giovedì 27 dicembre 2018

Etna, Stromboli, Marsili. Che succede?

Che la geologia italiana sia piuttosto bizzarra, è ormai noto anche ai non addetti ai lavori. Ma era da tempo che non si verificavano così tanti episodi contemporaneamente: terremoto, eruzione dell’Etna, attività dello Stromboli. Cosa sta succedendo? Sfatiamo subito un vocio che si fa insistente nelle ultime ore: il nesso fra i tre episodi non esiste, o meglio, esiste solo per le prime due situazioni, mentre lo Stromboli è un mondo a sé. Anche se, nell’insieme, rappresentano una delle aree sismologicamente più attive del pianeta.  Legate al progressivo scontro che sta avvenendo fra la placca euroasiatica e quella africana. Per ciò che riguarda l’Etna, sotto osservazione è una faglia conosciuta, e da tempo monitorata: la faglia di Fiandaca. Quando l’energia sprigionata dalle viscere della Terra parte da lì, sismologi e vulcanologi rizzano le antenne. Non per incutere paure inutili, ma perché si sa che in quel punto le masse rocciose sono in continuo assestamento. Il rimando è al 1984, quando un evento sismico provocò un morto a Zafferana Etnea. Oggi, però, il timore è che questi sussulti possano anticipare l’apertura di nuove bocche a quote minori, rispetto al cratere principale. L’Etna ribolle da sempre, ma nel 1984 si susseguirono due forti scosse, una del settimo e una dell’ottavo grado della scala Mercalli; e provocarono ingenti danni; con la distruzione pressoché totale della frazione di Fleri, piccolo centro a ventidue chilometri da Catania. Non è l’unica faglia che gracchia sotto il più grande vulcano d’Europa. Ce ne sono numerose. La faglia Pernicana a Nord e il cosiddetto “sistema delle Timpe” a Sud, rappresentano i punti nevralgici del quadro tettonico siciliano. Gli studiosi fanno inoltre notare che, in media, ogni quindici anni, si verificano gravi danni intorno all’area del vulcano, gravissimi ogni trenta. Esiste, dunque, una certa ciclicità, che risponde ad accumuli standardizzati di energia nel sottosuolo, che a ondate periodiche, vengono rilasciate in superficie. Questa volta l’ipocentro è stato registrato ad appena un chilometro di profondità. Com’è tipico dei terremoti vulcano-tettonici, legati alla risalita di magma dal cuore del pianeta. Fenomeni iniziati qualche giorno fa. Preceduti, appunto, da un lungo sciame sismico. E poi la frattura eruttiva nella zona del cratere sud-est, con deflagrazioni e conseguente innalzamento di una vasta nube di cenere. Manifestazioni geologiche che, in ogni caso, non sono direttamente collegate con lo Stromboli e tantomeno con la frana sottomarina del vulcano Krakatoa, dall’altra parte del mondo; che ha causato decine di vittime in Indonesia il 22 dicembre. Del resto lo Stromboli ha una natura completamente diversa dall’Etna. Si trova in una zona geotettonica differente, ed è caratterizzato da un vulcanismo di tipo stromboliano; tipicamente esplosivo, vagamente simile a quello del Vesuvio, mentre l’Etna è di tipo effusivo ed è più facile da gestire (per via di magmi più basici). Il vulcano delle Eolie ha ripreso la sua attività con lancio di lapilli, e lo stato di allerta è passato dal verde al giallo. Anche in questo caso, c’è un po’ di preoccupazione, ma la situazione è sotto controllo. L’eruzione sta avvenendo in corrispondenza della base meridionale, dove si è aperto un nuovo cratere. Non ha relazione con l’Etna. Piuttosto potrebbe averle con il più vicino Marsili. Poco conosciuto, la sua bocca principale si trova a circa quattrocento metri sotto il livello del mare. In pieno Tirreno. Gli studiosi lo conoscono da meno di cento anni, ma sanno che dallo scorso anno la sua attività sismica si è riaccesa. I terremoti sono diventati più frequenti, e spaventa l’idea di un’eruzione sottomarina potenzialmente in grado di sviluppare uno tsunami in grado di raggiungere le coste nazionali in meno di mezzora.

mercoledì 26 dicembre 2018

Tsunami in Indonesia: ecco i motivi

Il riferimento è a una delle aree sismiche più sensibili del pianeta: quella che mette in comunicazione Sumatra con l’isola di Giava. Qui la piattaforma della Sonda, una sorta di prolungamento dell’Asia continentale, si scontra con la placca del Pacifico, formando e distruggendo nuova crosta terrestre. Secondo un principio consolidato che spiega la genesi dei continenti, maturato dallo scienziato tedesco Alfred Wegener nel 1912. In particolare, il vulcano battezzato Anak Krakatau (figlio del Krakatoa), è quel che rimane di una gigantesca esplosione vulcanica avvenuta nel 1883; e che causò un boato udibile fino a 5mila chilometri di distanza, generando uno tsunami con onde alte quaranta metri, in grado di raggiungere la velocità di 300 chilometri all’ora. L’episodio di ieri è stato meno imponente, ma comunque catastrofico. Con onde alte venti metri e probabili frane sottomarine. Non si spiegherebbe altrimenti il silenzio dei sismografi che inizialmente avevano suggerito un generico innalzamento del livello marino, riconducibile a un comune evento mareale. E invece non è stato così. Non ci sono ancora conferme, ma di fronte a un simile aumento del livello delle acque, il problema potrebbe essere imputabile proprio a movimenti rocciosi sottomarini, non registrati dai sismografi. O addirittura potrebbe essere stata la combinazione simultanea di entrambi i fenomeni, alta marea e frana sottomarina, affiancati da una condizione atmosferica favorevole al movimento delle acque verso la terraferma. La tesi della frana sottomarina è sposata anche dagli scienziati della Sapienza di Roma; che riferiscono di un caso simile registrato nel 2002 alle pendici dello Stromboli, nel Tirreno, con onde alte dieci metri; provocato appunto dal collasso di materiale roccioso. Parrebbe, in compenso, escluso l’evento sismico. Gegar Prasetya, cofondatore del Tsunami Research Center, in Indonesia, asserisce che sabato non ci sia stato alcun terremoto, e che dunque l’unico responsabile dell’evento naturale potrebbe essere il vulcano Anak Krakatau. “L’eruzione deve avere reso instabile i pendii del vulcano, e probabilmente un fianco della montagna è crollato su se stesso”, dice Prasetya. E non si esclude che eventi del genere possano essersi verificati nel passato recente, quando le coste non erano ancora occupate da abitazioni. Controverso il parere di Rudi Suhendar, responsabile dell’Agenzia geologica dell’Indonesia. Secondo lo scienziato non c’entrano né il terremoto, né il vulcano, ma solo le condizioni metereologiche. Si appella al fatto che negli ultimi giorni sia caduta nel sud est asiatico molta pioggia, che potrebbe avere in qualche modo innescato l’onda anomala. In queste ore, proprio a causa del maltempo, stanno proseguendo con fatica le ricerche, per dare un senso a questo nuovo episodio catastrofico in una zona già pesantemente martoriata dalle bizzarrie della natura. Rimando non solo al clamoroso boato di fine Ottocento, ma anche a continui fenomeni tellurici ed eruttivi che contraddistinguono il vulcano dagli anni Cinquanta a oggi. Si stima che la montagna cresca di tredici centimetri alla settimana; confermando il grande dinamismo della crosta sottostante. Influenzata dai movimenti del mantello, che comunicano con l’esterno attraverso moti convettivi, che spingono verso l’alto il magma. Dal 2007 si può dire che il vulcano non stia fermo un attimo. Liberando in continuazione gas, ceneri e lapilli. Da tempo gli scienziati suggeriscono di mantenersi ad almeno tre chilometri di distanza dal vulcano. Ieri, l’ultima drammatica sentenza dell’Anak Krakatau.

La verità sulla "stella" cometa



Natale, uguale stella cometa. Ma come sempre l’immaginario collettivo, la tradizione, mal si sposa con il pensiero scientifico, con l’astronomia, in questo caso. Le comete non sono stelle, sono corpi rocciosi rivestiti di ghiaccio che girano intorno al sole seguendo orbite fortemente ellittiche. Si dice che fu un corpo del genere a indicare ai re Magi la grotta nella quale Gesù venne al mondo. I dubbi, però, permangono. La cometa di Halley transitò nel 12 a.C., ma il Messia nacque almeno cinque anni dopo; e non risultano altri passaggi simili negli anni successivi. Si è giunti così all’esplosione di una supernova e poi all’allineamento di alcuni importanti pianeti del sistema solare. Alla fine non c’è tesi che convinca tutti. E allora ancora una volta, in occasione delle festività natalizie, ci piace continuare a far finta che non esista un’opinione scientifica, e così rivivere le atmosfere che da secoli rappresentano il sapore natalizio, almeno per i paesi occidentali. Sul piano della ricerca, però, è cambiato molto da quando il teologo Emanuel Swedenborg e il filosofo Immanuel Kant tentarono per primi di dare un senso alla genesi del sistema solare; riferendo di un proto sole, derivante da un collasso gravitazionale di materia, una nebulosa stellare. Le comete non le avevano contemplate, ma oggi sappiamo che proprio queste ultime rappresenterebbero gli oggetti più antichi dell’angolo di cosmo che ci ospita. Gli studiosi riferiscono della misteriosa nube di Oort, situata a circa 50mila unità astronomiche dal sole (un’unità astronomica corrisponde a 150 milioni di chilometri). Difficile poterla studiare nei dettagli, ma l’ipotesi più plausibile è che possa essere assimilata a una sorta di deposito cometario. In pratica è da qui che partirebbero le comete. O meglio, è da qui che, per dinamiche non ancora del tutto chiarite, come particolari perturbazioni gravitazionali della Via Lattea, uscirebbero dai binari tradizionali per puntare verso il sole; dove, come è noto, per via del calore, verrebbero completamente trasformate in palle di ghiaccio con la coda. Dallo strato più esterno della nube di Oort, partirebbero le comete a lungo periodo, che girano intorno alla nostra stella in più di duecento anni, in certi casi in milioni di anni. Dallo strato più interno, detto anche nube di Hills, che finisce per fondersi con la fascia di Kuiper (altro serbatoio cometario), quelle a corto periodo, con rivoluzioni inferiori ai duecento anni; la cometa di Halley, che giungerà di nuovo alle nostre porte nel 2061, è ascrivibile a questa categoria. E ci sono casi estremi di comete con periodi ancora più brevi: come la cometa di Encke che compie un completo giro intorno al sole ogni 3,3 anni. Risultati figli di calcoli matematici e dell’azione dei telescopi. Benché da una quarantina di anni si abbia fatto di meglio. Come atterrare, letteralmente, su una cometa. È l’esperienza maturata dalla missione Rosetta. Portata a termine da un paio di anni. Con essa, l’Agenzia Spaziale Europea, ha preso d’assalto la cometa 67P/Churymov-Gerasimenko; con un periodo orbitale di 6,45 anni, e dunque semplice da tenere sotto controllo. Il lander Philae ha assolto l’arduo compito, staccandosi dalla sonda Rosetta, e di fatto mettendo in pratica il primo accometaggio della storia. Un’operazione di alta ingegneria spaziale. Philae ha infatti abbandonato la sonda madre a 22,5 km di distanza dalla cometa, colpendola alla velocità di 1 km al secondo. Numeri infinitesimali (almeno in termini spaziali), che provano i notevoli progressi della ricerca cosmologica. Compito del lander, l’analisi della composizione della cometa, comprese particelle lunghe dieci micron (un millesimo di millimetro) e la scoperta di dinamiche legate al suo costante movimento intorno al sole. Si è visto che la polvere rilasciata dal corpo spaziale è costituita per il 50% da anidride carbonica e ossido di carbonio. Molecole individuate anche sulla cometa di Halley. Ci sono poi i silicati, composti molto abbondanti anche sulla Terra. E soprattutto tracce di amminoacidi. Di cui – nonostante le indicazioni della missione Stardust della Nasa, che per prima scrutò le polveri cometarie – solo ora abbiamo la prova tangibile. Si tratta dell’amminoacido glicina, il più semplice dei venti esistenti, fondamentale per le proteine animali. Indicazione importante a favore della tesi della panspermia, secondo la quale le prime molecole organiche che hanno generato la vita, arrivarono dallo spazio. Il futuro? Si continuerà a fare luce sui misteri delle comete nei laboratori di mezzo mondo, ma per sapere della prossima importante missione spaziale, bisognerà aspettare il prossimo anno. Al vaglio della Nasa, infatti, ci sono due possibilità: l’esplorazione di Titano, satellite di Saturno; o il ritorno sulla cometa 67P, tramite una sonda progettata nell’ambito della missione Comet Astrobiology Exploration Sample Return (Caesar), gestita dal Goddard Space Flight Center. Scopo dell’iniziativa, che non potrà attuarsi comunque prima del 2020, portare sulla Terra dei campioni di cometa, e così mostrare i cambiamenti subiti da questi corpi durante i passaggi vicino al sole; e sulla quantità di acqua presente, altra molecola fondamentale per l’abiogenesi.

La cometa di Natale
Perplessità a parte, capita a pennello una cometa in questi giorni; che tutti possiamo osservare a occhio nudo, puntando lo sguardo verso l’alto. Si chiama 46P/Wirtanen, e si trova a soli 18 milioni di chilometri dalla Terra. Il 12 dicembre raggiungerà la minima distanza dal sole e il 16 sarà a un passo dal nostro pianeta (11,5 milioni di km di distanza). Solo il piccolo inconveniente della Luna, che farà molta luce rischiando di compromettere la visibilità (il 22 è prevista luna piena). Dicembre sarà un mese propizio anche per le stelle cadenti (che in realtà non sono stelle ma meteoriti). Le Geminidi, nella costellazione dei Gemelli, non hanno nulla da invidiare alle Persiadi che durante la notte di San Lorenzo, ad agosto, rischiarano i nostri cieli, promettendo di esaudire l’ultimo nostro desiderio. 

E quella extrasolare
Ancora più affascinanti, comunque, sono le comete che provengono da un’altra stella. È il caso di Oumuamua, avvistata per la prima volta nell’ottobre 2017, grazie all’azione del telescopio Pan-Staars 1. Le analisi hanno mostrato una cometa lunga ottocento metri, potenzialmente dieci volte più luminosa di quelle presenti nel sistema solare. Secondo gli studiosi, Oumuamua, avrebbe viaggiato nel cosmo per milioni di anni, prima di essere “captata” dalla gravità solare. Astronomical Journal riferisce di un corpo caratterizzato dalla capacità di espellere gas a grande velocità; ottenendo una forte spinta propulsiva, concettualmente assimilabile al lavoro compiuto dai motori dei razzi.

L’irrazionalità del passato
Secoli fa non potevamo saperne delle comete; e quindi si cercava di spiegarle associandole a qualcosa di soprannaturale. Il loro arrivo doveva sempre essere legato a un avvenimento particolare. La cometa dei vangeli è solo una fra le tante. I primi rimandi alla quotidianità risalgono probabilmente agli assiro-babilonesi, che iniziarono seriamente a scandagliare il cielo. Poi altri popoli dell’antichità come i caldei e gli egizi. Con i greci si tentò di dare a questi oggetti cosmici un senso razionale, e le comete vennero considerate alla stregua di pianeti un po’ particolari. Nel medioevo si torna alla superstizione. Milano, anno 1316. Il cielo ospita una misteriosa luce. È una cometa, e di lì a poco scoppierà la peste.