giovedì 23 marzo 2017

L'origine degli etruschi


Un popolo misterioso, che ha contribuito alla storia culturale e artistica dell'Italia. Sono gli Etruschi, dei quali si continua a parlare senza sapere quale sia la loro vera origine. Erodoto sosteneva che provenissero da est; dalla Turchia; forse dalle coste di Smirne. Da qui avrebbero navigato per il Mediterraneo, passando per le isole greche, per la Sicilia, e poi approdando in centro Italia, dove vivevano popolazioni autoctone come gli Umbri; descritti da Plinio il Vecchio come una delle etnie più antiche dello Stivale. Per altri autori non sono anatolici ma greci, che abitavano l'Arcadia, storica regione ellenica, sfiorando i confini con la Tracia. Qual è la verità? Di certo la loro arte, gli usi e i costumi che li contraddistinsero, rimandano a una cultura orientale, che ebbe contatti con quella greca. Oggi il rebus, grazie all'impegno di un team di studiosi italiani, parrebbe vicino alla soluzione; tramite l'ingegneria genetica. Il riferimento è agli abitanti della Toscana e ai bovini domestici che vengono allevati nel centro Italia da duemila anni. Gli esperti hanno messo in luce una curiosa circostanza: sia i toscani che i bovidi appartenenti alle razze Chianina e Maremmana, presenterebbero tratti in comune con i genomi mediorientali. Le analisi cromosomiche - oggi sempre più raffinate e precise - permettono infatti di evidenziare la variabilità genetica delle specie prese in esame; delineata da "marcatori" (differenze a livello di singoli geni) che indicano mutazioni accorse nel tempo in una popolazione, sulla base dei suoi spostamenti geografici. Che cosa è emerso?

La razza Chianina e quella Maremmana sono contraddistinte da un corredo genetico molto più variabile rispetto a quello delle altre razze italiane, più omogenee. Dimostra che gli antenati di questi animali potrebbero avere viaggiato più degli altri bovidi, mutando maggiormente e adattandosi di volta in volta al nuovo ambiente conquistato. Lo stesso accade con i toscani. Il loro Dna è più eterogeneo. Un paio di anni fa dei genetisti di Torino l'hanno ufficializzato: il Dna dei toscani è simile a quello dei turchi. Murlo è il piccolo centro che fu preso d'esempio, selezionando quasi cento persone, da generazioni presenti nel territorio senese. Dunque, è accettabile supporre che secoli or sono, animali e uomini, possano avere viaggiato insieme da est alla conquista dell'Italia centrale. Da dove esattamente? Dalla Turchia, via mare, se è vera la tesi di Erodoto; dalla Grecia, via terra, se è attendibile quella degli altri storici. Ma il discorso, alla fine, non cambia. E il riferimento, appunto, è al movimento di antiche popolazioni umane, in compagnia dei loro animali allevati per la prima volta 8mila anni prima di Cristo. E', peraltro, a ridosso dell'Anatolia che sono avvenuti i primi addomesticamenti. Il Bos taurus primigenius è l'antenato selvatico di tutte le mucche presenti oggi sulla Terra, che viveva nel Caucaso meridionale e in Mesopotamia. In Iran, in particolare, presso i Monti Zagros, sono state rinvenute tracce di queste prime relazioni "simbiotiche" fra uomo e animali. Di poco precedenti la domesticazione della capra, della pecora e del maiale; mentre il cavallo verrà allevato per la prima volta in Kazakistan 6mila anni fa.

Marco Pellecchia, dell'Università Cattolica di Piacenza, spiega che si è giunti a questi risultati grazie all'impiego della tecnica genetica approntata per la prima volta da Kary Mullis nel 1968; il brillante e controverso professore dell'Università della California di Berkeley, vincitore del premio Nobel per la chimica nel 1993, ed ex cultore dell'Lsd. Assumendo l'acido lisergico, Mullis stesso ritiene di avere messo a punto la cosiddetta "Reazione a catena della polimerasi" (PCR, dall'inglese "Polymerase Chain Reaction"); grazie alla quale, da una ventina d'anni a questa parte, vengono risolti molti crimini. Con essa è infatti possibile amplificare piccoli frammenti di Dna per poterli studiare nei dettagli, evidenziando i tratti soggetti a mutazioni. Partendo dal presupposto che esistono due tipi di Dna: quello nucleare e quello mitocondriale. Nel secondo caso è più facile condurre gli esperimenti, perché è presente in piccole quantità in organuli tipici della cellula, detti mitocondri, normalmente legati all'attività respiratoria. Il Dna mitocondriale è attivo in tutte le cellule; serve a produrre proteine specifiche, ma deriva esclusivamente dal corredo genetico materno. Il motivo risiede nel fatto che, durante l'incontro fra lo spermatozoo e la cellula uovo, i mitocondri del seme maschile non riescono a penetrare il gamete femminile e perdono la loro autonomia. E va precisato che il Dna mitocondriale è contraddistinto da un maggior numero di mutazioni rispetto a quello nucleare, aspetto fondamentale da tenere in considerazione se si vuole ricostruire correttamente il cammino di popolazioni sfuggenti come gli Etruschi. 

Una civiltà al femminile
Il ruolo della donna etrusca, infatti, era completamente diverso da quello delle civiltà successive, compresa quella dei romani. L'elemento femminile godeva di grande prestigio ed era molto valorizzato nella società. Le donne potevano possedere beni e dare il proprio nome alla discendenza, senza dovere dipendere dal maschio. Anche la morale era più permissiva e il sesso non era vissuto come tabù; circostanza che portò i greci a diffamarli, introducendo nel proprio vocabolario il termine "etrusca", per definire una prostituta. Le cose cambieranno con l'influsso ricevuto dai popoli indoeuropei, in primis Kurgan e Achei, caratterizzati da un'attitudine patriarcale; favorita da comportamenti bellicosi e violenti, in antitesi alla grazia femminile.

L'insediamento etrusco
Dove andare a trovare tracce degli Etruschi? Per esempio a Forcello di Bagnolo San Vito. E' il principiale insediamento etrusco-padano del VI sec. a.C., il più importante rintracciabile a nord del Po. Fu abitato per circa duecento anni, fino all'arrivo dei Celti in Italia settentrionale, nel 388 a.C. Il sito si trova a pochi chilometri da Mantova, ed era circondato dalle acque del Mincio. Non a caso. Il fiume, infatti, offriva risorse idriche e alimentari, e consentiva di tenere lontani eventuali invasori. Forcello è di grande interesse anche perché fino agli anni Settanta non se ne sapeva nulla. Gli scavi sono iniziati ufficialmente fra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, e hanno portato alla luce oggetti provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo, ma anche da Golasecca, l'avamposto celtico più importante del periodo etrusco.

Lingua e calendario
Il mistero degli Etruschi trova conferma in una lingua mai compresa sufficientemente. I resti indicano 13mila documenti epigrafici datati fra il VII e il I secolo a.C. che rimandano a una cultura non indoeuropea. Ma non tutti la pensano così. Ci sono studiosi convinti che sia riconducibile al luvio, idioma utilizzato dagli Ittiti, in Anatolia. Si scriveva da destra a sinistra, come accadeva per molte altre lingue diffuse nel Mediterraneo nell'antichità. Altrettanto ponderate le tesi che assimilano l'etrusco al lidio, una lingua in voga nell'isola di Lemno, sorta prima dell'epopea ellenica. Anche il calendario etrusco presenta delle singolarità: l'anno iniziava a metà febbraio e il giorno veniva calcolato seguendo i movimenti della luna.

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