La raccomandazione dei
medici è sempre la stessa: soprattutto d'estate è meglio consumare più frutta e
verdura possibile, per mantenere il corpo idratato e assimilare importanti
sostanze nutritive. Quel che, però, anche gli addetti ai lavori considerano solo
in parte, è che non tutti i vegetali offrono lo stesso apporto dietetico. E
che, dunque, alcuni di essi fanno molto bene, altri benino, e alcuni,
addirittura, potrebbero provocare qualche problema. L'argomento è stato
affrontato in modo specifico dagli esperti della William Paterson University di
Wayne, nel New Jersey, in Usa; che hanno stilato una vera e propria classifica
dei vegetali più benefici per la nostra salute, in base a un punteggio di
“densità nutritiva”, riferito a concentrazioni di proteine, fibre, calcio,
ferro, potassio, zinco e vitamine. 47 gli alimenti presi in considerazione, 41
quelli finiti nella cosiddetta “Powerhouse Fruits and Vegetables”, convalidata
dall'autorevole Centers for Disease Control and Prevention (CDC). “Uno studio in
funzione dei consumatori che potranno conoscere meglio le proprietà
nutrizionali dei vegetali consumati abitualmente”, racconta Jennifer Di Noia,
la professoressa a capo della ricerca. Al primo posto risulta un alimento non
proprio diffusissimo sulle nostre tavole: il crescione (punteggio pieno: 100).
Delle sue eccellenti proprietà se ne parla fin dall'antichità, tanto da essere
soprannominato “l'insalata che guarisce”. Appartiene a una delle famiglie
botaniche più indicate per il benessere umano, quella delle brassicacee,
comprendente anche numerose varietà di cavolo e cavolfiore. Posseggono
proprietà antiemorragiche, antiossidanti, depurative; regolarizzano il ciclo
mestruale, tengono lontane le malattie da raffreddamento e, per via dell'alta
presenza di isotiocianati, combattono l'accumulo di sostanze cancerogene. Il
crescione si consuma in insalata o nella minestra, affiancato spesso ad altre
verdure (per contenere il suo forte sapore), e assicura un eccezionale apporto
vitaminico e di sali minerali. Depura ed è afrodisiaco. Il cavolo cinese occupa
il secondo posto (91,99). Detto anche “cavolo di Pechino”, è ricco di vitamina
C ed A, acido folico e potassio. Il suo apporto calorico è bassissimo ed è
quindi consigliato a chi vuole perdere peso. Nelle prime posizioni compaiono
anche gli spinaci (86,43), la cicoria 73,36), il prezzemolo (65,59), la lattuga
(63,48), e la senape (61,39). Più in fondo nella classifica ci sono, invece,
alimenti come la fragola (17,59), la zucca (33,82) e il pompelmo (11,64). Quest'ultimo
può essere controindicato per chi assume farmaci anticoncezionali o per tenere
a bada l'accumulo di grassi nel sangue. I suoi principi attivi, infatti,
interferiscono con quelli contenuti nei medicinali, annullando l'azione
benefica della sostanza farmaceutica. La zucca, invece, può creare problemi ai
bimbi allergici. Simile il discorso per le fragole, prodotto sconsigliato anche
a chi è soggetto a ulcere, gastriti e coliti. Rimangono fuori dalla super-lista
alimenti insospettabili come il mirtillo, il mandarino e perfino l'aglio e la
cipolla, notoriamente legati al concetto di “buona alimentazione”. In realtà
non significa che facciano male, ma semplicemente che la loro densità nutritiva
- vale a dire il giusto equilibrio fra vitamine, minerali, e altri principi
attivi essenziali – non è pari a quella di altri prodotti vegetali; e che
quindi hanno uno spettro di azione benefico meno ampio. Tuttavia possono essere
caratterizzati da sostanze particolari che altri alimenti non hanno, ed essere
pertanto indicati per contrastare malattie specifiche. È il caso del mirtillo
nero che indubbiamente fa molto bene a chi soffre di problemi di natura venosa.
Grazie ai tannini e ai glucosidi antocianici che hanno il potere di rafforzare
il tessuto connettivo che sostiene i vasi sanguigni. Questo tipo di frutta è
importante anche per prevenire disturbi renali e l'accumulo dei pericolosi
radicali liberi, derivanti dalle principali attività metaboliche dell'organismo.
lunedì 14 luglio 2014
venerdì 4 luglio 2014
Matrimoni in via di estinzione
La metà dei ventenni
di oggi non si sposerà mai. Le coppie, infatti, sono sempre più propense a
convivere che non a convolare a nozze. Il fenomeno coinvolge tutti i paesi
industrializzati. La ricerca condotta in Inghilterra dalla Marriage Foundation
rivela che il 47% delle donne e il 48% degli uomini che oggi hanno vent'anni,
non varcheranno mai le porte di una chiesa o di un municipio per siglare
ufficialmente la loro unione. Per i quarantenni le cose vanno un po’ meglio, ma
sono ben lontani dai numeri che riguardavano le passate generazioni, in
particolare i nati fra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni Sessanta
(con l'87% degli uomini e il 92% delle donne con la fede al dito). Si stima
infatti che chi ha oggi 40 anni si sposerà nel 61% dei casi, se maschio, e nel
68%, se femmina (metà, in realtà, sono già sposati). I numeri indicano
chiaramente che il matrimonio è un aspetto della società destinato a scomparire
o perlomeno a trasformarsi in qualcosa di obsoleto. Un dato su tutti: 44 anni
fa i venticinquenni sposati erano il 60% degli uomini e l'80% delle donne; oggi
sono solo il 10% delle venticinquenni e il 5% degli uomini della stessa età.
Perfino in Italia, paese cattolico per eccellenza, il sacramento ha subito
negli ultimi anni un grave declino. Nel periodo fra il 2008 e il 2012 c'è stato
un calo dei matrimoni del 91%. I dati Istat confermano che nel 2008 ci sono stati
in Italia 34.137 matrimoni, contro i 32.555 del 2012. E in gran parte si parla
di matrimoni misti, 20.764, nel 2012. Harry Benson, a capo della ricerca, non
ne fa una questione religiosa, né morale, ma puramente sociale: «Il matrimonio
offre un modello di famiglia ideale al quale ispirarsi per una crescita sana
delle nuove generazioni». Ma perché ci si sposa sempre meno? In primo luogo
perché il lavoro non offre più le garanzie del passato. Cassintegrazione,
disoccupazione, contratti a progetto, sono, in fondo, un modo diverso per
sottolineare che non esistono più i presupposti per mettere su famiglia; perché
il matrimonio costa. E se non va bene, costa ancora di più. E' il pensiero che
avanzano gli esperti dell'Istat, aggiungendo che in un periodo di crisi come
quello che stiamo attraversando, il fenomeno non può che incrementare. La
precarietà delle famiglie, e il mondo giovanile devastato dalla mancanza di
lavoro, fa sì che l'ipotetica data di matrimonio sia spostata sempre più in là,
fino a perdersi nei meandri delle tante cose prospettate per la propria
esistenza, che in realtà non si realizzeranno mai. Chi è fortunato si sposa
comunque, ma con molti più capelli grigi dei neosposi della passata
generazione. Il matrimonio ha inoltre perso il valore di un tempo. Oggi non ci
si sposa più perché ci si deve sposare, ma perché ci si vuole sposare. Dunque
sono sempre meno le persone che coscientemente affrontano l'idea di affiancare
per "la vita" un partner, influenzati dal fatto che divorzi e
separazioni sono ormai all'ordine del giorno. Un futuro, quindi, senza più
matrimoni? Forse. In realtà c'è anche chi pensa che avverrà il fenomeno
contrario, con una ripresa delle unioni civili e religiose. L'Huffington Post
ha, infatti, pubblicato recentemente uno studio nel quale spiega che in Usa il
40% delle persone ritiene il sacramento un aspetto sociale antiquato e
superato; ma aggiunge che esiste almeno un 61% di statunitensi che spera vivamente
un giorno di poter convolare a nozze.
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