lunedì 15 novembre 2010

Delitti, omicidi e film horror. Ecco perchè non possiamo farne a meno


L'omicidio di Sarah Scazzi riporta l'attenzione dell'opinione pubblica su un fenomeno complesso, ma quanto mai reale: l'attrazione subliminale per i delitti. Perché quando si consuma una tragedia come quella di Avetrana (ma potremmo citarne mille altre, comprese quelle che hanno avuto come protagonisti la Franzoni, Erika e Omar, Pietro Maso), non possiamo fare a meno di seguire "in diretta" lo sviluppo della vicenda? Qual è il meccanismo morboso che ci tiene incollati alla tv finché non salta fuori il colpevole? Gli esperti dicono che i motivi sono più di uno. In primis abbiamo l'istinto di sopravvivenza, che sprona a informarci precisamente di ciò che è accaduto in un caso di omicidio, così da non correre lo stesso pericolo. È in funzione della selezione naturale. Siamo, infatti, programmati per confrontarci e approfondire tutte quelle situazioni potenzialmente pericolose, che potrebbero mettere a repentaglio la nostra esistenza e quindi il prosieguo della specie. C'è poi il senso di giustizia che vorremmo sempre vedere trionfare, e quindi la volontà di vedere un omicida accusato in base alle leggi correnti. L'amore per il crimine è confermato dal successo di fiction televisive come CSI, Criminal Minds, NCIS, Dexter. Molti di noi le seguono provando sollievo nel vedere l'abilità delle forze dell'ordine nel risolvere casi giudiziari complicati e omicidi efferati. Questa sensazione di "vittoria" del bene ci rincuora e ci tranquillizza. In alcuni casi, invece, è la semplice curiosità ad accendere la nostra attenzione nei riguardi dei fatti di cronaca nera e giudiziaria. Lo sanno bene i giornalisti che cavalcano abitualmente questo tipo di notizie, inventando dei titoloni per la prima pagina, sapendo che poi venderanno molto di più. Massimo Polidoro - con Piero Angela e Margherita Hack fra i fondatori del Comitato italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale (CICAP) - sul suo sito ci spiega che negli anni Novanta l'interesse per la cronaca nera ha avuto un vero e proprio boom (dopo il calo successivo ai disordini degli anni Settanta legati al terrorismo rosso e nero). "È inevitabile essere attratti da ciò che fa paura, fa parte del nostro essere creature umane. La paura, infatti, è uno dei principali strumenti di difesa dell'individuo, è uno stimolo importante per attivare quelle reazioni che ci servono per difenderci dai pericoli dell'ambiente". La vicenda di Cogne, con l'assassinio del piccolo Samuele, è un esempio eloquente. Si è protratto per anni e ancora oggi cattura l'interesse di milioni di italiani. Se la Franzoni dovesse scrivere un libro domani, dopodomani sarebbe già in testa a tutte le classifiche. Se la Franzoni domani andasse a Porta Porta, la trasmissione di Vespa otterrebbe risultati di audience straordinari. È in fin dei conti la stessa passione "maliziosa" che si prova leggendo i libri gialli, thriller, noir, che in questo momento stanno letteralmente andando a ruba, spronando le case editrici a invadere ulteriormente il mercato con sempre più titoli "sanguinolenti". Ci potrebbe anche essere una perversa attrazione per le azioni "cattive", laddove l'omicida diviene addirittura una figura in positivo, una specie di eroe, dal quale - peraltro - possono scaturire processi di emulazione. I più famosi assassini del mondo ricevono in carcere valanghe di lettere di ammiratori e ammiratrici estasiati dalle loro gesta "eroiche". E se fosse la sindrome da reality? Anche in questo ambito, in effetti, potrebbe risiedere una parte di verità in grado di spiegare il motivo per cui siamo attratti dalla paura. Siamo abituati a seguire le vicende del Grande Fratello e dunque ci siamo abituati anche a seguire in diretta eventi tragici come la scomparsa di Sarah, connettendoci minuto per minuto sugli ultimi sviluppi, per vedere come stanno andando le cose (se qualcuno verrà "eliminato"). I mezzi non mancano: giornali, internet, televideo. Eclatante l'ultimo caso di cronaca internazionale relativo ai minatori cileni, trasformatesi per l'occasione in ignari protagonisti di un assurdo talk show in diretta 24 ore su 24. Polidoro parla di "effetto catartico": "Rendendoci conto di quanto la violenza sia diffusa, può in qualche modo rassicurarci sul fatto che i nostri tempi non sono poi così terribili come sembra. Inoltre bollare un assassino come mostro o belva rivela, in fin dei conti, come un modo per difendersi per rinchiudere il male in una casella, e non ammettere che si possano trovare in mezzo a noi". A questo proposito torna utile uno studio condotto da Eduardo Andrade dell'University of California e da Joel B. Cohen dell'University of Florida. La domanda che si sono posti è la seguente: perché ci piace tutto ciò che fa orrore? Riferendoci, per esempio, a un film horror, gli scienziati hanno scoperto che gli spettatori sono felici di essere infelici, godendo delle esperienze negative e traendone beneficio, sapendo, in ogni caso, che si sta assistendo a una storia inventata che non ci procurerà alcun pericolo. In pratica la paura, l'angoscia che scaturisce da una scena terrificante, viene vissuta positivamente, trasformandosi in un sentimento che ci fa gioire e sentire più vivi. È un po’ ciò che accade anche con l'eccitazione derivante dagli sport estremi, dove all'"orrore" del rischio, fa seguito la spinta adrenalinica che offre una sensazione di benessere. Oggi, purtroppo, questo fenomeno sta arrivando ad abbracciare gesti estremi come quello di saltare da un balcone all'altro. È una moda scoppiata in alcune isole spagnole negli ultimi anni, e sta mietendo sempre più vittime: è la cosiddetta moda del "balconing". Nell'estate del 2010 ci sono stati moltissimi feriti e 6 decessi. "In questi casi il rischio è decisamente sottovalutato", racconta a Focus Alfio Maggiolini, docente di psicologia presso l'Università di Milano Bicocca. "I ragazzi qui sono incentivati dalla competizione e dall'esibizionismo". Secondo Kerry Ressler del Yerkes National Primate Research quando si ha paura di qualcosa si attivano le aree legate alle emozioni, in risposta alla necessità di mettersi alla prova: ci si impegna a resistere anche alle scene più disgustose o potenzialmente più rischiose per dimostrare a se stessi che si ha il coraggio di superare ogni tipo di prova. Da un punto di vista fisiologico la paura è figlia di un'area precisa del cervello, posta sopra al tronco cerebrale, vicino alla parte inferiore del sistema limbico: l'amigdala, dal greco "mandorla". È la parte più antica del nostro cervello, che ci accomuna addirittura ai rettili. Si può considerare la "memoria emotiva" del nostro cervello, dove viene memorizzato il "dolore", e dunque la possibilità di superarlo grazie all'esperienza. Quando scatta la paura, l'amigdala entra in gioco inviando a tutte le parti del cervello messaggi di allarme. Il corpo in questo modo si organizza stimolando la secrezione degli ormoni che innescano le reazioni di combattimento, difesa, o fuga, mobilitando i centri del movimento e attivando il sistema cardiovascolare.

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