L'aspetto più desolante è che si continui a combattere a suon di numeri, come se da un giorno all'altro potesse saltare fuori un vero vincitore, in grado di dimostrare di avere ucciso meno persone. La combutta s'è inasprita dopo la dichiarazione del Papa, che si riferisce al genocidio armeno come "la prima grande tragedia del secolo". La risposta di Ankara non si è fatta aspettare: otto milioni di indiani d'America, gli italiani in Libia, i francesi in Algeria… Insomma, i cristiani, che predicherebbero bene, ma razzolerebbero male. Fu il Parlamento europeo a ufficializzare il termine "genocidio" nel 1987, invitando fin da allora la Turchia ad ammettere le proprie colpe.
Non spetta certo a un giornale di natura occuparsi di casi diplomatici come questo, che peraltro non fanno che destabilizzare il già precario equilibrio fra occidente e oriente; tuttavia è proprio dall'incompetenza a livello "scientifico" che spesso i fatti di cronaca rischiano di essere filtrati in modo impreciso, compromettendo la possibilità di dialogo. Quando insorgono attriti di natura politica e sociale, si ha a che fare con retroscena culturali, storici e antropologici, che vengono trascurati, e che se fossero analizzati adeguatamente potrebbero portare a vedere le cose da un nuovo punto di vista, facilitando la disanima. I genocidi hanno costellato la parabola umana, inutile nasconderlo, ma è controproducente che si continui ad avere un approccio pressappochista agli orrori della storia. Per capire in che modo si è consumato il lungo conflitto turco-armeno è dunque necessario valutare una serie di aspetti sociali che rimandano agli albori della civiltà.
La Turchia, questo è il succo della questione; la sua geografia. Non è un caso che venga anche definita la culla della civiltà. Qui, di fatto, nasce l'Europa e il mondo di oggi. Qui si sono alternati persiani, macedoni, parti, bizantini, e prima ancora i discendenti dei primi uomini moderni. Da qui sono partiti gli antenati degli azerbaigiani, dei cumani ungheresi, dei tuvani russi e cinesi e di decine di altre popolazioni. La Turchia costituì il ponte ideale per la prima conquista dei Balcani e del Caucaso. Se la giocarono gli antichissimi abitanti dell'Anatolia e i rappresentanti della cosiddetta cultura Kurgan, che corrisposero alla diffusione del paradigma indoeuropeo, padre di tutti noi. Ecco perché la Turchia è ancora oggi di difficile comprensione dal punto di vista globale e perché i dissapori fra i diversi substrati etnologici non capitolano definitivamente.
E' difficile parlare di popolazioni turche, perché non esiste una sola popolazione, ma un potpourri di matrici etniche. Attualmente il melting pop turco è rappresentata da oltre settanta milioni di persone, ma gran parte di esse sono di origine greca, curda, ebrea, bulgara; c'è il popolo dei laz, turco-georgiano e dei circassi, proveniente dalla Russa meridionale. Senza contare che ogni giorno lavorano e vivono regolarmente all'ombra delle moschee di Istanbul 100mila armeni. La domanda, dunque, è la seguente:perché cento anni fa Mustafa Kemal Ataturk, primo presidente della Turchia, se la prese proprio con gli armeni?
La risposta è (relativamente) semplice: gli armeni erano sostenuti dal governo russo che fin dalla seconda metà dell'Ottocento voleva "spillare" territori agli ottomani e magari riuscire anche a imporre la propria legge sul governo della ridente capitale del Bosforo. Peraltro gli antichi coloni della Frigia (di cui sono figli gli abitanti facenti capo a Erevan) erano i progenitori del grande Regno d'Armenia che dalle acque del Mar Caspio scivolava fino a quelle del Mediterraneo. Gli armeni erano ovunque.
I turchi coinvolsero i curdi nella battaglia contro quelli che cominciarono a essere considerati come degli intrusi, e con la nascita dei Giovani Turchi (movimento politico della fine del diciannovesimo secolo, guidato da Ismail Enver, pronto a allearsi con i tedeschi), poco prima del primo conflitto mondiale, il disastro ebbe inizio. Risultato: un milione e mezzo di morti (anche se le ultime stime degli storici si fermano a 800mila). E' difficile, dunque, capire dove finisce e dove inizia il concetto di genocidio. Il problema verte sulla sistematicità dell'operazione di sterminio.
Nell'Olocausto hitleriano è evidente il tentativo di sterminare gli ebrei, in questo caso, secondo il governo turco, no. E lo proverebbe il fatto che numerosi armeni presenti a Istanbul al momento della deportazione oltre i confini anatolici, non subirono violenze. Ecco perché Erdogan, dodicesimo presidente della Turchia, è contrario alla posizione del Papa, che sposa la tesi comunemente accettata da tutti del primo vero genocidio della storia. Stati Uniti compresi. Il confronto prosegue in questi giorni con l'Europarlamento che parla chiaro: no al negazionismo. Ma intanto i turchi non mollano e l'hackeraggio ordito da un gruppo di cyber professionisti ai danni della Santa sede, potrebbe essere solo l'inizio di un nuovo paradossale scontro fra est e ovest.