sabato 31 dicembre 2016

La notte di San Silvestro durerà un secondo in più


Impossibile rendercene conto, ma siamo in costante movimento, anche quando crediamo di essere immobili: nello stesso istante, infatti, ruotiamo intorno all’asse terrestre, al Sole e a un braccio della Via Lattea. Ma questo eccezionale dinamismo cosmico è tutt’altro che stabile: nel tempo, le distanze fra i corpi celesti e le forze attrattive che regolano le interazioni fra stelle e pianeti, cambiano. Significa che non siamo mai nello stesso punto dell’universo e che, in pratica, ogni giorno è leggermente diverso da un altro. Ecco perché non esiste un orologio in grado di misurare perfettamente il trascorrere del tempo. È un piccolo paradosso: esistono, infatti, gli orologi atomici, ma sono troppo precisi e di tanto in tanto devono essere sincronizzati con il reale cammino della Terra. L’ultima sincronizzazione avrà luogo questa notte; ed è il motivo per cui l’imminente Capodanno durerà un secondo in più rispetto agli altri.

La Terra, poco dopo la sua formazione, ruotava intorno al suo asse molto più velocemente di oggi; derivò dalla nebulosa che dette origine anche al Sole, poco più di 4,5 miliardi di anni fa. Il giorno durava molto meno. Oggi dura sempre di più; da un secolo a questa parte, 1,7 millisecondi in più. Non cambia nulla, ma racconta molto della natura che ci circonda. La Terra varia la corsa intorno al proprio asse, in base alla distanza della Luna e alla forza attrattiva esercitata dal nostro satellite. La Luna si allontana sempre più dalla Terra, di circa quattro centimetri ogni anno, e contemporaneamente spinge meno la “trottola” terrestre. Un fenomeno conclamato a livello cosmologico, che si verifica al contrario su quei satelliti che ruotano in senso antiorario, e anziché allontanarsi dal pianeta di riferimento, si avvicinano; è il caso che lega, per esempio, Tritone a Nettuno.

L’attività satellitare non è l’unico fattore a influire sulla rotazione terrestre. Anche in seguito ai movimenti dei ghiacciai o a fenomeni orogenetici particolarmente intensi gli orari sballano. D’altra parte può accadere che la rotazione aumenti la sua velocità momentaneamente per via dell’attività tellurica (terremoti); il forte sisma che sconvolse l’Indonesia nel 2004 provocò un’accelerazione di tre microsecondi. Come si fa, dunque, a calcolare esattamente il tempo? Si ricorre al cosiddetto secondo intercalare, leap second, tenendo conto che ogni cinquecento giorni si accumula un secondo di discrepanza fra il tempo registrato dagli orologi atomici e quello dettato dalla rotazione; e che per secondo si definisce una specifica vibrazione dell’atomo di cesio, resa nota nel corso della 13esima conferenza generale dei Pesi e delle Misure, tenutasi nel 1967. L’aggiustamento è periodicamente proposto dall’International Earth Rotation and Reference Systems Service, diviso fra la sede di Parigi e quella di Washington.

L’ultimo secondo è stato aggiunto il 30 giugno 2015; procedura attuata ventisei volte dal 1972 a oggi. Non ci sono stati cambiamenti dal 1999 al 2005. E i computer? Anch’essi si aggiorneranno. Google si adeguerà spalmando i vari millisecondi del ritardo in un arco di venti ore. Così ogni secondo risulterà più lungo di 13,9 microsecondi e permetterà di completare  l’allineamento. Appuntamento, dunque, per questa notte, in cui il brindisi avverrà come sempre allo scoccare della mezzanotte, ma all’una ci sarà l’introduzione ufficiale del secondo intercalare. Un’ora dopo il momento critico, per via del meridiano di Greenwich, la longitudine zero da cui si cominciano a contare le ore.  

giovedì 22 dicembre 2016

La temperatura dei buchi neri


È stata misurata per la prima volta la temperatura di un buco nero; in particolare le nubi di polvere che oscurano il “corpo celeste” al centro della galassia NGC 1068 e che hanno la forma di un “krapfen”: la galassia si trova a circa 60 milioni di anni luce dalla Terra ed è il prototipo di una classe di galassie attive la cui fonte di energia si pensa possa essere un buco nero supermassiccio corrispondente a 100 milioni di masse solari. 

Gli scienziati hanno visto che la temperatura all’interno della nube arriva a 700 gradi centigradi a causa dell’intensa radiazione proveniente dall’interno del buco nero, mentre le parti esterne giungono a 50°C. Walter Jaffe e colleghi dell’Osservatorio di Leiden, Olanda, sono giunti a queste conclusioni servendosi dei dati ricavati dall’attività del Very Large Telescope Interferometer dell’European Southern Observatory in Cile. 

I buchi neri sono il risultato dell’esplosione di stelle molto più grandi del sole, il cui nucleo centrale subisce delle pressioni così elevate che nemmeno la luce è in grado di sfuggirgli. Gli atomi che lo compongono vengono addirittura stritolati e fusi insieme lasciando in “vita” solo un fluido di neutroni supercompatto. 

lunedì 12 dicembre 2016

Animali daltonici


Curiosità animali che non smettono di stupire. Come la capacità di alcuni di mimetizzarsi e cambiare colore. Accade per esempio nelle seppie e nei polipi. Tuttavia proprio queste creature perfettamente calibrate per giocare con i colori, non sono in grado di distinguerli. Seppie e calamari infatti non percepiscono le tinte cromatiche. Gli studi di recente condotti dalla National Academy Science, dimostrano che molti molluschi possiedono solo una proteina preposta al discernimento dei colori. Da ciò è facilmente intuibile che, rispetto per esempio ai mammiferi, abbiano un apparato visivo molto più semplificato e limitato. Come vedono? 

Probabilmente in bianco e nero. Ma mettono a fuoco le diverse lunghezze d'onda della luce, riuscendo comunque a sopravvivere, a difendersi e a nutrirsi. E' una sorta di daltonismo, fenomeno tipico della specie umana, ma evidentemente presente anche in molti animali. Molte altre specie infatti non percepiscono i colori. Partendo dal presupposto che la funzionalità di coni e bastoncelli, e quindi la risposta della retina alla luce, è differente da specie a specie. E' lo stesso motivo per cui alcuni animali, pur vedendo meno colori, sanno cavarsela benissimo durante le ore notturne. I cani, per esempio, non vedono il rosso e il verde; ma distinguono bene il viola, il giallo e il blu. Anche i gatti non percepiscono il rosso, ma il blu e il verde. E gli uccelli e i rettili? 

Ci sono dei rapaci con la vista acutissima; mentre le tartarughe sono un po' più "miopi". Certo, la gamma di colori può essere molto limitata. Ma hanno senz'altro una marcia in più di noi: la capacità di filtrare gli ultravioletti; cosa che l'uomo può fare solo con opportuni filtri. Dunque, più si avanza nello studio della fisiologia oculare, più si scopre che non esiste uno standard (né una vista più valida di un'altra), ma solo tante valide strategie per sopravvivere secondo le proprie caratteristiche anatomiche e le relazioni con l'ambiente. 

Addio Rosetta


Una grande avventura, ingegneristica e spaziale. Così può essere riassunta la storia di Rosetta, la prima navicella in grado di avvicinarsi a una cometa, atterrare, e "esalare" il suo ultimo respiro su una palla di ghiaccio cosmica, dopo mesi e mesi di lavoro. La sonda spaziale ha ufficialmente terminato le sue operazioni il 30 settembre. Rosetta e il lander Philae "accometato" il 12 novembre 2014 hanno permesso di studiare da vicino la cometa 67P/Churyumov Gerasimenko, scoperta nel 1969 dallo scienziato ucraino Klim Ivanovic Curjumov, oggi al soldo dell'Osservatorio astronomico di Kiev. Le comete continuano a essere oggetti misteriosi dell'universo, ma grazie a Rosetta è stato possibile svelare alcuni segreti della loro natura. Partendo dalle caratteristiche rocciose. 

La 67P è infatti risultata uniforme nella sua costituzione interna, con un rapporto polvere/ghiaccio da 0,4 a 2,6. Significa, come già si sospettava, che il cuore della cometa è un mix fra queste due realtà della materia, spesso combinate in modo equilibrato. Sembrerebbero riconducibili alle condriti carbonacee, le principali meteoriti che colpiscono la Terra; indicate dalla presenza di acqua, materiale organico, talvolta amminoacidi. Anche 67P ha dunque mostrato tracce di composti organici, sedici in totale. Sono state riscontrate molecole a base di azoto (lo stesso elemento che compone una parte preponderante del DNA), suggerendo che la teoria della panspermia (l'origine della vita dallo spazio) debba essere presa ancor più in considerazione. Del resto sono stati individuati composti come l'acetone, noto ai chimici come dimetilchetone (per via della presenza di un doppio legame con l'ossigeno e due gruppi metilici) e l'acetamide, un minerale di origine organica basato sulla combinazione fra azoto e carbonio. La superficie è più eterogenea. 

Ricca di ciottoli di diverse dimensioni, e strutture che riflettono la luce; benché le comete rimangano fra gli oggetti più scuri del cosmo. Sono esempi riconducibili a potenti processi erosivi e all'azione del vento solare. La missione Rosetta ha infine consentito di risalire alla temperatura della cometa, intorno ai -183°C. Le scoperte future? Difficile prevederle, ma è certo che Rosetta ha risolto solo in parte i dubbi su queste bizzarrie del cosmo. Il senso dell'ellitticità delle orbite delle comete è ancora da chiarire, così come il loro legame con la nebulosa primordiale che ha originato il sistema solare oltre 4 miliardi e mezzo di anni fa. 

Le gambe di Nefertari


Mesi fa fu l’ipotesi di una camera segreta a ridosso della tomba di Tutankhamon, il faraone bambino; da qualche settimana la notizia di probabili stanze “immacolate” nella Grande Piramide di Giza. E oggi, a conferma di un’attenzione mai sopita nei confronti del magico mondo egizio, una nuova sorprendente scoperta: i resti della regina Nefertari. Era una potente sovrana della diciannovesima dinastia, moglie di Ramesse II, detto il Grande, vissuto più di mille anni prima di Cristo. Ebbe un grande impatto durante il regno, imparò a leggere e a scrivere, e contribuì al dialogo con vari sovrani dell’epoca. Su Plos One, fra le più prestigiose riviste scientifiche, la ricerca condotta da un team di archeologi coordinati dall’Università britannica di York. 

Hanno preso in considerazione i resti di una mummia rinvenuti nella tomba di Nefertari, nel 1904, dall’italiano Ernesto Schiaparelli, conservate in una teca nel Museo Egizio di Torino. Sono due gambe mummificate, sottoposte a una serie di analisi chimiche e antropologiche, compresa una datazione con il carbonio 14. Il frammento più lungo arriva a trenta centimetri, e si compone di una parte scheletrica riconducibile a femore, tibia e rotula. I test hanno confermato la presenza di lesioni tipicamente assimilabili ad artrite e osteoartrosi. È stato possibile studiare dei tessuti vascolari, rappresentati da arterie parzialmente interessate da processi arteriosclerotici: evidentemente anche la “sana” cucina di un tempo non era così in linea con il mantenimento di un buon livello di trigliceridi e colesterolo nel sangue. 

Sono ossa sottili, che senz'altro non appartennero a un operaio che lavorava tutto il giorno all'aperto, ma a un membro di alto rango. Gli esperti spiegano che ci sono molte possibilità che si tratti dei resti della famosa regina, ma non possono esserne certi al 100%: manca infatti il Dna. Quello recuperato da un centimetro quadrato di pelle era troppo degradato per fornire dei risultati convincenti. E in ogni caso mancherebbe la comparazione col profilo dei parenti più stretti (che non sono mai stati identificati). Senza questa firma genetica, dunque, non è possibile cantare vittoria. 

La percentuale è ferma al 75%, un numero comunque rivelante. Coincidono anche tutti i parametri storici. Presenta, in particolare, le caratteristiche delle tecniche di mummificazione osservate dagli imbalsamatori durante il regno di Ramesse II. È intuibile l’utilizzo di bende peculiari e di grassi animali. I resti permettono, peraltro, di stimare la presunta anatomia della regina al momento della morte: una donna di quaranta cinquanta anni, alta 1,65 metri. La grande sposa reale (uno dei tanti soprannomi che le affibbiarono) finì nella tomba che poi venne battezzata QV66. Si trova nella Valle delle Regine ed è fra le più belle tombe egizie che siano mai state scoperte. 

Fu trafugata nell’antichità, ma oggetti e suppellettili ritenuti di poco valore furono abbandonati. È così che, insieme alle gambe del reperto mummificato, sono giunti a noi dei sandali di ottima fattura e trentaquattro figurine di legno con inciso il nome della regina, destinate a fornirle materiale realizzato a mano per accompagnarla nel viaggio nell’aldilà. Frank Ruhli, dell’University of Zurich conclude dicendo che “non possiamo del tutto dimostrare che questi siano i resti della grande regina, ma ogni dato propende per questa tesi; sarebbe stato diverso se le analisi avessero rivelato la mummia di un bimbo o di una persona, comunque, più giovane".