sabato 29 luglio 2017

Nespoli: in missione a sessant'anni


Sessanta anni (compiuti il 6 aprile) e non sentirli. Perché non è l'età, ma il fisico e soprattutto la mente di una persona a giocarsi il tempo che passa. E se uno sta bene, perché no? Così ieri pomeriggio il nostro Paolo Nespoli, astronauta e ingegnere italiano, è decollato dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, per fare di nuovo visita al più grande esempio di ingegneria spaziale mai approntato dall'uomo, che domina i cieli del pianeta dalla fine degli anni Novanta: la Iss (da International Space Station).
Ospiti del Pad 5, lo stesso che vide in azione l'indimenticato Yuri Gagarin, oltre al connazionale membro dell'Agenzia Spaziale Europea, lo statunitense Randy Bresnik della Nasa, e il russo Sergej Rjazanskij della Roscosmos; l'Agenzia Spaziale Russa che ha anche messo a disposizione la capsula di trasporto per raggiungere la Iss, la Soyuz; dal 2011 (anno del pensionamento dello Space Shuttle), unico mezzo con cui si può volare efficacemente nello spazio. Nove minuti per raggiungere l'orbita terrestre e qualche ora per attraccare alla Iss; che viaggia a un'altezza orbitale compresa fra 278 e 460 km, muovendosi a una velocità di 27mila km/h, effettuando quasi sedici orbite ogni giorno.

Expedition 52 - a tanti step si è arrivati dopo quasi venti anni di lanci - è stata battezzata il 2 giugno 2017, con il rientro dalla stazione internazionale dei cosmonauti Oleg Nocickij e Thomas Pesquet; e dunque Nespoli ha detto sì da tempo alla missione e hanno detto sì soprattutto i test medici. «Ogni astronauta è stato seguito da un medico», ha raccontato Nespoli, prima della partenza, «ed è stato fondamentale assicurare la mancanza di malattie infettive; un problema che, nello spazio, per via della riduzione delle difese immunitarie, può non essere facile da gestire». Nespoli sulla Iss ci rimarrà per sei mesi, fino a dicembre; giorni che si sommeranno ai 174 già trascorsi in orbita nelle precedenti missioni. Nessuno mai così in là con gli anni per tanto tempo nello spazio, anche se il record spetta ancora a John Glenn che, nel corso di un lancio con lo Space Shuttle Discovery, volò per nove giorni, a 77 anni. L'astronauta italiano contribuirà ai lavori di manutenzione della Iss e in particolare alla realizzazione di test di biologia, tecnologia e medicina per quella che è stata battezzata la missione Vita, acronimo di Vitalità, Innovazione, Tecnologia e Abilità. «Saranno esperimenti utili per affrontare la vita di tutti i giorni sulla Terra», ha rivelato quello che in tanti chiamano ormai affettuosamente AstroPaolo, «ma anche favorire le conoscenze necessarie per continuare l'esplorazione dello spazio».

Verranno approfonditi problemi oculari dovuti alla microgravità e verrà testata l'azione di una particolare molecola, il coenzima Q10, che insieme a vari acidi grassi, potrebbe essere in grado di rallentare la progressione di patologie come il glaucoma o la degenerazione maculare; ma anche il morbo di Alzheimer e le malattie neurodegenerative. A disposizione degli astronauti ci saranno delle cellule prelevate dal tessuto muscolare di Nespoli, che potranno rivelare aspetti importanti della degenerazione cellulare e di morbi incurabili come l'atrofia muscolare. In-Situ prevede l'analisi delle caratteristiche salivari degli astronauti per comprendere in pochi secondi le condizioni generali di salute di un individuo.
E poi saranno condotti studi sulle radiazioni cosmiche (pericolose per la loro capacità di alterare il DNA umano); sui meteoriti, la crescita dei vegetali, i parametri che consentiranno un domani la vita su Marte. Perché è solo così che, ci ha raccontato ancora Nespoli, «possiamo credere nello sviluppo, gestire coscientemente le risorse e pensare di usare l'innovazione per portare la vita su altri pianeti e migliorarla sulla Terra». 

martedì 25 luglio 2017

Darwin, bandito dalla Turchia


Charles Darwin ci ha illustrato il cammino dell'uomo e ha sovvertito tutti i paradigmi precedenti, che vedevano l'origine della nostra specie strettamente connessa a un intervento divino. Però ci sono sempre stati pareri contrastanti e in molti casi, ancora oggi, la teoria evolutiva è vista con diffidenza. Ci sono molti creazionisti che operano anche nei paesi occidentali, dove il darwinismo è nato e si è diffuso in tutto il mondo. Ma oggi stupisce pensare che qualcuno possa fare marcia indietro; e verificare che ci siano paesi che dopo avere sposato le tesi evoluzionistiche, decidano di sostenere un parere contrario. E invece è proprio quello che sta succedendo in queste ore in Turchia; dove il governo ha deciso dall'anno prossimo di abolire qualunque riferimento alle teorie di Darwin. La parola al ministro dell'Istruzione Ismet Yilmaz che martedì scorso ha detto stop a Darwin, per dare invece spazio allo studio approfondito del "jihad". 

Il nuovo programma scolastico, in pratica, cancella Charles Darwin indicandolo troppo complesso e "non direttamente rilevante". Insorgono molti biologici e scienziati turchi, ma la decisione parrebbe incontrovertibile. Gli scienziati e molti insegnanti accusano Erdogan di oscurantismo e di imporre una visione distorta della realtà. Il termine jihad, peraltro, è controverso, parlando di piccolo jihad, riferito alla lotta militare, e grande jihad, che ha invece a che vedere con lo sforzo interiore, mistico e spirituale di un individuo. Solo in Arabia Saudita è bandito lo studio di Darwin, e basta questa considerazione a fare sollevare un vespaio di polemiche da parte dell'intellighenzia turca. Ma tant'é. Darwin può piacere o non piacere ma è un caposaldo della cultura mondiale; e non esiste ipotesi che possa contravvenire questa realtà. Anche in Italia, Paese profondamente cattolico, il darwinismo è formalmente accettato; la chiesa stessa arriva a sottintendere che paradossalmente occorre conoscere l'evoluzionismo per poter meglio difendere la verità divina. Ma c'è chi non la pensa così. 

Antonio Zichichi nel suo libro "Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo" (1999), riporta che "la cultura dominante ha posto il tema dell'evoluzione biologica della specie umana sul piedistallo di una grande verità scientifica in contrasto totale con la Fede". Il creazionismo tuttavia resiste ed è diffuso un po' in tutto il mondo. Creazionista è colui che riferisce la nascita dell'uomo e dell'universo a Dio, come, in sostanza, è riportato nella Bibbia. Pseudoscienza per gli accademici. Folclore per altri. Nelle espressioni più radicali la Terra è nata fra i 6mila e i 10mila anni fa e i fossili sono stati incastonati nelle rocce direttamente dal Creatore. La più moderna forma di creazionismo è l'intelligent design, secondo cui la vita è figlia di un progetto di una mente superiore, molto più lungimirante e credibile della selezione naturale. Punti di (s)vista? 

Antartide: il distacco dell'iceberg gigante

La piattaforma di Larsen

Il più grande iceberg mai visto dell'uomo si è ufficialmente staccato pochi giorni fa dall'Antartide. E' avvenuto in corrispondenza della penisola antartica, dove finisce la porzione continentale e inizia la coltre di ghiaccio che poggia direttamente sul mare; è la piattaforma di Larsen, sorta alla fine dell'ultimo periodo glaciale, 12mila anni fa. Da mesi gli scienziati stavano tenendo d'occhio questa parte del Polo Sud, attraverso le rilevazioni satellitari. Si è così visto che la piccola fattura venutasi a creare nel 2011, si è progressivamente allungata fino a formare una spaccatura di 200 km. Dunque l'allontanamento dal Polo Sud è avvenuto, e si tratta di un blocco di ghiaccio grande tanto quanto la Liguria.

Ora ci cercherà di capire quale direzione intraprenderà. Il rischio, di fatto, è anche quello che, sciogliendosi repentinamente, possa provocare un innalzamento del livello dei mari. Circostanza che però gli scienziati cavalcano con molta prudenza; per non allarmare inutilmente e perché non è semplice capire quanto tempo impiegherà a sciogliersi completamente. Dipenderà dalla direzione presa, ma anche dal clima e dalle temperature. Intanto ci si domanda il motivo di questo eccezionale fenomeno. Istantaneamente verrebbe da pensare all'effetto serra; che in effetti potrebbe essere coinvolto. Tuttavia il vero problema risiede nella dinamica glaciale che porta la porzione continentale a spingere su quella marittima, determinando frizioni che a lungo andare creano forti disquilibri fra le masse.

In questo modo si creano dei crepacci che in particolari situazioni, evidentemente, possono percorrere traiettorie in grado di formare spaccature lunghe chilometri. L'effetto serra vale comunque la pena citarlo, perché da decenni, ormai, anche i ghiacci dell'Antartide sono soggetti a scioglimenti più rapidi e consistenti. E' un circolo vizioso. I mari si alzano di circa un millimetro all'anno e lambiscono le coste antartiche; così facendo, in concomitanza con l'aria sempre più tiepida, "erodono" i ghiacci trasformandoli in iceberg. E c'è il Nino, la famigerata e per certi versi ancora misteriosa corrente oceanica, che quando si instaura - per via di un decremento dell'azione degli alisei - provoca ripercussioni climatiche su ogni angolo del pianeta.

Le stime condotte dal British Antartic Survey non lasciano adito ai fraintendimenti: gli inverni antartici stanno diventando sempre più caldi e la temperatura media sta salendo; il riferimento è a un grado in più da 30 anni a questa parte. E ciò spiega la formazione sempre più frequente di iceberg che stanno frammentando le lingue glaciali più esposte del continente. Si parla di 720 miliardi di tonnellate alla deriva, pari a una superficie di 3.250 chilometri quadrati.

lunedì 17 luglio 2017

Il ritorno della tigre del Caspio


C’era una volta la Panthera tigris virgata, ossia la tigre del Caspio, vissuta in Asia, dalla Turchia all’Iran, fino agli anni Settanta. Poi il suo destino è stato segnato dalla caccia selvaggia e dalla riduzione progressiva del suo ambiente naturale; viveva fra canneti e ampie radure, sostituiti dalle coltivazioni di cotone. Agli inizi del ventesimo secolo venivano uccise ogni anno più di cinquanta tigri.

Ma oggi la Panthera tigris virgata potrebbe tornare a vivere nei dintorni del Mar Caspio. Degli scienziati hanno infatti pensato di liberare nei pressi del grande bacino lacustre degli esemplari di tigri siberiane, geneticamente molto simili alle cugine provenienti da sud. Così si pensa che possano riguadagnare le vecchie caratteristiche genetiche e ripristinare la popolazione perduta.

L'esperimento potrebbe avere luogo in un paio di aree del Kazakistan, dove un tempo dimorava l'animale. Gli scienziati del WWF e della State University di New York dicono che «da dieci anni si parla di reintrodurre la tigre dell'Amur in altre zone», ma solo ora si può pensare seriamente di dare via al progetto. I due siti identificati, distribuiti su un territorio di trecento chilometri quadrati, si trovano in corrispondenza del fiume Ili e del lago Balkhash. Potrebbero ospitare rispettivamente 64 e 98 tigri nei prossimi cinquant'anni. Sono numeri precisi, che non possono prescindere dalla necessità di preservare gli equilibri degli ecosistemi e della catena alimentare; scongiurando il rischio di diffondere una specie mettendone altre in difficoltà.  

I due enti stanno lavorando alacremente per consegnare ai futuri abitanti del Kazakistan un ambiente nel quale potranno adattarsi nel migliore dei modi. A questo proposito puntano innanzitutto a regolarizzare l'attività irrigua fornita dal fiume Ili, che scorre per oltre mille chilometri nel cuore dell'Asia. Senza il quale i felidi non potrebbero sopravvivere. 

Empatici come una donna


E' il frutto di un test elaborato una ventina di anni fa, utilizzato oggi per la prima volta su un campione di migliaia di persone. Così è stato possibile verificare un'attitudine umana favoleggiata da sempre, ma mai presa davvero in considerazione: la lettura degli occhi. Non si tratta di un test d'iridologia, bensì della capacità empatica di alcune persone di saper leggere le espressioni del volto per capire come sta l'altra persona, cosa sta pensando e quali potrebbero essere le sue prossime mosse. L'Università di Cambridge è giunta alla conclusione che tutti, più o meno, hanno questo dono: ma è verosimilmente molto più spiccato nelle donne. I test rivelano infatti che sono principalmente loro a mostrare una perfetta corrispondenza fra il luccichio di uno sguardo e l'emozione che da esso trapelerebbe. Varun Warrier, a capo della ricerca, parla del «più grande studio mai effettuato sull'empatia cognitiva». 

Un test molto semplice, caratterizzato da fotogrammi che illustrano esclusivamente le aree oculari di alcuni volti presi come campione. I partecipanti alla sperimentazione hanno dovuto valutare la risposta emotiva del modello analizzato. E, in effetti, è emerso che le donne azzeccavano quasi sempre la risposta corretta, gli uomini molto meno. Perché? La risposta risiede nell'evoluzione umana e nei ruoli che maschio e femmina hanno avuto nel corso della storia (e della preistoria). La donna si è sempre occupata dei figli; i maschi della caccia. Evidentemente per le donne è stato necessario diventare abili nel saper "diagnosticare" le emozioni altrui, per corrispondere adeguatamente alle esigenze della prole. In fondo, accade ancora oggi. Le donne - checché se ne dica - sono (e saranno) sempre e comunque molto più esperte degli uomini a interpretare i messaggi dei più piccoli; perché sanno leggere perfettamente i loro sguardi, senza dover decifrare parole e sillogismi. 

Va peraltro tenuto conto del fatto che psicologia e medicina, un tempo, non erano contemplate, e dunque le uniche possibilità per capire come stava dal punto di vista emotivo una persona, erano quelle legate all'innata capacità di decrittare correttamente un'occhiata o una particolare espressione del viso. C'è pertanto di mezzo la genetica; perché a monte di questo studio gli scienziati di Cambridge hanno isolato un gene particolare posto sul cromosoma 3; o meglio, una variante di questo gene, esplicitamente legata alla "lettura degli occhi". Il cromosoma 3 è molto grande e rappresenta il 6,5% del DNA complessivo di una cellula. Possiede più di mille geni e duecento milioni di nucleotidi (componenti base del DNA rappresentate da uno zucchero a cinque atomi di carbonio, una base azotata e un gruppo fosfato). E dunque è coinvolto in molte funzioni organiche. Per esempio nella determinazione del colore dei capelli. Il gene MITF presente nel cromosoma 3 attiva specifici enzimi che producono due tipi di melanina, pigmento alla base dei diversi tipi di chioma. 

Ma il cromosoma 3 è soprattutto legato a una zona del cervello chiamata striato, che sarebbe coinvolta nell'empatia e nella capacità di comprendere le esigenze e le emozioni dei nostri interlocutori. Il gene selezionato è stato battezzato LRRN1, tuttavia i ricercatori indicano l'empatia come il frutto di un mix di fattori concernenti lo sviluppo di una persona: «L'empatia ha una base senz'altro genetica», rivela Thomas Bourgeron, che ha contribuito alla ricerca, «ma vanno anche valutati i contesti sociali ed educativi di un individuo e soprattutto le esperienze vissute nei primi anni di vita». Altro campo di indagine è quello delle patologie. Malattie come l'autismo, espressamente legate all'incapacità di sapere leggere le emozioni altrui. E non è un caso che nei test effettuati le persone colpite da questa patologia siano state anche quelle più in difficoltà nel sapere dare una giustificazione all'espressione di un volto. Risultati interessanti si sono ottenuti anche nel campo dello studio dell'anoressia, fra i disturbi alimentari più diffusi. Il futuro? 

Capire come quest'attitudine sia distribuita nella popolazione mondiale e comprendere i meccanismi che si celano dietro ai rapporti interpersonali e alla sopportazione dello stress. L'empatia, infatti, aiuterebbe anche a combattere ansie e frustrazioni. Lo dimostrano gli studi di Sarina Rodrigues della facoltà di Psicologia all'Oregon State University. Secondo la scienziata la tendenza ad arrabbiarci e a infastidirci per qualcosa, potrebbe essere sopportata meglio se fossimo in grado di leggere le richieste che trapelano dagli occhi degli altri. E fa degli esempi. Al cinema, due giovani sgranocchiano dolci, rompendo il silenzio della sala, disturbando i vicini; ma l'opinione di chi viene disturbato cambierebbe sapendo che i ragazzi mangiano solo per contenere la rabbia derivante da una recente delusione amorosa. Dipende, insomma, dal punto di vista dell'osservatore; che potrebbe, appunto, mutare radicalmente, se imparassimo a essere più empatici.

Esercizi empatici
Un suggerimento per imparare a diventare empatici: ascoltare il proprio battito cardiaco (senza premere le arterie). E' la proposta di Geoffrey Bird, ricercatore dell'Università di Oxford. Il test ha coinvolto 72 volontari; che sono stati invitati a contare i battiti del proprio cuore e poi a valutare le espressioni di volti che comparivano su alcuni video. I più bravi a enumerare la sequenza dei battiti erano anche quelli più abili a interpretare i pensieri altrui. Si tratta di un processo chiamata "enterocezione". Con esso si impara innanzitutto ad ascoltare se stessi, per arrivare poi a comprendere chi ci circonda; basandosi sulla fisiologia comandata dall'ipotalamo, parte fondamentale del cervello.

Il pensiero altrui? Si impara leggendo
Ma per migliorare l'empatia ci si può affidare anche a una tecnica molto meno sofisticata: la lettura. Stando infatti alle conclusioni di una ricerca effettuata presso la New School for Social Research di New York, le abilità empatiche sono direttamente proporzionali al tempo speso leggendo. E' vero soprattutto per ciò che riguarda la lettura dei romanzi di finzione. Il lettore, infatti, può immedesimarsi nella parte del protagonista, imparando senza rendersene conto a calarsi nei panni altrui. Una tecnica che protratta nel tempo, può effettivamente giovare alla capacità di sapere intuire ciò che un interlocutore sta elaborando a livello cerebrale. I risultati più interessanti sono stati ottenuti sui bimbi delle elementari.

L'empatia animale
E nel regno animale? Pare improbabile, eppure l'empatia è verificabile anche in specie cognitivamente meno progredite della nostra. Sono state condotte delle sperimentazioni sulle arvicole delle praterie (Microtus ochrogaster), animali simili ai criceti, e si è visto che anche in esse è viva la capacità di "comprendere" le "emozioni" di altri componenti della famiglia. Lo studio pubblicato dai ricercatori dello Yerkes National Primate Research Center della Emory University, asserisce che esiste in questa specie l'attitudine a consolare i "parenti" afflitti da malattie o altri disagi, favoriti dall'incremento dei valori dell'ossitocina, ormone non a caso battezzato "dell'amore". 

Specie floreali agratesi

Oggi nei pressi dell'hot spot 1 biodiversity (ingresso parco Molgora, fra Omate e Burago)… quattro specie note, e altre (interessanti) da classificare. La salcerella credo sia stata "importata"; non l'avevo mai vista prima. Poi il cardo dei lanaioli (presente solo in questo punto del territorio, con le incontrovertibili relazioni con la knautia più volte riscontrata in via Lecco); il meliloto bianco; e un bellissimo "mazzo" di saponaria.

Dipsacus sativus
Lythrum salicaria
Melilotus albus
Saponaria officinalis

lunedì 10 luglio 2017

Alla scoperta di Xi, la nuova particella subatomica

La visione antropocentrica con cui approcciamo qualunque analisi filosofica o scientifica determina una visione distorta della realtà, e ci impedisce di dare il giusto valore alle cose che ci circondano. È il motivo per cui di fronte alla scoperta dell’ennesima particella subatomica gran parte di noi resta sostanzialmente indifferente; ma non i fisici e chi mastica scienza tutti i giorni che invece sollazzano come se avessero vinto il più ricco premio della lotteria. E dunque è proprio a questa categoria di persone che dovremmo guardare con passione, perché è grazie ai loro studi che ogni giorno ci avviciniamo sempre più alla verità, all’intimità, all’essenza che permea tutto l’universo. Per anni abbiamo inseguito il paradigma del bosone di Higgs, la particella di Dio, teorizzata nel 1964, ma “toccata” con mano solo nel 2013. E oggi, dunque, siamo a un nuovo eclatante capitolo: la scoperta della particella Xi. Era nell’aria e finalmente, al Large Hadron Collider (Lch) di Ginevra, il più grande acceleratore di particelle del mondo, il sospirato traguardo. Di che cosa stiamo parlando?
Appunto, di una particella subatomica. Ce ne sono molte; un tempo erano solo elettroni, protoni e neutroni. Oggi è quasi difficile stimare il numero esatto. E non sempre concernano le caratteristiche tipiche della materia, ossia la massa di un atomo. I neutrini, con la loro massa infinitesimale (inferiore perfino a quella di un elettrone) sono un esempio. Ma sembra di essere sempre all’inizio. Se ne scopre una e contemporaneamente si realizza che ce ne possono essere altre; come un’infinita danza di matrioske. La nuova particella presenta le seguenti caratteristiche: una grossa massa (oltre 3.600 Mev, quasi quattro volte quella del protone); una potente carica elettrica positiva; un’instabilità tale da non permetterle di vivere per più di un millesimo di miliardesimo di secondo; e un cuore formato da due quark pesanti (quark charm), che probabilmente funzionano come un sistema di stelle doppie. E sono proprio i quark a fare sussultare gli scienziati, perché mai prima d’ora era stata individuata una particella caratterizzata da due “pesi massimi” di questo tipo. Giustificano, di fatto, l’esistenza di neutroni e protoni, ma solo se rappresentati da masse leggere. Qui, invece, si parla di due quark pesanti, che probabilmente ebbero grande risonanza durante la nascita dell’universo (Big Bang); e che oggi sono relegati all’interazione fra particelle in un acceleratore, o nel punto di contatto fra i raggi cosmici e l’atmosfera.
La notizia è stata divulgata dalla prestigiosa rivista Physical Review Letters e promette di approfondire ulteriormente la caccia all’essenza del creato. A proposito sappiamo pochissimo. La materia oscura suggerisce che ancora non sappiamo quale sia il reale valore di ciò che ci circonda; e l’energia oscura indica che l’universo si sta costantemente espandendo senza una spiegazione tangibile. I dati in nostro possesso sono deplorevoli. Del 4,9% della materia abbiamo una idea vaga; ma brancoliamo nel buio per ciò che riguarda il 26,8% della materia oscura, e il 68,3% dell’energia oscura. Come si può notare, i grandi progressi della fisica sono solo all’inizio. E la particella Xi vuole aiutarci proprio in questo. In particolare nel campo della ricerca delle quattro forze fondamentali che tengono in vita l’universo. La Xi potrebbe dare interessanti ragguagli sulla forza nucleare forte che permette la formazione degli atomi; e senza la quale i protoni e i neutroni non potrebbero esistere.