giovedì 8 novembre 2018

L'intelligenza delle piante


È già difficile dare un senso all’intelligenza umana, figuriamoci a quella delle piante. Tuttavia è proprio qui che intendono arrivare i ricercatori, all’indomani di un articolo pubblicato dalla rivista specializzata Trends in Plant Science. Secondo gli esperti, infatti, il mondo della piante risente dell’antropocentrismo ed è quindi vittima di pregiudizi che affondano le loro radici agli albori della ragione umana. Gli animali, e quindi l’uomo, sì, i vegetali no. La pensavano così anche i greci. Le piante? Stanno ferme, non emettono suoni, non si lamentano, sono più simili a un cristallo di quarzo che non a un essere in grado di compiere un vero metabolismo. Ma oggi le cose stanno cambiando, al punto che è nata una nuova disciplina: la neurobiologia vegetale. Ahia. Primo step che lascia attoniti. Neuro deriva da nervo e come è noto gli alberi non possiedono nervi; come è possibile parlare di intelligenza vegetale? Il problema è che non esiste una certificazione o una legge, che possa chiarire dal punto di vista scientifico il concetto di intelligenza. Da quello prettamente biologico, di fatto, intelligente è la specie che riesce ad adattarsi meglio e a sopravvivere per più tempo; scongiurando colli di bottiglia che possano assottigliare il numero degli individui anticipando l’estinzione. Noi viviamo da poco più di 40mila anni. Difficile dire se, rispetto all’universo che ci circonda, siamo davvero intelligenti. Certo, nessuno come noi ha saputo muoversi meglio sul territorio, sfruttandolo a proprio piacimento, basando l’avanzamento tecnologico su paradigmi matematici, e fisico-chimici di tutto riguardo, che nessun’altra specie saprebbe mai imitare. Tuttavia i dubbi permangono. E solo fra migliaia di anni avremo la risposta autentica al nostro operato. Intanto sappiamo che senza le piante noi non potremmo esistere (loro invece sì): compiono la fotosintesi clorofilliana, la reazione chimica più importante del mondo naturale, da cui dipendono praticamente tutti gli esseri viventi. E siamo pure consapevoli di batteri che vivono sul pianeta imperterriti da milioni di anni: non sanno fare le equazioni, ma possono vivere a temperature e pressioni inaudite, dove nessun animale potrebbe resistere. Dunque, tornando al problema iniziale, ci sarebbe davvero da rivedere il concetto di intelligenza e ammettere che quella umana è ascrivibile solo al nostro piedistallo evoluzionistico. Ecco il perché della neurobiologia vegetale; e del perché le piante, ormai in grado di rivelarci alcuni dei loro segreti, stiano arrivando a conquistare ciò che gli spetta di diritto da sempre: un posto fra gli esseri intellettualmente più emancipati. Non hanno neuroni, non possiamo calcolare il loro QI, ma se affidiamo l’intelligenza a una logica più trasversale, che tenga conto soprattutto di aspetti ecologici, allora sì, ci tocca affermare che anche qui c’è qualcosa di importante. Il neurone è una cellula altamente specializzata, tipica degli animali; l’hanno perfino gli insetti. Funziona grazie a diramazioni particolari, gli assoni e i dendriti, e alle interazioni sinaptiche che consentono la trasmissione dell’impulso nervoso. Nelle forme più evolute, noi, la complessità è tale da regalarci il più bel presupposto della capacità cerebrale: il pensiero. Nei vegetali non c’è nulla di tutto ciò, ma c’è dell’altro di cui non sappiamo quasi nulla. Per esempio si è visto che i pomodori crescono bene se hanno vicino il basilico, che contrasta la crescita delle infestanti. Ma come fanno a crescere comunque bene se peperoni e basilico vengono completamente isolati al punto da non poter scambiare nessun segnale chimico? C’è dell’altro, è evidente. E gli studiosi della University of Western Australia, ne sono convinti: i vegetali comunicano fra loro mediante segnali acustici. Dunque, le piante “parlano” e “sentono”, benché nessuno sappia dire come. Mentre è stato appurato che possono produrre acido salicilico o acido jasmonico per avvisare dell’attacco di un parassita; sintetizzare composti allelochimici (che coinvolgono specie appartenenti a regni diversi) in grado di attrarre insetti che possano contrastare un fitofago particolarmente aggressivo. Ma allora dove si nasconde l’intelligenza delle piante? Nelle radici? Potrebbe essere un’idea. Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, paragona la fisiologia del sistema radicale a internet. Ogni apice radicale è capace di dialogare con qualunque altro distretto organico del vegetale; e se la pianta perde più del 90% delle sue diramazioni ipogee, riesce comunque a lavorare; di contro non esiste cervello che possa fare altrettanto se “mozzato” di una parte. Sugli apici radicali si era soffermato anche Charles Darwin, sostenendo che in questo punto fosse rintracciabile il “cervello” delle piante. I neurobiologi vegetali riferiscono di “potenziali di azione” assimilabili a quelli espressi dai neuroni animali. E parlano della capacità degli alberi di produrre segnali elettrici per indicare variazioni di parametri fisici ambientali come la luce e la gravità. Di piante che secernano etilene e ossido nitrico per  vincere i periodi di stress. Insomma, se le piante vivono da quasi mezzo miliardo di anni, un motivo ci sarà. Chiamiamola, se vogliamo, intelligenza.

Buona Festa degli alberi
Forse non tutti lo sanno, ma dal 2000 esiste anche la Festa degli Alberi. Viene organizzata due volte l’anno, il 4 ottobre e il 21 marzo. E quest’anno è dedicata ai 22mila alberi monumentali d’Italia, piante che in alcuni casi arrivano a contare 4mila primavere. Come certi ulivi che crescono in Sardegna. L’Ulivo di Luras, in Gallura, è stato analizzato dagli studiosi dell’Università di Sassari; che ne hanno stabilito l’età compresa fra 2500 e 4mila anni. Fra gli alberi più interessanti e longevi anche il Platano dei 100 bersaglieri. Si trova a Caprino Veronese; le stime indicano che sia germogliato nel 1370. Deve il suo nome all’ipotesi che nella sua folta chioma si siano nascosti i bersaglieri per ingannare il nemico. Altrettanto leggendaria la Quercia delle streghe di Lucca. Arriva a seicento anni e la tradizione l’associa ai puntelli che si davano le fattucchiere per portare a compimento i loro malefici.

Robot impollinatori
Sa di fantascienza, ma ci sono studiosi che stanno lavorando davvero a questo scopo: dare vita a droni impollinatori per sopperire alla carenza cronica di api, in constante diminuzione in tutto il mondo a causa dell’inquinamento. Ci sta pensando, in particolare, il giapponese Eijiro Miyako, chimico dell’Istituto nazionale per la ricerca e lo sviluppo delle nanotecnologie, con sede in vari centri nipponici. Miyako s’è servito di un gel speciale permeato di pollini che ha poi innestato su micro-droni. È giunto a questi test dopo l’esito positivo di esperimenti condotti su formiche e mosche bio-ingegnerizzate, attrezzate di tasche per veicolare i prodotti delle antere.    

Piante biotech
Scienziati dell’University of Wisconsin-Madison, in Usa, hanno modificato geneticamente delle piante introducendo una proteina fluorescente proveniente da una medusa. Grazie alla sua presenza sarà possibile evidenziare le sostanze prodotte dal vegetale e comprendere meglio come erbe e alberi comunicano fra loro. I test basati sull’azione di un bruco che si nutre di foglie hanno permesso di evidenziare la capacità dei vegetali di produrre molecole di glutammato, che influenzano i livelli di calcio, necessari a proteggere la pianta dalla degenerazione dei tessuti. Le analisi condotte al microscopio aprono una nuova strada allo studio dell’intelligenza delle piante, da sempre considerato una specie di argomento tabù.