Parole cariche di entusiasmo quelle espresse ieri dal presidente degli USA Joe Biden, all’indomani della prima immagine dallo spazio fornita dal James Webb Space Telescope (JWST). “E’ un momento storico per la scienza e la tecnologia, per l’astronomia e l’esplorazione spaziale. Ma anche per l’America e tutta l’umanità”. Un gruppo di galassie lontanissime, brillanti e affascinanti, raccontano una nuova pagina dell’esplorazione spaziale, mondi mai osservati, i primi a essersi formati subito dopo l’esplosione del Big Bang. Con Joe Biden ci sono Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti d’America e il capo della Nasa, Bill Nelson, che aggiunge: “Saremo finalmente in grado di rispondere a domande che ancora non sappiamo formulare”. Non un gioco di parole, ma la consapevolezza che il telescopio James Webb è un miracolo dell’ingegneria, capace di indagare angoli dell’universo fino a oggi imperscrutabili. Per risalire alla vera natura dei buchi neri, ai processi che portano alla formazione dei pianeti, alle caratteristiche delle galassie nate più di tredici miliardi di anni fa. La nitidezza dei particolari, colori e profili degli ammassi stellari, che con gli altri strumenti a nostra disposizione non siamo ancora riusciti a decifrare.
Il telescopio James Webb è all’inizio
del suo lavoro, e nel corso dei prossimi mesi e anni potrà rivoluzionare le
conoscenze astronomiche. Perché caratterizzato da congegni mai sperimentati (o
sperimentati solo in parte) dall’uomo. Innanzitutto la lettura del cosmo a raggi
infrarossi, che bypassano il pulviscolo, rendendo chiare fotografie che oggi
direbbero poco o nulla. Per fare un parallelismo, il telescopio Hubble, gigante
dei cieli che scruta l’universo da trent’anni, punta soprattutto sulla
radiazione visibile e ultravioletta, con lunghezze d’onda sempre più vicine allo
spettro dei raggi x. Questione anche di specchi, qui ce n’è uno, quello
primario, che misura 6,5 metri (contro i 2,4 metri dell’Hubble); e di
materiali. Il James Webb Telescope pesa molto meno dell’Hubble, il vetro, di
fatto, è stato sostituito da componenti modernissimi a base di berillio
ultraleggero. L’avveniristico telescopio, frutto della cooperazione fra NASA ed
ESA, si trova ora in corrispondenza di un’area astronomica strategica: il punto
di Lagrange L2. Dove l’azione gravitazionale di due corpi (in questo caso Sole
e Terra), consentono a un terzo più piccolo di mantenersi stabile lungo un’orbita,
evitando dispendi energetici. Quel che accade a vari satelliti lanciati negli
ultimi anni, come la sonda Gaia, che mira a ricostruire con precisione
certosina le caratteristiche degli astri a noi più vicini.
Lanciato il giorno di Natale del
2021, a bordo del razzo Ariane-5, il JWST resiste alle bizzarrie solari, grazie
alla presenza di un grande scudo termico. Entrato in azione qualche giorno dopo
il lancio dalla base dal Centre Spatial Guyanais a Kourou, nella Guyana
Francese, è rappresentato da fogli di metallo riflettente, 21 metri di
lunghezza per 14 di larghezza (praticamente un campo da tennis). “Un’incredibile
prova dell’ingegnosità e delle capacità ingegneristiche dell’uomo, che
permetteranno al Webb di centrare i suoi obiettivi scientifici”, dice Thomas
Zurbuchen, amministratore associato del direttorato della NASA per le missioni
scientifiche. Il futuro, infine, anche aspetti meno romantici delle galassie
primordiali o della fame dei buchi neri, ma verosimilmente più importanti dal
punto di vista scientifico. Riferimento alle caratteristiche atmosferiche dei
pianeti extrasolari. Oggi ne conosciamo più di 4mila, ma è molto difficile dire
di cosa siano fatti. Il JWST potrà aiutarci in questo senso, anche se la
scoperta della vita al di là del sistema solare rimane un’utopia. “Ci
riusciranno forse i telescopi del futuro”, dice Thomas Beatty, dell’Università
dell’Arizona. “Di certo il James Webb limiterà il campo di azione, indicando i
pianeti con maggiori probabilità di presentare tracce biologiche”.
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