lunedì 25 novembre 2013

La civiltà? Tutto merito della birra


Trovandosi intorno a un fuoco a discutere, scherzare, sognare, con un po’ di alcol in corpo: così sarebbe nata la civiltà. Leggeri stati di ebbrezza avrebbero, infatti, determinato una maggiore loquacità, un migliore rapporto fra le genti, indispensabile per l'evoluzione di un tessuto sociale più solido e funzionale. E' ciò che emerge da uno studio condotto in USA, presso l'University of California. Charlie Bamforth, a capo della ricerca, è ancora più prosaico: tutto ciò che ci circonda - dai computer, alle navicelle spaziali, dall'ultimo iPod, al nuovo disco del nostro gruppo preferito - è figlio della birra. Secondo lo scienziato americano prima che l'uomo venisse in sua conoscenza, conduceva un'esistenza nomade e vivendo di caccia, allevamento e raccolta, il suo livello sociale era piuttosto scarso. Poi ha scoperto che la fermentazione di un particolare vegetale, l'orzo, dava una bevanda che rendeva tutti un po’ più euforici e desiderosi di uscire dai tradizionali schemi comportamentali e da lì ha iniziato a consumarla metodicamente. Era l'optimum per affrontare dispiaceri, avversità, scontri con bestie feroci e per poter pianificare con un pizzico di sana incoscienza qualunque azione particolarmente insidiosa. Ma era anche il presupposto per la creatività e i guizzi geniali che avrebbero presto portato all'affermazione del cosiddetto "agglomerato sociale" e quindi alle prime forme di civiltà. Jeffrey P. Kahn, psichiatra di fama internazionale, non usa mezzi termini e rivela che «la birra ci ha letteralmente civilizzato», e che ancora oggi «abbiamo bisogno di birra». Pare una provocazione, ma non va confusa con un monito a darci dentro con la bottiglia. C'è un retroscena di natura antropologica che non può essere trascurato. Agli albori della civiltà ci fu davvero il bisogno di qualcosa che rendesse l'uomo meno primitivo e più umano, ma questo fondamentale passaggio non ci sarebbe stato senza un "elemento" che potesse rendere le persone più amichevoli. Oggi gli scienziati hanno capito bene cos'è: la birra, appunto, benché quelle primordiali fossero un po’ meno forti di quelle attualmente in commercio. La pensa così anche Brian Hayden, della Simon Fraser University, in Canada. Secondo lo studioso d'oltreoceano la coltivazione dei cereali, e quindi l'avvio della civiltà, corrispose con l'esigenza di produrre vegetali che fornissero al popolo bevande alcoliche. Solo in un secondo momento ci si rese conto che i cereali potevano costituire anche un elemento essenziale nella dieta. Ci aiuta peraltro il confronto con una delle più antiche civiltà della storia: quella dei sumeri, per i quali la birra era una bevanda sacra, che conferiva non solo gioia e coraggio, ma anche sapienza e pace. E' noto, infatti, che fra i vari dèi legati alla religiosità dei tempi, ci fosse anche Ninkasi, matrona della birra; il padre si chiamava Enki, il dio dell'acqua, la madre Ninti, la regina delle acque sotterranee. Non incarnava solo la bevanda ricavata dall'orzo, ma anche l'ebbrezza, la seduzione, l'attrazione sessuale, la fertilità. In Mesopotamia divenne presto una bevanda per ricchi. Poi conquistò i costumi egiziani, cinesi e romani. Fino a oggi, che riguarda ogni parte del mondo, con numeri record in paesi come la Germania, l'Austria e l'Irlanda. 

Intervista a Andrea Pincketts: 
                                                     
Le pare attendibile questa tesi?
Senza dubbio, e mi piace testimoniarla con la storia di Noè, che dopo avere raggiunto la terraferma, costruisce per prima cosa un altare dedicato a Dio, e subito dopo pianta una vigna. In pratica l'uomo delle caverne si trasforma in un uomo delle taverne.
Perché la taverna o l'osteria?
Perché sono i luoghi di socializzazione per eccellenza. In questi ambiti sono nati capolavori, sono state organizzate le rivoluzioni, movimenti di ogni genere.
Ne parla anche nel suo ultimo libro.
Che si intitola non a caso "Mi piace il bar".
Lo psichiatra americano Khan ritiene che ancora oggi abbiamo bisogno di birra.
Sono assolutamente d'accordo con lui.
Quando, però, l'assunzione di alcol diviene problematica?
Quando una persona non sa gestire il proprio bere, quando si diventa violenti o l'alcol diviene un rifugio dal resto del mondo. Anziché uscire, si rientra nella caverna del proprio inconscio malato.
Jack London ha scritto un bellissimo libro sull'alcol intitolato "John Barleycorn". In una recente edizione lei ha curato la prefazione.
E ne parlo abbondantemente anche nel mio ultimo lavoro. Il suo rapporto con l'alcol era quello che caratterizzò molti altri grandi scrittori. Colossali opere, partorite da epiche bevute. 

venerdì 22 novembre 2013

Il mistero della levitazione


Giuseppe Maria Desa nasce il 17 giugno 1603 in una stalla di Copertino, piccolo borgo del leccese. Il papà se ne va dopo pochi anni, e la famiglia costituita dalla mamma del futuro santo e altri sei fratelli, è costretta a lavorare duramente per ottenere il minimo indispensabile per sopravvivere. Il piccolo Giuseppe, incapace di svolgere gran parte dei lavori, fa il garzone in un negozio: viene soprannominato "boccaperta" per la sua sbadataggine. A 17 anni decide di consacrarsi a Gesù, ma non gli è facile: vieni, infatti, rifiutato da vari ordini perché giudicato "poco colto". Alla fine però riesce a essere accolto come terziario in un convento della Grottella, dove diviene sacerdote. Nonostante la scarsa acculturazione, riesce in poco tempo a farsi apprezzare per la sua intelligenza, anche se lui si definirà per sempre "il frate più ignorante dell'ordine francescano". «L'ho sentito parlare così profondamente di misteri religiosi, che potrebbe essere messo al livello dei migliori teologi del mondo», racconta un professore dell'Università francescana di San Bonaventura di Roma.
E' in questo periodo che il suo nome comincia a circolare, per via di un fenomeno inspiegabile e miracoloso che lo riguarda in prima persona: la levitazione. Secondo i testimoni del tempo, frate Giuseppe "vola nell'aria come un uccello", ogni volta che sente pronunciare il nome di Gesù o della Madonna. Sono voci non apprezzate dalla chiesa, che cerca di marginalizzare il frate. Viene sottoposto al giudizio dell'Inquisizione di Napoli, che, però, lo assolve dall'accusa di abuso della credulità popolare. Tuttavia Roma lo obbliga a cambiare molto spesso convento, senza dargli modo di familiarizzare con le persone comuni che iniziano a parlare di lui come di una persona straordinaria. Alla fine interviene papa Alessandro VII che lo destina a Osimo, dove rimane fino alla fine dei suoi giorni. Muore il 18 settembre del 1663, per poi essere beatificato nel 1753 e proclamato santo nel 1767 da papa Clemente XIII.
La storia di Giuseppe da Copertino fa, dunque, luce su uno dei fenomeni più incredibili dell'universo miracolistico cattolico: la levitazione. Non riguarda solo il santo di origine leccese, ma anche altre figure cristiane come Tommaso d'Aquino, Francesco d'Assisi, Caterina da Siena e Giovanni della Croce. Le leggende riportano inoltre personalità estranee al cattolicesimo. Per esempio Serafim Sarovsky, arcivescovo ortodosso di Novgorod e Pskov: vive a cavallo fra il Settecento e l'Ottocento e ancora oggi è ritenuto uno dei massimi mistici della storia russa. Altrettanto viva l'esperienza di San Basilio, che levita sopra il fiume Moscova, davanti a una folla incredula. Testimonianze scritte parlano di almeno trecento personaggi storici che possedevano il dono di "volare"; senza contare le innumerevoli streghe che, anche per questo motivo, furono condannate al rogo. Ma cosa c'è di vero dal punto di vista scientifico?
Il caso di Giuseppe da Copertino è stato assimilato da alcuni studiosi al fenomeno della "catalessi" (disturbo di natura psicomotoria). Pare che le levitazioni del santo fossero dovute a "una forma di compensazione psicologica dovuta al desiderio di attenzione e autorealizzazione che gli furono negate durante l'infanzia". La parapsicologia associa questi casi alla psicocinesi, fenomeno paranormale tale per cui una persona è in grado di agire sull'ambiente utilizzando forze estranee alla scienza. Con la levitazione sussistono altri "miracoli", come la pirocinesi (facoltà di controllare il fuoco) e l'elettrocinesi (capacità di forgiare energia elettrica). La scienza tradizionale, però, è molto scettica. Gli studiosi in questo caso affermano che ancora oggi non esista prova concreta della levitazione. E fanno riferimento ad abili illusionisti che possono tranquillamente far credere di "volare". Gli esempi sono numerosi, a cominciare dai vari "performer" moderni, che proprio in questo periodo affollano varie piazze italiane, sfruttando una piattaforma metallica ricoperta da provvidenziali stoffe per mascherare il trucco. Nella storia hanno fatto rumore illusionisti come Ramana, nome d'arte di Wouter Bijdendijk, levitato davanti alla Casa Bianca e David Copperfield, che non ha bisogno di presentazioni.
Nonostante le perplessità, recentemente, un team di studiosi del Politecnico di Zurigo ha provato che, sfruttando la pressione generata dalle onde sonore, è possibile manipolare porzioni microscopiche di vari oggetti senza alcun contatto meccanico. Non è l'unico caso. Anche ricerche in campo magnetico, ottico ed elettrostatico, hanno provato la possibilità di contrastare efficacemente la forza di gravità. Presso la Duke University, in Usa, hanno dato vita a un dispositivo in grado di far scomparire un cilindro di rame situato al suo interno per qualche secondo. E' stato utilizzato un "metamateriale" (con proprietà elettromagnetiche non presenti in natura) capace di deviare le onde elettromagnetiche: da qui gli esperti sono convinti di poter partire per spiegare scientificamente il mistero della levitazione.

(Pubblicato sul numero 18 di Miracoli)  

venerdì 15 novembre 2013

ELOGIO (?) ALLA MONOGAMIA


Una vecchia teoria sostiene che se si ascolta qualcuno rivelare il numero di esperienze amorose, occorre moltiplicare per tre se si tratta di una donna e dividere per lo stesso numero se il riferimento è a un uomo. Solo così, infatti, si arriverebbe a comprendere il numero esatto di partner "vissuti" da una determinata persona. La spiegazione è ovvia: gli uomini per natura tendono a eccedere, sottolineando di avere avuto più incontri di quelli reali; le donne, a ridimensionare il numero di esperienze. E' un risvolto evolutivo: così facendo le donne sottolineano il loro dovere di madre e la predisposizione alla cura della prole, e gli uomini marcano, invece, la loro innata necessità di procreare. Tuttavia c'è una categoria che pare non avere nulla a che fare con questo tipo di persone; sono le donne che "ufficialmente" hanno diviso il letto con una sola persona in tutta la loro vita: il proprio marito. Sembrerebbe una cosa d'altri tempi, tuttavia ci sono ancora parecchie esponenti del gentil sesso che ammettono di non avere mai avuto esperienze sessuali al di là del compagno con cui si è giunti all'altare. Un dramma? Per niente.
Stando, infatti, all'opinione di queste signore, chi ha avuto in tutta la vita un solo compagno, è più felice di qualunque altro. «Perché si tratta di due persone che si amano e rispettano veramente», dichiara Julia Hubbard, una donna inglese di 37 anni, fiera di essersi sposata vergine e di non aver mai avuto nessun altro uomo nei 13 anni trascorsi fino a oggi con il proprio marito. «Molti miei amici hanno avuto altre storie, ma le loro relazioni sono più precarie della mia». Spiega inoltre che, dal suo punto di vista, il sesso prematrimoniale può essere fonte di gravi dispiaceri: «Cito, per esempio, il caso di una mia amica che, rimasta incinta dopo un incontro occasionale, ha poi abortito». E il marito è dello stesso avviso. «Mia moglie è una donna attraente e non è stato facile soddisfare le sue volontà», rivela Craig Hubbard, «tuttavia ho rispettato la sua decisione, scoprendo un modo per nulla scontato di apprezzare la profondità dei sentimenti».
Il caso di Julia e Craig è, però, raro, mentre era la norma fino a una cinquantina di anni fa. Oggi, in media, una donna ha quattro esperienze intime nella sua vita, con uomini diversi. E solo il 24% rivela di non avere mai avuto altri partner oltre al coniuge, in gran parte over sessanta. I motivi rispecchiano una società che ha ben poco a che vedere con le generazioni del dopoguerra, partendo dal fatto che si vive di più, si hanno contatti con un maggior numero di persone, e ci sono mille motivi per credere che oggi anche a "una certa età" il sesso rappresenti un aspetto preponderante di una relazione di coppia. Il 40% delle ragazze ha avuto un'esperienza di sesso occasionale in vacanza; il 42% dei matrimoni finisce con il divorzio; in un Paese "avanguardista" come la Francia, oltre la metà dei nuovi nati viene al mondo fuori dal matrimonio. Tuttavia sbaglia chi bolla queste donne come "puritane", poiché non è solo la religione a "sponsorizzare" il loro comportamento (come si potrebbe facilmente sospettare), ma anche e soprattutto la psicologia.
«Alcune mie pazienti pensano che se non hanno avuto sufficienti rapporti sessuali con uomini diversi, significa che sono sessualmente inibite», dice Paula Hall, psicoterapeuta anglosassone e autrice di vari libri sull'argomento, «ma si sbagliano: non è la quantità che conta, ma la qualità». L'idea della Hall è affiancata da molti altri studi. Nel testo "Premarital sex in America", i sociologi Mark Regnerus e Jeremy Uecker, dicono che la monogamia è sinonimo di felicità; al contrario, la tendenza alla promiscuità, va a braccetto con la depressione. E il fenomeno parrebbe più evidente proprio nelle donne. «Ci sono prove empiriche del fatto che sia uomini che donne sono più felici se hanno avuto un solo partner sessuale», spiega Andrew Oswald, docente di Economia e Scienze del Comportamento presso l'University of Warwick, «ma è anche un principio del tutto intuitivo: chi trova la persona giusta, semplicemente, non ha bisogno di altri partner». 

martedì 12 novembre 2013

La leggenda di Imbersago


Era già da qualche anno che girava la voce per le contrade di Imbersago, piccolo centro brianzolo: nei pressi della "Sorgente del Lupo" - storico luogo dove andavano ad abbeverarsi i lupi - in corrispondenza di tre grandi castagni, compare ripetutamente una bellissima signora, incoronata da un anello di luce e accompagnata dal delicato sottofondo di una musica armoniosa e suggestiva. Il fenomeno si ripresenta il 9 maggio 1617. Protagonisti tre pastorelli che si aggirano con il proprio gregge ai piedi dei colossali alberi; si fermano a contemplarla. Pietro, il più sveglio dei tre piccoli, si avvicina alla misteriosa creatura, mentre la sua attenzione è catturata da un riccio che, nonostante la stagione, pare già maturo. E, infatti, per sua grande meraviglia, le castagne al suo interno, con cinque mesi di anticipo, sono già pronte per essere mangiate. Quando torna in paese e annuncia il fatto, è chiaro a tutti che la Madonna del Bosco ha scelto proprio Imbersago per regalare ai popolani la sua misericordia.
Di lì a poco accade un secondo miracolo. Nello stesso posto occupato dai tre pastorelli si trovano a girovagare una mamma, un papà e i loro figlioletti, inconsapevoli del fatto che un branco di lupi li sta tenendo d'occhio. E' un attimo e il bimbo più piccolo finisce fra le fauci di un canide particolarmente affamato. I genitori, sconvolti, invocano la Madonna del Bosco che, istantaneamente, interviene per ordinare al lupo di rilasciare il piccolo. Da questo momento i miracoli della Madonna di Imbersago si susseguono ripetutamente, ancora oggi testimoniati dai numerosi ex voto presenti nei pressi del santuario (alcuni accompagnati da disegni e dipinti che raffigurano le sciagure superate per intervento della Santa Vergine, per un totale di 112 tavolette). Uno dei più noti è riportato anche nel libro di Pietro Antonio Calcho (forse l'unico vero documento in grado di fornire dati "reali" sui presunti miracoli), il più importante notaio della zona, che esercita la carica Fiscale Reale Generale del ducato di Milano. Racconta di una tal Gorella, condotta dal marito in cima a una rupe per essere gettata nel fiume. La donna rischia di annegare, ma invocando la Madonna riesce a trovare la forza per vincere i mulinelli del corso d'acqua e raggiungere la riva dove in poco tempo si ristabilisce, tornando a vivere serenamente.
L'ultimo "miracolo ufficiale" risale all'8 dicembre 1896. Protagonista Teresa Secomundi, una donna figlia di poveri contadini, desiderosa di farsi suora ma osteggiata da forze "maligne". La tradizione vuole che la Madonna le sia comparsa più volte invitandola, infine, a raggiungere la chiesa di Imbersago, per dare inizio a una nuova vita all'insegna del messaggio cristiano. La donna - che da quattordici anni viveva segregata in casa, isolata in un mondo tutto suo - mossa da un impeto mai provato prima, abbandona la dimora dei genitori e raggiunge le porte del santuario, dove per la prima volta non prova più alcuna avversione per i luoghi di culto. Da qui inizia la sua missione: testimoniare negli altri grandi santuari lombardi - come quello di Ardesio e Stezzano - la bontà e la carità di Maria.
Ancora oggi il luogo mariano è molto frequentato, da pellegrini provenienti soprattutto dalla Lombardia; compresi personaggi illustri. Nella storia recente furono particolarmente devoti alla Madonna del Bosco due eminenti figure del clero italiano: Papa Giovanni XXIII e il cardinal Ildefonso Schuster. Del primo si può rimirare la statua di bronzo alta quattro metri, pesante trenta quintali, che lo ritrae in cima ai 349 gradini che separano il santuario dalla strada principale che conduce a Lecco, completati nel 1824 (e rimaneggiati nel 1981 per riparare i danni di una frana). «Quante grazie e quante ispirazioni debbo alla Madonna del Bosco», soleva ripetere il Santo Padre, «il sorriso della mia infanzia, la custodia e l'incoraggiamento della mia vocazione sacerdotale». Del secondo è, invece, custodita la sua camera, con alcuni abiti, suppellettili e oggetti personali, nei pressi dell'area degli ex voto, oltre il porticato che spalleggia uno dei tanti boschi di castagno che coprono la zona.
Il santuario risale a quasi quattrocento anni fa. Sorge grazie all'intraprendenza di Gaspare Brambilla, un popolano che ordinò l'edificazione di una cappelletta, lo "Scurolo", presto abbellita con eleganti affreschi, subito dopo i primi miracoli. E' il 1632, non a caso coincidente con la fine dell'epidemia di peste. In seguito, su progetto di Carlo Buzzi, fra i più riconosciuti architetti dell'epoca, vede la luce la chiesa vera e propria dedicata alla Madonna del Bosco, inaugurata il 9 maggio 1646, in occasione del ventinovesimo anniversario del miracolo del riccio. La rinomanza del posto è dovuta anche al cinema e alla letteratura. Ermanno Olmi girò nei suoi pressi "E venne un uomo", incentrato sulla figura di Papa Giovanni XXIII; e Luigi Santucci (considerato il principale narratore milanese della seconda metà del Novecento) ne parla nel suo libro "Brianza e altri amori". 

Goce, pericolo dallo spazio


Le probabilità che possa colpire qualcuno o arrecare gravi danni a uomini e abitazioni sono remote, tuttavia la Protezione civile non esclude il rischio che qualche frammento possa provocare feriti o crolli. Per questo motivo suggerisce agli italiani di rimanere in casa, soprattutto fra domenica e lunedì. Oggi, al Centro-Nord, meglio rimanere al riparo fra le 8.26 e le 9.06; in Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria e Sardegna, fra le 19.44 e le 20.24. Lunedì, la finestra temporale più sensibile a eventuali impatti, è fra le 7.48 e le 8.28, benché i dati non siano ancora in grado di indicare le aree geografiche che potrebbero essere più suscettibili al fenomeno.
Cosa sta succedendo? Goce (acronimo di Gravity Field and Steady State Ocean Circulation Explorer), satellite lanciato il 17 marzo 2009 per elaborare una mappa gravitazionale e studiare le circolazioni oceaniche, ha terminato il suo servizio e sta per precipitare sulla Terra. Come detto, le probabilità di centrare qualche persona o palazzo sono estremamente remote, ma non pari a zero: gli scienziati stimano che siano 250mila volte inferiori alle chance di vincita di un primo premio a una lotteria. Precisano, però, che mai prima d'ora un frammento spaziale ha causato qualche danno a cose o persone e che ogni anno, senza che ce ne accorgiamo, ci "sfiorano" 40 tonnellate di pezzi di satelliti dimenticati o agonizzanti. La situazione è monitorata dai tecnici dell'Inter-Agency Space Debris Coordination Committee e dello Space Debris Office, preposti a questo tipo di problemi e alla gestione dei cosiddetti "detriti spaziali". I due organi, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, sono riusciti a "fotografare" un aumento della temperatura in determinati punti del satellite, la prova che l'oggetto spaziale sta perdendo la sua autonomia. Anche l'ESA sta seguendo con grande attenzione i suoi movimenti, pronta ad aggiornare periodicamente la situazione ed eventualmente diramare indicazioni più precise che possano giovare ai cittadini e alla loro incolumità.
Non si poteva agire prima? No, dicono gli scienziati, perché Goce è un satellite particolare, che si muove su un'orbita molto bassa, ad appena 260 chilometri di altezza e non può essere spedito più in alto, dove potrebbe girare intorno al pianeta per secoli; ciò che accade con molti altri satelliti. Pesa poco più di mille chilogrammi, e si suppone che almeno 250 possano impattare in un punto della superficie terrestre. Dove? Impossibile dirlo, ma va tenuto presente che il 70% della geografia del pianeta è rappresentata da mari, oceani e deserti, ambienti disabitati.
Gli uomini della Protezione civile affermano che Goce ha esaurito il carburante e che il suo destino è ormai segnato: quando giungerà a 80 chilometri dalla superficie terrestre dovrebbe esplodere e spezzarsi in numerosi frammenti, alcuni dei quali, anche se piccolissimi, potrebbero raggiungere la terra. Basta poco, del resto, per fare male a qualcosa o qualcuno. Pochi anni fa un 14enne tedesco è stato colpito da un frammento meteorico inferiore a mezzo centimetro che, viaggiando a 50mila chilometri all'ora, gli ha procurato una ferita lunga sette centimetri. Ma dove è meglio cercare riparo? In casa, assicura la Protezione civile, e potendo scegliere, meglio optare per i piani più bassi. Non è escluso, infatti, che un frammento possa trapassare tetti e solai, raggiungendo gli appartamenti più alti di un condominio.

BOX

Non è la prima volta che viene lanciato un allarme del genere. E' accaduto anche nel 2011 con la caduta dell'Upper Atmosphere Research Satellite (UARS), 5900 chilogrammi di ingegneria spaziale al servizio degli studi atmosferici inerenti soprattutto il buco dell'ozono. Alla fine, però, non ci furono danni o vittime, poiché i resti dell'oggetto finirono in pieno oceano Pacifico. Nel 1979 precipitò Skylab, 74 tonnellate di peso. I suoi resti - frammenti fino a due metri di lunghezza - impattarono con la superficie marina dell'oceano Indiano. Più pericolosa fu la fine di Cosmos 1, un satellite russo a propulsione nucleare, che si disintegrò nei cieli canadesi nel 1978. In questo caso si temettero soprattutto i numerosi frammenti radioattivi sparsi su un'area di 100mila chilometri quadrati, per fortuna disabitata. Altrettanti problemi si sono verificati con l'utilizzo di razzi e navicelle. Il 22 gennaio 1997 il secondo stadio di un razzo Delta 2, pesante 250 chilogrammi, cadde nei pressi di Georgetown, in Texas; lo stesso accadde il 27 aprile del 2000, con il secondo stadio di un razzo Delta II, i cui resti colpirono alcune lande sudafricane. La stazione spaziale russa MIR, invece, durante il rientro programmato per il 23 marzo del 2001, perse 136 tonnellate di materiale potenzialmente pericolosissimo in una zona remota dell'Australia orientale, distribuita su 2mila chilometri quadrati. Per il momento, insomma, è sempre andata bene, ma ogni giorno è oggettivamente più difficile trascurare che intorno a noi orbitano 19mila oggetti spaziali, compresi centinaia di satelliti ormai in totale disuso. 

lunedì 4 novembre 2013

Schiavi della disattenzione


Metropolitana, ora di punta. Incontriamo un vecchio amico, col quale ci accomodiamo in attesa di salpare per la città. Scambiamo due chiacchiere e poi… uno dei due tira fuori lo smartphone e comunica con un altro. Chi di noi non ha mai vissuto un'esperienza del genere? Probabilmente chiunque, al punto che è stato addirittura coniato il termine "pizzled" - combinazione fra "puzzled" (perplesso) e "pissed off" (arrabbiato) - per definire il disagio che ne deriva. E che cela una grave conseguenza: senza accorgerci stiamo perdendo completamente la capacità di concentrarci; su una conversazione, sul libro che stiamo leggendo, sul file word che abbiamo appena aperto.
Eppure la concentrazione è un aspetto della nostra esistenza fondamentale, che ci consente di interagire al meglio con noi stessi e il mondo che ci circonda. Ne è convinto Daniel Goleman, psicologo di fama internazionale, autore del bestseller "Intelligenza emotiva" e ora in uscita con il suo nuovo lavoro "Focus: perché fare attenzione ci rende migliori e più felici". «L'attenzione rappresenta una risorsa mentale poco considerata e sottovalutata, ma che riveste un'importanza enorme rispetto al modo in cui affrontiamo la vita», spiega Goleman. Va, però, "alimentata" e tenuta in allenamento: «E', in effetti, come un muscolo», continua, «se la usiamo poco si infiacchisce, mentre se la facciamo lavorare bene acquista vigore».
Perché siamo sempre meno concentrati? Herbert Simon, premio Nobel nel 1977, fu il primo a mettere in relazione l'eccessiva quantità d'informazioni che abbiamo a disposizione, con la difficoltà di focalizzare la nostra attenzione su aspetti specifici del vivere quotidiano. Oggi sappiamo che aveva ragione. Lo vediamo tutti i giorni collegandoci alla Rete. Siamo bombardati da input che dobbiamo necessariamente scremare per poter "metabolizzare" qualcosa; benché, spesso, pur selezionando, ci rimanga in testa ben poco. «In genere, la mente di un lettore vaga per il 20-40% del tempo in cui legge un testo», racconta lo psicologo americano, ma con la tecnologia a disposizione, la percentuale incrementa in modo impressionante. Lentamente si sta avverando ciò che diceva il filosofo Martin Heidegger, secondo il quale "la rivoluzione tecnica" avrebbe presto minacciato l'umanità.
L'attenzione è importante perché quando la perdiamo, il nostro rendimento cala in maniera proporzionale. In ogni campo: a scuola, al lavoro, nello sport. Se siamo concentrati assimiliamo meglio. Un test condotto su atleti di alcuni college statunitensi ha individuato una correlazione significativa fra la loro minore o maggiore tendenza a lasciarsi distrarre dall'ansia e i risultati ottenuti. L'apprendimento scolastico è tanto maggiore, quanto minore è la distrazione provocata dal desiderio di navigare su internet o mandare un messaggio all'amico. «In assenza di concentrazione non viene immagazzinato nessun nuovo ricordo di quello che stiamo imparando», dice Goleman. Ne beneficia anche il cervello a livello fisiologico: «L'organo cerebrale mappa le informazioni su ciò che già conosciamo creando nuove connessioni neuronali».  
Non tutti, però, sono disattenti allo stesso modo. Gli emotivi sono più suscettibili. «Le persone che si concentrano meglio sono, infatti, relativamente immuni ai tumulti emotivi», rivela Goleman, «hanno minore difficoltà a mantenersi imperturbabili nei momenti di crisi e restano stabili in mezzo al flusso di emozioni della vita». La disattenzione può, pertanto, sfociare nella patologia, con l'evoluzione di stati ossessivi o fobici, in cui l'attenzione è catturata da un pensiero fisso che trasfigura la realtà. E' la stessa logica che accompagna i ragazzi che si "perdono" su Youtube, passando da un video all'altro, senza accorgersi che i genitori li stanno chiamando perché è "pronto in tavola". Gli stessi ragazzi "delle generazioni a venire", a cui Goleman ha scelto di dedicare il libro.


Intervista a Daniel Goleman

In che modo una persona emotivamente intelligente può farsi strada nella vita se è sempre distratta?
L'intelligenza emotiva include anche l'attenzione: se una persona è dotata d'intelligenza emotiva è anche in grado di gestire l'attenzione e ben sfruttarla.
Si dice che le donne siano più emotive. Questo significa che sono anche più distratte?
E' una domanda pericolosa! Penso che entrambi i sessi siano emotivi, forse su cose diverse. Le emozioni sono il tipo più potente di distrazione. Ecco perché l'intelligenza emotiva consente il migliore utilizzo dell'attenzione.
Il multitasking, dunque, non dovrebbe più essere visto come una prerogativa positiva…
Il multitasking è una finzione. Gli scienziati cognitivi hanno rilevato che non riusciamo a tenere in mente più cose contemporaneamente. In realtà, passiamo rapidamente da una all'altra, e il rischio del multitasking è che per lavorare bene occorre concentrarsi, prestare attenzione; è meglio mettere da parte le altre cose, se cerchiamo di fare tutto contemporaneamente cala l'attenzione su ciò che è veramente importante.
Se l'attenzione è sottovalutata, quali sono i parametri psicologici tenuti in maggiore considerazione?
L'errore che abbiamo commesso è di essere troppo indulgenti con le nostre distrazioni. La tecnologia seduce la nostra attenzione. Veniamo troppo facilmente tentati dalla suoneria dei nostri sms, dal suono della ricezione di un e-mail; se invece uno vuole concentrarsi deve attribuire una priorità e focalizzare l'attenzione su quanto è più importante.
Che tipo di adulto sarà l'adolescente di oggi che manda più di 3mila messaggi al mese?
E' un pericolo. Oggi gli adolescenti trascorrono troppo tempo a messaggiarsi e a giocare con i videogiochi. Forse più i ragazzi che le ragazze, ma in generale entrambi i sessi. Inevitabilmente dedicano meno tempo a rapportarsi con gli altri in modo naturale, ed è durante queste relazioni che il cervello impara l'empatia e a relazionarsi con gli altri.
Nel suo libro cita il riferimento a Mythology, il testo di Edith Hamilton, giudicato oggi dai ragazzi "troppo difficile". E' possibile che i più giovani stiano diventando sempre più superficiali?
Non direi che la superficialità sia il problema, il problema sta nella difficoltà di comprensione. Più si è distratti meno si comprendono le idee complicate. Anzi ritengo che la potenzialità di sviluppare un pensiero profondo tra i giovani sia più marcata che nel passato, ma la distrazione della tecnologia indebolisce la loro capacità di comprensione.
Il deficit di attenzione, però, è spesso messo in relazione a menti creative, in grado, per esempio, di focalizzare un problema da diverse angolazioni. Può, dunque, la disattenzione, in qualche caso essere positiva?
Sì, quando si tratta di creatività, ossia di unire due nuovi elementi, in applicazioni utili, il vagare della mente è utile, in quanto si riesce in questo modo a collegare idee lontane tra di loro. Coloro che sono affetti da disturbo dell'attenzione sono meglio rispetto a coloro che hanno capacità di concentrazione. Gli studenti affetti da disturbo dell'attenzione di base vengono puniti durante la loro carriera scolastica, ma nel mondo del lavoro possono diventare imprenditori di talento, se troveranno le persone in grado di mettere in pratica che loro idee.
E' corretto dire che le persone più abili in matematica sono anche quelle con una maggiore capacità di concentrazione?
La capacità di conentrazione è un requisito per poter imparare la scienza, la tecnologia, la matematica.
Quante persone, su una media di 1000 persone, riescono come Katrina (personaggio analizzato nel testo di Goleman), dotata di una sensibilità sociale molto spiccata (e quindi di grande disattenzione), a "leggere" cose che gli altri non vedono?
Non lo sappiamo, io ho incontrato solo Katrina, forse c'è ne sono altri.
A un certo punto del libro affronta il tema della "compassione". Può essere considerata una forma di attenzione per il prossimo, favorita dalla disattenzione? 
Direi il contrario: provare, esercitare una cura compassionevole richiede attenzione, sincronizzazione, conoscenza dell'altro. Solo così si sviluppa empatia e se la persona soffre la si può aiutare. Però, hai bisogno dell'attenzione per farlo.