martedì 22 maggio 2018

La rinascita delle Galapagos

Selvagge, affascinanti e incontaminate. Così siamo soliti immaginarci le isole Galapagos, leggendario arcipelago al largo delle coste dell’America Latina. Ma è un’idea che non rappresenta la realtà. Oggi le isole Galapagos costituiscono, infatti, un mondo in pericolo, soffocato da specie provenienti da altri paesi, che stanno progressivamente eliminando le autoctone. Motivo per cui è stato proposto un nuovo progetto scientifico, basato su un’avveniristica tecnica genetica: quella del “gene drive”. Gli scienziati stanno di fatto ipotizzando di intervenire sul DNA delle specie invasive per modificarlo e in questo modo rendergli terribilmente dura l’esistenza. L’attenzione è rivolta soprattutto al mondo dei roditori. I topi hanno, infatti, invaso tutte le isole Galapagos e la loro presenza compromette la vitalità di molte specie; mangiando le uova di uccelli e tartarughe. La tecnica del gene drive ha un obiettivo. Far sì che nelle generazioni future di topi possano nascere solo maschi. Per arrivare a questo traguardo – controbattuto e non esente dalla possibilità di creare nuovi problemi all’ambiente – si pensa di agire sul cosiddetto “complesso-T”. E’ un gene posizionato sul diciassettesimo cromosoma dei roditori che ha una particolarità: quella di essere ereditato nel 95% dei casi, contro il 50% canonico dei normali geni derivanti da mamma e papà, espresso dalle consolidate leggi di Mendel (l’abate scienziato che per primo si occupò di studiare l’ereditarietà dei caratteri). Un gene drive a tutti gli effetti. Al quale gli scienziati vorrebbero “appiccicare” un altro gene, indicato dalla sigla SRY, predisposto per far nascere solo e unicamente maschi. Dunque, la conseguenza è ovvia: il gene SRY, anziché essere ereditato nel 50% dei casi, giungerebbe alle progenie nel 95% dei casi, obbligando praticamente una popolazione a concepire solo individui di sesso maschile. Il risultato parafrasa quel che – secondo una controversa teoria - accadde con la fine dei dinosauri, 64 milioni di anni fa. Pare, infatti, che a decretare la fine dei rettili giganti che dominarono la Terra per milioni di anni, fu la scomparsa del genere femminile, provocata dall’incapacità di portare a termine i concepimenti per via di un incremento drastico delle temperature. L’idea del gene drive è oggi nelle mani di Karl Campbell, dell’Università del Queensland, in Australia. Si occupa da venti anni delle Galapagos e da più di dieci anni collabora con la Island Conservation, ente che opera a Santa Cruz, in California, cercando di cacciare le specie infestanti da ogni territorio. E’ arrivato alla genetica dopo aver verificato il fallimento di tutti gli altri piani. Spesso raccapriccianti. Per uccidere le capre che hanno invaso ogni angolo dell’arcipelago si usano gli elicotteri e i fucili calibro 12. Si spara dall’alto e gli animali che si nascondono nella foresta vengono ingannati da “capre Mata Hari” e “capre Giuda”. Animali dotati di radiocollare che emanano ferormoni attirando i propri simili nella trappola mortale. L’escalation di uccisioni è impressionante: 79.579 capre di Santiago, 41.683 di Pinta, 7.726 di San Cristobal, per un totale di 201.285 capre eliminate da tredici isole nel giro di pochissimo tempo. Mentre i turisti, ignari, nuotano qualche chilometro più in là con le tartarughe marine. Un altro sistema utilizzato per tenere a bada gli “infestanti”  è il veleno. Ma può avere gravi ripercussioni sulla catena alimentare, e potrebbe impattare anche sulle persone. Le isole ospitano bambini che nonostante le raccomandazioni potrebbero venire a contatto con le sostanze pericolose. Un test condotto recentemente con esche a base di brodifacum (potente topicida) ha provocato la morte di numerose poiane che si erano nutrite di tropidure, lucertoloni tipici delle Galapagos. D’altra parte se non si procedesse in questo senso, con condotte drastiche ai limiti della ragionevolezza, le conseguenze potrebbero essere ancora più gravi. Senza un’operazione come gene drive, infatti, c’è il rischio che gli animali autoctoni delle Galapagos spariscano per sempre. Non fanno paura solo i topi e la capre, ma anche gli asini che distruggono le uova di tartaruga; i gatti selvatici che divorano rettili e uccelli appena nati. Almeno quarantaquattro le specie indesiderate; fra cui maiali, gechi, pavoni, aironi guardabuoi e la tilapia del Nilo, un particolare pesce di acqua dolce recentemente avvistato anche in Puglia. La competitività territoriale ha già condannato all’estinzione il serpente corridore (Pseudalsophis biserialis) e il tordo beffeggiatore dell’isola di Floreana è da decenni un lontano ricordo; ma la verità è che tutte le specie autoctone dell’arcipelago sono seriamente a rischio. In ecologia si parla di collo di bottiglia per indicare quel limite numerico minimo, oltre il quale la specie non è più in grado di riprodursi. Vortice ecosistemico nel quale è finito anche George, ultracentenaria tartaruga. L’animale è stato trovato privo di vita presso la Stazione di Ricerca Charles Darwin sull’isola di Santa Cruz, nel Parco nazionale delle Galapagos. Era l’ultimo esemplare della sua sottospecie, Geochelone abingdoni, o tartaruga dell’isola Pinta.

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