martedì 2 ottobre 2018

Le prime prove del multiverso

Abbiamo iniziato a prendere seriamente la cosa quando Stephen Hawking, il più grande astronomo del Novecento, scomparso a marzo di quest’anno, ha dato alle stampe l’articolo A Smooth Exit from Eternal Inflation. Prima erano solo congetture di scienziati frustrati o scrittori con il pallino della fantascienza. Ora tutto cambia, e iniziamo a crederci anche noi. E anche l’intellighenzia scientifica; ché se chiediamo a un fisico qualunque se sia d’accordo o meno sull’esistenza di altri universi oltre al nostro, la risposta sarebbe quasi certamente affermativa. Dunque, punto a capo. Astronomia, tutto da rifare. E se fino a dieci anni fa anche a scuola si parlava in successione dimensionale di Terra, Sistema solare, Via Lattea, Superammasso locale, Universo; ora, anche l’universo, già di per sé fin troppo grande per essere compreso dalle nostre menti limitate, non sarebbe che un punto infinitesimale in mezzo a qualcosa di ancora più immenso, e oggettivamente imperscrutabile. Si è dato a questa “infinità” il nome di multiverso; definendo una mostruosa realtà composta da un numero inimmaginabile di cosmi. Prima dell’articolo di Hawking si pensava a una semplice inflazione cosmica dovuta all’energia sprigionata in seguito al Big Bang, che deflagrò quel che c’era prima (il nulla?), per dare origine al tempo, allo spazio, all’universo nel quale viviamo; 13,6 miliardi di anni fa. Ma adesso sempre più studi propendono per l’ipotesi alternativa: il Big Bang non sarebbe una prerogativa del nostro universo, ma di molti altri, situati chissà dove. Hawking riferisce di ondate di inflazione cosmica, che avrebbero determinato la nascita di “bolle cosmiche”, con caratteristiche specifiche per ogni distretto spaziale; e che mandano pertanto in soffitta l’interpretazione classica che contempla un’unica espansione lineare dell’universo post-Big Bang. Dunque, non un solo universo, ma tanti, la cui natura rimane un mistero. Il multiverso patchwork, per esempio, prevede l’infinita ripetizione di universi solo in parte analoghi al nostro, che non possono comunicare fra loro. Il multiverso inflazionario contempla l’azione di una forza di gravità negativa in grado di generare il cosiddetto “inflatone”, particella di grande potenza, forse simile al fantomatico bosone di Higgs. All’Università di Cambridge indicano, invece, la possibilità che le tradizionali leggi fisiche in altri cosmi possano funzionare al contrario, o comunque in modo diverso. Ancora più suggestiva l’idea che ogni potenziale forma di materia possa sussistere da qualche parte. Significa infinite copie di noi stessi, del nostro pianeta, del nostro Sistema solare, di tutto ciò che ci circonda. Anche se, da calcoli probabilistici, l’altro nostro  “io” non potrà essere raggiungibile perché situato tanto lontano da rendere ridicola anche una navicella che viaggia alla velocità della luce. Non sono concetti facili da comprendere, tuttavia l’immagine offerta a Hugh Everett III, fisico di Princeton, autore di Relative State formulation of quantum mechanics, (nonché padre di Mark Oliver della nota band rock americana Eels), alla fine degli anni Cinquanta, offrì un esempio abbastanza eloquente per risolvere ogni dubbio. Prendiamo un dado e lanciamolo. Il risultato non si farà attendere: sarà un numero compreso fra 1 e 6. Nel campo della fisica spaziale, però, e in particolare della meccanica quantistica, arriveremmo a ottenere contemporaneamente le sei soluzioni: e dunque, riflettendo in termini cosmici, significherebbe ottenere un universo diverso per ogni faccia del dado. Tutto ciò ha anche implicazioni di natura filosofica. Poiché in simili situazioni, fato, destino, e casualità, perderebbero il loro senso: ogni possibilità, di fatto, sarebbe lecita. E si arriva alla cosiddetta “teoria delle stringhe”, che di nuovo riporta al genio di Hawking. Con essa diviene inevitabile l’esistenza di tanti universi leggermente diversi fra loro, ma riconducibili a un substrato comune. Prove dell’esistenza di universi paralleli? Siamo ancora lontani dalla verità, ma qualche dato inizia a essere raccolto. Ranga-Ram Chary, ricercatore presso il Planck Space Telescope, ha recentemente rivelato delle anomalie ai confini del nostro universo; che potrebbero confermare l’esistenza di un mondo parallelo. Lo scienziato ha analizzato la radiazione di fondo (figlia dei primi istanti post Big Bang), individuando una anomalia sottoforma di radiazione inusuale; 4.500 volte più potente delle aspettative. Chary ipotizza che possa essere il risultato di una “ferita” dovuta a uno scontro con un'altra bolla universale, un universo straniero a tutti gli effetti. Ritiene che questa considerazione possa essere valida al 70%. Ma che ci vorranno altri studi per confermarla. Simile il risultato di un’indagine condotta dagli scienziati della Durham University; secondo i quali esiste una zona ai confini dell’universo (a 1,8 miliardi di anni luce da noi), dove la temperatura è di circa 0,00015 gradi centigradi minore rispetto alle aree circostanti. Tom Shanks, a capo dello studio, parla di una “macchia fredda” che confermerebbe un angolo lontanissimo dello spazio con tracce che rimanderebbero alla collisione con un altro universo. Tutti d’accordo tranne il matematico Peter Woit, da sempre contrario alla teoria delle stringhe, secondo il quale “il multiverso è solo una scusa sempre buona per non essere in grado di spiegare la fisica delle particelle”.

Il destino dell’universo

Sarà legato a un’espansione continua del cosmo, finché tutte le stelle non avranno esaurito il loro carburante (idrogeno, elio, e via via elementi sempre più pesanti), e ogni angolo dell’universo non sarà divenuto freddo e buio. La teoria prende spunto dagli studi del fisico americano Edwin Hubble, che per primo stabilì il progressivo allontanamento delle galassie a velocità sempre maggiori. Un concetto che cozza con il Big Bang, esplosione avvenuta quasi 14 miliardi di anni fa, che dovrebbe avere a che fare con galassie che, anziché correre di più, dovrebbero rallentare. Ma secondo Gary Gibbons dell’Università di Cambridge è il frutto di una nostra erronea percezione temporale. Le previsioni indicano che l’universo del futuro potrebbe trasformarsi in un gigantesca bolla congelata dove anche il tempo cesserebbe di esistere.

Lo strano caso delle nane brune

S’è parlato a lungo di nane bianche e nane nere, ma solo recentemente di nane brune. Sono corpi celesti molto particolari, a metà strada fra un pianeta e una stella. Possono arrivare a una massa 75 volte quella di Giove. In pratica sono troppo grandi per essere dei pianeti, e troppo piccole per innescare le tipiche reazioni termonucleari che avvengono negli astri. I principali studi a riguardo sono stati condotti da Serge Dieterich, che ha pubblicato le sue conclusioni su The Astrophysical Journal. Lo scienziato dice che il destino delle nane brune e delle stelle normali è diverso. Le prime esauriscono subito il loro “carburante”, si raffreddano e diventano corpi bui vaganti per il cosmo; le seconde possono invece continuare a brillare per miliardi di anni.

10 miliardi di volte più forte dell’acciaio

È la misteriosa sostanza individuata all’interno delle stelle di neutroni da studiosi dell’Università dell’Indiana, in Usa. Battezzata “pasta nucleare”, ricorda la struttura filiforme degli spaghetti. È il risultato del collasso di stelle di grandi dimensioni, che porta a un addensamento della materia tale da annullare l’effetto di elettroni e protoni, ma non quello dei neutroni; che si compatterebbero fino a formare stelle di altissima densità e con un diametro medio compreso fra 10 e 20 chilometri. Gli studiosi ritengono che un cucchiaino composto da questo materiale reggerebbe un peso pari a 170 milioni di elefanti. Mentre il suo potere gravitazionale sarebbe milioni di volte più intenso di quello terrestre.