martedì 7 novembre 2017

La bufala dei fossili viventi


Si fa presto a dire "fossile vivente", ma non esiste alcuna corrispondenza scientifica con questo termine. E' solo uno dei tanti stratagemmi utilizzati dalla stampa per "colorare" una notizia che altrimenti scivolerebbe presto nell'oblio. Il motivo è semplice: in milioni di anni di evoluzione è pressoché impossibile che un animale o una pianta rimangano uguali a se stessi. Cambiano inevitabilmente, e, di fatto, abbiamo gli strumenti per analizzare il problema e sfatare questo luogo comune impiegato solo per adescare ignari lettori. La lista di tentativi di ingannare il "popolino" con scoperte sensazionali è assai lunga. L'ultima in ordine temporale ci riporta a qualche giorno fa quando è stata divulgata la notizia della scoperta di uno squalo fossile risalente a ottanta milioni di anni fa. Falso. In ottanta milioni di anni cambiano moltissime cose, e anche se l'aspetto di un animale può in qualche modo evocare antichi fossili, la reale disanima è in grado di portare in luce la verità. Si pensa che gli squali siano "fossili viventi" solo perché hanno una struttura cartilaginea (da cui il termine condroitti), che rimanda a strategie evolutive più antiche rispetto a quelle degli osteitti, i pesci ossei. Ma non è così. 

Gli studi compiuti su porzioni branchiali fossili di squali del passato rivelano paradossalmente maggiori analogie con lo scheletro degli attuali osteitti che non con quello dei condroitti. Occorre inoltre riflettere sulla tassonomia, perché un conto è dire che esiste una famiglia o un genere da milioni di anni, un altro affermare che ciò accada per il livello più basso, vale a dire la specie. Un'antica famiglia, quindi, può essere caratterizzata da specie nuovissime: dunque, come è possibile parlare di "fossili viventi"? Si possono poi paragonare le ricostruzioni grafiche degli antichi squali con le fisionomie dei pesci attuali. L'Helicoprion visse 280 milioni di anni fa, ed era caratterizzato da una "spirale dentata" che oggi non esiste in alcuna specie animale; il Cladoselache non possedeva gli pterigopodi, gli organi riproduttivi classici delle specie attuali e non si sa ancora come facesse a riprodursi; lo Stethacanthus aveva una pinna dorsale piatta, simile a un'asse da stiro; lo Xenocanthus nuotava come un anguilla e il megalodon, lontano parente della squalo bianco, poteva cibarsi di intere balene. Insomma, è evidente che il concetto di "fossile vivente" per ciò che riguarda gli squali non ha senso di esistere. E le altre specie? 

Pensiamo al limulo, il fossile vivente per antonomasia, una specie di scorpione corazzato delle coste del Maine e del Golfo del Messico. Il genere Limulus risale, in effetti, al Triassico inferiore. Ma i limuli di una volta non sono gli stessi di oggi. Attualmente riconosciamo una sola specie, Limulus plyphemus. Non è la stessa del passato. Nel Cretaceo, nel Giurassico, nel Triassico, il genere era molto più variegato e si riferiva a specie che oggi non esistono più come Limulus coffini, Limulus darwini, Limulus piscus. E siamo ai vegetali. In questo caso la battuta più gettonata è "un fossile vivente come il Gingko biloba", un bellissimo albero delle gimnosperme, spontaneo in Cina, coltivato anche nei giardini italiani. Perfino Wikipedia esordisce considerandolo un "fossile vivente". Ma anche qui il concetto andrebbe limato e controlimato. Perché il Gingko di oggi ha ben poco da spartire con le specie di un tempo. Un dato su tutti: la famiglia delle Ginkgoaceae risalente al Triassico inferiore comprende sette generi, sei dei quali completamente estinti. Il Gingko biloba è dunque l'unica specie rimasta dell'unico genere rimasto, Ginkgo. Da qui a dire che la pianta è uguale agli esemplari vissuti 250 milioni di anni fa ce ne vuole. 

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