giovedì 27 febbraio 2014

L'arte del pettegolezzo, da Socrate a Dostoevskij


Pettegolare fa bene alla salute, stimola il cervello e incrementa la qualità dei rapporti interpersonali; e senza il gossip la società andrebbe a rotoli. Sono le curiose conclusioni di ricerche condotte dallo statunitense Jack Levin, autore del libro "The Inside Scoop" e professore di sociologia presso la Northeastern university di Boston, dallo studioso dell’evoluzione Nigel Nicholson, della London School of Business, e da Frank McAndrew, docente di psicologia a Galensburg, in Illinois. Gli scienziati affermano che "l’arte" di pettegolare è nata con le prime forme di Homo sapiens ed è stata l’arma con la quale l'uomo ha imparato a "stare al mondo", a difendersi da potenziali nemici e a progredire nelle sue conoscenze. Così la pensa soprattutto Frank McAndrew, il quale aggiunge che “l’abilità sociale nel capire prima degli altri la realtà dei rapporti tra i componenti del gruppo, facilitava la capacità di attrarre i propri simili, e quindi l’innata esigenza di tramandare il proprio dna”. Oggi nel mondo più che parlare si pettegola, dicono i tre scienziati. Due persone su tre pettegolano in modo palese ogni giorno, in metro, in palestra, al lavoro, al supermercato, ovunque. Secondo Nigel Nicholson il gossip aiuta a rafforzare le amicizie, fornendo informazioni vitali sulle motivazioni e sulle intenzioni della gente; mentre per Jack Levin è una prerogativa fondamentale per mantenere unito un team di lavoratori. In generale si può quindi dire che la tendenza al pettegolezzo è un aspetto del vivere quotidiano di fondamentale importanza, che permette di individuare meglio i comportamenti sociali accettati dagli altri, compreso un maggior senso del bene e del male, e che dunque non va assolutamente repressa: anche quando il rischio è quello di cadere nel trash – gossip, ovvero nel pettegolezzo di basso livello, avente come oggetto fenomeni di costume assai discutibili. In fin dei conti la storia stessa è colma di illustri pettegoli, a partire dal 400 a.C. con Socrate: il filosofo, al di là delle sue straordinarie qualità intellettuali, fu innanzitutto un grande pettegolo, roso dalla continua necessità di porsi infinite domande su fatti e persone. Nell’800 Leopardi spettegola contro la natura, il prossimo e se stesso. Scrive nei suoi pensieri: “Il mondo è una bega di birbanti contro gli uomini da bene e di vili contro i generosi”. Dostoevskij nei suoi romanzi e nel “Diario” smaschera la falsità della vita condotta dagli intellettuali di Mosca e di Pietroburgo, fino a rimanere lui stesso vittima di un clamoroso gossip. Il celebre scrittore, in una serata mondana, svenne davanti ad una bellissima donna, che gli era stata presentata da alcuni amici - nemici, che lo odiavano per il successo avuto con il racconto “Povera gente”. Questi ultimi anziché prendersi cura di lui, preparano una canzoncina che lo metteva in ridicolo, passandola a un giornale. Risultato: l’indomani nei salotti di Mosca non si parlò d’altro, trasformando il povero Dostoevskij in una specie di zimbello di corte. 

sabato 22 febbraio 2014

Te lo dico con un messaggio


"Ti amo", "grazie", "come stai". Sono alcune fra le frasi più usate in assoluto su tablet e smartphone. Lo dice una ricerca condotta da Swiftkey, la più popolare tastiera per prodotti hitech, ideata per Android e da poco disponibile anche per Apple. E' uno strumento in grado di correggere le parole e di suggerire il termine più idoneo per proseguire nella frase, offrendo all'utente la possibilità di mandare messaggi a grande rapidità, evitando errori; da un po’ di tempo a questa parte imita addirittura la prosa di Shakespeare, forgiando dal nulla sonetti secondo lo stile del vecchio bardo, «come un'intelligenza artificiale», si legge sul sito di Swiftkey. Il software ha analizzato milioni di frasi composte da utenti sparsi in mezzo mondo, realizzando una classifica delle locuzioni più gettonate, differenziandole in base al numero di parole impiegate. In testa con un solo lemma c'è "thanks" (grazie); con due parole, "thank you" (grazie a te); con tre, "I love you" (ti amo); con quattro "what do you think" (cosa stai pensando); con cinque, "thank you for your time" (grazie per il tuo tempo).
Secondo i rappresentanti dell'azienda emerge un aspetto sociale considerato poco e mai ben delineato: utilizzando la comunicazione offerta dai prodotti tecnologici in commercio, siamo molto gentili ed educati, cosa che non sempre avviene interfacciandosi apertamente con qualcuno. In certi casi l'enfasi è così evidente da apparire "ridicola". Filtrando le comunicazioni (ma rispettando sempre e comunque l'anonimato) l'azienda produttrice di Swiftkey ha inoltre evidenziato la top ten delle frasi più impiegate dai possessori di un tablet o di un telefonino intelligente, indipendentemente dal numero di parole prese in esame. Al primo posto c'è "ti amo", seguita da "fatemi sapere", "come stai" e "non so". Alla fine ci sono "come sta andando" e "ti sto cercando".
Non è la prima volta che ci si occupa "scientificamente" di messaggistica hitech. Il più importante studio sull'argomento risale infatti al 2004, quando l'Università di Lovanio, in Belgio, ha lanciato l'iniziativa Faites don de vos SMS à la science. L'obiettivo? Analizzare da un punto di vista socio-linguistico le nuove tendenze del mondo occidentale; in soli due mesi sono stati raccolti 75mila "messaggini" (oggi conservati in un database a disposizione di tutti), coinvolgendo 3200 persone. Emerge che è utile e conveniente per chiunque spedire messaggi, tuttavia permangono differenze fra uomini e donne. La donna tende a essere più prolissa, l'uomo va subito al sodo. Ma la femminilizzazione in corso - riguardante uomini che assolvono sempre più spesso lavori da donna e un cambiamento nella fisiologia maschile legata alla scarsa produzione di spermatozoi - non risparmia nemmeno questo ambito. Ecco perché non sono rari messaggi tipo quello pubblicato recentemente da un settimanale rosa: "Oggi è una stupenda giornata, andiamo a fare shopping insieme?". 

venerdì 14 febbraio 2014

Il brodo primordiale? Frutto delle eruzioni vulcaniche


Come e quando si formarono le prime proteine dal brodo primordiale è sempre stato un mistero per gli scienziati, ma ora grazie a un nuovo studio condotto in Usa la soluzione del problema potrebbe essere vicina. Secondo il team di ricercatori guidato da Reza Ghadiri, dello Scripps Research Institute di La Jolla, California, le proteine si sarebbero sviluppate oltre tre miliardi e mezzo di anni fa, a partire dall’azione dei gas vulcanici sugli amminoacidi: i prodotti aeriformi del magma sono composti in media per più del 90% di acqua, mentre gli altri gas principali sono l’anidride carbonica, l’ossido di carbonio, l’idrogeno, l’acido solforico e cloridrico. Gli esperimenti statunitensi hanno in particolare dimostrato che gli amminoacidi sottoposti all’azione del carbonil sulfide (COS), uno dei gas minori emessi durante la fuoriuscita di lava o di altro materiale piroclastico, si aggregano tra loro per dare origine ai peptidi, le strutture basilari di cui è formata ogni proteina: le catene polipeptidiche si sarebbero formate in laboratorio nel giro di poche ore e in alcuni casi minuti, attraverso processi chimici come la alchilazione, l’ossidazione e la catalisi del metallo. “Non sappiamo niente della presenza del carbonil sulfide nell’atmosfera prebiotica – ha spiegato Ghadiri - ma era probabilmente significativa. Oggi, questo composto è lo 0,1% del gas fuoriuscito dai vulcani”. Le ricerche degli scienziati di La Jolla offrono l’opportunità di comprendere un passaggio evolutivo rimasto ancora in parte oscuro, che in sostanza riguarda la genesi delle primitive forme di vita a partire da semplici molecole organiche. Il cosiddetto brodo primordiale ebbe origine dall’interazione di numerosi fattori, concernenti un’atmosfera molto rarefatta formata da nubi di idrogeno, monossido di carbonio, ammoniaca e metano, e tempeste elettriche e fulmini che guizzavano sulle terre emerse e sui mari; (esperimenti compiuti in laboratorio negli ani ’50 hanno dimostrato che tutti questi gas mischiati a vapore acqueo ed esposti a scariche elettroniche e a luce ultravioletta dopo una settimana creavano un miscuglio di molecole complesse come zuccheri, acidi nucleici e amminoacidi). In seguito si svilupparono le proteine e soprattutto il Dna, l’acido desossiribonucleico che con le sue caratteristiche legate alla capacità di replicarsi permise all’improvviso la comparsa dei batteri più antichi, e da lì progressivamente anche di tutte le altre forme biologiche sempre più complesse. 

Flirt col capo: ecco come (non) ci si comporta


È più facile per un uomo finire a letto con un capo donna che non per una donna trovarsi tra le braccia di un capo uomo. Lo dice una ricerca condotta in Belgio e pubblicata su un settimanale che si occupa di risorse umane. Lo studio, effettuato su 12.078 belgi, ha dimostrato che il 12% degli uomini sarebbe disposto ad andare a letto con il principale, contro appena l’1% delle esponenti del gentil sesso. È risultato inoltre che il 22% dei maschi ha spesso fantasie erotiche relative al superiore, mentre per le donne ciò si verifica solo nel 7% dei casi. Il motivo che induce un lavoratore ad “amoreggiare” con un capo (o una capa) sono comunque sempre le stesse: riuscire a ottenere un aumento di stipendio o un avanzamento di grado. In un altro sondaggio pubblicato dalla rivista tedesca “Lisa” si legge invece che è del 15% la percentuale di lavoratori della Middle Europa che finisce sotto le lenzuola con un principale. Mentre è del 78% quella relativa a coloro che dicono di non aver mai avuto storie di sesso con un leader della azienda in cui prestano servizio. Il restante 7% appartiene agli individui che sul posto di lavoro si sono addirittura sposati e hanno messo su famiglia. Il 24% degli uomini e il 15% delle donne intervistati ha ammesso infine che non c’è nulla di male nell’avere rapporti sessuali con un superiore. L’inchiesta condotta è stata effettuata dall’istituto Emnid su un campione di 486 uomini e donne di età compresa fra i 20 e i 49 anni. Ma come si fa a convincere il proprio capo a venire a letto con sé? La pausa pranzo si presenta come l’opportunità più ghiotta per portare a compimento il proprio intento: la metà delle persone coinvolte nei test afferma infatti che nella maggior parte dei casi l’approccio iniziale avviene in mensa. In alternativa si possono utilizzare la “scusa mouse”, per sfiorarsi (23%); lasciare un messaggio affettuoso sullo “screen saver” sul computer (18%); scrivere parole carine sul post it appiccicato sull’agenda personale del collega (17%); scannerizzare la propria immagine lasciandola per caso sul computer del/della collega corteggiata (12%). Rimangono anche i metodi tradizionali come uscire insieme per l’aperitivo (12%) o tirar tardi in ufficio (9%). La e-mail “affettuosa” conquista un solido 19%. 

lunedì 10 febbraio 2014

Le alghe ripuliscono i laghi americani

Esemplare di Chlamydomonas al microscopio elettronico
Negli Usa si sta pensando di disinquinare le acque dei laghi e dei fiumi attraverso l’impiego di alghe geneticamente modificate. È un’idea degli studiosi dell’Università dell’Ohio, che hanno ottenuto una varietà di alga in grado di neutralizzare il mercurio presente nei bacini lacustri. La proposta deriva dal fatto che si è potuto recentemente dimostrare la presenza, nei grandi laghi americani, di una massiccia quantità di metalli pesanti che hanno già provocato gravi danni all’ecosistema. Chlamydomonas, è questo il genere al quale appartiene il vegetale manipolato dagli scienziati dell’Università dell’Ohio, è l’ideale non solo per combattere il mercurio, ma anche altri elementi come il piombo, il rame, il cadmio e il nichel. La modifica genetica effettuata dagli studiosi è consistita nell’inserimento nelle alghe di un gene che codifica la produzione di proteine in grado di legare i metalli. Il risultato è una clorifita che assorbe come una spugna una grande quantità di materiale inquinante tossico: fino al 20% della sua massa. Modificando il ph del liquido in cui si trovano le alghe, si può peraltro fare in modo che queste cedano i metalli assorbiti, in modo da poterli successivamente recuperare per ulteriori produzioni industriali. “Partendo da una ricerca del 1986, nella quale si riportava la significativa presenza di mercurio nelle acque del lago Eire, abbiamo cercato di dare risposte convenzionali al problema, riscontrando progressi decisivi, ma non risolutori, nella qualità delle acque trattate – ha rivelato uno degli scienziati coinvolti nel progetto - solo un paio d’anni fa abbiamo mappato un’alga unicellulare molto diffusa nei bacini, la Chlamydomonas reinhardtii, facilmente bioingegnerizzabile, che grazie alla sua porosità naturale si lega alle molecole di inquinanti, trattenendole”. A questo punto i ricercatori Usa, dopo aver condotto con successo i primi esperimenti in laboratorio, procederanno al rilascio nei laghi Eire e Superiore delle alghe geneticamente modificate, per vedere concretamente quanto è possibile ridurre il grado di inquinamento di un bacino lacustre. 

giovedì 6 febbraio 2014

IMMAGINI TERRESTRI

Spettacolare fotografia della Terra... da Marte (a opera di Curiosity) 



Il nostro pianeta ripreso dall'Apollo 17, nel 1972


Terra e Luna fotografate dal Mars Reconnoissance Orbiter nel 2007  

mercoledì 5 febbraio 2014

Nuove specie scoperte... già a rischio di estinzione


Uno studio condotto recentemente dal National Geographic asserisce che nel mondo esistono 8,7 milioni di specie. Ma se ne conoscono solo 1,2 milioni. Nonostante ciò, non passa anno senza che qualche scienziato si faccia avanti dicendo di avere scoperto una nuova forma vivente. Il più delle volte però si tratta di organismi che l'immaginario collettivo fa fatica ad apprezzare, essendo quasi sempre riconducibili a specie minuscole, talvolta appannaggio della microscopia. Eppure non mancano le sorprese: come la scoperta di animali a tutti gli effetti, di grossa taglia, che lasciano esterrefatti gli stessi studiosi. Un ultimo esempio risale a pochi giorni fa, con l'identificazione in Amazzonia di un delfino mai classificato prima d'ora, l'Araguaian Boto (Inia araguaiensis). E' stato scoperto in uno dei maggiori fiumi del Sudamerica, l'Araguaia, lungo quasi 3mila chilometri. Era dalla fine della prima guerra mondiale che non si compiva un avvistamento del genere. Va, di fatto, tenuto presente che i delfini di fiume sono animali rarissimi, lontani cugini di quelli marini, ma altrettanto intelligenti. «E' molto simile alle altre specie fluviali», dice Tomas Hrbek, della Federal University of Amazonas, «ma non c'è dubbio che si tratti di una specie a se stante, come dimostra l'analisi del DNA». Su Plos One, dove è stata divulgata la notizia, si dice che l'animale si sarebbe separato geneticamente dalle specie affini circa due milioni di anni fa.
L'Araguaian Boto è caratterizzato da un lungo becco che gli consente di cacciare abilmente le sue prede preferite, i pesci dei fondali melmosi dei fiumi, e dalla tipica forma affusolata del delfino che tutti conosciamo. In dodici settimane di appostamenti sono stati osservati centoventi esemplari, e le stime permettono di supporre che esistano complessivamente mille delfini appartenenti a questa nuova realtà tassonomica. Ma la specie potrebbe già essere a rischio di estinzione e da ricondursi, quindi, alla famosa Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura: «Abbiamo infatti appurato che la sua variabilità genetica (parametro che consente a una specie di sopravvivere senza problemi), è molto bassa», spiega Hrbek. «Peraltro il suo habitat è soggetto a una forte antropizzazione che a lungo andare può causargli seri problemi». Sotto accusa anche i pescatori senza scrupoli, che sparano ai delfini per salvaguardare il proprio "bottino" ittico. Si vuole pertanto evitare che l'Araguaian Boto faccia la stessa fine del cugino asiatico, il baiji dello Yangtze. E' il nome popolare della specie Lipotes vexillifer, dichiarata estinta nel 2006, anche se alcune fonti parlano di nuovi avvistamenti avvenuti nel 2007.
Non manca anche la scoperta di mammiferi di grossa taglia che popolano la terraferma e che nessuno si aspetterebbe di trovare. E' il caso dell'olinguito (Bassaricyon neblina), identificato per la prima volta nel 2013, fra le foreste della Colombia e dell'Ecuador, e scambiato a prima vista per un perfetto incrocio fra un gatto e un orsetto. E' un mammifero onnivoro, che gli esperti dello Smithsonian di Washington hanno ricondotto alla famiglia dei procioni. Lungo fra i 30 e i 40 centimetri, pesa mediamente un chilogrammo. Dal 2000 a oggi sono state inoltre classificate cinque nuove specie di marsupiali, come il tricosuro canino, una specie di scoiattolo australiano; venticinque i nuovi primati e una trentina le nuove specie di pipistrello (compreso l'orecchione sardo individuato nel 2002).
Infine non mancano le sorprese riguardanti gli animali che da sempre stimolano i nostri gusti, come l'elefante e il leopardo. Fra i proboscidati è stata proposta la nuova classificazione per il piccolo elefante della foresta africana, non più Loxodonta africana, ma Loxodonta cyclotis. Mentre in Borneo, cuore del sud est asiatico, è stata dichiarata specie completamente a se stante il leopardo nebuloso, fino al 2006 considerato una sottospecie del cugino continentale.