lunedì 4 novembre 2013

Schiavi della disattenzione


Metropolitana, ora di punta. Incontriamo un vecchio amico, col quale ci accomodiamo in attesa di salpare per la città. Scambiamo due chiacchiere e poi… uno dei due tira fuori lo smartphone e comunica con un altro. Chi di noi non ha mai vissuto un'esperienza del genere? Probabilmente chiunque, al punto che è stato addirittura coniato il termine "pizzled" - combinazione fra "puzzled" (perplesso) e "pissed off" (arrabbiato) - per definire il disagio che ne deriva. E che cela una grave conseguenza: senza accorgerci stiamo perdendo completamente la capacità di concentrarci; su una conversazione, sul libro che stiamo leggendo, sul file word che abbiamo appena aperto.
Eppure la concentrazione è un aspetto della nostra esistenza fondamentale, che ci consente di interagire al meglio con noi stessi e il mondo che ci circonda. Ne è convinto Daniel Goleman, psicologo di fama internazionale, autore del bestseller "Intelligenza emotiva" e ora in uscita con il suo nuovo lavoro "Focus: perché fare attenzione ci rende migliori e più felici". «L'attenzione rappresenta una risorsa mentale poco considerata e sottovalutata, ma che riveste un'importanza enorme rispetto al modo in cui affrontiamo la vita», spiega Goleman. Va, però, "alimentata" e tenuta in allenamento: «E', in effetti, come un muscolo», continua, «se la usiamo poco si infiacchisce, mentre se la facciamo lavorare bene acquista vigore».
Perché siamo sempre meno concentrati? Herbert Simon, premio Nobel nel 1977, fu il primo a mettere in relazione l'eccessiva quantità d'informazioni che abbiamo a disposizione, con la difficoltà di focalizzare la nostra attenzione su aspetti specifici del vivere quotidiano. Oggi sappiamo che aveva ragione. Lo vediamo tutti i giorni collegandoci alla Rete. Siamo bombardati da input che dobbiamo necessariamente scremare per poter "metabolizzare" qualcosa; benché, spesso, pur selezionando, ci rimanga in testa ben poco. «In genere, la mente di un lettore vaga per il 20-40% del tempo in cui legge un testo», racconta lo psicologo americano, ma con la tecnologia a disposizione, la percentuale incrementa in modo impressionante. Lentamente si sta avverando ciò che diceva il filosofo Martin Heidegger, secondo il quale "la rivoluzione tecnica" avrebbe presto minacciato l'umanità.
L'attenzione è importante perché quando la perdiamo, il nostro rendimento cala in maniera proporzionale. In ogni campo: a scuola, al lavoro, nello sport. Se siamo concentrati assimiliamo meglio. Un test condotto su atleti di alcuni college statunitensi ha individuato una correlazione significativa fra la loro minore o maggiore tendenza a lasciarsi distrarre dall'ansia e i risultati ottenuti. L'apprendimento scolastico è tanto maggiore, quanto minore è la distrazione provocata dal desiderio di navigare su internet o mandare un messaggio all'amico. «In assenza di concentrazione non viene immagazzinato nessun nuovo ricordo di quello che stiamo imparando», dice Goleman. Ne beneficia anche il cervello a livello fisiologico: «L'organo cerebrale mappa le informazioni su ciò che già conosciamo creando nuove connessioni neuronali».  
Non tutti, però, sono disattenti allo stesso modo. Gli emotivi sono più suscettibili. «Le persone che si concentrano meglio sono, infatti, relativamente immuni ai tumulti emotivi», rivela Goleman, «hanno minore difficoltà a mantenersi imperturbabili nei momenti di crisi e restano stabili in mezzo al flusso di emozioni della vita». La disattenzione può, pertanto, sfociare nella patologia, con l'evoluzione di stati ossessivi o fobici, in cui l'attenzione è catturata da un pensiero fisso che trasfigura la realtà. E' la stessa logica che accompagna i ragazzi che si "perdono" su Youtube, passando da un video all'altro, senza accorgersi che i genitori li stanno chiamando perché è "pronto in tavola". Gli stessi ragazzi "delle generazioni a venire", a cui Goleman ha scelto di dedicare il libro.


Intervista a Daniel Goleman

In che modo una persona emotivamente intelligente può farsi strada nella vita se è sempre distratta?
L'intelligenza emotiva include anche l'attenzione: se una persona è dotata d'intelligenza emotiva è anche in grado di gestire l'attenzione e ben sfruttarla.
Si dice che le donne siano più emotive. Questo significa che sono anche più distratte?
E' una domanda pericolosa! Penso che entrambi i sessi siano emotivi, forse su cose diverse. Le emozioni sono il tipo più potente di distrazione. Ecco perché l'intelligenza emotiva consente il migliore utilizzo dell'attenzione.
Il multitasking, dunque, non dovrebbe più essere visto come una prerogativa positiva…
Il multitasking è una finzione. Gli scienziati cognitivi hanno rilevato che non riusciamo a tenere in mente più cose contemporaneamente. In realtà, passiamo rapidamente da una all'altra, e il rischio del multitasking è che per lavorare bene occorre concentrarsi, prestare attenzione; è meglio mettere da parte le altre cose, se cerchiamo di fare tutto contemporaneamente cala l'attenzione su ciò che è veramente importante.
Se l'attenzione è sottovalutata, quali sono i parametri psicologici tenuti in maggiore considerazione?
L'errore che abbiamo commesso è di essere troppo indulgenti con le nostre distrazioni. La tecnologia seduce la nostra attenzione. Veniamo troppo facilmente tentati dalla suoneria dei nostri sms, dal suono della ricezione di un e-mail; se invece uno vuole concentrarsi deve attribuire una priorità e focalizzare l'attenzione su quanto è più importante.
Che tipo di adulto sarà l'adolescente di oggi che manda più di 3mila messaggi al mese?
E' un pericolo. Oggi gli adolescenti trascorrono troppo tempo a messaggiarsi e a giocare con i videogiochi. Forse più i ragazzi che le ragazze, ma in generale entrambi i sessi. Inevitabilmente dedicano meno tempo a rapportarsi con gli altri in modo naturale, ed è durante queste relazioni che il cervello impara l'empatia e a relazionarsi con gli altri.
Nel suo libro cita il riferimento a Mythology, il testo di Edith Hamilton, giudicato oggi dai ragazzi "troppo difficile". E' possibile che i più giovani stiano diventando sempre più superficiali?
Non direi che la superficialità sia il problema, il problema sta nella difficoltà di comprensione. Più si è distratti meno si comprendono le idee complicate. Anzi ritengo che la potenzialità di sviluppare un pensiero profondo tra i giovani sia più marcata che nel passato, ma la distrazione della tecnologia indebolisce la loro capacità di comprensione.
Il deficit di attenzione, però, è spesso messo in relazione a menti creative, in grado, per esempio, di focalizzare un problema da diverse angolazioni. Può, dunque, la disattenzione, in qualche caso essere positiva?
Sì, quando si tratta di creatività, ossia di unire due nuovi elementi, in applicazioni utili, il vagare della mente è utile, in quanto si riesce in questo modo a collegare idee lontane tra di loro. Coloro che sono affetti da disturbo dell'attenzione sono meglio rispetto a coloro che hanno capacità di concentrazione. Gli studenti affetti da disturbo dell'attenzione di base vengono puniti durante la loro carriera scolastica, ma nel mondo del lavoro possono diventare imprenditori di talento, se troveranno le persone in grado di mettere in pratica che loro idee.
E' corretto dire che le persone più abili in matematica sono anche quelle con una maggiore capacità di concentrazione?
La capacità di conentrazione è un requisito per poter imparare la scienza, la tecnologia, la matematica.
Quante persone, su una media di 1000 persone, riescono come Katrina (personaggio analizzato nel testo di Goleman), dotata di una sensibilità sociale molto spiccata (e quindi di grande disattenzione), a "leggere" cose che gli altri non vedono?
Non lo sappiamo, io ho incontrato solo Katrina, forse c'è ne sono altri.
A un certo punto del libro affronta il tema della "compassione". Può essere considerata una forma di attenzione per il prossimo, favorita dalla disattenzione? 
Direi il contrario: provare, esercitare una cura compassionevole richiede attenzione, sincronizzazione, conoscenza dell'altro. Solo così si sviluppa empatia e se la persona soffre la si può aiutare. Però, hai bisogno dell'attenzione per farlo.

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