succede solo con le stelle più massicce, molto più grandi del nostro umile sole. Dove si può anche arrivare alla fusione del neon, quindi dell'ossigeno e così via. Il concetto è chiaro. Ma dal fenomeno, fino a oggi, si pensava rimanessero esclusi i cosiddetti metalli pesanti. 

Elementi come il platino (numero atomico 78), l'oro (numero atomico 79), e addirittura l'uranio di numero atomico 92; con un numero notevole di particelle come protoni, neutroni ed elettroni. E invece, punto a capo. Non è così' e lo scontro fra due stelle di neutroni prova che anche nello spazio possono formarsi metalli pesanti; e quindi vere e proprie miniere di preziosi che purtroppo possiamo solo immaginare; perché l'evento si è verificato a 130 milioni di anni luce da noi, non proprio dietro l'angolo se si pensa che per raggiungere la stella a noi più vicina, Proxima Centauri (a 4,2 anni luce di distanza), occorrerebbero 110mila anni. Un po' come emerse all'indomani della scoperta (nel 2014) della prima stella di diamanti, una nana bianca di undici miliardi di anni, individuata dagli esperti dell'Università del Wisconsin-Milwakee, negli Usa. Resta, dunque, il mistero di questi oggetti spaziali che producono nuvole di oro e platino a iosa, e che da oggi conosciamo meglio grazie ai risultati degli interferometri. Cos'è esattamente una stella di neutroni? 

E' un corpo celeste che è giunto alla fine dei suoi giorni. Non come il sole, ma molto più grande e massiccio. Le stelle come il sole, infatti, di piccole o medie dimensioni, quando esauriscono tutto il loro "carburante", si trasformano in giganti rosse, prima di rilasciare i gas prodotti nello spazio e ridursi a una nana bianca, e infine a una nana nera (unico oggetto cosmico, con i buchi neri, che può solo essere teorizzato). Le stelle di neutroni, invece, collassano su se stesse, e il gradino successivo è quello del buco nero, che spetta esclusivamente agli astri in assoluto più grandi dell'universo; come Canis Majoris, con un raggio stellare 1420 volte più grande di quello solare. In questi oggetti cosmici le pressioni che si verificano all'interno della stella morente sono così elevate da far perdere i connotati alle tradizionali strutture atomiche, basate sulla relazione fra elettroni, protoni e neutroni. Gli elettroni carichi negativamente si fondono con i protoni carichi positivamente, formando nuovi neutroni, che non hanno carica elettrica. Ma a questo punto la stella non ha più nulla a che vedere con il gigantesco astro che emanava luce per ogni dove; perché nel frattempo è diventata piccolissima, pur conservando la sua eccezionale massa. 

Per intenderci basta pensare che una caratteristica stella di neutroni può avere la massa del sole, ma misurare meno di trenta chilometri di diametro, né più né meno come uno dei tanti asteroidi che ruotano fra Marte e Giove. Tradotto in modo ancora più efficace, significa considerare una zolletta di zucchero con una massa pari a quella di tutta l'umanità. Sono comunque caldissime, fino a dieci milioni di gradi, ma emettono molta meno luce e per "fotografarle" occorre azionare un radiotelescopio. Così infatti venne scoperta la prima stella di neutroni. Fu una donna, Jocelyn Bell, leggendaria astrofisica di Cambridge, tenuta fino a quel momento un po' in disparte dall'intellighenzia astronomica costituita perlopiù da esponenti maschili, nel 1967. Un segnale davvero strano e la "stella radio pulsante", che ruotava su se stessa a incredibile velocità, battezzò la nascita di un nuovo paradigma astronomico: la pulsar. 

venerdì 6 ottobre 2017

Nobel 2017: premiate le onde gravitazionali


Qualche tempo fa si parlava di onde gravitazionali, e della nuova prova che conferma la validità delle teorie di Einstein. Oggi, dunque, si torna sull'argomento. Perché gli scienziati coinvolti nello studio si sono aggiudicati il Premio Nobel per la Fisica 2017. Uno di questi è Barry Barish, 81 anni, nato a Omaha, negli Stati Uniti; poi professore emerito al California Institute of Technology e membro del Comitato Scientifico del GSSI Gran Sasso Science Institute a L'Aquila. Sì, Italia. E dunque, possiamo esultare un po' anche noi: c'è qualcosa del nostro Paese dietro a questa prestigiosa vittoria. Perché le prove dell'esistenza delle onde gravitazionali, dopo le osservazioni del 2015 effettuate con l'antenna americana Ligo, si sono ripetute ad agosto di quest'anno, grazie all'azione dell'italianissima antenna Virgo; un interferometro che si trova a due passi da Pisa, risalente al 2003. 

Due buchi neri si sono scontrati (per un fenomeno noto con il termine di coalescenza) e hanno consentito agli scienziati di registrare ancora una volta un segnale di onde gravitazionali. Due anni fa la notizia della loro scoperta fece molto scalpore, ma in pochi compresero il significato del fenomeno. Il riferimento è a "increspature" dello spazio-tempo; immaginabili pensando a un immenso tappeto di gomma che viene deformato dal contatto con qualunque tipo di oggetto dotato di una massa. O si può pensare a una biglia che scivola su un telo deformandolo. Einstein aveva ipotizzato la loro esistenza, ma fino ai giorni nostri non era stato possibile verificarlo con le apparecchiature a disposizione. Oggi invece le onde gravitazionali possono essere "viste", e studiate; ed è sempre meno oscuro il motivo della loro straordinaria velocità e della "firma" che le contraddistingue raccontandoci le "memorie" del cosmo. Un traguardo molto importante per la fisica, e per chiunque ami riflettere filosoficamente sul trascorrere del tempo. 

Un invito a considerare ancora più significativa la teoria della relatività di Einstein, e a imparare a contestualizzare il succedersi delle ore, in rapporto alle condizioni in cui ci si viene a trovare. Motivo per cui la fisica oggi trionfa. Parlando, dunque, anche italiano. «E' stata premiata la globalità della scienza», dice Federico Ferrini, direttore dell'Osservatorio Gravitazionale Europeo. Perché è davvero il frutto di un connubio fra fisica, tecnologia e cosmologia. E apre nuovi scenari per quel che riguarda l'applicazione di strumenti hitech di ultima generazione che potranno fare luce sui tanti misteri che ancora circondano l'universo. E di nuovo sulle onde gravitazionali. «I telescopi dell'Istituto Nazionale di Astrofica (Inaf) stanno già lavorando per ottenere le prime "immagini" delle loro sorgenti», afferma Nichi D'Amico, presidente del centro italiano. Con Barry Barish, ci sono anche Kip Thorne (77 anni) e Ray Weiss (85 anni). Il primo, berlinese, lavora da sempre al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e ha diritto al 50% del Premio; il secondo, americano di Logan, dopo la laurea a Princeton, ha occupato la cattedra di fisica teorica al California Institute of Technoloy (Caltech), e si è aggiudicato l'altra metà con Barish. 

Ma sono tantissime le persone che hanno lavorato con questi tre luminari per gratificare ancora una volta le intuizioni einsteniane. Il Nobel per la Fisica 2017 non può infatti prescindere dai 1500 fisici provenienti da tutto il mondo (di cui 200 italiani) che hanno contribuito a comprendere la natura delle onde gravitazionali. E da oggi, dunque, sarà lecito pensare in grande. E pensare a Lisa, il gioiello dell'Esa, che vedrà la luce nel 2034; e basandosi sull'azione di tre satelliti, potrà scandagliare le onde gravitazionali provenienti da sistemi di stelle binarie presenti nella nostra Via Lattea. 

domenica 1 ottobre 2017

Un verme illustra il nostro cammino evolutivo


Sappiamo bene di avere in comune prerogative fisiologiche con le scimmie, i mammiferi, in generale, qualcosa con i rettili, gli uccelli e perfino i pesci, ma scoprire che parte della nostra biologia è assimilabile addirittura a un verme marino, fa quantomeno riflettere. Stando infatti alle ricerche condotte da un team di scienziati del Laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg, in Germania, esiste un ormone che avvicina "fileticamente" la nostra specie a quella del Platynereis dumerilii; è un anellide policheta, considerato alla stregua di un fossile vivente, a suo agio in ambienti "primitivi" e con caratteristiche anatomiche che rimandano a creature di milioni di anni fa. Gli scienziati hanno identificato una relazione stretta fra la melatonina umana e quella di alcuni organismi planctonici. 

Di essa la specie Platynereis dumerii se ne serve per "programmare" gli spostamenti e le migrazioni marine. Agisce, infatti, come una specie di orologio che indica quando è giunta l'ora di muoversi verso la superficie, dove abbonda il cibo, e quando, invece, è arrivato il momento di tornare in profondità, per sfuggire ai pericolosi raggi ultravioletti. "La melatonina in questi vermi marini ordina il da farsi ai neuroni", dice Maria Antonietta Tosches, a capo dello studio, "un po’ quel che accade nell'uomo durante il ritmo sonno-veglia". Da qui si intende ora partire per comprendere nuove dinamiche dell'evoluzione umana, consapevoli del fatto che il cammino evolutivo delle specie viventi rimanda a un unico antenato comune, forse proprio Luca, l'Archea con cui condividiamo enzimi risalenti a miliardi di anni fa. 

Scimmie più longeve grazie all'amicizia


Si sa da tempo che l'amicizia e le relazioni sociali rappresentano cardini fondamentali per una vita lunga e serena: aumentano, infatti, le risposte immunitarie dell'organismo e, in generale, si ha un miglioramento globale delle condizioni di salute. Vale per l'uomo, ma anche per gli animali, perlomeno quelli più evoluti, simili alla nostra specie anche dal punto di vista genetico. L'ultima prova è dimostrata da uno studio condotto su oltre duecento babbuini di sesso femminile delle pianure meridionali del Kenya. Si è visto che gli animali più socievoli e abituati a vivere in stretto contatto con altri individui, vivono in media due o tre anni in più rispetto agli altri. Si sapeva che fosse una prerogativa dei clan di primati (ma anche dei ratti e dei delfini), ma è la prima volta che una ricerca si concentra sulle relazioni fra individui di sesso opposto, confermando l'importanza delle relazioni sociali sotto ogni punto di vista. 

Nei dettagli è emerso che le femmine che socializzano con altre femmine corrono il 34% di rischi in meno di morire; percentuale che sale al 45% se si considerano gli esemplari coinvolti in rapporti fra sessi differenti. Secondo Susan Alberts, della Duke University, la socializzazione nel campo dei primati, può essere ricondotta al pettegolezzo umano, spesso bollato di un significato negativo, ma molto utile per cementare i rapporti, consolidare punti di vista e facilitare nuove esperienze. Grazie a essa i babbuini resistono di più alle malattie e sono maggiormente in grado di beneficiare di risorse di cibo e di acqua.