Cina 2016, India 2020, USA 2024. Fantaspazio, ma non troppo. Sono le date recentemente emerse per ciò che riguarda il presumibile ritorno dell'uomo sulla Luna. Perché il nostro unico satellite fa gola a molti e il primo che tornerà a porvi piede potrebbe godere di vantaggi inimmaginabili, un po' quel che accadde all'indomani della scoperta delle Americhe, con la partenza in massa di flotte navali dalle coste europee alla conquista di nuovi mondi da esplorare e assoggettare. Sulla Luna, lo sappiamo bene, non ci sono abitanti, ma intuiamo l'enorme bagaglio di ricchezze che contiene, e che potrebbe favorire lo sviluppo economico di molti paesi. The Ecologist illustra in poche lampanti parole il “tesoro” celato dal satellite, oltre le polveri regolitiche della sua inospitale superficie: sono miliardi di tonnellate di materie prime come gas, metalli e acqua. Sussistono, inoltre, minerali rarissimi come la troilite - composta da ferro e zolfo - rame nativo, stagno, una lega rame-zinco inesistente sulla Terra; per non parlare di strutture mineralogiche assolutamente “bizzarre” a base di ittrio, manganese e titanio, e mai viste prima, come la tranquillityte, l'armalcolite e la piroxferroite, rese note al mondo in seguito alla missione Apollo 11. Ma si rincorre anche l'elio-3, un super-combustibile composto da due protoni e un neutrone, che potrebbe rivoluzionare il mondo dell'energia. Oggi, infatti, per far funzionare buona parte di ciò che ci circonda e della quale non possiamo più fare a meno, ci affidiamo alla fissione nucleare, con la scissione di atomi pesanti, come l'uranio, con tutto ciò che ne consegue: difficoltà a isolare le scorie radioattive e possibili implicazioni in ambito bellico. Ma un domani, ipotizzando disponibilità infinite di elio-3, si potrebbe avviare la fusione nucleare, sopperendo in breve alle numerose esigenze energetiche del pianeta: 150 tonnellate di elio-3 potrebbero soddisfare i consumi annuali terrestri di ogni paese, con riserve lunari tali da coprire un arco temporale di almeno mille anni; nel frattempo ci si potrebbe dedicare all'ideazione di un sistema per raggiungere Giove, dove andare a recuperare nuovo elio-3, quando quello lunare sarà esaurito. Ecco perché molti economisti, analisti e politologi affermano che la Luna potrebbe diventare “Il Golfo Persico” del Ventunesimo secolo. Sicché non c'è tanto da sollazzare in virtù del progresso della scienza a livello spaziale, poiché in questo contesto, la verità è assai più prosaica: chi per primo tornerà sulla Luna dominerà il mondo. E fra i primi potrebbero esserci Cina e India. Profetiche a questo proposito le parole espresse recentemente da Hillary Clinton, Segretario di Stato dell'Amministrazione Obama, in un lungo articolo intitolato America's Pacific Century: «Il futuro geopolitico dell'ordine mondiale non verrà deciso in Iraq né in Afghanistan, bensì nella zona dell'Asia-Pacifico».
IL PROGETTO 921
La corsa alla Luna inizia una ventina di anni fa, quando la Cina mette per la prima volta il becco in faccende che parevano a esclusivo appannaggio delle due superpotenze per antonomasia: USA e Russia. È forte dell'affermazione del socialismo di mercato, un sistema economico che scimmiotta(va?) il modello capitalista occidentale, basato su un'economia di tipo liberale. Alla base del tutto si ha la possibilità di contare su una notevole quantità di manodopera a basso costo, che favorisce la delocalizzazione produttiva di molte imprese giapponesi ed europee, incrementando le entrate in modo spropositato. È così che l'impero del Dragone esplode in tutto il suo fragore imprenditoriale, producendo numeri da capogiro. Secondo l'OCSE le imprese private, nel 2005, producono oltre il 50% del PIL, contro l'1% del 1978. Le città, di conseguenza, esplodono. In poche settimane crescono palazzoni di trenta o quaranta piani. In una metropoli come Shanghai la produzione industriale su base annua aumenta del 24%, le esportazioni del 67%, la vendita al dettaglio di oltre il 9%. Gli investimenti immobiliari subiscono un'impennata del 34%. E dunque le condizioni sono quantomai proficue all'avvio di un nuova e mai provata avventura: quella spaziale.
«La capacità spaziale di una nazione è sempre andata di pari passo con la sua potenza economica», afferma Giuseppe Malaguti, direttore dell'Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica cosmica di Bologna, una delle strutture dell'INAF - Istituto Nazionale di Astrofisica. «Ciò fu vero anche per l'Italia, che, sull'onda del boom economico divenne, nel 1964, la terza potenza spaziale dopo USA e URSS. Ora, nel Ventunesimo secolo, la globalizzazione, i nuovi mercati, i PIGS, i BRIC e lo spread stanno certamente contribuendo a spostare i baricentri dell'economia e delle rivalità geopolitiche, e con essi anche quelli della tecnologia spaziale. Pertanto possiamo proprio dire che nihil sub sole novum se, negli ultimi anni, Cina ed India, e con esse anche il Giappone, hanno dimostrato di volere e potere investire molto nello spazio».
Nel 1992 viene ufficialmente finanziato il Progetto 921, col varo del progetto Shenzou. È la navicella spaziale (la “nave divina”) di cui i cinesi intendono servirsi per fotografare il mondo dall'alto, pressoché simile alla Soyuz russa, benché di dimensioni maggiori. Anch'essa consta di tre moduli – modulo di servizio, orbitale e capsula per il rientro – per un peso complessivo 7.840 kg, un'altezza di 9,25 metri e un diametro di 2,80 metri. Dalla sua anche l'opportunità di attraccare alla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. Il 19 novembre 1999 parte il primo test senza equipaggio. Va tutto secondo i programmi, predisponendo alle prove successive che si risolvono fra il 9 gennaio 2001 e il 29 dicembre 2002, con animali vivi e un manichino. Sicché il 15 ottobre 2003 arriva il grande giorno per il primo volo umano nello spazio con protagonista un cinese. A capo della missione Shenzou 5 c'è il trentottenne Yang Liwei che decolla dal poligono di Jiuquan, nella provincia di Gancu, ai margini del deserto della Mongolia. Sono le nove di mattina (le tre di notte in Italia): la Shenzhou 5 raggiunge lo spazio tramite un razzo “Lunga Marcia CZ-F2”, secondo i tecnici cinesi con un'affidabilità vicina al 100%. Per scaramanzia, però, Pechino vieta la diretta televisiva, perché il pericolo di un fallimento complessivo dell'operazione è tutt'altro che trascurabile; ma fila tutto liscio, con Liwei che telefona alla moglie in assenza di gravità per comunicare la «magnificenza dell'universo», prima di essere definito pubblicamente dal presidente Hu Jintao «la gloria della patria cinese». Spianata la strada con Liwei, diventa tutto più facile e le successive missioni (2005 e 2008) si risolvono con lo stesso risultato, coinvolgendo cinque astronauti. A questo punto anche i cinesi acquistano coraggio e si fanno avanti per prendere parte al progetto umano collettivo di conquista dello spazio. Si candidano per accedere al programma ISS - di cui fanno già parte, oltre alla NASA, l'ESA europea, la RKA russa, la JAXA giapponese e la CSA canadese - ma gli USA si oppongono, lasciandogli, in pratica, una sola possibilità: costruirsi una propria stazione spaziale. Esattamente quello che sta accadendo.
LA STAZIONE ORBITALE
Il primo passo verso la nascita della stazione orbitale cinese avviene il 29 settembre 2011 per opera della China Manned Space Engineering (CMSE). Alle 15.15 il Tiangong-1 (Palazzo celeste) decolla dal centro spaziale di Jiuquan agganciato al razzo “Lunga Marcia-IIF”. È il primo modulo della futura base spaziale, lungo 10,5 metri e largo poco più di quattro, sul quale soggiorneranno gli astronauti delle prossime missioni. Si trova a circa 400-500 chilometri dalla superficie terrestre, poco più in là della ISS collocabile fra i 278 e i 460 chilometri di distanza. Andata a buon fine la prima parte del programma, a novembre 2011 la Cina conquista di nuovo il cosmo per effettuare delle manovre di aggancio con Tiangong I. La prima vera esperienza di docking si rivela, dunque, un successo, sponsorizzato a livello internazionale da video (diffusi anche da Youtube) che illustrano le notevoli potenzialità dei cinesi; curiosamente, però, il sottofondo musicale di uno di essi è rappresentato da “America the Beautiful”, una sorta di secondo inno americano. Nel 2012 i cinesi proseguiranno su questa strada con le prime missioni con equipaggio che soggiornerà sulla stazione orbitale, consentendo l'allestimento degli ultimi moduli. Lo scopo dei cinesi è quello di collaudare definitivamente la stazione orbitale per il 2020, quando avrà raggiunto un peso complessivo di 60 tonnellate e una lunghezza di 18 metri.
Sicché la Luna potrebbe diventare un'affascinante tappa intermedia nella corsa alla conquista degli altri mondi del Sistema solare. Il Financial Times ha diramato pochi giorni fa una notizia che ha portato perfino gli addetti ai lavori a sobbalzare dalla sedia: nel 2016 Pechino predisporrà il primo allunaggio umano. «La Cina condurrà degli studi per la pianificazione preliminare di una missione umana sulla Luna», si legge sul comunicato diffuso dal quotidiano inglese. C'è chi nicchia di fronte a un'affermazione così eclatante, tuttavia le ultime mosse dei cinesi mostrano la sua assoluta attendibilità. A cominciare dall'ultimissimo successo risalente a pochi giorni fa, con il lancio di un sofisticato satellite per il telerilevamento ad alta definizione che sarà usato per studi civili di geodesia. Anche per ciò che riguarda la Luna s'è già fatto molto. «Il lancio del primo lunar orbiter cinese risale al 2007», dice Malaguti. «Per il 2013-2014 è previsto l'allunaggio di un rover, mentre la prima spedizione umana potrebbe avvenire intorno alla metà del prossimo decennio».
Il 24 ottobre 2007 dal centro di lancio di Xichang è, infatti, decollato Chang'e 1, un sonda progettata per orbitare attorno al satellite per un anno, caratterizzata da un altimetro laser, un radiometro a microonde, uno spettrometro a raggi gamma e raggi x. Sono strumenti predisposti per la realizzazione di una mappa tridimensionale della superficie lunare, dalla quale sarà possibile individuare i punti ideali per un atterraggio morbido. La sua attività è proseguita fino al 1 marzo 2009 nel momento in cui, sottoposta alla forza di gravità, si è schiantata sulla superficie del satellite. Analogo il lavoro portato a termine da Chang'e 2, lanciata il 1 ottobre 2010, in orbita a soli cento chilometri dalla superficie, contro i duecento del primo veicolo spaziale. L'esperienza delle sonde Chang'e si chiuderà nel 2013, con il lancio della terza navetta. In seguito verrà messo a punto il rinnovamento dei razzi coi quali la Cina, non avendo a disposizione navette come gli shuttle che decollavano da terra, raggiunge il “vuoto”. Liang Xiaohong, vicecapo della CASC (China Aerospace Science and Technology Corporation), ha fatto sapere che per il 2014 il nuovo razzo pesante “Lunga Marcia-5” sarà pronto per il varo ufficiale. Il razzo avrà una capacità di 25 tonnellate per i voli in bassa orbita terrestre (LEO) e di 14 tonnellate per l'alta orbita terrestre (GTO). Sarà molto più potente di tutti gli altri “vettori” in circolazione, compreso l'attuale Changzheng-3.
DIFFICILE CONVIVENZA
Il successo spaziale dei cinesi, però, non è solo farina del loro sacco, poiché possono contare sull'appoggio di altre nazioni, come la Russia. L'Agenzia Spaziale della Federazione Russa, Roscosmos (FKA), diretta da Vladimir Popovkin, e attiva dal 1992, collabora abitualmente con altri paesi, Italia compresa. Recentemente FKA e Agenzia Spaziale Europea (ESA) hanno lavorato gomito a gomito per via della sonda russa Phobos-Grunt, bloccata in orbita intorno alla Terra subito dopo il lancio avvenuto l'8 novembre 2011. I cinesi stessi, inoltre, ribadendo l'assoluta buonafede delle loro azioni, fanno un lungo elenco di paesi che avrebbero contribuito allo sviluppo dei loro progetti, dal Regno Unito al Venezuela. Semmai le difficoltà relazionali concernano i rapporti con gli americani. Dean Cheng, membro dell'Heritage Foundation, probabilmente il think-tank più autorevole statunitense, fondato nel 1973, associazione culturale politicamente vicina alle idee del Partito Repubblicano dice, senza mezzi termini, che «collaborare con CMSE comporta dei rischi». Anche Franck Wolf, senatore repubblicano, conferma la sua posizione anti-CMSE. L'esponente politico vuole impedire alla NASA di utilizzare fondi federali per appoggiare iniziative tecnologiche made in China. Rincara la dose Johnson-Freese, della National Security Affair (NSA), dichiarando che «lavorare con la Cina, giova solo a Pechino». Le incomprensioni riguardano peraltro altri ambiti economico-sociali. Hillary Clinton è, per esempio, entrata in combutta con la Cina sulla questione siriana, accusando l'impero del Dragone di non aver appoggiato la risoluzione ONU concernente il passaggio del potere da Assad al suo vicepresidente, con la formazione di un governo di unità nazionale. Ma non tutti la pensano così. C'è anche chi ritiene indispensabile una cooperazione attiva e trasparente fra tutte le forze spaziali mondiali, partendo dal presupposto che nessun paese è verosimilmente in grado di affrontare da solo il cosmo. Charles Bolden, capo dell'Agenzia spaziale USA, ha guidato una visita ufficiale in Cina, cercando di capire in che modo questa sinergia possa evolvere. «È stato un viaggio positivo in cui abbiamo ammesso la necessità e la volontà di cooperare all'insegna della trasparenza, della reciprocità e del mutuo beneficio». Obama intervenendo recentemente al Parlamento australiano ha detto di voler continuare a lavorare per rafforzare i legami con Pechino, ma ha anche sottolineato che la Cina deve rispettare i «diritti umani dei suoi cittadini». Dunque, palla al centro, si ricomincia. Partendo dai numeri. Nell'ultimo anno i cinesi hanno effettuato 19 viaggi spaziali, contro i 18 degli americani; dal 2006 la Cina ha compiuto 67 lanci, mandato in orbita 79 cosmonauti (21 nel solo 2011), 74 satelliti, 2 sonde lunari, due astronavi e una piattaforma orbitale. La guerra fredda spaziale ha così avuto inizio e trova conferma in recenti movimenti militari non sempre facili da giustificare.
LA GUERRA FREDDA
I cinesi osservano con circospezione gli americani, perché preoccupati dallo strano feeling che s'è venuto a creare all'improvviso fra statunitensi e australiani. E temono soprattutto l'idea ostentata senza remore dalla dirigenza USA che la strategia militare yankee punti a rafforzare pesantemente l'apparato bellico australiano, con l'invio di numerosi marine. È un punto nevralgico del Pacifico, dove convergono numerose rotte marittime legate al commercio di fauna ittica, e dove è, in buona sostanza, possibile tenere sotto controllo uno dei luoghi più “caldi” della geografia attuale. Lo stesso presidente americano Obama, nonostante le parole spese in favore della convivialità internazionale, è stato fin troppo esplicito: «Il ritiro delle forze militari da Afghanistan e Iraq ci consentirà un maggiore impegno nella regione Asia-Pacifico». Sono versi che trovano tutti uniti, compreso il capo del Pentagono Leon Panetta, che durante un intervento pubblico a Tokyo ha parlato di «rafforzamento della struttura militare in Asia». Ma naturalmente la sfida allo spazio verrà combattuta soprattutto a livello “cosmico”. Gli USA si daranno da fare specialmente in campo spaziale, così come l'ESA. «Gli USA, pur tenendo conto della complessa contingenza economica e
politica, non staranno a guardare passivamente», afferma Malaguti. «Il presidente Obama ha dichiarato qualche tempo fa di voler promuovere un programma che porti un equipaggio umano su un asteroide entro il 2030. Ma non dimentichiamoci che anche l'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea, che raccoglie 19 nazioni e di cui l'Italia è membro fondatore, potrà giocare un ruolo importante in questa partita a scacchi planetaria per l'esplorazione spaziale. Sia nell'ambito della ri-conquista della Luna (o del raggiungimento di Marte?), che dell'osservazione e dello studio dell'universo profondo, dalle galassie ai buchi neri, dalla radiazione di fondo cosmico alla materia e all'energia oscura, in altre parole la "Space science", settore nel quale l'Italia figura tra le prime cinque nazioni al
mondo».
IL PESO INDIANO
In questo calderone geopolitico spaziale non va infine dimenticata la seconda superpotenza emergente, l'India, che paradossalmente potrebbe bagnare il naso a tutti. Anche in questo caso i numeri parlano chiaro. Nuova Delhi ha stanziato 1,7 miliardi di sterline – quasi due miliardi di euro – per le attività spaziali: il bilancio annuale destinato all'ISRO è incrementato del 27%, portandolo a un totale di 613 milioni di sterline. Sono cifre a dir poco considerevoli, se si pensa che il paese è contrassegnato da un tasso di povertà devastante, coinvolgente 421 milioni di persone: Multidimensional Poverty Index, elaborato dall'Oxford Poverty and Human Development Initiative, rivela che otto stati dell'Unione Indiana contano più poveri di quelli presenti nelle 26 nazioni meno abbienti d'Africa sommate insieme. In particolare gli indiani si prefiggono il lancio in orbita del primo astronauta - cosa che finora ha riguardato solo Stati Uniti, Russia e Cina – entro il 2015. È il primo passo per il raggiungimento della Luna, obiettivo che potrebbe essere centrato per il 2020. Sicché gli indiani potrebbero raggiungere il satellite prima di tutti gli altri, cinesi compresi. Secondo il Times, l'ISRO, l'Agenzia Spaziale Indiana, punta a lanciare nel 2013 una navicella senza piloti, il preludio al primo allunaggio umano. Ma le ambizioni degli indiani non si fermano qui perché per il 2030 hanno in serbo addirittura il primo ammartaggio. Le prime prove tecniche potrebbero essere dietro l'angolo (benché nessuno le abbia ancora rese note). Il presidente della ISRO, G. Madhavan Nair, ha comunque reso noto al Press Trust of India che l'intenzione è quella di lanciare la prima sonda marziana “a bordo” del GSLV (Geosynchronous Satellite Launch Vehicle), razzo vettore già impiegato con successo per la messa in orbita di satelliti per le comunicazioni. Un inizio di tutto rispetto, che fa tremare i concorrenti di questa nuova corsa allo spazio.
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