giovedì 28 dicembre 2017

Intimità in assenza di gravità


Finora, nel cosmo, ci sono andate senza indugi cinquecento persone, fra uomini e donne; consapevoli di poter tornare presto sulla Terra e risolvere all’istante eventuali problemi relazionali. Ma cosa accadrebbe con una convivenza forzata, necessaria, per esempio, per raggiungere Marte che dista da noi 225 milioni di chilometri? Litigi, innamoramenti, rapporti sessuali, un inaspettato concepimento. Potrebbero seriamente compromettere una missione. Ecco dunque l’ultima idea della Nasa: spedire sul Pianeta rosso un equipaggio composto da sole donne. Helen Sharman è un'astronauta e chimica inglese, la prima britannica a essere andata in orbita nel 1991 per fare visita alla stazione spaziale sovietica Mir. Sharman dice che affrontare un viaggio di un anno e mezzo con uomini e donne obbligati a convivere nello stesso spazio limitato, non è conveniente. Idem se dovessero prendere parte alla missione solamente dei maschi. Secondo l’astronauta, infatti, gli uomini sono molto competitivi e potrebbero insorgere problemi di leadership, con tafferugli e incomprensioni. Situazione che non si verificherebbe se i componenti fossero solo di sesso femminili, inclini alla collaborazione e naturalmente predisposti a comprendere le esigenze altrui. 

Sulla disanima è intervenuto Alfred Wondren, un astronauta che ha viaggiato sulla Luna durante la missione Apollo 15, nel 1971. Oggi ottuagenario, dice tranquillamente che gli equipaggi destinati a lunghe percorrenze dovrebbero essere tutti come lui, in là con l’età e pertanto perfettamente in grado di difendersi dalle pulsioni del cuore. «A 85 anni, certo, non se ne vanno alcuni pensieri», ironizza Wondren, «tuttavia si può stare sereni che quelli come me saprebbero tenerli a bada, e in un viaggio spaziale non avrebbero alcun problema di natura affettiva». Cosa c'è di vero dietro alle ragioni del cuore fra le stelle? Innanzitutto, i disagi di natura sessuale potrebbero riguardare persone molto più giovani di Wondren, per via della gravità che interferirebbe con ogni fenomeno fisiologico. Il sangue in orbita fa più fatica a circolare e si concentra solo nelle parti alte dell'organismo. Così si potrebbero notare volti più gonfi del normale e vasi sanguigni del collo dilatati, dove la pelle è più sottile. Di contro si avrebbe un'irrorazione sanguigna meno accentuata nelle anatomie inferiori. E a rimetterci, dunque, sarebbero distretti periferici come i corpi cavernosi del pene, che non riempiendosi adeguatamente di sangue, impedirebbero una normale erezione. Buzz Aldrin, il secondo uomo ad aver calpestato il suolo lunare, lo conferma. 

E in parte il problema potrebbe essere di natura ormonale: si ritiene, infatti, che i livelli di testosterone - ormone tipicamente maschile legato alla virilità - senza gravità cadano a picco. Mentre quelli femminili, per meccanismi ancora incompresi, aumenterebbero le loro concentrazioni, rendendo più sensibili le aree erogene. Ma se anche ci si volesse limitare a qualche innocente effusione, i disagi non si annullerebbero. L'assicura Vanna Bonta, scrittrice da poco scomparsa, che prima di spedire su Marte una poesia grazie alla missione Maven (2014), ha voluto provare con il marito il brivido della microgravità: per baciarlo ha dovuto aggrapparsi alla parete della stanza che li ospitava. La Nasa dice no ai rapporti nello spazio, ma gli psicologi dell'ente americano consigliano l'autoerotismo per vincere tensioni emotive e stress; tuttavia i veri limiti sono altri. La privacy, per esempio. Se si considerano le missioni affrontate fin qui, si deve fare i conti con navicelle e spazi molto ristretti, dove spesso gli astronauti vivono gomito a gomito; i due "locali" principali, compresa la cabina di pilotaggio, non sono più grandi di un ufficio destinato a un paio di impiegati; non ci sono camere chiuse, e il bagno non è più ampio di una tenda a igloo; magari potrebbe cambiare qualcosa in vista di Marte, sapendo di poter contare su un mezzo più confortevole e spazioso; ma al momento sono solo supposizioni. 

E c'è il problema del sudore. Molto più marcato in orbita. I corpi si fanno appiccicosi e quando un astronauta si spoglia è come se avesse appena finito di farsi una doccia. «L'unica cosa interessante è che il sudore può essere riciclato per ottenere acqua potabile», puntualizza Mike Hopkins, astronauta della Nasa, a bordo delle ISS nel 2014. Non ci sono le docce sulle navicelle spaziali e l'anidride carbonica si accumula con maggiore facilità, provocando attacchi di emicrania che potrebbero non essere più solo la banale scusa per evitare un rapporto. Dunque, per quanto si sia spesso romanzato sull'argomento, non esistono prove a favore di esperienze sessuali in orbita; né fra gli uomini, né fra gli animali. Rimangono però dei dubbi. Come quello relativo a una missione della Nasa del 1991. Nello spazio finì una coppia sposata, Jan Davis e Mark Lee; vissero a bordo dello Space Shuttle, senza mai rivelare i particolari della loro avventura. Insomma, è un tema in divenire e forse ha ragione Roger Crouch, astronauta del Mit, quando asserisce che, come in tutte le cose, «se due persone vorranno fare sesso nello spazio, basterà solo un po' di esperienza».

Destinazione Marte
Nasa, Esa, Roscosmos. Tutti in fila per la conquista di Marte. Intanto, il primo obiettivo comune: il Deep Space Gateway. Lo scopo è quello di approntare una stazione spaziale cislunare, ideale per permettere la comunicazione diretta con il Pianeta rosso. Si punta a realizzare la struttura nei prossimi anni Venti, così da poter concretamente auspicare la partenza per Marte per il decennio successivo. Sarà occupata da quattro astronauti che si daranno il cambio ogni quaranta giorni. Il programma prevede tre voli nel 2025 e periodiche ricognizioni sulla Luna. Motivo per cui anche molte aziende private sono interessate al progetto; e all'idea di poter sfruttare le risorse presenti sul nostro satellite. Fondamentale il ruolo della nave spaziale Deep Space Transport che, tramite propulsione chimica ed elettrica, consentirà di studiare nei dettagli la fattibilità del grande viaggio marziano.

Misteri saturniani
Cassini, la sonda lanciata su Saturno venti anni fa, ha individuato tracce di materia mai viste prima. Si tratta di ammassi simil rocciosi presenti all'interno di un anello saturniano, di grandezze comprese fra quattro e ventidue chilometri. Si sarebbero formati in seguito a continue collisioni con i caratteristici frammenti di ghiaccio e roccia contenuti nell'anello. In futuro potrebbero essere disintegrati da ulteriori scontri con altri frammenti cosmici, oppure compattare determinando la formazione di nuovi satelliti. Saturno ne ha sessantadue, ma sono solo tredici quelli caratterizzati da un diametro superiore a cinquanta chilometri. I nuovi "corpi" segnalati da Cassini sono stati battezzati con nomi utilizzati di solito per gli animali domestici: Fluffy, Socks, Whiskers. La "carriera" della sonda Cassini, iniziata il 15 ottobre 1997, non poteva terminare meglio.

Nero come il catrame
Un pianeta nero, anzi nerissimo, peggio dell'asfalto appena gettato. E' quello che hanno scoperto degli scienziati dell'Università canadese McGill e dell'University of Exter, in Inghilterra. E' un esopianeta, situato a 1.400 anni luce da noi, battezzato WASP-12b. Prima d'ora non era mai stato avvistato un corpo con queste caratteristiche. Di grandi dimensioni, il doppio di Giove, ruota relativamente vicino alla sua stella, subendo un riscaldamento in grado di far raggiungere alla superficie i 2600 gradi. Un inferno capace di provocare la formazione di nuvole di metalli alcalini ionizzati che finiscono per distruggere le molecole biatomiche di idrogeno, determinando un'atmosfera incredibilmente scura. L'albedo è il parametro che si osserva per comprendere la luminosità di un corpo celeste. Per fare un paragone: quello della Luna è 0,12, WASP-12b arriva a 0,064.

Telescopi cinesi
Sei pulsar in un colpo solo. E' il risultato ottenuto da FAST (Five-hundred-meter Aperture Spherical Telescope), il più grande radiotelescopio della Terra, da poco entrato in azione. Si tratta di un prodotto cinese, un piatto di cinquecento metri di lunghezza, composto da 4.450 specchi, in grado di fare luce sugli angoli più nascosti della Via Lattea. "L'alba di una nuova era per le scoperte nello spazio della Cina", ha rivelato Yan Yun, direttore dell'Osservatorio nazionale astronomico cinese. Se si considera che, di solito, un nuovo prodotto tecnologico utilizzato per scoprire i misteri dello spazio, impiega almeno due anni prima di dare dei veri risultati. E invece qui è stato subito il botto. Che ha messo in evidenza realtà cosmologiche che ultimamente stanno facendo un gran parlare di sé. Le pulsar, infatti, non sono altro che stelle di neutroni super dense, indagate di recente in seguito allo scontro fra due oggetti cosmici di questa natura; che ha permesso agli scienziati di evidenziare per la prima volta la formazione di metalli pesanti (come l'oro) nello spazio. 

Il lato b della Cannabis


C'è molta confusione sull'argomento e non solo i numeri legati alla sua azione stupefacente dovrebbero essere presi in considerazione per una corretta analisi dell'argomento. Di fatto l'aspetto concernente il consumo illegale di cannabis riguarda solo una parte della realtà di questo particolare vegetale. Oltre il tema che tutti conosciamo, si celano, infatti, retroscena coinvolgenti molte discipline: biologia, storia, chimica, medicina, botanica, agricoltura. E proprio da qui vorremmo partire, sostituendo al consueto aspetto "sociale", quello naturalistico e scientifico. Innanzitutto il nome, cannabis. Fa parte della famiglia delle cannabaceae, come il luppolo, pianta che contribuisce al buon successo di una birra. Ma definire la specie (il primo gradino della classificazione di un essere vivente) è un rebus. 

E' il motivo per cui la coltivazione della cannabis risulta da sempre problematica. In Italia e nel mondo. Linneo, padre di (quasi) tutti i nomi delle piante che ci circondano, definì un'unica specie: Cannabis sativa. E anche oggi è così, nonostante il tentativo del botanico sovietico D. E. Janichewsky di indicare tre specie diverse. La verità è che esistono numerose sottospecie e varietà, interfeconde fra loro. La differenza morfologica è minima, ma cambiano i valori delle sostanze psicoattive presenti. Ecco perché alcune varietà sono coltivabili e altre no.

Oggi per coltivare la Cannabis occorre il permesso del Governo. E' necessario puntare su una varietà con una bassa percentuale di Thc (inferiore allo 0,2%); la sigla sta per delta-9-tetraidrocannabinolo, astruso termine chimico per designare il principio attivo della cannabis, responsabile del rilascio di dopamina nel cervello; sostanza che provoca euforia, ma anche disorientamento e rilassatezza. Coinvolti soprattutto l'ippocampo e il cervelletto, aree ricche di recettori per questo tipo di molecole. Fino agli anni Cinquanta, in Italia, la coltivazione della Cannabis era considerata normale. L'attività agricola riguardava 100mila ettari di terreno. Poi c'è stato il crollo con la fine della seconda guerra mondiale e l'introduzione di nuove fibre, come il nylon. Per la gioia di molti lavoratori che non ne potevano più di macerare, asciugare, stigliare, ammorbidire, pettinare, filare, tutti passaggi per ottenere il principale prodotto della cannabis: la fibra. Nel 1970 gli ettari destinati alla canapa calano a 36mila. E nel giro di dieci anni se ne perdono le tracce. La ripresa, pochi anni fa. In Italia e in Europa. Attualmente nel nostro Paese sono coinvolte 150 aziende, e circa 500 ettari di suolo agricolo. Perché si coltiva la Cannabis? 

Perché è un vegetale che offre moltissime opportunità a livello industriale, partendo dal cosiddetto floema (tessuto per la conduzione della linfa) della pianta, presente in tutti i fusti. In ambito tessile (magliette, t-shirt, calzature), al posto del cotone, che richiede un impiego massiccio di pesticidi; per la produzione di olio: i semi di canapa possiedono qualità nutrizionali eccellenti, partendo dalle alte percentuali di grassi omega 3 e omega 6, fondamentali per una buona resa cardiovascolare; per produrre carta: si evita l'abbattimento di altri alberi e l'utilizzo di acidi inquinanti necessari all'ottenimento della carta tradizionale. Così sono, per esempio, arrivati a noi esemplari della Bibbia di Gutemberg, realizzata a Magonza più di cinquecento anni fa.

L'impiego della Cannabis sativa riguarda anche la produzione di materie plastiche, combustibili, prodotti edilizi. A Bisceglie, in Puglia, sta vedendo la luce il condominio più grande d'Europa costruito con canapa e calce, in grado di sequestrare grandi quantità di anidride carbonica dall'ambiente. E con la Cannabis si fa perfino la birra, ottenuta dalla canapa Carmagnola italiana. I motivi per cui questo "ambiguo" vegetale è coltivato dalla notte dei tempi. In Asia si lavora da 5mila anni. Un trattato cinese del 2737 a.C. attesta il suo utilizzo per ricavare fibre adatte a ogni necessità; nel 1500 a.C. anche gli sciiti non possono farne a meno. In Europa arriva 2.500 anni fa. Le Repubbliche marinare non sarebbero fiorite senza la canapa. In America, a metà dell'Ottocento, ci sono oltre 8mila piantagioni di cannabis da cui si ricava fibra per gli scopi più diversi. Dunque, il discorso dipende sostanzialmente dalla varietà selezionata: al di là di alcuni parametri limite, è perfettamente coltivabile. 

Fra le varietà più conosciute c'è la già citata Carmagnola, che prende il nome da un paesino piemontese, storicamente legato a questo tipo di coltivazione; dove nei secoli passati venivano prodotti tele e cordami esportati in tutta Europa. L'attività è andata scemando, ma la varietà si è mantenuta integra. Altrettanto famosa è la Fibranova. Mentre in Francia sono molto comuni la Fedora 17, la Felina 32 e la Futura 75. E domani? La risposta potrebbe arrivare dall'ingegneria genetica, che sta già rivoluzionando l'industria agraria. Ma questa è tutta un'altra storia. 

martedì 19 dicembre 2017

Il linguaggio dei cavalli


La risposta di un cavallo non sarà certo comparabile a quella di un uomo, ma forse non è nemmeno così "banale" come abbiamo supposto fino a oggi. Stando infatti a uno studio condotto presso il Politecnico di Zurigo anche gli equini posseggono un "linguaggio" articolato. Gli esperti hanno messo in luce che la "fonetica" equina si basa su frequenze sonore particolari, capaci di comunicare emozioni positive e negative, la cui importanza è direttamente proporzionale all'intensità del nitrito. Probabilmente sanno sfruttare abilmente le corde vocali, e creare vibrazioni diverse che corrispondono a precisi "stati d'animo". Lo studio è stato effettuato su venti cavalli sottoposti a eventi stressogeni o a momenti di relax. Con l'aiuto di particolari apparecchiature è stato possibile analizzare nei dettagli i nitriti dei vari animali coinvolti osservando per la prima volta la diversità fra i "vocalizzi". E' dunque emerso che le frequenze più acute sono esplicitamente legate alle emozioni: se durano più del normale e sono seguite da un nitrito profondo si tratta di emozioni negative; i cavalli meno stressati, invece, sono quelli che producono le vibrazioni acute più brevi. 

L'analisi vocale ha anche permesso di comprendere che la fisiologia dell'animale risponde alla tipologia del nitrito. Con le fasi di stress, infatti, i cavalli presentano un numero maggiore di battiti cardiaci e un'attività respiratoria più intensa. Ma come si è evoluto questo sofisticato sistema di comunicazione? Secondo gli studiosi è il frutto di millenni di evoluzione in cui i cavalli hanno imparato l'arte di vivere in stretto contatto con i propri simili; prerogativa di molti animali soprattutto erbivori. Le dinamiche del branco hanno in pratica consentito la nascita di un "linguaggio" articolato, necessario per comunicare il pericolo sollevato, per esempio, dalla presenza di un predatore. Non è solo per questo motivo. Probabilmente la capacità di nitrire in modi differenti ha permesso il consolidamento dei cosiddetti livelli di gerarchizzazione. 

Così, in sostanza, un capobranco ha maggiore presa sugli altri di un giovane, e nello stesso tempo ha i numeri per poter efficacemente entrare in confidenza con un animale della stessa specie sconosciuto. Il cavallo non si serve solo di nitriti ma anche dei brontolii, grida, sbruffi e gemiti. Con i brontolii i cavalli comunicano soprattutto prima della fase di accoppiamento. Mentre gli sbruffi (simili a starnuti), le grida e i gemiti, sono legati a condizioni di disagio. Infine per avere un quadro completo della comunicazione equina andrebbero considerati anche aspetti legati alle movenze del corpo e alla produzione di particolari sostanze chimiche. Una branca dell'etologia per certi versi ancora tutta da esplorare. 

martedì 5 dicembre 2017

Un ragno di nome Leonardo Di Caprio


Fino a oggi si pensava che esistesse un solo ragno 'smiley'. Ma le analisi genetiche hanno detto il contrario e si riferiscono ad almeno altre quindici specie di questo tipo di aracnide. I ricercatori gli hanno affibbiato i nomi più particolari in onore di Michelle Obama, Bernie Sanders e Leonardo Di Caprio. Così, per citare l'ultimo esempio, potremo trovare il famoso Leo a Hollywood, ma anche su qualche isola caraibica; non proprio con il viso che manderebbe in solluchero qualunque donna, ma con otto zampette che ballonzolano qua e là. Protagonisti degli scienziati dell'Università del Vermont, in Usa, da sempre a caccia di nuove specie da catalogare; e con il bizzarro intento di tributare gli omaggi a personaggi pubblici che si battono per migliore le condizioni del pianeta. Il professor Ingi Agnarsson dice: «Nel dare il nome a questi nuovi artropodi, abbiamo voluto prendere in considerazione quelle persone che da tempo lottano per contrastare il surriscaldamento globale e per garantire a ogni uomo gli stessi diritti». 

Una doppia meraviglia, quindi; ché si pensava davvero non potessero esistere altri ragni dalla faccia sorridente, se non il Theridion grallato, endemico delle Hawaii, un ragnetto di appena cinque millimetri, tanto amato dagli studiosi di genetica mendeliana e di aracnologia. E invece la tassomonia indica altri artropodi molto simili che dimorano in Giamaica, a Cuba, nelle Piccole Antille e addirittura in Florida e in Costa Rica. E le nuove specie classificate potrebbero non essere le uniche: «Siamo, infatti, sicuri possano essercene ancora», dice Agnarsson. Il senatore del Vermont, Bernie Sanders, gode di molta stima fra gli scienziati. «Abbiamo un grande rispetto per questa persona», afferma Lily Sargeant, fra gli studenti coinvolti nella ricerca; «perché rappresenta una grande speranza per il nostro pianeta». Chloe Van Patton, una studentessa, ha invece dato il nome a un ragno ricordando l'amore platonico risalente ai tempi del liceo: Leonardo Di Caprio. 

«Ora che so quel che sta facendo per la Terra, lo amo ancor di più. E non nascondo la speranza che possa leggere questo nostro lavoro e invitarmi per una cena romantica!». Naturalmente ogni nome è stato "latinizzato", come accade in tutti gli "esercizi" di tassonomia, ispirandosi ai dettami dell'intramontabile Linneo. E così eccoci a S. michelleobamaee, S. barackomai, S. davidattenborough... Insomma, da oggi i ragni (una parte almeno), da sempre bistrattati dall'immaginario collettivo, non potranno che starci un po' più simpatici.