domenica 31 gennaio 2010

La rivincita dei poveri... ma felici

Non serve essere ricchi: l’ideale è guadagnare quel che basta e magari provare pure una certa dose d'invidia per chi guadagna di più. I più abbienti, infatti, si dicono soddisfatti, ma in realtà sono stressati, ansiosi e privi di spazi da dedicare a sé. Al contrario chi guadagna meno (ma sufficientemente per vivere), rivela di essere insoddisfatto e invece soffre meno stress, ansia e ha molto più tempo per divertirsi e stare con la famiglia. Sono le curiose conclusioni di uno studio effettuato da ricercatori di Princeton e pubblicato dalla rivista Science. Sembra una freddura eppure chi guadagna di più parrebbe meno felice degli altri. Gli studiosi hanno condotto la loro ricerca su un campione di 800 donne statunitensi. È emerso che le persone con alto reddito dedicano gran parte del loro tempo al lavoro, ai tour de force per i centri commerciali e alla cura dei figli, attività ritenute faticose, frenetiche, cariche di tensioni, e spendono soltanto il 19,9% della loro giornata in attività di svago come guardarsi un film o trascorrere una serata in compagnia di amici. Gli individui con un reddito inferiore dedicano invece il 34,7% della giornata al tempo libero, agli hobby o all’ozio, attività ritenute appaganti per la vita quotidiana.

"Voglio andare a vivere in campagna"

In questi giorni si sente spesso parlare dell'aria inquinata delle metropoli italiane, dove smog e polveri sottili hanno raggiunto livelli davvero preoccupanti. Sarà anche per questo che nell'immaginario collettivo si sta facendo largo sempre di più l'idea di 'tornare a vivere in campagna', parafrasando una celebre canzone di Toto Cotugno, risalente a metà degli anni Novanta. In realtà il fenomeno - come si evince da uno studio effettuato da Nomisma in collaborazione con il mensile Vita in campagna - è già in atto: la ricerca sarà presentata il 5 febbraio a Verona in occasione della prossima Fiera agricola. Secondo lo studio, infatti, sono in netto aumento i cosiddetti 'hobby farmer', contadini più o meno improvvisati che non possono fare a meno di trascorrere parte del loro tempo all'aria aperta, coltivando frutti e ortaggi. Il 39,4% è rappresentato da individui che hanno ereditato un terreno; il 36% da persone che hanno acquistato un appezzamento agricolo; il 3,4% da agricoltori amatoriali che hanno preso in gestione orti o frutteti. Al di là della volontà di trascorrere il tempo zappando e vangando, il motivo che spinge gli italiani a tornare a lavorare la terra, deriva anche dalla volontà di usufruire di prodotti freschi e genuini. Delle 4mila persone coinvolte nella ricerca, il 48,8% afferma di utilizzare il proprio appezzamento agricolo per produrre conserve; in percentuale minore i produttori di olio e vino. La coltivazione dell'orto è la pratica più gettonata (88,4%), seguito da frutteto e vigneto. Una tendenza salutare, confermata anche dalla scienza. Secondo gli esperti, infatti, dedicarsi al 'lavoro nei campi' può allungare la vita di vari anni. Una ricerca pubblicata sul British Medical Journal evidenzia che darsi da fare con gli attrezzi agricoli è come sostenere un'attività fisica di media intensità, l'ideale per le persone di mezza età. In questo modo cervello e fisico si mantengono più giovani, allontanando molti acciacchi dovuti all'invecchiamento. Da un po’ di tempo si parla anche di orto-terapia (da horticultural therapy), fenomeno nato nei paesi anglosassoni e oggi sempre più vivo anche da noi. Secondo gli scienziati il semplice fatto di trovarsi in mezzo alla natura rende felici: il contatto con i vegetali, infatti, infonde sicurezza e tranquillità. Lo psichiatra Benjaimin Rush non ha dubbi: la tendenza a 'tornare a vivere in campagna' è un fenomeno in crescita che andrebbe sempre e comunque assecondato.

venerdì 29 gennaio 2010

Pausa caffé? Assolutamente sì

Riabilitata la pausa caffè. Stando, infatti, alle conclusioni di uno studio effettuato a New York, questa abitudine fa bene alla salute, e in particolare al cervello. Gli scienziati spiegano che, quando si stacca per un break, si dà modo al cervello di riposare un po’, e di immagazzinare correttamente le informazioni accumulate nelle ultime ore. La ricerca pubblicata sulla rivista Neuron spiega dunque che non è solo durante la notte che il cervello si 'ricarica', ma anche quando ci si concede delle piccole pause lavorative, come quella, appunto, relativa all'usanza di abbandonare la propria postazione impiegatizia per andare coi colleghi a bere un caffè. In pratica compiendo questa banale azione si facilita l'attività mnemonica, eliminando le informazioni superflue, compiendo una specie di 'potatura' delle sinapsi inutilmente cariche di informazioni. Ricordiamo a tal proposito che ogni giorno siamo bombardati da circa 100mila parole, una cifra davvero impressionante, che mal s'accorda con la fisiologia del nostro organo cerebrale: è come se ogni giorno immagazzinassimo un tomo come 'Guerra e Pace'. A questi risultati gli scienziati sono giunti dopo aver sottoposto un campione di persone a risonanza magnetica funzionale e a un test in cui venivano mostrate delle fotografie.

(Pubblicato su www.milanoweb.com)

giovedì 28 gennaio 2010

L'anidride carbonica, vera responsabile degli attacchi di panico

Scienziati scoprono la vera causa degli attacchi di panico: l'anidride carbonica. Secondo gli studiosi dell'Università dell'Iowa, respirare grandi quantità di biossido di carbonio può incrementare notevolmente il rischio di essere colpiti da ansia parossistica. In realtà il legame fra anidride carbonica e panico era già noto, quel che, però, non era chiaro, è il meccanismo fisiologico che porta la CO2 a mandare in tilt il cervello. Stando alle conclusioni di Adam E. Ziemann, a capo dello studio, il processo con cui l'anidride carbonica agisce sul sistema nervoso è regolato da una proteina particolare denominata ASIC1a. Quest'utima si ritrova soprattutto nell'amigdala, zona cerebrale facente parte del cosiddetto sistema limbico, area del cervello concernente la regolazione delle emozioni e del comportamento. Gli scienziati - dopo vari test sui topi - hanno appurato che in presenza di CO2 le cellule del cervello diventano più acide, fenomeno che innesca l'entrata in azione della proteina ASIC1a, direttamente legata alle crisi di panico. La ricerca offre nuove chance per lo sviluppo di farmaci in grado di ostacolare una malattia che, solo in Italia, colpisce più di 3milioni di persone.

(Pubblicato su http://www.milanoweb.com/)

I sintomi principali di un attacco di panico, ben evocato dal famoso quadro di Edward Munch, 'L'Urlo'.

• Cefalea
• Confusione mentale (difficoltà nell'organizzare pensieri)
• Sudorazione
• Dolori al petto, palpitazioni
• Vertigini, stordimento, nausea, conati di vomito, senso di sbandamento
• Difficoltà di respirazione (dispnea), affanno
• Formicolio o intorpidimento alle mani, al viso, ai piedi o alla bocca
• Incapacità di comunicare a voce
• Nodo alla gola
• Rossore al viso e al petto o brividi
• Sensazioni di sogno o distorsione percettiva (derealizzazione)
• Dissociazione, la percezione che non si è connessi al corpo o perfino che si è disconnessi dal tempo e dallo spazio (depersonalizzazione)
• Terrore, una sensazione che qualcosa di inimmaginabilmente orribile sta per succedere e si è impotenti per prevenirlo
• Parti distali fredde e sudate (mani e piedi)
• Paura di perdere il controllo e fare qualcosa di imbarazzante o di diventare matti
• Paura di morire
• Paura e sensazione di svenire
• Sensazione di morte imminente
• Sensazione di lingua e bocca asciutta
• Tremori fini o a scatti
• Vampate di calore o brividi di freddo
• Pianto
• Sensazioni di rivissuto (deja-vu)

mercoledì 27 gennaio 2010

SCIMPANZE' ALLA REGIA

Oggi la BBC trasmetterà il primo film girato da scimpanzé. Protagonisti
11 scimmie che per 18 mesi hanno filmato ciò che accadeva all'interno di un
grosso recinto presso lo zoo di Edimburgo. Il documentario fa parte di uno
studio condotto da Betsy Herrelko, dell'Università di Stirling. La scienziata ha inizialmente mostrato agli scimpanzé le caratteristiche di una telecamera, facendogli capire soprattutto l'utilità del monitor su cui venivano fissate le immagini; dopodiché ha sviluppato uno strumento adatto ai primati, in grado di resistere agli urti e agli scossoni. Scimmie alla regia? È presto per dirlo, ma i ricercatori sono convinti che da questo studio potremo ricavare interessanti conclusioni sull'etologia e la neurologia degli scimpanzè.


Il video diffuso dalla BBC:


lunedì 25 gennaio 2010

A SCUOLA DI ODOROLOGIA

Bocca, ascelle, intestino, piedi. Sono le parti anatomiche maggiormente legate al cattivo odore, che spesso non sappiamo come contrastare. Ma oggi, grazie, all'odorologia, ne sappiamo molto di più, partendo dal fatto che i profumi potrebbero essere del tutto inutili: il vero obiettivo, infatti, dovrebbero essere i batteri, unici responsabili degli odori più fetidi. Mel Rosemberg, dell'Università di Tel Aviv, dice che i prodotti più maleodoranti sono quelli che derivano dalla demolizione delle proteine. Per esempio ci sono le ammine, particolari molecole di azoto, che sanno di ammoniaca e carne marcia. E c'è lo zolfo dal quale si può generare acido solfidrico, gas facilmente riconducile all'odore di uova marce. La passione di Rosemberg sono gli aliti pestilenti. Non per niente è il direttore del Journal of Breath Research. Sull'alito pesante, dunque, sa tutto, compresa la natura dei batteri che lo determinano. Il riferimento è ai batteri gram negativi. Le prove giungono dal laboratorio di Rosemberg: batteri di questo tipo sono stati, infatti, messi a contatto con un campione di saliva e si è visto che producono un odore nauseabondo. Ma le bocche puzzolenti potrebbero dipendere anche dagli alti livelli di beta-galatossidasi, enzima prodotto da batteri gram positivi che partecipano alla demolizione delle glicoproteine. Grazie a questi studi sarà presto disponibile il test "Si può baciare": basterà alitare su uno strumento apposito, per conoscere la realtà del proprio alito. Col colore blu, meglio astenersi da qualsiasi contatto. Ma non è solo l'alito a impensierire i nostri rapporti con il prossimo. Altrettanto nefasto può essere l'odore procurato dalla sudorazione ascellare. In tal caso gli esperti hanno messo in luce che, le ghiandole delle ascelle, a differenza delle altre sparse per il corpo, sono in grado di produrre una secrezione lattea particolare, contenente un alto numero di proteine. È il cibo ideale per i batteri che le attaccano provocando le esalazioni che tutti conosciamo. Sotto accusa batteri come lo Staphylococcus epidermidis che, a seconda dell'organismo preso di mira, può generare odori "rancidi", "caseosi", o "cipollosi". Oggi è stata sintetizzata una nuova molecola che potrebbe, però, essere in grado di risolvere il problema ascelle: si chiama beta-ciclodestrina e inibisce l'azione batterica. Il cattivo odore potrebbe derivare anche dai piedi, caratterizzati da un sudore acquoso contenente sostanze chimiche di cui i batteri vanno ghiotti, come l'urea e il glucosio. Senza contare le numerose cellule morte che contraddistinguono l'arto e che rimangono imprigionate per via dell'utilizzo di scarpe e calzini. Sull'argomento è particolarmente ferrata Michelle Cullen, podologa dell'Università di Salford, in Gran Bretagna. La scienziata spiega che "in un ambiente umido come quello che si viene a creare in una scarpa, si offre ai batteri il posto ideale dove vivere e moltiplicarsi". Soluzioni? Cambiare spesso le scarpe, e utilizzare calzini di tessuto misto, per esempio quelli composti da cotone e poliestere. Infine ci sono 'gli odori' rilasciati dall'intestino, i più terribili in assoluto. Secondo Glenn Gibson, microbiologo dell'alimentazione presso l'Università di Reading, la popolazione può essere suddivisa in due gruppi: "i puzzoni e gli infiammabili". I primi sono contraddistinti da batteri solfato-riduttori, che producono grandi quantità di acido solfidrico, spesso conseguenza di un'alimentazione a base di uova, pane e vino rosso. I secondi, invece, presentano un maggior numero di batteri produttori di metano. La fisiologia in questo caso determina lo sviluppo di flatulenze inodori (il metano, infatti, è inodore) ma fortemente 'infiammabili'. Buoni risultati per contrastare il problema sono stati ottenuti con un nuovo prebiotico chiamato B-Gos, o galatto-oligosaccaride dei bifido batteri. Assumendolo una volta al giorno si regola l'intestino e tutti i processi ad esso legati.

domenica 24 gennaio 2010

La crisi di mezza età non fa più paura

La crisi di mezza età? Non esiste più. Lo sostengono gli scienziati dell'Università di Tel Aviv, secondo i quali il meglio della vita arriva dopo i 40 anni. Carlo Strenger, uno degli autori dello studio, rivela che la crisi di mezza età è un concetto arcaico, legato a condizioni sociali ben diverse da quelle odierne: oggi, rispetto a 40 anni fa, si vive più a lungo, è migliorata l'assistenza medica, per tutti ci sono più chance di realizzare i propri sogni. In pratica gli esperti affermano che i primi 35 anni di vita servono per capire, imparare, vedere, e la restante parte dell'esistenza per vivere… nel vero senso della parola. Il termine mezza età - coniato per la prima volta nel 1965 da Elliott Jacques, psicoanalista canadese - ha dunque perso il suo significato originale. A 40 anni (nella foto il popolare attore americano Ethan Hawke, che proprio quest'anno compie 40 anni), anziché parlare di età di crisi, si dovrebbe parlare di età di transizione. "La crisi di mezza età è uno stereotipo", afferma Strenger, "Dopo i 30 anni le persone hanno ancora la parte migliore dell'età adulta davanti a loro. Se si fa un uso proficuo di quello che si è scoperto su se stessi nella prima metà della propria vita, la seconda metà può essere più appagante". La notizia cozza con quella diffusa poco tempo fa dai ricercatori dell'Università di Warwick. Secondo gli studiosi inglesi la crisi di mezza età è, invece, un concetto attualissimo, benché non più riferibile alla fatidica entrata negli 'anta'. La ricerca ha coinvolto 2milioni di persone distribuite in 70 paesi del mondo. Dai test è emerso che, indipendentemente dal sesso, dalla nazionalità e dal manage familiare, a 44 anni il quadro psicoemotivo di un individuo subisce un crollo. Secondo il professor Oswald - che ha condotto lo studio - dalla crisi di mezza età si esce dopo i 50 anni, e a 70 anni, se si ha la fortuna di godere di buona salute, è come avere vent'anni.

sabato 23 gennaio 2010

Scoperte le origini del mercato globale

Il mercato globale? È iniziato nel XVII secolo, grazie alle frodi e alla disonestà dei capitani al comando delle navi della Compagnia britannica delle Indie Orientali. Lo studio condotto dai ricercatori della Columbia University, basato sull’analisi approfondita dei diari di bordo e dei registi portuali, ha preso in considerazione 4752 viaggi compiuti tra il 1601 e il 1833. Da essi emerge che, per un periodo relativamente lungo, capitani e marinai utilizzarono furbescamente le navi della Compagnia per sviluppare traffici a proprio vantaggio. Una volta giunti al porto di destinazione, invece di tornare direttamente in patria, toccavano, infatti, numerose altre località dell’Asia, creando progressivamente e inconsapevolmente una serie di mercati interconnessi, via via sempre più importanti. “Le attività illecite dei capitani assoldati dalla marina inglese – dicono gli studiosi – sono culminate in una rete di infrastrutture che in seguito sfuggirono al loro stesso controllo. Tuttavia è stato proprio grazie a questo imperfetto controllo della Compagnia sulle navi e sui loro marinai che, nel lungo termine, la corona britannica ha potuto accumulare la sua grande ricchezza”. Costituita nel 1600, la Compagnia britannica delle Indie Orientali si assicurò, grazie alle navi della marina mercantile e alle numerose stazioni commerciali in tutti i continenti, il monopolio degli scambi con l’Asia, l’Africa e l’America. Nel Settecento acquisì anche potere politico, ma all’inizio dell’Ottocento, perduto il monopolio del commercio con l’India, la Compagnia conobbe un graduale declino che si accentuò quando, nel 1857-1858, le rivolte locali persuasero il governo di Londra ad assumere direttamente l’amministrazione del paese. La Compagnia cessò la sua attività nel 1874.

venerdì 22 gennaio 2010

PIANTE MIMETICHE

Si pensava che il mimetismo fosse una prerogativa degli animali. In realtà si è scoperto che il fenomeno riguarda anche le piante. Recentemente degli studiosi dell'Harvard University hanno, infatti, verificato che ci sono dei vegetali in grado di 'cambiare colore' per sfuggire a potenziali predatori. Il riferimento è a una rara specie del sottobosco, 'Monotropsis odorata' (nella foto), incapace di compiere fotosintesi, ma in grado di ricavare sostentamento da un fungo con cui vive in simbiosi. Secondo i ricercatori guidati dal botanico Matthew Klooster - le cui conclusioni sono state riportate dalla rivista "American Journal of Botany" - la pianta è caratterizzata da fusti e boccioli alti 3-5 centimetri, colorati di rosso vivo e circondati da strutture, le brattee, che seccando, assumono una colorazione marroncina, cambiando radicalmente la 'livrea' del vegetale e confondendo i predatori. In pratica si è visto che la pianta - riflettendo la luce come il substrato su cui cresce - si uniforma all'habitat passando inosservata. La conferma dell'attività mimetica di questo vegetale si è avuta rimuovendo le brattee della pianta. In questo modo gli scienziati hanno visto che i danni arrecati dagli erbivori crescono del 20-30% e la produzione di frutti maturi cala del 20%.

giovedì 21 gennaio 2010

Verso il derby più inquinato

Aria di derby non fa rima con aria inquinata, tuttavia, proprio in questi giorni di attesa della grande sfida Inter-Milan, gli esperti di Legambiente ci ricordano che Milano è una fra le città più inquinate d'Europa. I giorni in cui i livelli di concentrazione di Pm10 oltrepassano il limite stabilito dalla legge, non dovrebbero essere più di 35 all'anno. In realtà, nel 2009 a Milano, sono stati ben 108. Seguono le città di Roma (67) e Venezia (60). Secondo Legambiente la situazione è critica anche per ciò che riguarda l'ozono. Ma chi inquina di più? Sono soprattutto le industrie, responsabili del 26% delle emissioni di Pm10; del 23% di biossido di azoto presente nell'aria; del 79% di ossido di zolfo; del 34% di idrocarburi policiclici aromatici. Ma inquinano anche i mezzi automobilistici, rappresentando il 22% delle emissioni totali di particelle fini, il 50% di biossido di azoto, il 45% di monossido di carbonio, il 55% di benzene. Smog a parte, in questo momento, la città è interessata da un particolare fenomeno meteorologico che si verifica quando, in presenza di nebbia, la temperatura scende sotto lo zero: la galaverna. Il paesaggio imbiancato non è dunque frutto di una comune gelata o di una nevicata, bensì di un processo naturale tale per cui, le goccioline d'acqua in sospensione nell'atmosfera che rimangono liquide anche sotto zero (stato di sopraffusione), solidificano a contatto con una superficie. E così è anche grazie a questa galaverna che andiamo ad affrontare il nuovo derby in un clima quasi natalizio. In questi giorni abbiamo sentito spesso parlare in tv Mourinho e Leonardo. Il tecnico dell'Inter ha chiesto ironicamente di spostare la sfida più avanti, quando rientreranno i tanti infortunati. Riferimento palese alle polemiche accese nei giorni scorsi in seguito ai cambi di calendario richiesti dal Milan e accettati della Lega Calcio. Leonardo, invece, sottolinea il fatto che la sfida non poteva capitare in un momento migliore: il Milan è a sei distanze dall'Inter, con una partita da recuperare. Il campionato potrebbe riaprirsi alla grande. Per ciò che riguarda le formazioni, l'Inter spera nel recupero di pedine importanti come Cambiasso e Muntari, Motta e Santon e soprattutto Stankovic. In attacco mancherà Samuel Eto'o, impegnato in Coppa d'Africa, ma ci sarà il neo acquisto Pandev. Fronte Milan. Pato - a causa della lesione dell'adduttore destro - salterà ufficialmente il derby. Verso il recupero, invece, Seedorf e Zambrotta (che comunque rimane in forse). Nesta ancora in bilico. Per concludere vediamo qualche numero curioso relativo al più importante derby d'Italia. Ci aiutiamo con "Milan-Inter, 101 anni di derby", libro scritto da Enrico Tosi e Gian Michele Ottina. La prima sfida Inter-Milan risale al 18 ottobre 1908. Lo scontro avviene in Svizzera (finale Coppa Chiasso), sette mesi dopo la nascita ufficiale dell'Inter (9 marzo 1908), in risposta al preesistente "Milan cricket and Football Club". Vince il Milan 2-1. Ad oggi sono stati disputati 250 derby. Il giocatore più presente è Paolo Maldini (56 derby giocati); il capocannoniere assoluto è Giuseppe Meazza (20 goal); Mazzola è l'autore del goal più veloce: impiega appena 13 secondi per violare la rete milanista in un derby del 1963. Ma chi ha vinto di più? In generale il Milan ha vinto 105 volte (contro le 93 interiste). Se però si considera solo il campionato i numeri sono a favore dell'Inter (63 a 58). Milanoweb - con una leggera prevalenza di interisti - ha detto la sua. Ci risentiamo domenica sera.

(Pubblicato su www.milanoweb.com)

mercoledì 20 gennaio 2010

Il 'the day after' delle pornoattrici

L'argomento è poco trattato e poco conosciuto, ma sta comunque avendo una certa risonanza in questi ultimi tempi grazie a "Empire of illusion: the end of literacy and the triumph of spectacle" (Nation Books, 24,95 dollari), libro scritto dal premio Pulitzer, Chris Hedges. Per la prima volta si parla dei traumi fisici e psicologici delle attrici hard, dimostrando che - quando una pornostar smette di esercitare - accusa gli stessi identici problemi che caratterizzano i reduci del Vietnam. A queste conclusioni è giunto Hedges dopo aver intervistato ex attrici XXX rated ed ex veterani. Scientificamente il riferimento è al cosiddetto "Post Traumatic Stress Disorder", patologia psichiatrica concernente molti disturbi fra cui depressione e ansia. In America si sta dunque formando una coscienza sociale relativa al problema, e con essa stanno nascendo associazioni per dare supporto medico e psicologico alle pornostar. Fra queste si possono menzionare l'associazione The Pink Cross e l'Adult Industry Medical Healthcare. Secondo Hedges i problemi per le attrici hard sono cominciati negli anni Ottanta, quando l'industria del porno ha iniziato a puntare sulla violenza e sullo svilimento delle donne. Al di là dell'aspetto psicologico, Hedges parla dunque di vere e proprie 'torture' subite dalle protagoniste di pellicole hard, per rispondere (purtroppo) a una domanda sempre più incalzante. Il riferimento è per esempio a gravi emorragie, lacerazioni di organi genitali (che richiedono l'intervento del chirurgo), malattie gastriche. A ciò vanno poi affiancati i numerosi problemi provocati dalle malattie trasmissibili sessualmente. Ecco qualche percentuale. Il 66% delle pornoattrici soffre di herpes genitale; il 70% delle malattie sessuali riguarda le appartenenti al gentil sesso; dal 75% al 90% le attrici hard sono anche prostitute; malattie come clamidia, sifilide, e gonoreea, fra le attrici hard, sono decisamente più frequenti rispetto alla popolazione media. Fece scalpore qualche mese fa la notizia dello sciopero di alcune pornostar in California. La bomba esplose dopo aver saputo che ben 16 attrici porno erano state contagiate dal virus dell'Hiv. Di conseguenza la San Francisco Valley, culla del cinema a luci rosse, dove si girano 4mila film hard all'anno, non poté far altro che chiudere temporaneamente i battenti. Mai era capitato prima che un numero così elevato di attrici porno risultasse positivo al test dell'Hiv. Forse Hedges non ha tutti i torti.

martedì 19 gennaio 2010

Traumi al midollo spinale: nuove speranze da una proteina

Una nuova speranza per chi ha subito danni gravi al midollo spinale, tali da compromettere l'uso degli arti. Arriva da Ana Martin–Villalba (nella foto), del German Cancer Research Center di Heidelberg in Germania. La scienziata ha condotto degli esperimenti sui roditori e ha dimostrato che, azzerando la funzione di una determinata proteina, i tessuti colpiti dalle lesioni sono in grado di rigenerarsi. La sostanza in questione, bloccata attraverso l’impiego di anticorpi specifici, si chiama CD95L. la proteina normalmente obbliga le cellule motorie a una rapida senescenza, predisponendo il corpo incidentato alla paralisi degli arti. La scoperta apre nuove possibilità di intervento per ciò che riguarda la riabilitazione in seguito a incidenti stradali e per la rigenerazione dei nervi che hanno perduto la loro capacità motoria. Si vuole, in particolare, riuscire al più presto a elaborare dei farmaci che possano agire direttamente sulla proteina, restituendo alle cellule del midollo almeno parzialmente la loro funzione originaria. Non è questa la prima volta che si cerca di trovare un modo per restituire la mobilità a chi ha subito danni al midollo. Recentemente degli scienziati del King’s College di Londra hanno scoperto che c’è un enzima in grado di superare le barriere che si formano lungo i nervi di un midollo spinale traumatizzato: è l’enzima “chondroitinase ABC”. Gli studiosi hanno somministrato per due mesi la sostanza nei topi e hanno concluso che l’enzima è effettivamente in grado di ripristinare in parte le funzione motorie perse. I problemi al midollo spinale riguardano nei soli Stati Uniti 5 persone ogni 100mila.

Per contattare la ricercatrice: a.martin-villalba@dkfz.de

lunedì 18 gennaio 2010

Fiori in ospedale? Meglio evitare

Curiosa ricerca pubblicata sul British Medical Journal dice che è sconveniente portare fiori quando si fa visita a qualcuno in ospedale. Margherite, orchidee, violette, potrebbero infatti veicolare batteri pericolosi e 'rubare' ossigeno ai malati; inoltre l'eventuale caduta di un vaso potrebbe causare danni ai macchinari ospedalieri. Lo studio inglese è stato preso alla lettera, tanto che in alcuni nosocomi britannici è già stato vietato l'ingresso con mazzi di fiori e piante. Gli esperti italiani della Società d'igiene rivelano, però, che i batteri si trovano un po’ ovunque, e che quindi se si bandiscono piante e fiori, in teoria, bisognerebbe bandire anche tutto il resto: sicuramente i vegetali non vanno ammessi nei reparti di terapia intensiva o per trapianti, per il resto la loro presenza fa più bene che male.

domenica 17 gennaio 2010

L'uomo più alto del mondo e quello più piccolo si incontrano in Turchia per il Guinness World Records

Incontro storico fra l'uomo più alto del mondo e quello più piccolo. È avvenuto in Turchia pochi giorni fa in occasione del Guinness World Records. Le immagini dell'incontro sono state diffuse su internet. Protagonisti Sultan Kosen, alto 247 centimetri e He Pingping, alto 76 centimetri. La battuta del 'gigante': "Difficile vederlo, una questione di altitudine". Kosen, l'uomo più alto del mondo, è nato a Mardin nel 1983, minuscolo sobborgo turco composto da una ventina di case al confine con la Siria. Lavora come impiegato presso un'azienda agricola (ma ha giocato per lungo tempo anche a basket) e ha da poco rubato il record (per 10 centimetri) al rivale Bao Xishun. Pingping, invece, è nato il 13 luglio 1988 ed è il terzo figlio di una famiglia della contea di Huade, nella città di Wulanchabu, nella Mongolia interna, regione autonoma della Cina settentrionale. Pesa 7 chilogrammi. Ricerche mediche dicono che il giovane soffre di una rara patologia chiamata 'osteogenesi imperfetta', malattia che impedisce il normale sviluppo dello scheletro. Attualmente è in cura con una terapia a base di ormoni della crescita. Il suo record però vacilla. Da poco si è infatti saputo che c'è un uomo ancora più basso di He: è il connazionale Wu Kang, alto 69 centimetri. E la stessa sorte potrebbe toccare anche a Sultan, visto che in Ucraina - in un paesino chiamato Podolyansty - vive un uomo che nonostante la sua proverbiale altezza (2 metri e 54 centimetri, ma il dato non è ufficiale), non avrebbe ancora smesso di crescere. Tutta colpa di un intervento chirurgico subito da giovane: l'operazione avrebbe, infatti, stimolato l'attività della ghiandola pituitaria, legata all'accrescimento. In ogni caso il record assoluto di altezza umana nella storia dell'uomo spetta a Robert Pershing Wadlow, un americano scomparso nel 1940, alto 272 centimetri.

Il video dell'incontro...


sabato 16 gennaio 2010

Haiti: i riti voodoo aiutano a cacciare la paura

Haiti sconvolta. E allora la gente invoca gli spiriti, affidandosi ai riti voodoo: "La religione nella quale sono cresciuti gli haitiani rende forse più sopportabile questo momento", si legge oggi sul Corsera. Ma crea anche problemi perché ritarda le azioni di soccorso, dato che i funerali voodoo richiedono tempo e spazio: "Si deve camminare adagio nella città dei morti viventi, perché le ruspe non seppelliscano gli spiriti e non distruggano quello che resta, almeno quello, dell'anima del popolo haitiano", si leggeva ieri su Repubblica. Però il voodoo non è la religione ufficiale di Haiti. Secondo le stime l'80% della popolazione è cattolico, il 16% protestante (fra battisti, pentencostali e avvenisti). In realtà, come dicono ironicamente gli studiosi di antropologia culturale dell'Università dell'Insubria di Como riferendosi a un detto locale, "ad Haiti il 98% degli abitanti è cristiano e il 100% è voodoo". Dunque gli haitiani dopo la tragedia del terremoto, invocano Cristo e contemporaneamente le tipiche divinità legate al culto nato in Africa fra il 1600 e il 1700, ma con radici molto più antiche. Ma vediamo più da vicino le caratteristiche di questa religione. Nel mondo i seguaci della religione voodoo sono circa 60milioni. Il nome deriva da 'vodu', che significa 'spirito' nell'antica lingua Dahomey del Golfo di Guinea. Dal Continente Nero il culto giunge ad Haiti con gli schiavi deportati per lavorare i campi di cotone e soddisfare le richieste dei bianchi. Nell'isola dell'Atlantico le credenze africane si mischiano con quelle cattoliche dei colonizzatori francesi dando origine, in pratica, a una nuova religione, detta appunto 'voodoo'. Agli schiavi, costretti a ricevere il battesimo, viene però proibito di osservare i culti legati alla religione africana. La fede viene perciò vissuta in gran segreto. "In realtà le repressioni resero più forte il voodoo, capace di attrarre un numero sempre maggiore di adepti, proprio grazie a quell'alone di mistero che la condanna aveva originato", raccontano gli storici. Il credo approda, dunque, in molte altre parti del mondo, soprattutto in alcune città americane, dove ancora oggi sopravvivono grosse comunità voodoo, come a New York, New Orleans e Miami. Religioni imparentate con il voodoo sono praticate in tutta la regione caraibica, incluse la Giamaica e Trinidad. A Cuba, un dogma sincretico chiamato 'santeria' si è sviluppato, invece, dalla mescolanza fra credenze voodoo e il cattolicesimo spagnolo. Nelle loro preghiere gli haitiani si affidano ai 'Loa', intermediari fra l'uomo e gli dei, corrispondenti ai santi dei cristiani. Ci sono Agwe, spirito dei mari; Aida, spirito dell'arcobaleno; Erinle, spirito delle foreste e molti altri. Fra le divinità vere e proprie si possono invece ricordare i Rada, positivi e benefici nei confronti dell'uomo; i Petro, a volte selvaggi e violenti; i Ghede, legati alla magia nera e alla fertilità. Da un punto di vista teologico la religione voodoo non è molto diversa dalle altre grandi religioni del mondo. Anche qui l'universo viene, infatti, concepito come una realtà illusoria, mentre tutto viene ricondotto a Dio, principio primordiale che crea il cosmo attraverso un processo che dà ordine e vita alla materia. Argomento a parte, la magia nera, praticata da sacerdoti chiamati Bokor e definiti "coloro che servono il Loa con entrambe le mani".

Vino rosso: ecco perchè fa bene alla salute

Che il vino rosso (consumato con moderazione) facesse bene al cuore si sapeva da tempo. Quel che però non era chiaro, è il meccanismo che permette alla bevanda di migliorare le condizioni di un organismo. Ora, però, una scoperta condotta da scienziati dell'Università Louis Pasteur di Strasburgo e dell'Università Paul Sabatier di Tolosa fa finalmente luce sull'argomento: il vino contiene sostanze in grado di indurre le cellule che rivestono le arterie a secernere il monossido di azoto, un vasodilatatore, che in pratica consente al sangue di circolare con maggiore fluidità. Nei dettagli, entra in gioco un recettore di estrogeni che, permettendo alle cellule presenti sulle pareti dei vasi di legarsi ai polifenoli del vino, consente infine la produzione di monossido di azoto. Con ciò si spiega anche il misterioso 'paradosso francese', secondo il quale il numero di infarti nella Francia meridionale (dove si consuma abitualmente vino rosso, anche se l'alimentazione non è delle migliori) è decisamente minore rispetto alle altre aree europee industrializzate. I risultati della ricerca - pubblicati sulla rivista 'Plos One' - hanno trovato conferma in una serie di test condotti sui topi.

giovedì 14 gennaio 2010

Condannati a essere impazienti

Al mattino intrappolati nel traffico che non lascia spiragli né speranza o in fila come soldatini davanti allo sportello della posta. Approdati in ufficio, già stressati e strapazzati, c'è da combattere con il computer che, è vero, rosolve tutto. Ma ha i suoi tempi e spesso fa le bizze: s'incanta, rallenta, impazzisce, si blocca. Aspettare, aspettare, aspettare... Ma se è vero che la pazienza è la virtù dei forti, è altrettanto vero che essa ha un limite. Gli italiani - vessati di traffico e burocrazia - sono condannati a essere impazienti. Infatti si arrabbiano almeno cinque volte al giorno. È il risultato che emerge da un'indagine condotta dal Daily Mail: considerando l'intera Europa, gli abitanti del Belpaese, sono in assoluto i più impazienti: il 91% si lamenta della lentezza di internet, il 52% suona il clacson se 'quello davanti' non parte appena scattato il verde, il 56% non rispetta i limiti di velocità. Va molto meglio, invece, nei paesi scandinavi dove le persone prendono la vita con più filosofia, evitando, dunque, di scannarsi contro se stessi (e il padreterno) se non riescono, per esempio, a trovare parcheggio sotto casa. Questione di stile e di… carattere. Gli italiani, come del resto la gran parte dei mediterranei, sono infatti individui sanguigni, calienti in amore, ma anche collerici, sempre pronti ad alzare la voce se contraddetti o se c'è da aspettare troppo per un appuntamento. Finlandesi, svedesi e danesi, tutto un altro mondo. Gli scandinavi perdono la pazienza una volta ogni cinque giorni, mentre agli italiani succede almeno 3-4 volte al giorno. I numeri, come si vede, sono assai diversi. Molti personaggi storici possono essere citati per far capire la differenza fra un impaziente e un paziente. Per esempio fra i primi si può pensare ad Alessandro Magno, iracondo e impetuoso, e a Gabriele D'Annunzio, orgoglioso e arrogante; fra i secondi, invece, il riferimento è per esempio a individui come San Francesco (il cui atteggiamento nei confronti della vita non ha bisogno di delucidazioni), e a Isaac Newton che con la sua proverbiale calma è riuscito addirittura a formulare la teoria della gravitazione universale. Ma qual è il vero significato di questa ricerca? Gli studiosi ci vogliono fare capire che essere impazienti è controproducente per la salute. Quando ci arrabbiamo, infatti, i parametri psicofisici del nostro organismo sballano, in peggio. Aumenta per esempio il battito cardiaco (mentre è risaputo che meno sono i battiti, meglio è per il cuore), e così la pressione sanguigna. I livelli di adrenalina crescono e come se non bastasse le difese immunitarie vanno in tilt, facilitando l'insorgenza di infezioni. Che fare quindi per evitare tutto ciò? In questo caso ci viene in aiuto un servizio pubblicato in questi giorni sulla rivista Airone, nel quale si spiega quali (piccoli) stratagemmi adottare per mantenere sempre e comunque la calma. Si può per esempio contare fino a dieci: funziona davvero, e serve a prendere tempo. Si possono seguire dei corsi di yoga, che a lungo andare infondono benessere, soprattutto a livello mentale. Consigliato anche scrivere un diario o un blog, dedicarsi al giardinaggio, considerati un'ottima valvola di sfogo; non conviene invece fare troppe cose insieme. Essere pazienti, alla fine, premia. Mantenendo la calma anche in situazioni poco piacevoli determina infatti una maggiore produzione dell'ormone serotonina, la molecola del benessere, migliora le condizione psichiche, tiene lontano ansia e depressione, facilita i rapporti interpersonali. Gli scienziati spiegano infine che l'impazienza è un fenomeno che si è sviluppato negli ultimi tempi. Fino a 30 anni fa si era molto meno impazienti di oggi. Nel 2010 si ha, dunque, l'impressione di 'andare sempre di fretta', e di non aver mai tempo per fare nulla. Le statistiche dicono che siamo frenetici quasi tutta la giornata e che riusciamo a rilassarci solo un'ora al giorno. Pochino. E questo spiega quindi la nostra intolleranza quando, per esempio, un amico col quale abbiamo un appuntamento, ritarda anche solo di cinque minuti. La pazienza fa germogliare pietre, dice un proverbio, da noi dimenticato.

(Pubblicato su Libero il 15 gennaio 10)

mercoledì 13 gennaio 2010

Terremoto ad Haiti. Migliaia le vittime

Haiti. Un milione e 800mila le persone colpite dal sisma. Secondo il presidente di Haiti, René Preval, il terremoto ha provocato 'migliaia di morti'. Le ultime notizie parlano di 100mila morti. Tra le vittime è già stato riconosciuto l'arcivescovo della capitale, Serge Miot. Si contano molti caduti anche fra i Caschi blu della missione Minustash dell'Onu. La città - Port-Au-Prince - è ridotta a un cumulo di macerie. L'evento sismico ha avuto inizio ieri alle 16.53 locali (le 22.53 in Italia). La scossa di 7 gradi Richter ha devastato il Paese più povero dell'intero continente americano: sono crollati tre ospedali su quattro, il quartiere generale delle Nazioni Unite è raso al suolo, si è afflosciato su se stesso il palazzo presidenziale. Complice la posizione dell'epicentro, ad appena 10 chilometri di profondità. Per far capire la potenza del sisma basta considerare che - il terremoto che ha colpito l'anno scorso L'Aquila - è paragonabile alle scosse di assestamento registrate nelle ultime ore ad Haiti. Secondo la Farnesina sono almeno 190 gli italiani presenti nel Paese. "Non riusciamo a metterci in contatto con Haiti", dice il portavoce dell'ambasciata italiana a Santo Domingo, Gianfranco Del Pero. "È un problema nostro, dei colleghi francesi, americani, tedeschi e spagnoli con i quali stiamo collaborando. Nessuno ha davvero notizie per adesso. Tutti siamo in attesa di riallacciare le comunicazioni. Ma per ora è impossibile".

Il video...



martedì 12 gennaio 2010

Anche i neandertaliani amavano farsi belli

Un'altra buona notizia per tutti gli amanti (come il sottoscritto) dell'uomo di Neanderthal: anche lui, come l'Homo sapiens, amava farsi bello. Lo dice uno studio diffuso in questi giorni dagli scienziati dell'Università di Bristol. Gli esperti hanno individuato nei siti di Cueva de los Aviones e Cueva Anton, entrambi nel sud della Spagna, resti di conchiglie (nella foto pubblicata dal Times) che con ogni probabilità servivano come contenitori per pigmenti e componenti di vistose collane. Nelle conchiglie sono state trovate tracce di minerali come lepidocrocite, ematite e pirite, utilizzati per scurire parti strategiche del viso; in altri gusci di organismi marini, invece, sono stati individuati resti di pigmenti rossi e gialli. Secondo Joo Zikho, a capo dello studio, "questa è la prima evidenza certa che circa 50mila anni fa, ossia 10 millenni in anticipo rispetto alle prime testimonianze della presenza dell'uomo moderno in Europa, il comportamento dei neandertaliani era organizzato simbolicamente". Affianca l'opinione di Zikho, Laura Longo dell'Università di Siena, la quale aggiunge che benché "i dati genetici dicano che Neanderthal e sapiens non fossero parenti, non significa che i primi non avessero capacità di astrazione". Qualche tempo fa s'era detto che l'intelligenza dei neandertaliani era equiparabile a quella dei sapiens, per via della capacità che avevano di fabbricare utensili di ottima qualità. Oggi, dunque, abbiamo un ulteriore prova a favore di questa teoria.

lunedì 11 gennaio 2010

Mari e oceani nati dall'impatto di un asteroide

Un gigantesco asteroide pregno d'acqua si abbatté sulla Terra oltre quattro miliardi anni fa determinando la nascita degli oceani. È la conclusione di un team di ricercatori americani guidati da Jonathan Lunine, dell’Università dell’Arizona. La nuova teoria contraddice tutte quelle finora fatte e basate sull'idea che i mari e gli oceani si sono originati per processi di degassazione avvenuti sulla superficie terrestre durante le intense attività vulcaniche che caratterizzarono i “primi giorni” di vita del nostro pianeta. A questi risultati gli scienziati sono giunti dopo aver verificato le numerose analogie che contraddistinguono le caratteristiche chimiche delle acque terrestri e quelle degli asteroidi. Per info: http://www.lpl.arizona.edu/Support/faculty/faculty.php?nom=Lunine

domenica 10 gennaio 2010

LE 'FINI DEL MONDO' CHE VERRANNO

Per qualche astruso motivo l'uomo si diverte a pensare alla fine del mondo. Altrimenti non si comprenderebbe la ragione per cui salta fuori periodicamente l'argomento: sarebbe bello chiedere a uno psicologo il significato di questo godimento subliminale. Oggi, dunque, gli occhi sono tutti puntati sulla fatidica data del 21 dicembre 2012, quando, secondo il calendario Maya, ce ne andremo tutti al Creatore, non si sa bene per quale motivo, forse per una terrificante esplosione nucleare. E dopo? Che cosa accadrà il 22 dicembre quando, per l'ennesima volta (vi ricordate il Capodanno del 1999?), ci si renderà conto che non è successo un bel niente? Niente paura. C'è già pronta una lunga lista di 'fini del mondo', da tenere occupate generazioni e generazioni. Vediamole insieme. La fine del mondo successiva a quella del 21 dicembre 2012 avverrà il giorno di Pasqua del 2036. Responsabile, l'asteroide Apophis, un 'gigante spaziale' di 320 metri di diametro. Secondo i catastrofisti il corpo celeste impatterà con la Terra in un'area compresa fra l'Arabia e il Giappone, o tra il Madagascar e la Nuova Guinea. L'impatto sarà terrificante, pari alla potenza di 65mila bombe atomiche come quella esplosa su Hiroshima. Dati più sicuri sulla traiettoria del corpo celeste si potranno avere il 13 aprile 2029, quando Apophis passerà a soli 36mila chilometri dalla Terra. Nel 2038 ci sarà la fine del mondo secondo Nostradamus. "Quando Giorgio Dio crocifiggerà/e Marco lo resusciterà/e san Giovanni lo porterà…", starebbe a indicare l'Apocalisse nell'anno in cui la Pasqua cadrà il giorno di san Marco (25 aprile), il Venerdì Santo il 23 (San Giorgio) e il Corpus Domini a giugno: tutte queste coincidenze si verificheranno proprio nel 2038. La fine del mondo nel 2060 è, invece, profetizzata da uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi: Isaac Newton. Il padre della teoria gravitazionale sarebbe arrivato a questa conclusione nel 1704, consultando il Libro di Daniele (un libro biblico cifrato sulla storia del mondo): "Si assisterà alla rovina della nazioni malvagie, alla fine di ogni tristezza e sventura, al ritorno degli ebrei dall'esilio e al sorgere di un fiorente ed eterno Regno". Se anche dopo la profezia newtoniana, però, il genere umano sarà ancora fresco e pimpante, allora dovremo far riferimento alla cosiddetta Età dell'Oro, appannaggio della tradizione giudaica, secondo la quale la "fine dei giorni" avverrà dopo l'anno 6000 del calendario ebraico, corrispondente al nostro 2240. Questi dati sarebbero contenuti nel Talmud, nel trattato di Avodah Zarah: dopo il 2240 - e dopo la fantomatica battaglia di Armageddon - l'umanità rifiorirà in una nuova era, in cui tutti "avranno una conoscenza diretta di Dio". I seguaci dei movimenti New Age dicono invece che la fine del mondo coinciderà con la successiva Età dell'Acquario, che cadrà nel 3621 (ma c'è anche chi si riferisce, ancora una volta, al 21 dicembre 2012). Seguaci della New Age furono anche gli hippy, negli anni Settanta, convinti che all'Apocalisse succederà 'l'era della conoscenza' (appunto l'Età dell'Acquario) figlia di una religione cosmica, contrapposta alla religione del terrore (quella cristiana). Nel 4514, la fine del mondo per i buddisti, esattamente 4mila anni dopo la morte di Budda, avvenuta nel 514. Nessuno, però, sa ancora spiegare bene in che modo, per i seguaci dell'Illuminato, si verificherà la sparizione del genere umano. Infine le uniche vere e presunti 'fini del mondo' avverranno fra tantissimi anni. Fra 3miliardi di anni la nostra galassia, la Via Lattea, colliderà con la galassia di Andromeda. Secondo gli specialisti il fenomeno è già in atto: la galassia di Andromeda, infatti, si avvicina alla nostra a una velocità di circa120 chilometri al secondo. Maggiori dettagli in merito li avremo nel 2012 (Ah!) quando il satellite Gaia dell'ESA misurerà con grande precisione i parametri dei due insiemi di stelle. Poi, fra 5miliardi di anni, il sole avrà esaurito tutte le sue fonti di energia e inevitabilmente si spegnerà. Prima di spegnersi però si trasformerà in una gigante rossa - sarà cento volte più grande di come lo conosciamo oggi - e ingloberà gran parte dei pianeti del sistema solare, Terra compresa. A quel punto, in effetti, per gli esseri umani, non ci saranno grandi chance di sopravvivenza, ma c'è comunque chi ritiene che - per quella data - l'uomo sarà già al sicuro, in qualche tranquillo angolo del vasto universo… Sempre e comunque in attesa di una nuova imminente fine del mondo.

(Pubblicato su Libero il 10 gennaio 10)

sabato 9 gennaio 2010

CUORE ANIMALE

Risale alla scorsa primavera la notizia di un delfino moribondo ferito da un branco di squali al largo delle coste australiane, e soccorso da un suo simile. L'animale intervenuto in aiuto dell'esemplare in pericolo di vita, era rimasto con lui tre giorni aiutandolo a respirare, in attesa di incontrare degli uomini che potessero curarlo. Ne parlò un giornale inglese sottolineando l'eccezionalità dell'evento: mai s'era vista una cosa del genere in ambito faunistico. Eppure, stando a un recente studio condotto da Elise Nowbahari, dell'Università di Parigi, i gesti eroici fra gli animali, sono molto più comuni di quanto si possa immaginare. "I casi di animali che si sacrificano per altri esemplari sono sottostimati", rivela la studiosa parigina, "e noi col nostro studio, basandoci su dei parametri specifici, possiamo per la prima volta affermarlo con certezza". Il fenomeno, peraltro, non riguarderebbe solo le specie più evolute come i mammiferi (di cui il delfino fa parte), ma anche specie considerate primitive, come gli insetti. L'altruismo dei delfini è stato dunque riscontrato anche in alcune colonie di formiche. Nowbahari ha visto che se delle formiche cadono vittime di un predatore o finiscono in una trappola, altri esemplari della stessa specie intervengono in loro soccorso. Anche a costo della vita. Se, però, gli stessi eroici imenotteri si accorgono che degli esemplari di un'altra colonia sono in difficoltà, fanno finta di niente. Ed è questo aspetto a distinguerli nettamente dai delfini che, invece, si sacrificano anche per altre specie. Un annetto fa, per esempio, presso Marina State Park, vicino a Monterey, in California, dei delfini hanno salvato la vita di un surfista circondandolo e impendendo che uno squalo bianco lo divorasse: l'uomo era già stato morsicato tre volte dal pesce e non avrebbe avuto scampo senza l'intervento dei delfini. Anche i cani possono immolarsi per esseri viventi filogeneticamente distanti. Su tutti l'esempio di Leo, un Jack Russell australiano che, verso la fine del 2008, in un appartamento di Melbourne devastato dalle fiamme, ha rischiato di morire carbonizzato: quando i vigili del fuoco lo hanno trovato in fin di vita, fra le sue zampe proteggeva impavidamente quattro gattini di cui, spronato dai padroni, aveva cominciato a prendersi cura pochi giorni prima. Fra gli insetti, comunque, ci sono anche le api disposte a tutto pur di proteggere i propri simili. In questo caso si è visto, per esempio, che gli esemplari sterili di alcune specie non hanno problemi a dare la propria vita per proteggere la prole altrui. Poi ci sono le api kamikaze che attaccano chiunque si avvicini a una riserva alimentare, fondamentale per una colonia. Questi esapodi pungono l'aggressore e poco dopo muoiono, perché il pungiglione rimane nel corpo del predatore insieme a una parte di intestino, senza il quale non possono vivere. Ritornando ai mammiferi, non conoscono il rischio di sfidare la morte per salvare 'il prossimo' anche molte scimmie, gli sciacalli, i pipistrelli. In molti primati Nowbahari ha osservato che i maschi non hanno problemi a fronteggiare chiunque pur di proteggere le femmine e i piccoli del proprio clan. Le scimmie, peraltro, possiederebbero un senso morale. Frans de Wall, primatologo della Princeton University, dice che la moralità dei primati si esprimerebbe nell'empatia - la capacità di captare i sentimenti altrui - e nella reciprocità - la consapevolezza che non va fatto agli altri ciò che non si vuole venga fatto a sé. Fra gli sciacalli, gli esemplari adulti - non necessariamente genitori - combattono contro le iene per salvare la vita dei più piccoli; idem nei pipistrelli della frutta. Ma qual è il significato evolutivo dei gesti eroici negli animali? Secondo Darwin questi fenomeni possono essere spiegati con la cosiddetta 'selezione a livello superindividuale'. A differenza della selezione classica, che privilegia l'individuo singolo, in questo caso a giovarne è l'intero gruppo, a scapito, però, della morte di pochi esemplari. Nowbahari, infine, dice che il gesto eroico di un animale ha un valore eccezionale anche perché non contempla (a differenza degli uomini) l'ipotesi di ricevere un premio o una commemorazione.

(Pubblicato su Libero il 9 gennaio 10)

Per info: http://www-leec.univ-paris13.fr/actu/EN_ComportementSecours_Presse_sept2009.php

venerdì 8 gennaio 2010

Bigfoot filmato nelle foreste del Maine. L'ennesimo falso?

Il Bigfoot, detto anche Sasquatch o Piedone, è una leggendaria creatura scimmiesca che, secondo alcune fonti, abiterebbe le foreste del nord America. Alto dai 2 ai 2,70 metri sarebbe caratterizzato da una folta peluria, variante dal rosso scuro al nero e da grandi piedi in grado di lasciare impronte sul terreno (che qualcuno dice di aver visto) lunghe fino a 46 centimetri. Sarebbe imparentato col più famoso Yeti himalayano, l'uomo delle nevi. In realtà non ci sono prove concrete dell'esistenza dei due 'gigantopitechi'. Fino a ieri, quando il Daily Mail ha divulgato una notizia riportante il caso di una famiglia statunitense che, a spasso per le distese innevate del Maine, avrebbe avvistato (e filmato) un Bigfoot dietro a un albero. Il video diffuso su internet è uno dei più cliccati del 2010. In passato ci sono state numerose altre segnalazioni, la maggior parte rivelatesi false. La più famosa riguarda un video girato il 20 ottobre 1967 dai cacciatori Roger Patterson e Bob Gimlin. La pellicola mostra un essere scimmiesco di sesso femminile, coi seni cadenti e una folta peluria, che si muove lungo le sponde del fiume Bluff Creek, prima di scomparire fra gli alberi della foresta. Sul video si sono pronunciati in molti, ma ancora nessuno ha saputo avanzare una tesi valida per confutarlo definitivamente. Secondo il regista John Landis si tratta di un essere umano travestito da Bigfoot. Stando invece alle dichiarazioni di D.W. Grieve - esperto di biomeccanica inglese - non può essere un uomo vestito da scimmione perché la deambulazione evidenziata dall'esemplare del video, non è riconducibile all'anatomia umana. A parte quello di qualche giorno fa, l'ultimo avvistamento 'ufficiale' di un Piedone risale al 16 settembre 2007. Protagonista il cacciatore Rick Jacobs che dice di aver fotografato un Sasquatch dalle parti di Ridgway, in Pennsylvania. Ma alcuni studiosi, osservando il reperto, hanno parlato di un semplice orso devastato dalla rogna.

Il video diffuso dal Daily Mail, girato qualche giorno fa nelle foreste del Maine:



Il video girato da Patterson nel 1967:

giovedì 7 gennaio 2010

Stop alla sudorazione eccessiva con una banale iniezione a base di fluoro

Arriva dal Belgio una cura rivoluzionaria per chi ha sempre le mani sudate (iperidrosi). Consiste in una banale iniezione a livello toracico, che permette l'entrata in circolo nell'organismo di una sostanza a base di fluoro che ha il potere di bloccare la sudorazione palmare. Da un punto di vista tecnico si parla di 'simpatectomia percutanea guidata': è in realtà il risultato della combinazione tra due metodologie già consolidate in campo medico, la fluoroscopia e la tomografia computerizzata. I primi test sull’uomo hanno dato esito positivo nel 97% dei casi. Fino a oggi per curare l'iperidrosi era necessario ricorrere alle iniezioni botuliniche da ripetersi ogni sei mesi. In questo caso, invece, la cura - salvo situazioni eccezionali - è definitiva. Del nuovo metodo per tenere sotto controllo la sudorazione palmare si è recentemente parlato a Chicago, nel corso del congresso annuale della Radiological Society of North America. Tra gli interventi più importanti c'è stato quello di Hugues Brat, responsabile di radiologia al Centre Hospitalier Hornu, in Belgio, e a capo dello studio, il quale sostiene che “la tecnica di simpatectomia percutanea è quella più sicura per sconfiggere definitivamente il problema delle mani sudate. La possibilità che il disturbo si ripresenti è infatti molto bassa”. L’iperidrosi colpisce solo in Usa almeno il 3% della popolazione. La sudorazione eccessiva delle mani è generalmente la condizione più fastidiosa fra tutte le forme di iperidrosi: le mani sono molto più esposte di ogni altra parte del corpo e svolgono un ruolo molto importante nella vita professionale, in tutte le attività pratiche quotidiane e nella vita di relazione sociale. Molti soggetti colpiti dal disturbo sono addirittura condizionati nella scelta del lavoro. Hanno difficoltà a maneggiare materiali sensibili all’umidità, come, per esempio, la carta, e provano imbarazzo quando devono stringere la mano a qualcuno. Nei casi più gravi c’è chi giunge addirittura ad evitare del tutto i contatti sociali. Il disturbo, generalmente, inizia nell’infanzia o nell’adolescenza, ma può presentarsi la prima volta anche in età adulta. Si manifesta durante tutto l’anno aumentando con la bella stagione.

mercoledì 6 gennaio 2010

Peronospora e carbone del mais, ko con l'impiego dei licheni

Scienziati dell’Istituto superiore dell’Agricoltura e della facoltà di Farmacia e Biologia di Lille, propongono di combattere le malattie delle piante con i licheni. Secondo i ricercatori francesi nelle specie di licheni Evernia prunastri e Hypogymnia physoides, sono presenti degli acidi in grado di limitare l’azione di vari agenti fungini. In questo modo si pensa di debellare malattie devastanti per i vegetali coltivati, fra cui la peronospora delle solanacee, il marciume nero del cavolo e il carbone del mais: questa tecnica potrebbe, peraltro, rappresentare una valida alternativa al tradizionale impiego di pesticidi spesso dannosi per l’ambiente. I licheni sono organismi molto particolari derivanti dalla simbiosi di un fungo e un'alga. La parte fungina svolge funzione di protezione e sostegno, quella algale - grazie all'azione fotosintetica - permette la produzione di biomolecole come il Dna, l'Rna e i carboidrati.

The New York Botanical Garden (per avere altre info sui licheni): http://www.nybg.org/bsci/lichens

L'ipercolesterolemia della Gioconda

Curiosa conclusione di uno studioso palermitano: Monna Lisa, la celebre Gioconda, con ogni probabilità soffriva di colesterolo alto. Lo dimostrerebbe un incavo dell'occhio sinistro - detto tecnicamente 'xantelasma' - ossia un accumulo di adipe sottocutaneo, conseguenza di un livello eccessivo di grassi nell'organismo. La stessa tesi è stata avanzata anche dal medico giapponese Haruo Nakamuyra, il quale aggiunge che verosimilmente la Gioconda soffriva anche di pressione alta e trigliceridi alti. Ecco l'articolo originale pubblicato ieri dal Telegraph. The facial expression - one of the main reasons why the 16th century painting is among the most famous works of art in the world – shows signs of a build up of fatty acids around the eyes of the subject, according to Vito Franco of the University of Palermo. The Italian scientist says the model in the oil painting had a xanthelasma – a subcutaneous accumulation of cholesterol – in the hollow of her left eye and a fatty tissue tumor. It suggests very high levels of cholesterol in the model, thought to be Lisa del Giocondo, a member of a Florence family who married a cloth and silk merchant. Franco also claims to have identified a genetic bone tissue disorder, Marfan syndrome, in two other Renaissance figures: the subject for Botticelli's Portrait of a Youth, which hangs in the National Gallery of Art in Washington, and the subject for Parmigianino’s Madonna with Long Neck. Franco told the Italian newspaper, La Stampa: "The people depicted [in art] tell us about their vulnerable humanity, independently of the awareness of the artist.” He added that Michelangelo’s appearance in the foreground of Raphael's The School of Athens suggests he suffered from “an excess of uric acid, typical of those afflicted by renal calculosis”. This was possibly because the artist had been living off nothing but bread and wine while working on the Sistine Chapel, Franco said.

martedì 5 gennaio 2010

Il punto G? Una bufala

Il mitico punto G? Una leggenda. Queste le conclusioni di uno studio effettuato da scienziati del King's College di Londra e diffuso dalle pagine del Journal of Sexual Medicine. Secondo i ricercatori anglosassoni guidati da Andrea Burri, il punto G (da Enrst Grafenberg, lo studioso tedesco che lo ipotizzò per primo una cinquantina d'anni fa) non sarebbe altro che un 'luogo della ragione', vale a dire un punto anatomico inesistente creato dalla fantasia femminile sollecitata da riviste e dai pareri dei sessuologi. "È praticamente impossibile trovare prove tangibili dell'esistenza di questo punto erogeno", rivela Tim Spector, docente di Epidemiologia genetica e coautore della ricerca. Mentre Burri, partendo dal presupposto che non è mai stato condotto uno studio così approfondito sull'argomento, afferma che "l'idea del punto G è del tutto soggettiva". A questi risultati i ricercatori sono giunti coinvolgendo 900 coppie di gemelle britanniche, mono o eterozigoti. Non tutti però sono d'accordo con questa tesi. La sessuologa Beverly Whippie, per esempio, dice che lo studio non è attendibile perché non ha preso in considerazione le lesbiche e le donne bisessuali. Mentre il ricercatore dell'Università dell'Aquila - Emmanuele Jannini - rivela a Repubblica il suo scetticismo sostenendo che probabilmente nella fisiologia del punto G entrano in gioco anche gli ormoni, del tutto tralasciati dallo studio inglese. Lo stesso Jannini, l'anno scorso, aveva ammesso di aver individuato 'l'ufo ginecologico' in un piccolo ispessimento della parete che divide la vagina dall'uretra, tramite l'ecografia trans vaginale. Secondo le teorie tradizionali il punto G sarebbe un'area del corpo femminile corrispondente a un fascio di terminazioni nervose che, se opportunamente sollecitate, sono in grado di dare grande piacere. Non tutte le donne però sarebbero consapevoli di questa particolarità, e non tutte sarebbero sensibili allo stesso modo. I sessuologi raccontano che l'orgasmo derivante dalla stimolazione del punto G è molto più intenso di quello tradizionale.

lunedì 4 gennaio 2010

Infarti, ictus e tumori. Rischia di più chi vive in periferia

I milanesi del centro vivono meglio e di più di quelli della periferia. Sono le conclusioni di uno studio effettuato dall'Asl del capoluogo lombardo. Gli esperti hanno visto che i cittadini che dimorano in zone centrali, o aree come San Siro, sono più longevi di chi abita le aree più periferiche come viale Monza e Lambrate. Ma qual è il motivo di questa differenza? Secondo i ricercatori il fenomeno è il risultato dei diversi redditi percepiti dai milanesi, che variano in base alla zona abitata. Gli scienziati hanno suddiviso Milano in 180 zone e il reddito in 5 fasce. In questo modo è stato possibile verificare che chi abita le aree centrali ha un reddito migliore di chi vive in periferia, e che questo aspetto si riflette sul benessere fisico e psichico degli individui, e in generale sulla loro longevità: i meno abbienti non badano alla salute, fumano di più e si ubriacano con maggiore frequenza, atteggiamenti che a lungo andare si ripercuotono inesorabilmente sulla salute. Uno studio analogo è stato condotto anche a Firenze, dimostrando che gli abitanti del centro muoiono meno degli altri. Mentre una ricerca effettuata in Usa evidenzia l'internazionalità del fenomeno. Ricercatori del Center for Health Policy Research hanno, in particolare, coinvolto 3,8milioni di donne fra i 18 e i 64 anni che vivono in nuclei famigliari con un reddito del 200% al di sotto del livello federale di povertà. Dallo studio è emerso che queste persone sono molto più vulnerabili alle malattie di chi vive in buone condizioni economiche. Secondo Roberta Wyn, a capo dello studio, le donne con un reddito scarso soffrirebbero 4 volte di più delle coetanee con reddito alto di disturbi quali diabete, ipertensione, ictus e infarto. Questi dati mettono in luce il fatto che la longevità di un individuo non è determinata solo dalla genetica e dall'ambiente in cui vive, ma anche dal patrimonio e, indirettamente, dalla scolarizzazione e dalla professione. Gli esperti hanno in sostanza dimostrato che le persone meno abbienti sono quelle che periscono più frequentemente di malattie cardiache, tumore, diabete, ma anche incidenti stradali o altri sinistri non necessariamente legati alla salute. In media è stato evidenziato che chi è povero perde 8 anni di vita, contro i 6 anni dei fumatori, e i 4 anni degli obesi. In pratica vivere con un reddito basso è peggio che fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Di povertà si parla quasi sempre riferendosi ai paesi terzomondisti, in realtà vari studi dimostrano che il problema è fortemente radicato anche in Italia. Recenti stime divulgate dall'Istat parlano di due milioni e mezzo di persone che non dispongono di un reddito in grado di garantire una qualità 'minima' della vita. Il fenomeno riguarderebbe il 4,1% degli italiani che, se non la sopravvivenza, rischia seriamente l'esclusione sociale, non potendo concedersi alcuno svago, vivendo in pochi metri quadrati, frequentando il medico solo se strettamente necessario. Il livello di povertà dipende soprattutto dalla città in cui si abita. Certamente la situazione a Milano è più difficile che non in un centro del meridione, dove il costo della vita è inferiore. Diciamo che la situazione inizia a farsi assai critica quando una classica famiglia di 4 persone (mamma, papà e due figli) percepisce complessivamente 1.300 euro al mese; questo al nord. Al sud, il limite si abbassa a 900 euro. Oltre questi parametri si parla di 'povertà assoluta', difficilmente compatibile con i tenori sociali in voga.

(Pubblicato su www.milanoweb.com)

domenica 3 gennaio 2010

Con SKA a caccia di alieni

5mila antenne distribuite su 150chilometri quadrati di superficie, ciascuna con un diametro di 12 metri; un investimento per 3,1 miliardi di dollari; 15 paesi e 30 istituti coinvolti nel progetto. Sono i numeri di SKA, da 'Square kilometer array', il più grande strumento scientifico mai sviluppato dall'uomo - 50 volte più sensibile di qualsiasi altro telescopio - che aiuterà l'umanità a far luce su eventuali segnali provenienti dallo spazio. Il suo sistema d'azione si basa sulla 'lettura' di frequenze con lunghezza d'onda comprese fra 18 e 21 centimetri. Secondo degli studiosi - che hanno recentemente pubblicato un articolo su Nature (Searching for interstellar Communications) - questi parametri corrispondono all'emissione dell'ossidrile e dell'idrogeno neutro, in pratica 'frammenti' di molecole d'acqua, composto alla base della vita. Vari i paesi candidati a ospitare il supertelescopio. In prima linea ci sono Nuova Zelanda e Australia. A seguire il Sudafrica, mentre Cina e Brasile sembrano ormai fuori dai giochi. "L'Australia si candida ad ospitare il più grande radiotelescopio del mondo", rivela Adolfo Urso, sottosegretario allo Sviluppo Economico, "un'opera che vede l'Italia protagonista sia attraverso la partecipazione scientifica, data dall'Istituto Nazionale di Astrofisica, sia nella competizione industriale, con l'impegno del gruppo Finmeccanica". Entro il 2012 si deciderà la collocazione definitiva di SKA, sicuramente in una zona desertica e lontana dai centri abitati. Intanto è già stata sviluppata un'antenna parabolica prototipo del costo di 2milioni di dollari, mentre 39 sono in fase di realizzazione. Se tutto andrà come previsto il radiotelescopio entrerà in azione entro il 2020.

sabato 2 gennaio 2010

Bionde addio, col nuovo vaccino per vincere il vizio del fumo

Schiavi della nicotina? Niente paura, per il 2012 è prevista l'entrata in commercio del primo vaccino contro il fumo. Lo rende noto Glaxosmithkline, multinazionale farmaceutica, attiva anche in Italia. Secondo gli esperti il nuovo prodotto farmaceutico è in grado di stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi capaci di legare la nicotina diffusa a livello ematico, impendendo alla pericolosa sostanza di raggiungere il cervello. I test ufficiali (fase 3, finale, dell'esperimento) sono iniziati a ottobre su 1.600 pazienti di età compresa fra 18 e 65 anni, abituati a consumare almeno dieci sigarette al giorno. Il vaccino prevede sei punture in sei mesi e potrà essere assunto sia in via preventiva, che terapeutica. NicVAX, questo il nome del farmaco approntato da Glaxosmithkline, darà dura battaglia ai tanti prodotti fin qui utilizzati per combattere la dipendenza dalle bionde, in primis cerotti e gomme da masticare.