giovedì 26 gennaio 2012

L'oroscopo più antico

Il reperto individuato in Croazia

La più antica tavola astrologica è stata scoperta da un team di studiosi dell'Istituto di Ricerca Antropologica di Zagabria. Gli scienziati hanno individuato il reperto in una cava affacciata sul Mar Adriatico, chiamata dagli abitanti locali “Spila”. Si riferisce a trenta pezzi di avorio risalenti a più di 2mila anni fa riportanti i segni zodiacali; il reperto, in realtà, è molto malandato ma sono visibili le immagini greco-romane riconducibili a Cancro, Gemelli e Pesci. Probabilmente è il risultato della diffusione dell'astrologia babilonese: «L'archeologia babilonese si è trasformata diventando l'astrologia greca, che è essenzialmente la versione moderna dell'astrologia», racconta Alexander Jones, professore dell'Institute for the Study of the Ancient World. «La tavoletta, quindi sarebbe un'espressione della cultura astrologica pre-moderna». La scoperta è avvenuta in un antro della caverna nel quale, verosimilmente, l'uomo non metteva più piede da parecchio tempo. «Era un condotto lungo dieci metri», spiegano i ricercatori, «caratterizzato da uno strato di calcare che si rompeva passandoci sopra». Con quello che può dunque essere considerato il più antico oroscopo della storia, («abbiamo molti oroscopi in forma scritta, su papiro o su parete, ma nessuno antico come questo»), sono stati individuati anche una stalagmite di forma fallica e misteriosi oggetti in avorio: «Nel corso degli scavi sono saltati fuori questi piccoli pezzi di avorio, che ancora non si è capito a cosa servissero», affermano i ricercatori. Ma come ha fatto la tavoletta a raggiungere la Croazia? Secondo le prime ricostruzioni potrebbe essere arrivata seguendo la rotta che attraversava l'Adriatico in lungo e il largo. Se così fosse il reperto potrebbe essere stato lavorato in Egitto, per poi giungere in un secondo momento in Europa. Affascina anche l'ipotesi che possa essere stato recuperato da una nave di passaggio: «C'é, in effetti, la possibilità che la tavola astrologica possa essere il risultato di un'offerta, associata ad altri oggetti speciali comprati o saccheggiati da una nave di passaggio», chiudono i ricercatori. «Le coppe scoperte nella caverna, del resto, sono quasi tutte di origine straniera, e potrebbero essere anch'esse frutto di furti o scambi commerciali». 

La caverna in cui è avvenuto il ritrovamento

Qualche (sacrosanto) motivo per non credere nell'oroscopo (da un'idea di Corvo Rosso): 

Gli sponsor 

Perché fra i maggiori sostenitori di una ragione scientifica alla base dell’Astrologia troviamo personaggi del calibro dell’ex presidente Ronald Reagan, la moglie Nancy (non soltanto spesso consultavano un astrologo, ma sembra che Reagan abbia basato numerose importanti decisioni sulla loro funzionalità astrologica, per esempio la possibilità, nel 1976, di presentarsi alle elezioni presidenziali, e la sua scelta di George Bush come suo vice-presidente. Mentre era governatore della California, Ronald Reagan firmò inoltre una legge per introdurre un nuovo capitolo e sezione del codice di governo, che concedesse il diritto ad un risarcimento a chi praticasse l’astrologia), Britney Spears e J. K Rowling. 

Errori babilonesi 

Chi ha sempre creduto di essere fantasioso e indipendente perché queste sono le caratteristiche dell’Acquario, dovrebbe guardare meglio dentro di sé: in realtà è testardo e riflessivo come un Capricorno. Gli astrologi, infatti, non considerano il terzo movimento della Terra, in virtù del quale tutti i segni zodiacali andrebbero spostati indietro di uno. Come è possibile? Lo spiega il professor Antonino Zichichi.«Le costellazioni dei segni zodiacali sono state codificate dai babilonesi. Ma Ipparco, nel secondo secolo avanti Cristo, scoprì il terzo movimento della terra che ogni 2.200 anni sposta indietro ogni costellazione. Il giorno dell’anno in cui il sole dovrebbe sorgere nell’Acquario, quindi, in realtà sorge nel Capricorno, e così via». «Ma non è questa la ragione principale per non credere agli oroscopi», sottolinea Zichichi. «Il primo motivo è che i segni zodiacali si basano sull’idea che esistano stelle fisse, mentre in realtà le stelle viaggiano alla velocità di un milione di chilometri all’ora. Dal momento che non esistono stelle fisse, non esistono nemmeno le costellazioni. E anche ammettendo l’esistenza delle costellazioni, nella porzione di cielo indicata dai babilonesi ce ne sono 13 e non 12». 

L’Ofiuco incomodo 

I segni zodiacali dovrebbero essere spostati di circa un mese in avanti (ad esempio il leone passerebbe dal 23 luglio-22 agosto al 17 agosto-16 settembre) per essere compatibili col movimento del Sole, e comunque le costellazioni a cui fanno riferimento non portano certo ad una durata uguale per ognuno di essi. Una grande costellazione (l’Ofiuco) posta nel bel mezzo dello Zodiaco è del tutto ignorata. Una relazione causale tra movimenti celesti e destino delle persone non è mai stata provata.

Immutabilità 

Perché è una delle realtà parascientifiche più antiche della storia, ma nel lasso di tempo in cui l’uomo è passato dal tirarsi ciottoli di cacca da una caverna all’altra, a corteggiare ragazzotti nerboruti in una scatola parlante mentre un carismatico transgender appollaiato su una scalinata guida il tutto con sapienza (Circa 5000 anni, le prime tracce di una cultura astrologica risalgono all’incirca al 2637 a.c in Cina) l’astrologia è rimasta la stessa, senza cambiare di una virgola (E pensare che nel frattempo hanno persino scoperto che la Terra non sarebbe piatta ma sferica!). 

Il lato positivo della disoccupazione 

Perché senza l’astrologia personaggi quali Branko, Paolo Fox, Linda Wolf, il Divino Otelma, Alan, Linda Fassio, Antonia Bonomi, Maria Santucci, Marco Pensatori tornerebbero a fare il lavoro che hanno nel sangue, l’occupazione cui erano stati destinati dalle Stelle: gli sminatori.

mercoledì 25 gennaio 2012

I 90 anni di Luigi Luca Cavalli Sforza

Un appuntamento, oggi, da non perdere, al Museo Civico di Storia Naturale di Milano, per tutti gli amanti della scienza (e non solo)...


Una curiosità:

Luca Cavalli-Sforza ha ricordato che durante una lezione al liceo Massimo d'Azeglio, il suo professore di religione disse di non credere nella teoria evoluzionistica. L'allora quattordicenne Luca dichiarò di essersi interessato alla lezione non per ribellione, ma perché le prove riportate dal professore non avevano alcuna base logica, a differenza dell'evoluzione, che sembrava allo studente “del tutto ragionevole”. Qualche anno dopo si rese conto dell'utilità che quella lezione ebbe nelle sue scelte di vita.


venerdì 20 gennaio 2012

Guariti dall'effetto serra


Fra il 1970 e il 2008 gli albatri dell'oceano Indiano meridionale sono ingrassati in media di un chilo e le loro uova producono pulcini nel 77% dei casi, contro il 66% dei decenni precedenti. Secondo un articolo apparso su Science il motivo risiede nel fatto che gli uccelli spendono meno tempo a pescare, sfruttando venti più forti alteratesi in seguito al surriscaldamento globale. In pratica il tempo risparmiato in volo viene dedicato alla cova, con tutte le conseguenze (positive) del caso: ingrassamento e pulcini più robusti. Il discorso incuriosisce perché di solito l'effetto serra è messo in relazione a ripercussioni negative sugli animali. In questo caso, evidentemente, vale il contrario. Gli albatri sono tra gli uccelli più grandi sulla Terra e, addirittura, l'albatro urlatore (Diomedea exulans) è il volatile con l'apertura alare più maggiore. Sono molto efficienti in aria, sfruttano le correnti aeree e sono in grado di percorrere grandi distanze con poco sforzo. Si nutrono di cibi grassi ed oleosi, fra cui seppie, pesci e krill. Spesso si cibano anche degli scarti rilasciati dalle navi specializzate nella lavorazione di prodotti derivati dalle balene. 19 delle 21 specie di albatri sono, però, considerate a rischio di estinzione da parte dell'IUCN, l'ente che si occupa di proteggere gli animali in pericolo. Oggi gli albatri sono anche minacciati dall'introduzione nel loro habitat di animali come ratti o gatti selvatici che attaccano uova, pulcini e giovani adulti.

giovedì 19 gennaio 2012

EROI PER CASO

Sicché sono finito in copertina con un pezzo che cerco di fare da almeno un anno. Per l'occasione ho avuto modo di leggere il bellissimo libro di Telmo Pievani, La vita inaspettata. Il fascino di un'evoluzione che non ci aveva previsto, e scambiare col filosofo un paio di mail... 

mercoledì 18 gennaio 2012

CHIMICHE NEVOSE

Neve chimica in "azione" al Parco di Monza
È un fenomeno che stiamo osservando in questi giorni: la neve chimica. Ma di cosa si tratta esattamente? È un processo meteorologico che avviene in concomitanza con due fattori: freddo intenso e inquinamento. Sicché niente brina o galaverna, ma, appunto, chimica, chimica industriale, fiocchi di neve gelati e... smog. "La neve chimica”, spiega il meteorologo Antonino Sanò, del portale IlMeteo.it, “è un fenomeno raro, tipico delle aree industriali padane. Si intende una precipitazione di fatto nevosa che si origina esclusivamente dalla nebbia in condizioni di temperature negative, ed è permessa grazie alla presenza di nuclei di condensazione, ovvero sali e polveri e altre sostanze prodotte dalle attività antropiche, industriali ed urbane tipiche delle città del nord. Negli ultimi giorni il fenomeno ha colpito parte del Piemonte e della Lombardia, e in particolare il novarese e il milanese. La neve chimica può produrre anche qualche centimetro di manto ghiacciato". Il fenomeno predispone a un ulteriore calo della colonnina di mercurio e ciò spiega il motivo per cui queste mattine registriamo temperature intorno ai -6°C. Coinvolti, dunque, principi attivi tipici della produzione industriale; Vincenzo Levizzani dell'Isaac, l'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr, dice che alla base della neve chimica ci sono delle sostanze prodotte dall'inquinamento industriale come il solfuro di rame, l'ossido di rame, gli ioduri di mercurio, di piombo o di cadmio e i silicati. “Queste particelle hanno una struttura simile a quella dei cristalli di ghiaccio esagonali e quindi funzionano bene da inneschi dei fiocchi di neve”. Ma in parte il problema è ascrivibile anche alla galaverna, tipico deposito di ghiaccio a forma di aghi, scaglie o superficie continua ghiacciata su oggetti esterni, che può prodursi in presenza di nebbia quando la temperatura dell'aria è inferiore a 0°C. La galaverna è costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide. Si forma quando le goccioline d'acqua in sospensione nell'atmosfera possono rimanere liquide anche sotto zero (stato di sopraffusione). Questo stato è instabile e non appena le gocce toccano una superficie solida come il suolo o la vegetazione si trasformano in galaverna: si tratta quindi di solidificazione, ovvero passaggio dallo stato liquido a quello solido. Previsioni per i prossimi giorni? “Dopo una pausa giovedì”, chiude Levizzani, “ci sarà una ripresa del freddo con dei picchi sulle Alpi e lungo le vallate degli Appennini che sfioreranno anche i meno 10 e meno 15 gradi centigradi. Il fine settimana, dunque, sarà di nuovo sotto il segno di un freddo inverno”. 

"Fiocchi" di galaverna

venerdì 13 gennaio 2012

Verso la teoria del tutto


Nel 1968 Gabriele Veneziano è un ragazzotto di 26 anni, laureatosi in fisica presso l'Università di Firenze, sotto la supervisione di Raoul Gatto, fra i più noti e importanti fisici italiani. Ha da poco cominciato a ragionare sui cosiddetti “modelli duali”, riferiti a complessi calcoli matematici concernenti l'affascinante mondo delle particelle subatomiche: vuole comprendere i misteri che ancora avvolgono l'intimità della materia, per far luce sui limiti che da sempre condizionano la relatività einsteniana, impedendo di perscrutare adeguatamente le dinamiche che si instaurano nel cuore di un atomo. Da qui, inaspettatamente, innesca una serie di studi che porta allo sviluppo di una delle teorie più controverse delle fisica moderna e non ancora del tutto chiarita: la teoria delle stringhe. Di cosa si tratta? È un principio basato sul fatto che le entità fondamentali nel nostro universo non sono rappresentate, come si suol credere, da elettroni, neutrini e quark, bensì da minuscole corde (o, dall'inglese, strings=stringhe) che vibrano nello spazio, dando “forma” alle particelle sub-nucleari. Il fenomeno può essere assimilato alle corde del violino che vibrando producono le note di un pentagramma. A ogni vibrazione corrisponde, dunque, una particolare carica energetica, considerato lo stretto legame che sussiste fra massa ed energia, elaborato da Einstein nella sua più celebre formula, E=mc2. Ma queste entità sono molto più piccole delle corde di un violino. La loro dimensione ha, infatti, a che fare con un mondo totalmente invisibile all'occhio umano, lunghezze dell'ordine della scala di Planck, scale dell'infinitamente piccolo: una stringa misura solo 10 alla -34 centimetri! Inoltre le vibrazioni non avvengono nel tradizionale spazio a quattro dimensioni (lunghezza, altezza, larghezza, cui va aggiunto il tempo), ma in uno spazio a dieci dimensioni, sei in più rispetto al mondo a noi famigliare. Ma come è possibile non accorgerci di un mondo con così tante dimensioni?
Il punto è che quelle che noi non vediamo è come se fossero ripiegate su se stesse in ambiti spaziali ristrettissimi, inconciliabili con la nostra quotidianità, dove anche il concetto di “vista a occhio nudo” risulterebbe un eufemismo. Un piccolo aiuto può esserci fornito da un equilibrista del circo che cammina su un filo. Per lui si tratta di un'entità mono-dimensionale: può, infatti, andare solo avanti o indietro. Ma per una formica alle prese con lo stesso esercizio, in grado, in realtà, anche di ruotare intorno a esso, il filo è bidimensionale. L'equilibrista, dunque, non può sperimentare la seconda dimensione, perché per lui è troppo piccola ed è come se non esistesse. Sicché è solo a ridottissime distanze che si possono osservare le sei dimensioni extra analizzate. Ma allora qual è la relazione fra una stringa, il tempo e lo spazio? «Una stringa occupa una linea nello spazio in ogni istante del tempo, così che la sua storia nello spazio-tempo è data da una superficie bidimensionale chiamata 'foglio d'universo' (world-sheet)», spiega il noto fisico americano Stephen Hawking. Le stringhe, però, non sempre mantengono la loro autonomia: due pezzi di stringa, infatti, possono unirsi per formare un'unica stringa, un po’ come accade con le gambe dei pantaloni; e similmente, un singolo pezzo di stringa, può dividersi in due stringhe, propagarsi nello spazio e interagire con altre strutture analoghe.
La teoria delle stringhe mira a fornire un risultato concettuale molto ambizioso: rendere compatibili i due capisaldi della fisica moderna, la teoria della relatività e la meccanica quantistica. Non è un compito facile, poiché le due teorie non sembrano facilmente conciliabili: da una parte c'è l'universo, l'infinitamente grande, con le sue geometrie spazio-temporali e la gravità, quindi la relatività einsteniana, dall'altra il mondo delle onde e delle particelle, l'infinitamente piccolo, descritto dalla meccanica quantistica, dall'interazione elettromagnetica, dalle due forze nucleari, forte e debole. «La teoria delle stringhe si prefigge di spalmare l'interazione gravitazionale su distanze non nulle, grazie a dei miracoli quantistici», dice Veneziano. «Si parte da un principio piuttosto modesto, ovvero l'ipotesi che tutto sia fatto da piccole cordicelle vibranti, che hanno la possibilità di essere relativistiche e quantistiche». Ecco il succo della teoria delle stringhe, cavillo che ha sempre assillato anche Albert Einstein, che, a tutti coloro che gli chiedevano una teoria in grado di sintetizzare al meglio tutto ciò che ci circonda, rispondeva con sarcasmo: «Devo sembrare uno struzzo che seppellisce la testa nella sabbia relativistica per non far fronte ai quanti demoniaci».
I primi effettivi risultati inerenti il lavoro svolto da Veneziano arrivano nel 1974, con la pubblicazione di un articolo da parte di Joel Scherk e John Schwarz, rispettivamente del California Institute of Technology e dell'École Normale Supérieure di Parigi: si addentrano nei meandri della fisica per dimostrare che la teoria delle stringhe può efficacemente descrivere la forza gravitazionale, purché la tensione di una singola stringa sia estremamente elevata (circa 10 alla 39esima tonnellate). «L'analogia con le corde di un violino può nuovamente tornare utile», afferma Matteo Bertolini, ricercatore nel Settore di Fisica delle Particelle Elementari della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste. «Per produrre le note, la corda di un violino va fatta vibrare, diversamente non sentiremmo alcun suono. Per farlo, però, occorre esercitare una forza sulla corda stessa. La tensione di una stringa è pertanto la forza (per unità di lunghezza) che bisogna esercitare per fare vibrare la stringa e produrre i cosiddetti “stati di particella”».
Il traguardo conferma che, su scale di lunghezza ordinarie, le predizioni del nuovo principio fisico sono esattamente le stesse di quelle inerenti la relatività generale; le differenze si hanno solo su scale estremamente piccole, minori di 10 alla -33 centimetri. È anche la prova definitiva che consente di coniugare le tre forze che governano le interazioni tra le particelle subatomiche (elettromagnetismo, forza nucleare e forza debole) alla gravità einsteniana. La ricerca del duo, però, non ottiene molto successo, anche perché mancano dati papabili in grado di confermare empiricamente la rivoluzionaria tesi. Peraltro Scherk viene a mancare all'improvviso, per una crisi diabetica, lasciando solo il partner nell'ardua rincorsa alla “teoria del tutto”. Così, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, l'idea di conciliare relatività e meccanica quantistica cade nel dimenticatoio, surclassata da eventi astronomici e di ingegneria spaziale di grido come la scoperta degli anelli di Urano (1977), il lancio del primo shuttle (1981), l'arrivo della cometa di Halley (1986). 


A metà degli anni Ottanta, però, nuovi studi condotti da John Schwartz e Michael Green del Queen Mary College di Londra, mostrano come la teoria sia perfettamente attendibile quantisticamente, aprendo una nuova era, la cosiddetta “prima rivoluzione della stringa”. È l'avvento della stringa eterotica, una versione della teoria che sembra in grado di spiegare tutti i tipi di particelle che osserviamo. Il riferimento, in questo caso, è a stringhe ibride, a metà strada fra l'originale stringa bosonica (che ha dato il via a questo tipo di studi) e una superstringa, coinvolgente aspetti più specifici della materia come i fermioni e la supersimmetria (che associa particelle bosoniche a particelle fermioniche).
Dopo un nuovo periodo di relativa tranquillità, una seconda rivoluzione avviene nella seconda metà degli anni Novanta, grazie a una serie di progressi teorici, che permettono di comprendere molto più a fondo le proprietà della teoria, le sue potenzialità e ripercussioni. A questa fase contribuisce anche Brian Greene - secondo il Washington Post il “miglior divulgatore al mondo di concetti astrusi” - co-direttore del Centro per le Stringhe, la Cosmologia e la Fisica Astroparticellare della Columbia University, divenuto celebre dopo la pubblicazione del bestseller L'universo elegante. «Molte cose sono cambiate», rivela Greene. «Negli anni Ottanta la teoria delle stringhe vira da una teoria delle interazioni forti a una teoria di tutte le interazioni, compresa la gravità. Dagli anni Novanta fino a oggi capiamo, invece, che alcune versioni della teoria delle stringhe sono in realtà teorie di gauge», paradigmi in grado di descrivere in un quadro teorico unificato le teorie quantistiche dell'elettromagnetismo, dell'interazione nucleare debole e dell'interazione nucleare forte.
Secondo Stephen Hawking sono due le ragioni che riportano in vita la teoria delle stringhe: «Una di queste è legata al fatto che non si stavano facendo molti progressi nel cammino della dimostrazione che la super-gravità garantisse valori finiti o che fosse in grado di spiegare i tipi di particelle che di fatto osserviamo». Nel 1996 i fisici teorici Andrew Strominger e Cumrum Vafa, dell'Harvard University, mostrano, per primi, come alcune delle misteriose proprietà dei buchi neri - alcuni dei quali presumibilmente “costituiti” da elementi riconducibili all'infinitamente piccolo delle stringhe - possano essere comprese dalla teoria di stringa. In particolare, propongono un procedimento matematico innovativo che consente di calcolare il numero di “riordinamenti” dei minuscoli mattoni alla base dell'enigmatico oggetto spaziale. La cifra ottenuta concorda esattamente con il valore dell'entropia calcolato da Jacob Bekenstein e Stephen Hawking, fondamentale per mantenere valido il secondo principio della termodinamica.
Negli anni successivi diversi studiosi tra i più riconosciuti, tra i quali Edward Witten di Princeton e Joe Polchinski del KITP di Santa Barbara, danno ulteriori contributi allo sviluppo della teoria. Ma è a partire dal 1997, con le ricerche del fisico argentino Juan Maldacena, inerenti la cosiddetta "corrispondenza olografia", che si aprono scenari decisamente sorprendenti. «La rivoluzionaria tesi suggerisce l'esistenza della perfetta equivalenza tra una teoria gravitazionale in uno spazio a n dimensioni, con teorie non gravitazionali in spazi a n-1 dimensioni», precisa Bertolini. La teoria delle stringhe diventa così uno strumento per comprendere fenomeni fisici negli ambiti più diversi, dalla fisica nucleare, all'idrodinamica, fino alla fisica della materia condensata. È, quindi, una rivoluzione anche dal punto di vista sociologico, poiché avvicina alla teoria di stringa non solo i "cercatori della teoria del tutto", ma i fisici di ogni campo.
Ai giorni nostri la teoria delle stringhe continua ad affascinare gli scienziati di tutto il mondo e, come ogni sfida che si rispetti, a generare entusiasmo e dubbi; le perplessità derivano dal fatto che, malgrado i notevoli progressi scientifici compiuti, non esistono ancora prove empiriche e reali della sua validità. Ma i lavori proseguono incessanti. «Ultimamente si sta assistendo a una stretta e vivace cooperazione tra i numerosi "stringhisti" e i fisici teorici della materia condensata», dice Bertolini. «Contemporaneamente, gli studi teorici più formali, continuano a essere orientati a comprendere le caratteristiche più intime della teoria, che presenta ancora molte lacune». Nuove e importanti scoperte potrebbero, dunque, essere dietro l'angolo, grazie soprattutto all'attività dei cosiddetti acceleratori di particelle, dove possono essere condotti esperimenti su piccolissima scala: «Alcune predizioni dei modelli di stringa, concernenti, per esempio, le dimensioni extra, la super-simmetria, i diversi aspetti della corrispondenza olografica, potrebbero trovare una conferma diretta presso l'LHC, l'acceleratore di particelle del CERN di Ginevra», chiude Bertolini. «I prossimi anni saranno sicuramente stimolanti e ricchi di nuove scoperte».

 
(Pubblicato sulla rivista Newton)

lunedì 9 gennaio 2012

L'anno che verrà: le previsioni economiche


Previsioni di crescita del prodotto interno lordo mondiale nel 2012

Dati in percentuale: 

Nord America: +1,4
America Latina: +3,5
Europa occidentale: -0,2
Medio oriente/Nord Africa: +4,0
Africa Subsahariana: +5,0
Europa orientale: +3,4
Giappone +2,2
Asia: +6,5 

I 10 paesi che cersceranno di più nel 2012

Dati in percentuale: 

Macao: +15,0
Mongolia: +14,8
Libia: +13,6
Angola: +9,9
Niger: +8,5
Cina: +8,2
Etiopia: +8,0
Rwanda: +8,0
Laos: +7,9

Le stime sono state tratte da "The World in 2012", numero speciale dell'Economist. Le proiezioni del World Economic Outlook indicano una crescita globale moderata (4%), che diventa anemica (1,5-2%) se riferita alle sole economie avanzate.

La parola al virologo



Intervista a Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Universitò di Milano: 

Novembre 11, alguer.it
PRONTI PER LA NUOVA ONDATA INFLUENZALE?
Per l'Italia è ancora presto. Finora, in Europa, ci sono stati solo isolamenti sporadici del virus nei Paesi settentrionali. Salvo crolli improvvisi delle temperature, l'epidemia dilagherà probabilmente dopo le feste natalizie. Ma è questo il momento giusto per proteggersi.
SI RIFERISCE AL VACCINO?
Certamente. Le campagne vaccinali sono partite ed è importante aderirvi. La vaccinazione è efficace e sicura. 
 
Novembre 09, virgilio.it
PERCHÈ È UTILE VACCINARSI?
La vaccinazione stagionale è da sempre un'opportunità per tutti, anche per i bambini dai 6 mesi in su, mentre diventa addirittura un salvavita per i soggetti più fragili. Per queste persone può essere indicato anche vaccinarsi contro lo Streptococcus pneumoniae, la causa principale della polmonite, che è la complicanza più pericolosa delle forme influenzali.
Ottobre 11, la provincia.it
COME SARÀ L'INFLUENZA DI QUEST'INVERNO?
Per la stagione 2011-2012 si prevede un'epidemia di lieve entità, ma l'influenza non va mai sottovalutata.
DA CHE TIPI DI VIRUS DOVREMO DIFENDERCI?
Circoleranno due virus australiani già noti e poi l'H1N1, divenuto celebre nel 2009, ma poi declassato a comune virus stagionale. Trattandosi di ceppi conosciuti, diverse persone potrebbero evitare il contagio.

Ottobre 07, ambulatorio.it
QUALI SONO I RISCHI DELL'INFLUENZA? LA MALATTIA PUÒ METTERE SERIAMENTE A REPENTAGLIO LA SALUTE?
Nonostante l’andamento sia di norma benigno, ogni inverno l’epidemia influenzale è responsabile di numerosi decessi: in USA dal 1957 al 1986 sono stati in media 10mila decessi all’anno con punte di 40mila morti; in Inghilterra nel 1989-90 si sono contati circa 26mila morti. In rapporto all’età, l’influenza è responsabile del 20% delle morti da 0 a 14 anni con rischio maggiore nel primo anno di vita.

Giugno 09, Spigolature Scientifiche
MA I VIRUS SONO TIPICI ANCHE DI ALTRE MALATTIE, COME LE INFEZIONI UROGENITALI E GASTROINTESTINALI, E RIGUARDANO SOPRATTUTTO LA STAGIONE ESTIVA.
In estate l’alimentazione cambia ed è più facile andare incontro a malattie a trasmissione feco-orale. Basta un inserviente che non si è lavato bene le mani. I vettori patogeni insidiano le pietanze a nostra insaputa provocando dissenteria, dolori allo stomaco, in casi estremi la salmonellosi.
PRINCIPALI RESPONSABILI DELLE INFEZIONI VIRALI SONO I CORONAVIRUS E GLI ADENOVIRUS.
Ogni estate abbiamo a che fare con 260 virus. È ovvio che ci siano dei rischi per la nostra salute. Ma bastano pochi accorgimenti e un regime di vita sano per tenere lontano il rischio di gravi malattie. 
 
Agosto 11, ilsussidiario.net
TORNA A FAR PAURA ANCHE IL VIRUS H5N1, SCOMPARSO DOPO IL PICCO DEL 2006.
L’H5N1 era ed è ancora oggi un problema a livello veterinario, che riguarda qualche specie di volatile. La “peste aviaria” era conosciuta anche dai contadini dell’Ottocento, nelle situazioni in cui si assisteva a morie di galline o di anatre.
L'H5N1 È STATO POI SOPPIANTATO MEDIATICAMENTE DAL PIÙ CATTIVO E INTRAPRENDENTE H1N1.
Ma è rimasto un problema di pandemia a livello animale, e sporadici casi di contagio umano sono avvenuti nelle zone del mondo dove la vicinanza uomo-animale è più comune.

mercoledì 4 gennaio 2012

L'ultimo orango


Un miliardo di persone nel diciannovesimo secolo, oggi quasi sette miliardi. Sono i numeri che indicano l'eccezionale sviluppo demografico a cui l'uomo è andato incontro negli ultimi duecento anni. Un fenomeno che stiamo pagando a caro prezzo. Poche e lampanti cifre bastano a far comprendere la drammaticità del problema. Dai primi dell'Ottocento è scomparso il 40% delle foreste naturali; dal 1900 abbiamo perso il 50% delle zone umide, comprese le torbiere, fra i più importanti serbatoi di carbonio del pianeta; il tasso di estinzione animale si è rivelato mille volte più rapido di quello stimabile quando l'uomo non c'era. Nel periodo compreso fra il 2000 e il 2005, il Sudamerica ha subito la più ampia perdita di foreste – circa 4,3 milioni di ettari l’anno – seguita dall’Africa, con quattro milioni di ettari l’anno. Tra il 1985 e il 2007, quasi la metà della foresta di Sumatra – terza isola più grande dell'arcipelago indonesiano, dopo Nuova Guinea e Borneo - è stata spazzata via dalla furia umana. Dal Sessanta a oggi, a causa della rapida crescita della popolazione antropica, si è avuto un degrado complessivo di risorse preziosissime come acqua, legno, minerali, principi attivi utili per produrre farmaci. Ogni secondo un lembo di terra equiparabile a un campo da calcio viene depauperato e reso inaccessibile. Significa che 31 milioni di campi da calcio ogni anno subiscono il disboscamento per mano umana. E che, ogni 365 giorni, a causa di ciò, si perdono nel mondo circa 13 milioni di ettari di foreste. Fra gli habitat maggiormente colpiti dalla furia umana ci sono le foreste pluviali, macrocosmi caratterizzati da una biodiversità eccezionale, e veri e propri polmoni della Terra. Le precipitazioni annue molto abbondanti, l'elevato tasso di umidità e le alte temperature, consentono la sopravvivenza di oltre due terzi delle specie animali e vegetali presenti sul pianeta. In questa sede, grazie all'attività fotosintetica esplicata da colossi vegetali di cento metri di altezza, e secoli di età, ossigeno e anidride carbonica vengono continuamente riciclati, dando “respiro” al pianeta. Disboscando, quindi, si creano i presupposti per l'incremento del surriscaldamento globale: il 17% delle emissioni globali di gas serra proviene, infatti, dalla deforestazione, attuata per ricavare olio vegetale e soprattutto legname. «I danni agli ecosistemi forestali stanno provocando conseguenze in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici, della scarsità di acqua e della perdita della diversità biologica», spiega Jan Heino, vicedirettore generale del Dipartimento Foreste della FAO. «Il sistematico cambio d’uso delle terre, trasformate da boschi in suolo agricolo, contribuisce per circa un terzo alle emissioni di gas serra». Il fenomeno non è uguale in tutti gli angoli del pianeta, ma è particolarmente sviluppato in aree fortemente compromesse dall'attività antropica come l'Indonesia. Qui, negli ultimi decenni, si è assistito a una vera e propria devastazione e usurpazione del territorio, con ripercussioni in ogni ambito, da quello umano, a quello faunistico e vegetale. Il disastro è incontrovertibile, considerato che il quinquennio 2005-2010 si è rivelato ben peggiore del quinquennio precedente. Non è solo un problema riferibile alla perdita “organica” del territorio. Si hanno, infatti, gravi ripercussioni anche sulla popolazione locale, vittima di carestie, malnutrizione, malattie infettive, e disagi dovuti ai repentini mutamenti del clima. Negli ultimi anni i cataclismi naturali sono cresciuti in modo esponenziale, le alluvioni, in special modo, hanno coinvolto milioni di persone, creando i presupposti per la diffusione di pestilenze e morbi. In questo angolo di mondo soffrono moltissimo gli animali, dove sono in pericolo di estinzione numerose specie. Fra i rappresentanti faunistici più in crisi ci sono gli orango tango, specie di scimmia endemica del continente asiatico. Presso l'isola di Sumatra, cuore nevralgico della realtà eco-sistemica di questo mammifero, appena 8.641 chilometri quadrati rimangono a sua disposizione, concentrati soprattutto nella calda provincia di Aceh, interessata da anni di conflitto fra i separatisti e i governativi di Jakarta.


Gli orango sono alti un metro e mezzo, i maschi pesano 110 chilogrammi, le femmine 50, campano fino a 40 anni (60 in cattività). Hanno il pelo rosso e un'intelligenza estremamente sviluppata: sono in grado di gestire abilmente strumenti dei quali si servono per costruire rudimentali, ma efficientissimi capanni per la notte e giacigli su cui sdraiarsi. Saltano da un albero all'altro con gran disinvoltura, sfruttando la peculiare anatomia degli arti, perfettamente calibrata per questo tipo di azione. Si nutrono soprattutto di frutta, ma non disdegnano insetti, miele e uova di uccelli. Abitano quel che resta delle foreste dell'Indonesia e della Malasya, ma i reperti fossili raccontano che un tempo erano distribuiti lungo un territorio ben più vasto, comprendente l'isola di Giava, la Cina e il Vietnam. Le due specie note sono il Pongo abelii (orango di Sumatra) e il Pongo pygmaeus (orango del Borneo). La deforestazione influisce direttamente sull'esistenza di questi animali, che si vedono privati del loro habitat naturale. Avanti di questo passo si prevede la loro estinzione entro i prossimi dieci anni. Un dato che non stupisce se si considera che, negli ultimi decenni, la popolazione di oranghi del sud-est asiatico è crollata del 92%. Sotto accusa le numerose attività che predispongono alla distruzione della foresta pluviale: costruzione di strade, estrazione di minerali, approvvigionamento illegale di legname e risorse del sottobosco. Qualcosa, però, si sta combinando per salvaguardare questi importantissimi scrigni naturali. The Great Apes Survival Partnership (GRASP) è il progetto ideato dai tecnici del United Nations Enviroment Program (UNEP) dieci anni fa, coinvolgendo governi, organizzazioni ambientaliste, donatori privati, con uno scopo preciso: proteggere le scimmie del pianeta, non solo gli oranghi, ma anche scimpanzé, gorilla e bonobo, che soffrono analoghe situazioni di minaccia. Un ultimo rapporto elaborato dal GRASP sulla situazione in Asia, verrà presentato ufficialmente nel giugno 2012, a Rio, in occasione dell'Earth Summit: non emergeranno belle notizie, ma l'appuntamento potrebbe offrire nuove concrete idee per superare o, almeno, arginare il problema. Di fatto, numerose leggi in favore di piante a animali, vengono periodicamente proposte e quasi sempre approvate, tuttavia non si scorgono segnali autentici di rivalorizzazione dei territori vergini. Il punto è che le leggi vengono aggirate con nonchalance, senza minimamente impensierire i responsabili dell'ecatombe delle foreste. Manovrano l'illecito politici corrotti e industriali senza scrupoli, che, alla fine, trovano sempre un escamotage per passarla liscia. Alla luce di ciò la condanna a 11 anni di detenzione per Azmun Jaafar, governatore del distretto di Pelalawan, reo di aver rilasciato permessi per la gestione dei terreni forestali, per molti è sembrata più una mossa sensazionalistica per mettere a tacere le anime ambientaliste più calde, che non un reale successo degli ecologisti. La facilità con cui la legge viene scavalcata rimanda alle politiche amministrative degli anni Settanta, quando il governo indonesiano dichiarò 140 milioni di ettari di terreno di proprietà dello stato. All'epoca si pensò che fosse un ottimo pretesto per tenere sotto controllo gli spazi naturali, preservandoli dal progresso e dalla antropizzazione. Ma poi, questa mossa, di dimostrò in tutto il suo reale e infruttuoso valore. Con i primi giri di bustarelle, anche gli amministratori più integerrimi cedettero, infatti, al fascino del soldo facile, cominciando a fare buon viso e cattivo gioco, approvando leggi e destra e a manca, e, dunque, favorendo le attività proibite di facoltosi imprenditori, del tutto disinteressati alle sorti del pianeta. Ancora oggi è con gli incendi che ci si fa strada fra il rigoglio delle foreste pluviali. Si appiccano ovunque liberando ettari ed ettari di foresta in pochi giorni. 


I dati raccolti dall’associazione Eyes on the forests rivelano che non tutte le industrie si muovono con la stessa intraprendenza. Alcune sembrano essere più furbe (e disoneste) di altre. Sui 4.782 incendi segnalati dal satellite nei primi sei mesi del 2009, il 25% ha interessato aree controllate da uno dei maggiori gruppi industriali della carta e dei biocarburanti: la APP/Sinar Mas. Secondo la FAO, fra il 1996 e il 2007, la sola APP ha distrutto 177mila ettari di foresta, quantità riconducibile al 65% di tutte le azioni di disboscamento registrate in Indonesia. «La APP, il gruppo Sinar Mas e le loro consociate devono assumersi la responsabilità legale di ciò che avviene nelle loro concessioni», afferma Susanto Kurniawan, rappresentante di Jikalahari. «Esse devono fermare immediatamente la distruzione delle foreste e delle torbiere, bloccare la costruzione di strade e canali di drenaggio della torba e combattere gli incendi». Per salvare la foresta pluviale s'è, infine, mossa anche la Norvegia che, in collaborazione col governo indonesiano, ha presentato un documento per impedire che nuove aree pluviali vengano convertite in zone agricole o sfruttabili per scopi industriali. Ma anche in questo caso il risultato tarda a venire. L'inglese Investigation Agency (EIA) e l'indonesiana Telepak hanno già segnalato gravi inadempienze da parte di alcuni industriali, sottolineando il caos legislativo che contraddistingue la terra degli oranghi e soprattutto la biasimevole cultura di impunità che porta ogni impresario a comportarsi come meglio crede. 

Areale dell'orango