Nuove scoperte sull’evoluzione umana indicano che il ramo genealogico dell’uomo è molto più complesso di quello inteso fino a oggi. Non solo la successione delle varie specie, ma anche i cammini che l’uomo moderno ha intrapreso per giungere in ogni angolo della Terra. L’ultima notizia sovverte completamente la tesi secondo la quale l’Homo sapiens sapiens lasciò l’Africa 60mila anni fa; lo studio diffuso dagli scienziati del Max Planck Institute for Scienze of Human History e dell’University of Hawai ritiene che la nostra specie abbandonò il continente Nero almeno 120mila anni fa. Significa avere conquistato l’Europa molti millenni prima del previsto, entrando maggiormente in contatto con specie che ci precedettero come l’Uomo di Neanderthal e l’Uomo di Denisova. E questa tesi convalida l’ipotesi di inbreeding fra il sapiens e gli altri ominini, peraltro già confermata dalle analisi genetiche (che mostrano nel nostro DNA tracce delle due specie).
Gli scienziati hanno valutato le nuove datazioni sulla base di reperti portati alla luce in Cina, e risalenti a un periodo compreso fra 70mila e 120mila anni fa. Come connettere questa tesi con quella precedente? Secondo gli studiosi è probabile che vi furono più ondate migratorie di Homo sapiens in movimento dall’Africa all’Europa, e poi all’Asia e all’Oceania. La più importante avvenne senz’altro 60mila anni fa, tuttavia è dato per certo che alcuni antenati di questo grande gruppo che lasciò l’Africa molto tempo prima. È il finale dell’Acheuleano, fase del Paleolitico compresa fra 750mila e 120mila anni fa, fra il periodo glaciale Mindel e l’interglaciale Riss-Wurm. L’uomo vive di caccia e raccolta, ma sa sfruttare la natura per fabbricare utensili di uso quotidiano. Nasce la tecnica di Levallois che permette di scheggiare con efficacia la selce per ottenere coltelli e lame rudimentali con cui tagliare le carni e procurare indumenti per fronteggiare il gelo.
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