Taxi spaziale |
Battezzato
Dragon si candida a essere il primo taxi spaziale della storia
dell'uomo. Si tratta, infatti, del primo veicolo spaziale di tipo
commerciale. Il lancio inaugurale, senza equipaggio, è avvenuto il 19 maggio. Sviluppato dalla SpaceX, una compagnia di
Hawtorne, in California, in collaborazione con la NASA, si ripromette
di trasportare avanti e indietro dalla Stazione spaziale
internazionale fino a sette astronauti. Molti esperti parlano di un
ritorno agli anni Sessanta. Osservandolo, infatti, ricorda una
capsula simile a quelle utilizzate per il Programma Apollo; Dragon,
peraltro, impiegherà per raggiungere il cosmo - come è già
accaduto per le missioni lunari – un razzo. Il Falcon 9 è un
gigante di 54 metri, con un diametro di quattro metri. I test
effettuati fino a oggi sono andati a gonfie vele; il primo è
avvenuto il 4 giugno 2010, l'ultimo pochi giorni fa. Si tratta di una
nuova generazione di razzi, dotati di due stadi, entrambi funzionanti
con motori Merlin, prodotti dalla stessa casa spaziale. Ancora una
volta, dunque, l'attenzione è riposta sulla potenza di razzi-vettori
in grado di lanciare a chilometri e chilometri di distanza dalla
Terra navicelle, capsule e satelliti. Ma come si è arrivati a questo
traguardo? La storia dei primi “razzi” risale all'antichità.
Detto anche Erone il Vecchio, Erone di Alessandria era un genio
matematico. Si occupò di molti argomenti comprese le leggi di
riflessione, lo studio dell'area dei triangoli e la stereometrica. Ma
il suo nome è soprattutto legato all'utilizzo dei razzi. Erone
inventò, infatti, la cosiddetta eolipila, una sfera metallica
riempita d'acqua che, opportunamente riscaldata, “sputava” vapore
da due bracci esterni, mettendosi in movimento: può essere
considerata l'antenata delle macchine a vapore, ma non meno dei razzi
che oggi tutti conosciamo. Da qui occorre fare un salto di più di
mille anni, e numerosi chilometri, per arrivare alla Cina
dell'Undicesimo secolo, dove vengono impiegati pseudo razzi per
festeggiare con i fuochi d'artificio. È, in realtà, una pratica che
affonda le sue radici ad almeno 300 anni prima di Cristo, per via
dell'utilizzo di una particolare polvere nera, realizzata con una
miscela esplosiva a base di potassio, carbone e zolfo. Ma in questo
periodo si pensa anche all'impiego di simili prodotti per combattere
gli odiati mongoli, confinanti con le regioni cinesi. Il primo
attacco cinese è del 1232 e viene sferrato contro la città di
Kai-Fung-Fu. I razzi, in ambito bellico, compaiono, dunque, molto
prima di pistole e fucili che abbisognano di elaborazioni
siderurgiche estremamente avanzate, paradossalmente non necessarie
per sparare in cielo un super-proiettile. I cinesi rimangono
all'avanguardia per anni, inventando imprese assurde; come quella
relativa a un fantomatico funzionario cinese di nome Wan-Hoo che
avrebbe provato a conquistare la Luna ancorato a una sedia di vimini
fissata a 47 razzi. La leggenda prosegue dicendo che nessuno poté
dire se Wan-Hoo sia mai allunato (anche se i dubbi sono più che
leciti), ma di certo il suo volto non lo vide più nessuno. Nel 1420
studia le dinamiche dei razzi l'italiano Giovanni da Fontana. In
piena epoca rinascimentale, descrive razzi caratteristici dalle forme
più strane, comprese quelle di pesce e di colomba; ma per il primo
vero trattato dedicato a questo argomento occorre attendere il 1591
con la pubblicazione del tedesco Johann Schmidlap, a Norimberga. Nel
1650 prosegue su questa strada un esperto di artiglieria polacco,
Kazimierz Siemienowic, che pubblica una serie di disegni riproducenti
vari razzi. E nel 1696 è la volta dell'inglese Robert Anderson, che
dà alle stampe due nuovi trattati, parlando per la prima volta di
propellenti e calcoli matematici concernenti la fisica dei lanci.
Poco dopo si cimenta nella stessa disciplina il francese Amedee
Frezier, spiegando nei dettagli le regole e gli stratagemmi per
fabbricare fuochi d'artificio a scopo ricreativo e cerimoniale. I
razzi conquistano l'Europa, dove vengono visti come un'invenzione
straordinaria, appannaggio di scienziati geniali e pazzi costruttori.
Lo scopo iniziale è quello di intrattenere la borghesia, durante
banchetti e altri appuntamenti d'elitè. È del resto difficile
pensare di proporli per altri fini, visto che la “mira” dei primi
razzi lascia piuttosto a desiderare: si sa da dove partono, ma quasi
mai dove atterrano. Sicché si inizia a pensare di utilizzarli in
campo bellico solo a partire dal Settecento. I primi a basare le loro
azioni guerrafondaie su questo tipo di arma sono gli indiani, che
cercano in tutti i modi di liberarsi del dominio inglese. Ma più che
razzi paiono rudimentali armi riempite da polvere da sparo; vengono
raccolte a questo scopo le canne di bambù che crescono rigogliose
nel continente asiatico. È dunque grazie a questa esperienza che gli
inglesi comprendono il valore dei razzi e decidono di approfondire la
materia. Apre le danze William Congreve, politico e scienziato
inglese del Settecento, che sviluppa nuovi razzi da impiegare contro
i francesi. Li testa fra il 1805 e il 1806 cercando di sconfiggere la
flotta nemica a Boulogne-sur-Mer. I razzi di Congreve pesano
quattordici chili e sono caratterizzati da gittate di oltre tre
chilometri di distanza, rese tali da “aste direzionali” lunghe
fino a quattro metri. Con William Hale, un altro inventore
anglosassone, nel 1846 si ottengono razzi molto più precisi. I suoi
studi partono da dove s'era fermato Congreve, cercando di
concentrarsi soprattutto sulle aste e la possibilità di direzionare
i razzi in punti specifici. Collauda con successo i suoi prodotti
nel corso della guerra contro il Messico, attuata dagli americani fra
il 1846 e il 1848. Col Diciannovesimo secolo i razzi approdano in
tutto il mondo, sollecitati anche dalla narrativa che sempre più
spesso fa riferimento alla conquista dello spazio. Celeberrima è
l'opera di Jules Verne del 1865, intitolata Dalla terra alla luna.
Ma la prima idea di equipaggio umano nello spazio appartiene a Edward
Everett Hale, autore statunitense dell'Ottocento, che intitola la sua
opera The Brick Moon. Spetta, però, al russo Konstantian
Tsiolokovsky gettare le basi per la missilistica moderna,
considerando, per la prima volta, i razzi in qualità di vettori per
volare nello spazio. Pubblica i suoi primi documenti nel 1903,
proponendo l'utilizzo di propellenti liquidi. È lo stesso anno del
primo volo su un aeroplano dei fratelli Wright. Per molti è un pazzo
visionario, ma le sue teorie rivoluzionano il mondo dei razzi. Sulla
sua linea prosegue Robert Goddard, altro pioniere della missilistica
moderna. Ha sedici anni quando si innamora di un classico della
letteratura come La guerra dei mondi di H.G. Wells e
dell'ipotesi di tradurre in pratica storie e situazioni immaginate
dagli scrittori. Nel 1914 progetta dei motori per razzi appoggiato
dalla Smithsonian Institution. Dal 1919 inizia a parlare di poter
conquistare la Luna. Nel 1926 introduce le basi per l'esplorazione
spaziale lanciando il primo razzo a combustibile liquido, ad Auburn,
nel Massachusetts. 2,5 secondi di volo, 14 metri di altezza, 184
metri di distanza, sono in numeri dell'exploit che, però, non desta
alcun interesse all'intellighenzia dell'epoca. Anzi. C'è chi,
addirittura, ironizza sulla sua opera dicendo che “un razzo lunare
manca l'obiettivo di appena 238799 miglia e mezzo”. Ma a lui le
critiche non interessano e prosegue i suoi studi in totale solitudine
nel deserto di Roswell, all'epoca ben lontano da qualunque mania
ufologica, finché il suo genio non viene compreso da Wernher von
Braun, di cui, proprio quest'anno, ricorre il centenario della
nascita. Nato a Wirsitz nel 1912 si avvicina al mondo dei razzi
durante gli studi universitari a Berlino e diventando membro della
Società dei voli spaziali. Conosce Hermann Oberth che gli indica la
strada da seguire per i primi esperimenti personali che trovano sfogo
nel 1934 con il lancio di due missili in grado di percorrere due
chilometri e mezzo di “strada”. In seguito diviene una delle
figure più importanti della Germania nazista, entrando a far parte
del Partito nel 1937 e diventando ufficiale delle SS nel 1940.
Battezza il suo primo razzo V-2 Rocket, dando vita a una famiglia
leggendaria di razzi. Sono gli stessi che vengono utilizzati per
combattere gli inglesi. Finita la guerra von Braun si consegna agli
americani, incalzato dall'operazione segreta Paperclip, gestita
dall'Office of Strategic Services, per reclutare tutti gli ingegneri
tedeschi che hanno contribuito alla nascita dell'arsenale hitleriano.
Von Braun e altri 126 colleghi finiscono a Fort Bliss, nel Texas.
Vivono in condizioni precarie e disagevoli, sorvegliati a vista, ma
possono continuare a lavorare per elaborare razzi sempre più
efficienti. Con questi presupposti nasce il primo missile americano
balistico con raggio di azione medio, denominato Redstone, in grado
di trasportare una bomba di circa 3mila chilogrammi per 320
chilometri. È molto simile al V-2 Rocket. Il 20 agosto 1953 avviene
il primo lancio ufficiale, l'ultimo il 30 novembre 1965.
Complessivamente cavalcano i cieli americani cinquantasei razzi, ma
non tutti i lanci vanno a buon fine. Va, invece, a gonfie vele il
lancio del primo satellite orbitale americano, Explorer 1. La
missione vede la luce il 31 gennaio 1958, dalla base americana di
Cape Canaveral, in Florida, benché sia tardi per tenere testa ai
russi che hanno già bissato l'impresa con Sputnik 1 e 2. In più i
sovietici ragionano sul perfezionamento dell'R-1, razzo molto simile
al V-2 Rocket, che consente di effettuare ricerche in campo
meteorologico e climatologico. Ma gli americani non stanno a guardare
e volgono le loro attenzioni al Jupiter-C, in pratica una sorta di
Redstone modificato e migliorato. Sviluppato dall'Army Balistic
Missile Agency, è studiato per voli sub-orbitali ed è
caratterizzato da tre stadi, di cui, gli ultimi due superiori,
funzionanti a combustibile solido. Viene lanciato verticalmente, poi,
con l'attivazione del secondo stadio, il razzo si inclina di 40
gradi, proseguendo obliquamente verso l'obiettivo prefisso. Da qui
nascono le basi per la realizzazione di Juno I, lungo 21,20 metri e
pesante 29.060 chilogrammi, ideale per la messa in orbita di
satelliti artificiali. Anche quest'ultimo porta la firma di Wernher
von Braun. È, di fatto, un razzo a tre stadi, con l'aggiunta di un
quarto stadio costituito da un razzo Sergeant a propellente solido;
il Sergeant veniva utilizzato singolarmente come missile
superficie-superficie durante le operazioni militari statunitensi dei
primi anni Sessanta. Il successivo viene battezzato Juno II, ed
impiega come primo stadio un razzo Jupiter, derivante dal V-2 Rocket.
L'ultimo lancio di un Juno I è del 24 maggio 1961: l'esplorazione
spaziale è ormai alle porte e la NASA ha appena tre anni di vita. Ma
non sono gli americani a lanciare il primo uomo nel cosmo, bensì i
russi, che ancora una volta surclassano i rivali, ricalcando
l'exploit del primo lancio satellitare. Yuri Gagarin è figlio di un
falegname e di una contadina, ma fin dall'infanzia mostra uno
spiccato interesse per le materie scientifiche. Si iscrive a un
aero-club nel 1955, prima di frequentare le prime scuole di aviazione
in Ucraina. Tre anni dopo è pronto per il cosmo. È il 12 aprile
1961, quando Yuri, a bordo della navicella Vostok 1, decolla per un
volo a 250 chilometri di altezza e a 27.400 chilometri di velocità.
Per raggiungere lo spazio Gagarin utilizza il razzo vettore R-7,
progettato negli anni Cinquanta e testato per la prima volta presso
il cosmodromo di Bajkonur. Alto 34 metri, con tre metri di diametro e
un peso di 280 tonnellate, deriva dal razzo che ha lanciato in orbita
il 4 ottobre 1957, lo Sputnik 1. È a due stadi, con motori
funzionanti a ossigeno e cherosene, in grado di imprimere
un'accelerazione di gravità di 3G e in meno di dieci minuti spedire
un uomo nello spazio. Gagarin si scioglie e comunica al mondo che “la
Terra è blu, meravigliosa e incredibile”. Contrapposto al
programma sovietico, in USA, c'è il progetto Mercury, anche in
questo caso volto, quindi, alla navigazione spaziale in presenza di
astronauti. Viene varato nel 1958 per chiudersi cinque anni dopo,
raggiunti i traguardi prefissati. Con la missione Mercury-Redstone 3
del 5 maggio 1961 e la capsula Freedom 7, Alan Shepard è il primo
americano a volare nello spazio. Con Mercury-Atlas 6 e la capsula
Friendship 7, il 20 febbraio del '61, gli statunitensi compiono,
invece, il primo giro orbitale: protagonista, John Glenn, ex marine e
reduce della guerra di Corea, che vola per quasi cinque ore. A
seguire volano altri americani, fra cui Scott Carpenter, Walter
Schirra e Gordon Cooper. Subito dopo il primo volo nello spazio si
fa, dunque, largo un nuovo obiettivo: la conquista di mondi lontani,
a cominciare dalla Luna. Inizia così l'era del mitico Saturn V
(tanto mitico da divenire anche il titolo di una canzone di successo
degli Inspiral Carpets, storica band di brit-pop inglese). Nasce la
Saturn Vehicle Evaluation Committee. E c'è ancora lo zampino di von
Braun, che si occupa del Saturn V dal 1957. Il nuovo programma
spaziale subisce un'accelerata in seguito a un discorso promulgato
dal presidente americano John Fitzgerald Kennedy che propone di
raggiungere la Luna entro la fine degli anni Sessanta. Occorre un
mezzo per lanciare verso il satellite una navicella guidata da
astronauti, e non c'è niente di meglio che utilizzare un razzo di
questa portata. Ci si arriva, però, per gradi, passando per Saturn
I, Saturn IB e Saturn INT-21. Alla fine l'ha vinta il Saturn V, razzo
multi-stadio a combustibile liquido, alto 110 metri e largo dieci,
con una massa totale superiore a 3mila tonnellate. Un vero colosso. I
test danno ottimi risultati: volano tredici mezzi di questo tipo,
confortando l'idea che, finalmente, la Luna può essere vinta
dall'uomo. Il 9 novembre 1967 parte un Saturn V con una navicella
priva di equipaggio, l'Apollo 4. È il preludio alle prime missioni
lunari, inaugurate con l'Apollo 8 e al lancio della stazione spaziale
Skylab. Il primo allunaggio avviene, dunque, con la missione Apollo
11, coinvolgendo figure ormai leggendarie della storia dell'uomo:
Neil Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin. L'Apollo 11 viene
lanciato nello spazio a “bordo” di un Saturn V decollato dal
Kennedy Space Center il 16 luglio 1969. Il primo stadio lavora per
due minuti e 30 secondi. Porta il mezzo a 61 chilometri di quota,
viaggiando a 8.600 chilometri orari. In seguito si stacca il primo
modulo che precipita nell'oceano Atlantico, a circa 560 chilometri
dalla base di partenza. Di questo “frammento” non si sa nulla
fino al marzo di quest'anno, quando Jeff Bezos, fondatore di
Amazon.com afferma di averlo individuato con un sonar a circa 4mila
metri di profondità, in un punto a est della Florida. Segue la fase
due, della durata di sei minuti, con il razzo che raggiunge i 185
chilometri di quota, muovendosi a 24.600 chilometri all'ora. Si
stacca il secondo stadio, che precipita a 4.200 chilometri dalla base
di lancio, e si accende il terzo, stabilendosi nella zona orbitale
detta “parcheggio”. Qui, la capsula spaziale e il terzo modulo,
compiono due giri e mezzo intorno alla Terra, dando modo agli
astronauti di controllare che tutto stia avvenendo secondo i piani e
procedere con la fase detta Trans Lunar Injection (TLI): è la
manovra propulsiva che permette il distaccamento del terzo modulo
dall'Apollo per il raggiungimento della superficie lunare. Il Saturn
V chiude così la sua avventura più prestigiosa, prima della
pensione ufficiale sopraggiunta nel 1973. Corrispettivo russo del
Saturn V è l'N1, più leggero e più potente di quello statunitense.
Ma i 14 test effettuati non vanno a buon fine, predisponendo
l'abbandono del progetto. Il 12 aprile 1981 – esattamente venti
anni dopo il volo di Gagarin - inizia così l'era degli Space
Shuttle. In questo frangente entrano in gioco i Solid Rocket Booster,
abbreviati con l'acronimo SRB. Sono i razzi che forniscono l'83%
della spinta alla navicella spaziale durante la fase di decollo. Sono
potentissimi, arrivando a produrre 1,8 volte la spinta del propulsore
F-1 caratterizzante i razzi Saturn V. Grazie alla loro azione lo
Space Shuttle può raggiungere i 45 chilometri di quota, determinando
l'entrata in azione del serbatoio esterno che consente il proseguo
del viaggio e le successive manovre di distaccamento dell'orbiter, il
“cuore” della navicella; intanto i due razzi tornano a terra
tramite l'attivazione di paracaduti. In Russia, invece, si dà vita
al Programma Sojuz, col quale vengono allestiti nuovi razzi derivanti
dai Voskhod, a loro volta figli dei Vostok, in pratica dei razzi R-7,
tipo quello utilizzato da Gagarin per il suo primo volo spaziale. Si
pensava di abbandonare il programma nel 2011, in favore delle navette
Kliper, ma tutt'oggi le Sojuz continuano a muoversi nello spazio con
successo, essendo le uniche a fare la spola fra la Terra e la
Stazione spaziale internazionale. Con l'epopea dello Space Shuttle e
della Sojuz si ha il collaudo di altre forme di razzi, lunghi quasi
cinquanta metri con un diametro di 3,8 metri e una massa di 210mila
chilogrammi. La loro funzione è finalizzata alla messa in orbita di
uno o più satelliti, per un peso complessivo di 1850 chilogrammi. Il
Programma Ariane, supervisionato dall'ESA, viene siglato alla fine
degli anni Settanta. Il primo lancio, Ariane I, è del 24 dicembre
1979. Nel 1985 un Ariane I consente l'avvio della missione Giotto,
proposta per studiare da vicino la cometa di Halley, che transita
dalla Terra ogni 76 anni. L'ultimo episodio della saga Ariane
concerne un lanciatore ideato inizialmente per “alimentare” il
mini Shuttle europeo Hermes. Ma accantonato il progetto, l'Ariane V
diviene un razzo a tutti gli effetti. La sua attività prosegue
ancora oggi. Il 23 marzo 2012 il vettore Ariane V-ES ha consentito la
realizzazione della missione ATV-003, con il lancio di un veicolo di
rifornimento della Stazione spaziale internazionale, decollato dalla
base di Korou, nella Guyana francese.
Space Launch System |
I razzi del futuro
Space Launch System. È questo il nome del super razzo che la NASA ha intenzione di collaudare nei prossimi anni, nato dalle ceneri del Programma Constellation. Il progetto è già in fase di attuazione e secondo i più ottimisti vedrà la luce nel 2017. Ad aprile sono stati effettuati i primi test relativi al funzionamento dei booster a combustibile solido che forniranno energia il primo stadio del razzo. Abbreviato con la sigla SLS, il nuovo vettore americano porterà gli astronauti a volare oltre l'orbita della Stazione spaziale internazionale, prima di puntare le prue verso la Luna e... Marte. Proprio al pianeta rosso si fa, infatti, riferimento pensando a questo prodotto ingegneristico, alto 91 metri, ideato per far fronte alle profondità del cosmo, dove l'uomo – fisicamente – non ha mai messo piede. Quella che vedrà presumibilmente la luce nel 2017 sarà la prima versione del razzo, la più semplice e “rudimentale”. In seguito il progetto verrà raffinato per giungere a vettori di una potenza mai ottenuta. È stato presentato ufficialmente pochi mesi fa nel corso di una conferenza stampa con la presenza di Charles Bolden: «Stiamo scrivendo un nuovo capitolo dell'esplorazione americana dello spazio. Sono orgoglioso di aver volato sullo Shuttle, mentre gli esploratori di domani potranno finalmente sognare di passeggiare su Marte». Il progetto riflette una spesa complessiva di 25 miliardi di euro. La NASA ha già messo in cantiere una spesa annuale di due miliardi di euro per lo Space Launch System. Certo, non è del tutto chiaro da dove possa scaturire questo budget, visto che l'amministrazione Obama ha drasticamente tagliato i “rifornimenti” per la corsa spaziale. Ma è anche vero che se non si trova una soluzione nuova per conquistare le infinità del cielo, l'America rischia di essere emarginata dai russi che continuano a volare con il Programma Sojuz e dalle nuove potenze mondiali in campo ingegneristico: India e Cina. D'altronde gli Space Shuttle sono andati in pensione ed è divenuto urgente trovare un modo degno per sostituirli. Le risorse potrebbero, dunque, essere recuperate dai viaggi spaziali effettuati dai privati, intenzionati a visitare periodicamente la Stazione spaziale internazionale; sperando che, nel frattempo, il prezzo base non raddoppi come accaduto durante la costruzione dello Space Shuttle. Il secondo test è previsto per il 2021, in presenza di un equipaggio. E se tutto andrà a buon fine si pensa di effettuare la prima importante missione nel 2025, portando degli astronauti su un asteroide. La missione più affascinante, quella relativa alla conquista del pianeta rosso, è prevista per il 2030. «Il nuovo razzo della NASA funzionerà a propulsione liquida», una miscela di idrogeno e ossigeno, rivela Scott Hubbard, manager dell'ente statunitense. E sarà in grado di lanciare nello spazio fino a 130 tonnellate di carico. Per la precisione funzionerà con propellente liquido solo la parte superiore del razzo, il secondo stadio, che porterà gli astronauti nel cosmo, parafrasando le imprese di Saturn; mentre il primo stadio baserà la sua azione sui motori dello Shuttle RS-25 e i suoi due booster a propellente solido. Il motivo dell'introduzione del combustibile liquido è duplice. Da una parte c'è, infatti, un minore dispendio economico; dall'altra il combustibile liquido offre più garanzie in termini di sicurezza poiché all'occorrenza può essere “spento”. È ciò che non accade con il combustible solido, costato la vita agli astronauti del Challenger nel 1986. Da un punto di vista estetico lo Space Launch System ricorderà i vecchi Saturn, che hanno fatto la storia della conquista dello spazio, portando l'uomo sulla Luna e facendogli vincere numerosi traguardi. Gli astronauti risiederanno all'interno di una capsula montata in cima al razzo. Battezzata Orion, è di fatto il mezzo che un domani riporterà l'uomo sulla Luna e che fisicamente farà breccia nell'atmosfera marziana. Il primo lancio di prova è programmato per il 2013: Orion volerà grazie all'azione di un razzo Delta IV, appartenente a una nuova famiglia di razzi progettata dall'Intergrated Defense Systems di Boeing. Si prevede un modulo nel quale risiederà l'equipaggio e un modulo di servizio, che conterrà il sistema di propulsione e tutti i rifornimenti di cui necessiteranno gli astronauti.
Dragon al via...
Un taxi spaziale che
chiunque (si fa per dire) potrà prenotare per visitare la Stazione
spaziale internazionale e osservare la Terra dall'alto. Battezzato
Dragon, è la proposta dell'azienda privata statunitense Space X. Il
primo volo ufficiale, in assenza di equipaggio, è andato a buon
fine, nonostante un ritardo di qualche giorno, dovuto a problemi
pressori all'interno della camera di combustione. Dragon - una
capsula balistica con ogiva a cerniera – è decollata da Cape
Canaveral il 22 maggio scorso, alle 3.44 (9.44 ora italiana). Il
lancio è avvenuto grazie all'azione di un razzo-vettore di nuova
generazione, il Falcon 9. Approntato dalla stessa Space X consta di
un primo modulo fornito di nove motori e un secondo con un solo
motore. È in grado di trasportare fra i 9.900 e 27.500 chilogrammi
di peso. Dopo il decollo, Dragon si è lentamente avvicinata alla sua
meta con l'entrata in funzione di potenti pannelli solari, una fase
della missione durata tre giorni: verso la ISS ha scattato varie foto
con una telecamera termica, approntata per facilitare le manovre di
attracco (molto più funzionale di una telecamera ottica). Il 24
maggio Dragon era a 2,4 chilometri dalla “casa madre”, pronta a
compiere l'ultimo balzo fondamentale. Il 25 maggio è entrato in
funzione un braccio meccanico comandato dai due astronauti a bordo
della ISS, Donal Pettitt della NASA e Andre Kuipers dell'ESA.
L'aggancio è avvenuto con il modulo Harmony, un compartimento
pressurizzato contenente prodotti per il rifornimento di aria, acqua
ed elettricità, lungo circa sette metri, con un diametro di 4,4
metri. «Houston, sembra abbiamo preso un drago per la coda», hanno
comunicato gli astronauti a bordo della Stazione. Fra il 25 e il 31
maggio gli astronauti hanno avuto modo di scaricare il materiale
presente sul taxi spaziale – fra cui campioni sperimentali per
studenti americani - per poi riempirlo di nuovo con attrezzature da
spedire sulla Terra. Il 31 maggio, dopo due settimane di lavoro,
Dragon entra nell'ultima fase della missione: il ritorno sulla Terra.
Per fare ciò sono entrati in funzione tre grossi paracaduti. Punto
di arrivo, un'area nel cuore dell'Oceano Pacifico. Qui una nave ha
recuperato la navicella alle 8.42 del 1 giugno, a circa 500 miglia
dalla costa del Pacifico: «Hanno preso l'obiettivo», ha affermato
il controllo NASA, riferendosi alla precisione geografica
dell'ammaraggio; «é andato tutto bene, secondo i piani». Ora ci si
prepara alle future dodici missioni per il rifornimento della ISS
stipulate fra Space X e la NASA per un costo complessivo di 1,6
miliardi di dollari. In attesa del volo del primo equipaggio umano
programmato per il 1015.
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