Un'emozione paragonabile solo alle missioni
Apollo o, volendo essere un po’più sdolcinati, a quelle suscitate dal
primissimo bacio. Sono le parole rilasciate dai tecnici dell'Esa, l'Agenzia
Spaziale Europea, subito dopo avere appreso la notizia della riuscita conquista
di 67P/Churymunov-Gerasimenko, una cometa che in questo momento si trova a 500
milioni di chilometri dalla Terra, scoperta nel 1969 da due astronomi ucraini. Alle
17.04 (ora italiana) di ieri pomeriggio, la comunicazione ufficiale: il lander
Philae è atterrato con successo, a soli quattro centimetri di distanza dal
punto previsto. 28 minuti di apprensione per gli scienziati, il tempo impiegato
dal segnale elettronico per raggiungere il nostro pianeta e comunicare il lieto
fine dell'avventura. «Un grande passo per la civiltà umana», ha detto Andrea
Accomazzo, direttore delle operazioni di volo di Rosetta, «che non è giunto per
caso, ma è stato il frutto della competenza di tanti scienziati. E' il nostro
destino, d'altronde, quello di spostarci dalla Terra. E la missione Rosetta è
il primo passo verso questo importante obiettivo». Per la prima volta, dunque,
l'uomo o, meglio, un suo macchinario, fa visita fisicamente a un simile oggetto
spaziale, vecchio di quattro miliardi di anni, in perenne rotazione intorno al
sole. Un viaggio iniziato il 2 marzo 2004 (dopo un anno di rinvii dovuti a un
incidente al razzo-vettore Ariane 5), lungo 5,5 miliardi di chilometri, con una
serie di tappe intermedie necessarie a sfruttare il cosiddetto "effetto
fionda", offerto dalle gravità planetarie: il sorvolo di Marte (febbraio
2007), la visita (da lontano) dell'asteroide 2867 Steins (2008) e la mappatura
della cometa 67P (agosto 2014). Poi, negli ultimi giorni, il lento
avvicinamento al corpo celeste, che si è concluso ieri, dopo sette ore di
manovre delicatissime, che hanno portato alla separazione di Philae da Rosetta,
e infine, all'incontro vero e proprio con la cometa. Il rischio che qualcosa potesse
andare storto era molto alto, e legato soprattutto al fatto che l'impatto
sarebbe potuto essere devastante. E invece è andato tutto alla perfezione, e
ora si possono cominciare a studiare le caratteristiche dell'oggetto spaziale
e, in pratica, inaugurare un nuovo capitolo dell'esplorazione cosmica. Nei
primi giorni di permanenza, Philae manderà informazioni alla Terra grazie a una
mini batteria allestita appositamente per la primissima fase post atterraggio. In
seguito entreranno in funzione dei pannelli fotovoltaici che avranno il compito
di caricare una seconda batteria, quella predisposta per la permanenza sul
suolo cometario e che dovrà fare funzionario il lander per l'intera durata
della missione. Philae si fermerà su 67P fino al dicembre 2015 e cercherà di
fare luce sui tanti misteri che ancora l'avvolgono. Si cercherà di studiare nei
dettagli la cometa, a partire dal suo campo magnetico, per arrivare alla sua
composizione. Interessanti potranno essere le conclusioni relative ai
cambiamenti che potrà subire avvicinandosi al sole, situazione che porterà alla
formazione della caratteristica coda cometaria e alla produzione di gas e
vapore acqueo. Per Stanely Cowley dell'Università di Leicester sarà l'occasione
buona per poter chiarire molti aspetti legati alle origini del sistema solare;
valutando anche la panspermia, e l'ipotesi che la vita sulla Terra sia giunta
dallo spazio. Non è detto che tutto potrà filare alla perfezione. Si teme
infatti che il riscaldamento solare possa provocare gravi perturbazioni a
ridosso della cometa o grosse fratture sulla fratture sulla sua superficie, tali da
compromettere la sopravvivenza del lander. In ogni caso i lavori sulla cometa
vedranno gli italiani impegnati in prima linea, considerato che uno degli
strumenti più importanti a bordo di Philae proviene dal Politecnico di Milano.
Si tratta di un trapano, battezzato SD2, che verrà utilizzato per penetrare l'anima
della cometa e studiare la geologia del corpo celeste.
martedì 18 novembre 2014
domenica 12 ottobre 2014
Uomini e donne coi piedi sempre più lunghi
Da anni si sente
parlare dell'altezza media delle persone in costante aumento, in Italia e nel
mondo: nel 1890 era, infatti, 164 centimetri, mentre oggi è salita a 175
centimetri. Ma l'altezza di un individuo è direttamente legata alla lunghezza
del suo piede e, dunque, con l'innalzamento della statura si sta anche
verificando un fenomeno su cui raramente soffermiamo le nostre attenzioni:
l'allungamento medio del piede. La
conferma arriva da uno studio effettuato dagli esperti del College of Podiatry
di Londra, dal quale si evince che dal 1970 a oggi il piede dell'uomo e della
donna è "cresciuto" di almeno due taglie. I numeri parlano chiaro.
Nell'uomo si è passati dal 42 al 44, e nella donna dal 36 al 38,5. Il piede di
un adulto alto 175 cm misura oggi in media 28,5 centimetri, contro i 26,5 di
chi, con la stessa statura, è vissuto poco più di quarant'anni fa. Lo stesso
accade nella donna, con il piede che arriva in media a 25 centimetri, due in più
rispetto alle stime del 1970. Ci sono, certo, le eccezioni, ma questi sono i
numeri più frequenti che fanno da contraltare alle altezze medie degli uomini e
delle donne dei paesi occidentali, il cui apice è raggiunto nei Paesi Bassi e
nella ex Jugoslavia. Il motivo? Come per l'altezza, anche in questo caso, il
riferimento è a un mutamento delle abitudini sociali e soprattutto alimentari,
che ha influito sulle dinamiche dell'accrescimento e dello sviluppo. E
sull'ormone della crescita. Oggi non stupisce più nessuno vedere un ragazzo
delle medie che sfiora i 170 centimetri, ma un tempo era assai raro. Gli
adolescenti in media hanno numeri di scarpa più alti dei coetanei vissuti
decenni fa; in cinque anni la media è passata dal 41 al 42, in alcuni casi
addirittura dal 45 al 47. Il fenomeno riguarda anche le ragazze che sempre più
spesso acquistano numeri di scarpe che superano il 40; con casi eclatanti come
quello di Emma Cahill, 19enne tedesca che presenta piedi lunghi 33 centimetri,
i più grandi d'Europa. E i bambini, che non solo presentano piedi più lunghi di
quelli di un tempo, ma anche più larghi. L'obesità ha, di fatto, la sua
importanza, e anche il ricorso frequente al cosiddetto "cibo
spazzatura", che favorisce l'accumulo di chili di troppo. «L'allungamento
dei piedi, infatti, dipende anche dal peso e non solo dalla crescita in
altezza», racconta Lorraine Jones, del College of Podology. «Occorre, pertanto,
fare ancora più attenzione alle scarpe che si acquistano, valutando la diversa
pressione che i piedi esercitano all'interno di una calzatura, la comodità e
l'aderenza». Quel che però stupisce gli studiosi londinesi è che i problemi ai
piedi rimangono sempre gli stessi. Il 29% delle donne lamenta disagi con le
tante scarpe a disposizione; e anche l'uomo non è da meno e nel 18% dei casi ha
problemi a deambulare agilmente. I maggiori fastidi derivano dall'ispessimento
della cute, dall'insorgenza di calli e vesciche, e da dolori muscolari. In
molti casi è la conseguenza dell'acquisto di scarpe troppo grandi o troppo
strette. E il fenomeno è in aumento per via dell'acquisto via internet che
spesso porta alla scelta di prodotti non idonei al proprio fisico.
venerdì 19 settembre 2014
Voglie indipendentiste
Galizia, Alsazia, Moravia, Occitania. Sono solo alcune
delle realtà geografiche che, parafrasando il movimento indipendentista
scozzese, potrebbero un domani trasformarsi in entità completamente autonome.
Lo rivela una curiosa mappa elaborata dall'Alleanza Libera Europea, partito
politico europeo a favore delle cosiddette "nazioni senza Stato". Per
certi versi rimanda ad altre epoche storiche, come quella a cavallo del
Trecento, quando l'Europa era un'accozzaglia di stati e staterelli in continuo
mutamento sociale e politico. Nell'originale mappa la Germania unita è
irriconoscibile. C'è, infatti, di mezzo la Baviera, regione storica a nord
delle Alpi, con un'estensione che supera i 70mila chilometri quadrati, il territorio
tedesco più esteso. Ha una popolazione di oltre dodici milioni di abitanti, e
usi e costumi peculiari. Il nazionalismo bavarese è sempre stato molto forte,
anche perché la regione ha mantenuto la sua autonomia fino alla fine
dell'Ottocento. L'Alsazia, a ovest, è invece da sempre terra di grandi scontri
culturali fra Germania e Francia. Lo stesso accade in Lorena. Calda la
situazione anche in alcuni territori facenti capo a Parigi; in Bretagna, in
particolare, una persona su cinque è palesemente a favore dell'indipendenza. La
stessa voglia d'indipendentismo si respira in Italia. Il Veneto, riconducibile
alla storica Repubblica di Venezia, è un concetto storico-geografico che
sopravvive dal nono secolo, a seguito dei cambiamenti avvenuti durante l'impero
bizantino. Scalpitano anche la Savoia, la Sardegna e il Sud Tirolo. Altrettanto
leggendario il movimento indipendentista basco. Di fatto, i cosiddetti Paesi
Baschi, rappresentano una comunità autonoma della Spagna le cui tradizioni
affondano addirittura alle prime incursioni dell'uomo moderno in Europa. Ma la
situazione è caotica anche in Galizia e in Andalusia. La prima regione si trova
a nord-ovest della penisola iberica e conta quasi tre milioni di abitanti; l'Andalusia,
ancora più popolosa, sfiora i dieci milioni di abitanti e fa forza sulla sua
cultura "cosmopolita", figlia di un background sociale che rimanda ai
romani, agli arabi e ai cartaginesi. Politici e sociologi ritengono che il
desiderio d'indipendentismo sia anche figlio della crisi economica che sta attanagliando
il Vecchio continente. La speranza delle tante "nazioni senza Stato"
si basa, infatti, sulla convinzione che l'autonomia possa essere l'unica strada
percorribile per fare rifiorire le economie locali, grazie a politiche
specifiche incentrate sui singoli territori.
venerdì 5 settembre 2014
A proposito di "natura"
Da
un po’ di settimane ho il piacere di scrivere per una
delle più belle riviste italiane dedicate alla natura. Qui potete leggere i
miei articoli:
I miei articoli sul blog di Natura
giovedì 28 agosto 2014
Quando è lui il primo a dire "ti amo"
L'emotività è donna, si sa, tanto è vero che ogni
smanceria viene prima di tutto ricondotta all'universo femminile. Eppure non è
sempre così, specialmente quando c'è da pronunciare la più importante frase del
genere umano: ti amo. Stando, infatti, a una ricerca pubblicata su Journal of
Personality and Social Psychology, la fatidica confidenza è soprattutto appannaggio
dell'uomo. Si stima che nel 62% dei casi, all'inizio di una relazione, è il
maschio per primo a dire "ti amo". E di solito arriva a farsi avanti
tre mesi dopo l'incontro inaugurale. La donna, al contrario, è più cauta. Pare
più titubante, e finisce col rivelare il proprio amore al partner almeno cinque
mesi dopo il primo appuntamento. Per le donne la "delicatezza"
maschile è sovente il subdolo tentativo di portarne a letto un'altra; per gli
uomini è invece un reale sentimento, che deve essere espresso il più in fretta
possibile, prima che la nuova conquista prenda altre strade. Chi ha ragione? In
parte entrambi. Ma il meccanismo comportamentale che determina questo risultato
è tutt'altro che scontato, e sconfina nel mondo dell'antropologia e
dell'evoluzione umana. Donne e uomini, di fatto, non cercano esattamente la
stessa cosa quando decidono di frequentarsi. La donna punta alla persona giusta
perché vuole mettere al mondo dei figli che poi vanno necessariamente accuditi,
seguiti, cresciuti; individuo che deve rispondere a requisiti speciali, talvolta
lontani dai desideri maschili, e difficili da mettere correttamente a fuoco. Per
una scelta oculata, quindi, ha bisogno di tempo. La donna vuole ponderare con
precisione il partner al quale rivelare il proprio amore, perché da lui dovrà e
vorrà dipendere per portare avanti una famiglia. Per l'uomo la scelta è
differente, e obbedisce a un istinto riproduttivo più marcato, non
rigorosamente legato alle cure parentali. Certo, il discorso, riflette gli albori
della civiltà, quando i concetti di famiglia e clan spesso si fondevano fra
loro, tuttavia alcune attitudini comportamentali permangono nell'uomo moderno e
sono le stesse che contraddistinguevano i nostri lontanissimi antenati. Infine
i ricercatori hanno messo in luce il momento preferito dai due sessi per
sentirsi dire "ti amo". Per gli uomini è prima di avere un rapporto
intimo, perché inevitabilmente legato alla consapevolezza di essere riuscito
nella conquista e all'ipotesi di un felice futuro sessuale. Per la donna,
invece, è preferibile sentirselo dire dopo essere andati a letto insieme,
perché conferma la validità di un sentimento sincero, non finalizzato a una
storia da una notte. Quel che conta, in ogni caso, è che non ci si fermi alla
"prima volta", ma si vada oltre. Secondo gli studiosi, infatti, è
importante per la solidità della coppia esprimere apertamente i propri
sentimenti, prerogativa che, in questo caso, aumenta l'autostima, la fiducia
nel rapporto, e aiuta a condividere le gioie (e i dolori) della quotidianità.
lunedì 25 agosto 2014
Il robot transformer
Immaginiamo un foglio di carta a due dimensioni, che grazie a un po' di fantasia, possiamo trasformare in una barchetta o in un aereo tridimensionali. Il concetto è lo stesso, ma non riguarda uno strato di cellulosa, bensì una struttura hitech in grado di assumere le sembianze di un "essere" a quattro zampe, pensiamo a un granchio, capace di camminare, girare, e potenzialmente compiere svariati compiti. Un "foglio" dotato di mente propria, che in quattro minuti si autoassembla e non ha bisogno di aiuti esterni per entrare in azione. E' questo l'ultimo avveniristico robot prodotto dalla collaborazione fra scienziati di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston. Si tratta, in pratica, di un robot transformer a tutti gli effetti, così spesso decantato dai fumetti o dai libri di fantascienza; per la prima volta realizzato in un laboratorio scientifico. Potrà essere disponibile fra qualche anno, a un costo irrisorio, se paragonato ad altri prodotti di questo genere: gli scienziati dicono, infatti, che per realizzare il primo prototipo sono bastati cento dollari di materiale altamente tecnologico ed elettrico. Più prosaica l'assimilazione a un "origami meccanico" (in riferimento alla caratteristica arte orientale), dotato di un "cervello elettrico", due motori e comunissime batterie per il rifornimento energetico. Il suo segreto? Essere caratterizzato da un polimero "a memoria di forma", predisposto per fornire alla struttura base il comando per l'auto-assemblaggio, e la trasformazione finale in un marchingegno robotico le cui ripercussioni in campo industriale potrebbero essere molteplici. "Partiamo dall'idea di rendere i robot il più possibile veloci ed economici", spiega Sam Felton, a capo del progetto, "e un modo per giungere a questo risultato è, appunto, affidarci a strutture analoghe a un foglio di carta, in grado di trasformarsi da solo in corpi tridimensionali". Il primo robot transfomer nasce, in realtà, per scopi militari, ma non sono esclusi perfezionamenti futuri che potrebbero, per esempio, facilitare l'esplorazione spaziale. Entra in funzione tramite la variazione di parametri climatici esterni, come, per esempio, la temperatura. Aumenta il caldo e in pochi minuti la sua "bidimensionalità" viene sostituita da quattro zampette che cominciano a brancolare qua e là, fino a raggiungere i 5,4 centimetri al secondo di velocità. Proprio come fa un granchio o un qualunque aracnide (benché dotati di otto zampe). Lo spunto è stato preso da un gioco chiamato Dinks Shrinky (inventato nel 1973), in grado di cambiare colore e ridurre le proprie forme del 50% se sottoposte a un innalzamento di temperatura. Un solo strato hitech potrebbe apparire banale, ma se si immagina una risma di "fogli" di questo tipo, non è difficile intuire gli incredibili scenari che potrebbero derivare dal suo impiego; primo fra tutti un esercito di micro robot in grado di scandagliare la superficie di un corpo celeste, o un'area di interesse energetico. Con i robot transformer si può pensare alla realizzazione di satelliti di nuova generazione, e facilitare i campi di esplorazione e le operazioni di salvataggio. Ma anche oggetti in grado di assumere le sembianze di altri animali (pensiamo a un cigno), per poi volare. Notizie in più si potranno sapere fra qualche settimana, quando, nel corso di una conferenza di robotica che si terrà a Taiwan si riparlerà del primo robot transformer, ma anche di nuovi "gadget hitech", come il cubo auto-pieghevole di soli cinque millimetri di lunghezza e il bruco robot.
Il futuro della robotica
Il progetto SAPHARI - acronimo di Safe and Autonomous Physical Human-Aware Robot Interaction - ha come scopo la progettazione di un automa in grado di interagire con l'uomo, di comprenderne i movimenti, di collaborare senza mai interferire dal punto di vista spaziale, una macchina capace di vivere insieme agli umani nel segno della sicurezza.
Alla Cornell University, in Usa, i ricercatori stanno lavorando su macchine che possano, come gli esseri umani, imparare da ciò che osservano e dall'esperienza quotidiana. Hanno creato, per esempio, un sistema che identifica le attività sulla base dei movimenti delle persone e che, una volta installato in un macchinario che svolge funzioni di "badante", potrebbe aiutare la persona che ha in affido offrendole da bere o spazzolandolgi i denti.
In futuro potremmo anche rilassarci su un robot divano e, prima di accomodarci a tavola, ordinargli di trasformarsi in sedia. Presso il laboratorio di biorobotica del Politecnico federale di Losanna ci si occupa, infatti, dei cosiddetti robot modulari – dei Roombots – che potrebbero permettere di trasformare questa utopia in realtà.
Calorie italiane
Da tempo non se ne parla più come di una semplice malattia, ma di una epidemia a tutti gli effetti. L’obesità, infatti, rappresenta percentuali tanto grandi da essere paragonata ai peggiori flagelli dell’umanità. L’Oms prevede che, per il 2030, gli obesi in Italia saranno il 70% della popolazione; con picchi del 90% in Irlanda e dell’80% in Spagna. In realtà l’obesità è in gran parte dovuta ad abitudini quotidiane che potrebbero essere facilmente contrastate, se solo si facesse un po’ più di attenzione, per esempio, a quello che si mangia. Com’è noto, infatti, gran parte dei chili di troppo è la conseguenza di un accumulo spropositato di calorie. Lo si dice da sempre e oggi ne abbiamo un’ulteriore conferma, grazie a uno studio diffuso dal sito Evoke.ie. L’analisi mette in relazione la quantità di calorie consumate abitualmente da ogni persona nell’arco delle 24 ore, con il singolo paese di appartenenza. Si scopre così che gli Usa, emblema dell’obesità, (dove già oggi almeno un terzo della popolazione soffre di sovrappeso), sono anche i primi in classifica: ogni persona assume, infatti, 3.770 calorie al giorno. Al secondo posto, con 3.760 calorie, c’è l’Austria e al terzo, con 3.660 calorie, l’Italia. Seguono Israele, Irlanda e Gran Bretagna, e chiudono l’India con 2.300 calorie e la Repubblica Democratica del Congo, staccatissima, con 1.590 calorie (che probabilmente parafrasa un po’ tutta la realtà delle nazioni meno sviluppate). L’unico, paese, quest’ultimo, a rientrare nei parametri delineati dai medici di tutto il mondo, secondo i quali gli uomini non dovrebbero accumulare più 2.400 calorie al giorno, e le donne non dovrebbero andare oltre le 2mila calorie. Gli italiani pagano, probabilmente, l’abitudine a nutrirsi con alimenti come la pasta, la pizza e il pane; gli americani, il vizio di abbuffarsi di hamburger. E la famosa dieta mediterranea? Non sempre viene rispettata a dovere, per questo il conteggio delle calorie cresce. Si punta correttamente su pane e prodotti cerealicoli, ma spesso (per non dire sempre) si eccede. Il pane andrebbe consumato una o due volte al dì, mentre andrebbero aumentate le dosi di pesce, frutta, verdura, a discapito di carne e dolci; torte, brioche e merendine, non sono contemplati nella dieta mediterranea, se non sottoforma di crostate di frutta. Si esagera anche con birra, maionese, patatine, che mal s'accordano con il tradizionale cibo mediterraneo. Del resto non si è nemmeno consci del fatto che l’accumulo e il consumo di calorie rispetta un delicato equilibrio, derivante dall’alimentazione, ma anche dalla quantità e dalla tipologia di movimento affrontati ogni dì. Basterebbe poco, infatti, per bruciare calorie inopportunamente ingerite, come accade magari in ambito lavorativo, quando la fretta porta a cibarsi in modo sbrigativo e irragionevole (in posti dove spesso, rispetto ai piatti preparati in ambito casalingo, l’apporto calorico triplica). Duecento calorie, per esempio, si possono eliminare in fretta: ballando per 37minuti, giocando a golf per un’ora, lavorando in giardino o lavando la macchina per 40 minuti, o correndo su e giù per le scale per due minuti e mezzo. E non sempre è necessario compiere esercizi fisici tradizionali. Ogni azione, infatti, permette di bruciare calorie. Anche baciarsi. Se lo si fa per un minuto, se ne vanno un paio. Fondamentale, però, valutare quel che si mangia, sapendo che ogni alimento ha un contenuto calorico specifico, e che in risposta a singole porzioni esistono vere e proprie “bombe” che farebbero male a chiunque. Va considerato, dunque, il rapporto fra il peso dell’alimento consumato e le calorie che fornisce. 588 grammi di broccoli forniscono, per esempio, duecento calorie; ma lo stesso accade con appena 51 grammi di quelle caramelline morbide e colorate che se si inizia con una, non si finisce più. 740 grammi di peperoni danno lo stesso numero di calorie di un cheesburger, ma in proporzione l’apporto nutrizionale è maggiore. E così via. Ma se ci si applica un po’ i risultati non tardano a venire. E si possono già ottenere delle perfette silhouette togliendo dalla dieta tradizionale 400-600 calorie al giorno, vale a dire 3-4mila calorie alla settimana. Non sono solo i chili di troppo a diminuire, ma anche il rischio di ammalarsi di qualunque morbo, in particolare di natura cardiovascolare.
lunedì 14 luglio 2014
La frutta che fa male
La raccomandazione dei
medici è sempre la stessa: soprattutto d'estate è meglio consumare più frutta e
verdura possibile, per mantenere il corpo idratato e assimilare importanti
sostanze nutritive. Quel che, però, anche gli addetti ai lavori considerano solo
in parte, è che non tutti i vegetali offrono lo stesso apporto dietetico. E
che, dunque, alcuni di essi fanno molto bene, altri benino, e alcuni,
addirittura, potrebbero provocare qualche problema. L'argomento è stato
affrontato in modo specifico dagli esperti della William Paterson University di
Wayne, nel New Jersey, in Usa; che hanno stilato una vera e propria classifica
dei vegetali più benefici per la nostra salute, in base a un punteggio di
“densità nutritiva”, riferito a concentrazioni di proteine, fibre, calcio,
ferro, potassio, zinco e vitamine. 47 gli alimenti presi in considerazione, 41
quelli finiti nella cosiddetta “Powerhouse Fruits and Vegetables”, convalidata
dall'autorevole Centers for Disease Control and Prevention (CDC). “Uno studio in
funzione dei consumatori che potranno conoscere meglio le proprietà
nutrizionali dei vegetali consumati abitualmente”, racconta Jennifer Di Noia,
la professoressa a capo della ricerca. Al primo posto risulta un alimento non
proprio diffusissimo sulle nostre tavole: il crescione (punteggio pieno: 100).
Delle sue eccellenti proprietà se ne parla fin dall'antichità, tanto da essere
soprannominato “l'insalata che guarisce”. Appartiene a una delle famiglie
botaniche più indicate per il benessere umano, quella delle brassicacee,
comprendente anche numerose varietà di cavolo e cavolfiore. Posseggono
proprietà antiemorragiche, antiossidanti, depurative; regolarizzano il ciclo
mestruale, tengono lontane le malattie da raffreddamento e, per via dell'alta
presenza di isotiocianati, combattono l'accumulo di sostanze cancerogene. Il
crescione si consuma in insalata o nella minestra, affiancato spesso ad altre
verdure (per contenere il suo forte sapore), e assicura un eccezionale apporto
vitaminico e di sali minerali. Depura ed è afrodisiaco. Il cavolo cinese occupa
il secondo posto (91,99). Detto anche “cavolo di Pechino”, è ricco di vitamina
C ed A, acido folico e potassio. Il suo apporto calorico è bassissimo ed è
quindi consigliato a chi vuole perdere peso. Nelle prime posizioni compaiono
anche gli spinaci (86,43), la cicoria 73,36), il prezzemolo (65,59), la lattuga
(63,48), e la senape (61,39). Più in fondo nella classifica ci sono, invece,
alimenti come la fragola (17,59), la zucca (33,82) e il pompelmo (11,64). Quest'ultimo
può essere controindicato per chi assume farmaci anticoncezionali o per tenere
a bada l'accumulo di grassi nel sangue. I suoi principi attivi, infatti,
interferiscono con quelli contenuti nei medicinali, annullando l'azione
benefica della sostanza farmaceutica. La zucca, invece, può creare problemi ai
bimbi allergici. Simile il discorso per le fragole, prodotto sconsigliato anche
a chi è soggetto a ulcere, gastriti e coliti. Rimangono fuori dalla super-lista
alimenti insospettabili come il mirtillo, il mandarino e perfino l'aglio e la
cipolla, notoriamente legati al concetto di “buona alimentazione”. In realtà
non significa che facciano male, ma semplicemente che la loro densità nutritiva
- vale a dire il giusto equilibrio fra vitamine, minerali, e altri principi
attivi essenziali – non è pari a quella di altri prodotti vegetali; e che
quindi hanno uno spettro di azione benefico meno ampio. Tuttavia possono essere
caratterizzati da sostanze particolari che altri alimenti non hanno, ed essere
pertanto indicati per contrastare malattie specifiche. È il caso del mirtillo
nero che indubbiamente fa molto bene a chi soffre di problemi di natura venosa.
Grazie ai tannini e ai glucosidi antocianici che hanno il potere di rafforzare
il tessuto connettivo che sostiene i vasi sanguigni. Questo tipo di frutta è
importante anche per prevenire disturbi renali e l'accumulo dei pericolosi
radicali liberi, derivanti dalle principali attività metaboliche dell'organismo.
venerdì 4 luglio 2014
Matrimoni in via di estinzione
La metà dei ventenni
di oggi non si sposerà mai. Le coppie, infatti, sono sempre più propense a
convivere che non a convolare a nozze. Il fenomeno coinvolge tutti i paesi
industrializzati. La ricerca condotta in Inghilterra dalla Marriage Foundation
rivela che il 47% delle donne e il 48% degli uomini che oggi hanno vent'anni,
non varcheranno mai le porte di una chiesa o di un municipio per siglare
ufficialmente la loro unione. Per i quarantenni le cose vanno un po’ meglio, ma
sono ben lontani dai numeri che riguardavano le passate generazioni, in
particolare i nati fra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni Sessanta
(con l'87% degli uomini e il 92% delle donne con la fede al dito). Si stima
infatti che chi ha oggi 40 anni si sposerà nel 61% dei casi, se maschio, e nel
68%, se femmina (metà, in realtà, sono già sposati). I numeri indicano
chiaramente che il matrimonio è un aspetto della società destinato a scomparire
o perlomeno a trasformarsi in qualcosa di obsoleto. Un dato su tutti: 44 anni
fa i venticinquenni sposati erano il 60% degli uomini e l'80% delle donne; oggi
sono solo il 10% delle venticinquenni e il 5% degli uomini della stessa età.
Perfino in Italia, paese cattolico per eccellenza, il sacramento ha subito
negli ultimi anni un grave declino. Nel periodo fra il 2008 e il 2012 c'è stato
un calo dei matrimoni del 91%. I dati Istat confermano che nel 2008 ci sono stati
in Italia 34.137 matrimoni, contro i 32.555 del 2012. E in gran parte si parla
di matrimoni misti, 20.764, nel 2012. Harry Benson, a capo della ricerca, non
ne fa una questione religiosa, né morale, ma puramente sociale: «Il matrimonio
offre un modello di famiglia ideale al quale ispirarsi per una crescita sana
delle nuove generazioni». Ma perché ci si sposa sempre meno? In primo luogo
perché il lavoro non offre più le garanzie del passato. Cassintegrazione,
disoccupazione, contratti a progetto, sono, in fondo, un modo diverso per
sottolineare che non esistono più i presupposti per mettere su famiglia; perché
il matrimonio costa. E se non va bene, costa ancora di più. E' il pensiero che
avanzano gli esperti dell'Istat, aggiungendo che in un periodo di crisi come
quello che stiamo attraversando, il fenomeno non può che incrementare. La
precarietà delle famiglie, e il mondo giovanile devastato dalla mancanza di
lavoro, fa sì che l'ipotetica data di matrimonio sia spostata sempre più in là,
fino a perdersi nei meandri delle tante cose prospettate per la propria
esistenza, che in realtà non si realizzeranno mai. Chi è fortunato si sposa
comunque, ma con molti più capelli grigi dei neosposi della passata
generazione. Il matrimonio ha inoltre perso il valore di un tempo. Oggi non ci
si sposa più perché ci si deve sposare, ma perché ci si vuole sposare. Dunque
sono sempre meno le persone che coscientemente affrontano l'idea di affiancare
per "la vita" un partner, influenzati dal fatto che divorzi e
separazioni sono ormai all'ordine del giorno. Un futuro, quindi, senza più
matrimoni? Forse. In realtà c'è anche chi pensa che avverrà il fenomeno
contrario, con una ripresa delle unioni civili e religiose. L'Huffington Post
ha, infatti, pubblicato recentemente uno studio nel quale spiega che in Usa il
40% delle persone ritiene il sacramento un aspetto sociale antiquato e
superato; ma aggiunge che esiste almeno un 61% di statunitensi che spera vivamente
un giorno di poter convolare a nozze.
martedì 24 giugno 2014
venerdì 20 giugno 2014
Gialli risolti con l'analisi del Dna
Di sicuro una ventina di anni fa non sarebbe stato
possibile giungere alla soluzione del giallo di Yara, tuttavia dopo 18mila
analisi del Dna e oltre tre anni di ricerche viene da chiedersi se non si
sarebbe potuto procedere più velocemente. Difficile rispondere a questa
domanda, per il semplice fatto che nessuno, a parte gli addetti ai lavori,
conosce il significato preciso di un'analisi del Dna, e in che modo
quest'ultima possa portare a risolvere un caso di questa portata. «In realtà,
andare più in fretta di così, con i mezzi che abbiamo, non sarebbe stato
possibile», spiega Ilaria Boschi, genetista forense dell'Università Cattolica
di Roma, «e tantomeno pensare di procedere senza il coinvolgimento delle tante
persone "esaminate"». Le cose sarebbero potute evolvere diversamente
se fosse esistita una banca genetica contenente il profilo del Dna di tutti
noi, di ogni abitante della bergamasca, della Lombardia e quindi dell'Italia
intera. Ma come ben sappiamo una schedatura genetica di ogni cittadino del Belpaese
non è mai stata fatta e allo stato delle cose non è nemmeno prevista. «Perché,
di fatto, se anche fosse disponibile, creerebbe altri problemi, soprattutto di
natura etica», prosegue Boschi. Possedere, infatti, la scheda del Dna di una
persona significa in sostanza sapere tutto di lei, della sua famiglia, delle
sue caratteristiche biologiche, della sua tendenza a sviluppare determinate
malattie. «Per ora, fortunatamente, è un
discorso del tutto utopico», puntualizza la genetista. Con la genetica non si
scherza, e ancora non esistono "protocolli" tali da capire fin dove è
lecito o non lecito arrivare. Eppure ci sono già esperimenti di questo tipo
avviati in alcune parti del mondo. Gli Emirati Arabi è stato il primo paese a
prendere seriamente in considerazione l'idea di schedare geneticamente tutti i
suoi cittadini. Che significa ricavare un po’ di saliva da ognuno di essi, per
poi codificare singolarmente una specifica parte del genoma, una sorta di firma
genetica diversa per ogni essere umano, da spedire al database del Ministro
degli Interni. Una decina di anni e il gioco è fatto. Sembra facile, ma non lo
è. Se così fosse la privacy andrebbe a farsi benedire. Ne sanno qualcosa gli
islandesi che, dopo una serie di analisi non solo genetiche, si sono visti
figurare fra gli archivi di una nota casa farmaceutica; che gongola, sapendo di
poter giungere a importanti risultati in campo medico, violando, però, di
fatto, l'"intimità" di ignari individui. Ma in molti non sono stati a
guardare e si sono rivolti alla Corte suprema, vincendo la causa. Più sottile
il discorso riferito al crimine. Da anni ormai chi finisce in prigione viene
schedato. Lo ha stabilito il Trattato di Prum nel 2005. In Inghilterra sono
schedate tre milioni di persone, in Francia mezzo milione. In Germania la
schedatura di 500mila criminali ha consentito la soluzione di 18mila delitti.
In Usa i sospetti criminali vengono geneticamente "registrati" da
vent'anni, compresi quelli che poi si dimostrano innocenti. Hanno iniziato gli
agenti dell'FBI, ma adesso la procedura è gestita anche dalle polizie locali. L'argomento
è stato affrontato poco tempo fa anche dal New York Times; che parla addirittura
di "consegne" di Dna in cambio di un patteggiamento della pena. Fanalino
di coda, l'Italia, che ha istituito la Banca dati nazionale del Dna presso il
Ministero dell'Interno, finalizzata all'archivio delle schede di condannati e
indagati, «ma dove le schedature non sono ancora partite», dice Boschi. Se tutto
va bene il servizio partirà dal 2015. E potremmo andare avanti all'infinito, ma
il caso di Yara è un mondo a sé. Di fatto, grazie all'analisi del Dna, oggi
l'assassino della giovane ginnasta scomparsa da Brembate Sopra il 26 novembre
2010, ha un nome. Un intricato caso giudiziario che con un archivio genetico "globale"
si sarebbe potuto risolvere rapidamente e che invece s'è protratto per oltre
tre anni; dal momento in cui è stato rinvenuto sugli indumenti di Yara il Dna
del presunto assassino, l'ormai paradossalmente famoso Ignoto1. Da qui si è
passati a Damiano Guerinoni, frequentatore di discoteche, poi ai suoi tre
cugini e al loro padre, Giuseppe Guerinoni, al 99,99999987% padre dell'omicida,
deceduto nel 1999. I passi successivi sono stati rocamboleschi, con il
coinvolgimento di tutte le presunte persone venute a contatto con quest'ultimo,
ex guidatore di autobus; puntando gli occhi soprattutto sulle ragazzi madri.
Alla fine si è arrivati a Ester Arzufi, con un corredo genetico perfettamente assimilabile
a quello della madre di Ignoto1. Il cerchio si chiude e con la scusa di un
banale controllo del livello di alcol nel sangue viene definitivamente fatta
luce sull'assassino di Yara: un 44enne, padre di tre figli, da tutti considerato
un tipo con la faccia da bravo ragazzo.
domenica 15 giugno 2014
Fra San Fermo e Urignano
venerdì 13 giugno 2014
Case in affitto, si torna al dopoguerra
Complice la crisi,
le banche rilasciano i mutui con difficoltà e le persone non se la sentono più di
affrontare spese immobiliari troppo impegnative. E così stiamo assistendo a un
fenomeno che pareva in calo e che invece sta di nuovo caratterizzando le
società più avanzate: l'affitto della casa. E' vero che i possessori di case
sono la maggior parte delle persone, tuttavia una serie di dati lasciano pensare
che la tendenza si stia invertendo e che col passare degli anni (se non avverrà
qualcosa di drastico a livello economico) potrà diventare di nuovo la normalità,
com'era decine di anni fa. «L'Italia è uno dei paesi in cui il fenomeno sta
prendendo sempre più piede», spiega Maurizio Cannone, direttore di Monitor
Immobiliare, «cresce, infatti, l'interesse per l'affitto, a discapito
dell'acquisto della casa, anche per via delle tasse»; benché il bene immobile sia
radicato nella nostra cultura, più di quanto non accada altrove, e rimanga una
prerogativa essenziale della storia personale di un individuo. I proprietari di
casa sono numerosi (si va dal 69% del Mezzogiorno al 74% del nord-est),
tuttavia si intravedono segnali ambigui, che, entro qualche anno, potrebbero
portare a un ribaltamento della situazione, con un'impennata degli affittuari.
Secondo l'Istat, dal 2001 al 2011 (quando i morsi della crisi non erano ancora
evidenti come oggi), c'è stato un incremento degli affitti dello 0,9%. Se si
guarda, però, alle regioni nord orientali si scopre che il numero è decisamente
più alto, e supera il 12%. Diverso anche il raffronto con le isole. In Sicilia
e Sardegna abita in affitto il 14,4% delle famiglie, dato che raggiunge il 20%
se riferito alle regioni nord occidentali. In generale l'affitto è una
prerogativa della grande città, dove gli spostamenti sono più rapidi e
frequenti. Numeri ben lontani dal boom economico: nel 1951, infatti, il 40%
degli italiani possedeva una casa, dato poi incrementato del 5% ogni dieci
anni, fino a sfiorare l'80% degli ultimi tempi. Ora la tendenza potrebbe
arrestarsi o, magari, lasciare spazio ad altre modalità abitative, come la
convivenza. Si è infatti visto che le famiglie che condividono un'abitazione
sono passate in dieci anni da circa 236mila a 695mila, con un impennata del
194,8%. Il risultato più clamoroso arriva, però, dall'Inghilterra, dove si
stima che entro il 2032 il 50% degli anglosassoni vivrà in un appartamento in
affitto; mentre le dimore di proprietà saranno a esclusivo appannaggio della
popolazione anziana. Oggi, su 14,4 milioni di proprietari, quasi un terzo è
rappresentato da over 65; 1,6 milioni di persone in più rispetto alla fascia di
età compresa fra i 45 e i 54 anni. Ma a stare peggio sono quelli ancora più
giovani: fra i 35 e i 44 anni, infatti, solo 2,5 milioni posseggono un
"nido" personale. La crisi, anche qui, vera responsabile delle
difficoltà di acquisto di un'abitazione; ma incide il fatto di potersi avvalere
di soluzioni burocratiche che facilitano i contratti di affitto (e che da noi
hanno un impatto sociale molto più marginale). Nel 2003 le cose erano assai
diverse e il 71% degli inglesi viveva fra le proprie mura. Oggi il dato è già
sceso al 65,2%, come accadeva negli anni Ottanta. E di questo passo, appunto,
gli analisti suppongono che gli affittuari saranno la metà della popolazione entro
una ventina d'anni. Era dal 1970 che non si registravano stime di questo tipo;
ma all'epoca c'erano ancora molti margini di miglioramento economico che oggi
sembrano non esserci più. Il documento pubblicato dalla Mortgage Lenders
Association parla di "generazione rent" (generazione in affitto) che
potrà presto trasformarci in "nazione rent", suggerendo che fra un
po’ il rapporto fra locatore e locatario rappresenterà la scelta ideale per chi
vorrà trovare casa.
martedì 10 giugno 2014
La Terra in tempo reale
Ieri alle 12.18 la popolazione mondiale
era di 7.234.550.186 persone, con 780 nuovi nati e la scomparsa di 330
individui negli ultimi sessanta secondi; si sono ammalate di malaria 260
persone, 6 di Aids e 1 di meningite. Nello stesso minuto sono state emesse
67mila megatonnellate di anidride carbonica, distrutti 27 ettari di foresta,
uccise 116mila galline, 2.700 maiali, e 565 pecore. E si sono baciate per la
prima volta circa 5mila persone. Sono solo alcuni dei dati che si possono
estrapolare da Poodwaddle World Clock, il sito che indica in tempo reale ciò
che accade sulla Terra, affrontando tematiche diverse, dalla demografia
all'ambiente, dalla medicina all'economia. Il calcolo di ciò che accade in un
minuto è, in realtà, solo una delle possibilità offerte dal portale. Si
possono, infatti, cliccare anche le voci "giorno", "mese",
o "anno" per avere numeri completamente diversi, ma altrettanto
stupefacenti, prendendo spunto dalle fonti originarie, perlopiù Fao, World
Health Organization, US Census Bareau e Intergovernmental Panel on Climate
Change. Si scopre che ogni trenta giorni nascono oltre 7 milioni di persone e
ne muoiono poco più di tre milioni; numeri che permettono di capire che la
crescita demografica è costante e progressiva. Avanti di questo passo nel 2040
arriveremo a 9 miliardi di individui, con tassi di nascita molto variabili,
massimi in Asia e Africa, minimi in Europa e Stati Uniti. Si stima che solo in
Asia nel 2050 potranno abitare 5,3 miliardi di persone. Ma di cosa si muore?
Quasi 300mila abitanti del pianeta decedono ogni mese per ferite d'arma da
taglio o da fuoco, praticamente il 10% di tutti i decessi. Gli incidenti
stradali uccidono più di 65mila persone; 132mila individui scompaiono per
avvelenamento, 118mila per ustioni, quasi 70mila per le conseguenze di un
conflitto bellico. In fila anche le malattie: 25 milioni di casi di infezioni
alle basse vie respiratorie, 440mila nuovi tubercolotici e a seguire Hiv,
meningite e tetano. Molto interessanti (e certo più confortanti) i dati che
riguardano i rapporti affettivi. In una settimana vengono scambiati 6.453.033
"primi baci"; avvengono circa 5mila divorzi, e si sposano quasi
10mila persone. Dalla voce "smile" emerge che vengono settimanalmente
prodotti 864mila litri di birra, 118mila litri di vino e 283mila automobili. In
questo caso i dati vengono forniti dalla Kirin Holdings, holding nipponica
coinvolta nella produzione di bibite e nella ristorazione. L'IPCC fornisce gli
elementi legati all'ambiente. Calcola l'innalzamento delle acque dal 2000 a
oggi, l'avanzamento dei deserti, la progressiva scomparsa delle foreste, il
numero di specie estinte (in media 1300 ogni mese). Sul fronte crimine, invece,
si hanno tutti i giorni una media di 35mila furti, 4900 auto rubate, 813 casi
di violenza sessuale e 755 omicidi. I dati provengono dalla United Nations
Office of Drug and Crime (UNODC), benché non tutti i paesi (Cuba, per esempio)
contribuiscano a rivelare le proprie statistiche. Il sito si chiude con un test
che tutti possono risolvere, in grado di elaborare le aspettative di vita di ogni
individuo; che variano in base a data di nascita, paese di origine, sesso e famigliarità.
Le videochiamate del futuro
Videochiamare amici e parenti che vivono al di là dell'oceano o,
comunque, in un paese lontano è già realtà. Ma fra pochi anni questo servizio
potrebbe diventare obsoleto ed essere soppiantato da un progetto tutto italiano
che promette di rendere la comunicazione ancora più reale. Come? Offrendo la
possibilità di interagire in modo naturale, come se due interlocutori - posti,
per esempio, agli antipodi del pianeta - si trovassero, di fatto, a pochi
centimetri di distanza. Non è fantascienza ma la proposta di un team di
scienziati comprendenti esperti del Cnr e della società privata Quintetto.
Insieme, con l'appoggio della Regione Val d'Aosta, hanno già approntato il prototipo
del servizio di "telepresenza olografica"; il termine deriva da
"ologramma", figura con effetto tridimensionale ottenuta per la prima
volta nel 1947 dal fisico ungherese, Dennis Gabor. «Con questa proposta
vorremmo far conoscere agli italiani un nuovo modo di interagire con persone
lontane», spiega Elisabetta Baldanzi, dell'Istituto nazionale di ottica Ino del
Cnr; «un servizio pensato per aziende e ragioni sociali che attraverso la
telepresenza olografica potrebbero incrementare e migliorare le loro relazioni,
ma che un domani potrebbe anche divenire una realtà in ambito famigliare». I
comuni cittadini dovranno, infatti, aspettare un po’ prima di poter
telecomunicare in 3d, il tempo per migliorare le caratteristiche del prototipo,
e renderle fruibili anche in spazi limitati. Le aziende, invece, i comuni, ma
anche strutture come le Asl o le banche, possono fin da ora beneficiare
dell'avveniristico servizio. Gli scienziati italiani hanno
"riprogrammato" un sistema hitech che in parte viene già utilizzato,
per esempio in ambito artistico e nel settore entertainment. Non a caso si
parla di "teatro olografico" per definire la tecnica attraverso la
quale è possibile assistere a uno spettacolo in tre dimensioni grazie
all'utilizzo dei raggi laser. Si è lavorato anche sui costi, elaborando un
sistema di assemblaggio che, tenendo conto di singoli aspetti legati ai diversi
materiali e prodotti a disposizione, ha consentito di risparmiare dal punto di
vista economico. Con la telepresenza olografica si avrà, dunque, l'impressione
di muoversi in una realtà virtuale. «In effetti, abbiamo lavorato per indurre
una persona a interagire con una figura in 3d che si trova davanti agli occhi,
anche se nella realtà è posta a chilometri di distanza», continua Baldanzi,
«benché non sia strettamente riconducibile al mondo simulato». Il vero scopo,
infatti, è stato quello di dare vita a un servizio che potesse abbattere le
barriere tecnologiche, rendendo più facile per chiunque la telecomunicazione.
«Già oggi possiamo telecomunicare», dice Maria Grazia Franciullo, membro del
team dell'azienda Quintetto, «ma siamo limitati dal monitor di un computer che
dobbiamo sempre avere di fronte agli occhi. Con la telepresenza olografica
tutto ciò non sarà più necessario e basteranno poche istruzioni per poter
parlare con una persona in "carne ed ossa", pur se distante
chilometri». Tempi e costi sono già sulla carta. Si entra ora nella fase finale
del progetto, che vedrà gli ingegneri elaborare i primi strumenti hitech per la
fine dell'anno. I costi potranno variare in base agli "optional".
«Prezzo base, ventimila euro», conclude Franciullo, «cifra che potrà aumentare
in base ai vari servizi aggiuntivi, per esempio il sistema di riconoscimento
per una banca o altri sistemi integrati che potranno facilitare la
comunicazione fra le filiali».
venerdì 30 maggio 2014
Amori a prima (s)vista
Siamo abituati
all'idea che nel rapporto di coppia siano soprattutto gli "opposti"
ad attrarsi. Un luogo comune che fatica a essere scardinato dall'immaginario
collettivo. Ma oggi una nuova ricerca mette definitivamente al palo il famoso
detto, perché da un punto di vista scientifico parrebbe vero il contrario: che
si attraggono, cioè, le persone fra loro più simili, o perlomeno caratterizzate
da un Dna affine. Gli scienziati dell'Università della California hanno
analizzato il Dna di 800 coppie sposate e l'hanno paragonato con quello di
coppie unite fra loro in modo casuale. E' così emerso che solo nelle coppie convolate
a nozze si hanno similitudini spiccate fra i rispettivi Dna. Come mai? E'
possibile spiegarlo rileggendo le prime pagine della storia dell'evoluzione
umana, quando il partner veniva ricercato all'interno della propria etnia; dando
così maggiore vigore al significato antropologico e culturale del clan, che più
difficilmente finiva per essere contaminato da nuovi paradigmi sociali.
Atteggiamento non tanto diverso da quello scaturito in seguito agli amoreggiamenti
che fiorivano fino a qualche decennio fa nelle cascine o nei villaggi di
mezz'Italia, dove spesso ci si univa in matrimonio addirittura con un cugino
(accadde anche a Einstein e Darwin); o a quelli appannaggio delle famiglie più
nobili, che si incrociavano fra loro per mantenere "pura" la
dinastia. Di sicuro c'è ancora oggi una specie di "subliminale" attenzione
nei riguardi di persone che sono più simili a noi; per cui una persona di bassa
statura mirerà a un individuo della stessa altezza e un segaligno punterà a una
fisionomia altrettanto filiforme. Vale anche per gli hobby, le tendenze
artistiche, un certo modo di interpretare le cose e i fatti, il sistema
educativo ricevuto, la propensione religiosa. In Italia, peraltro, il fenomeno
pare particolarmente evidente. L'Istat nel 2008 ha condotto uno studio su
49mila persone verificando che nel 61% dei casi si punta a un partner con il
nostro livello d'istruzione e che condivide gli stessi nostri bisogni
affettivi. Così facendo, senza saperlo, selezioniamo il partner più simile a
noi, anche dal punto di vista genetico; anche perché inconsciamente assicuriamo
alla discendenza gli aspetti fenotipici e genotipici che ci rappresentano di
più. La ricerca si contrappone ad altre svolte finora, nelle quali emergeva che
l'attrazione fra Dna differenti fosse una prerogativa essenziale dell'essere
umano per fronteggiare al meglio le malattie. Secondo vari studi, infatti, l'incrocio
fra Dna diversi porterebbe a un rafforzamento del sistema immunitario dei
nostri figli, più preparati ad affrontare attacchi da parte di virus, batteri e
altri agenti patogeni. La teoria non può essere del tutto screditata, poiché è
risaputo che la cosiddetta variabilità genetica è fondamentale per la
sopravvivenza di una specie. Una piccola popolazione costretta a vivere in un
punto isolato della terra finisce per estinguersi proprio perché il continuo
incrocio fra consanguinei conduce a un depauperamento delle "risorse"
genetiche. Un po’ il rischio che corre il delfino di fiume amazzone appena
scoperto (Araguaian boto), circoscritto
a un'area fluviale limitata; e che ha corso l'uomo di Neanderthal, obbligato
dall'uomo moderno a chiudersi in nicchie sempre più piccole fino a esalare il
suo ultimo respiro 40mila anni fa.
venerdì 16 maggio 2014
Invecchiare fa bene alla salute
Anche per
Shakespeare la vecchiaia non portava nulla di buono con sé, lasciandoci
"senza memoria, senza denti, senza occhi, senza tutto"; una perdita
progressiva delle principali funzioni vitali, dovuta all'inesorabile
trascorrere del tempo. Oggi, però, sempre più spesso siamo circondati da over
settanta, ottanta, e in certi casi anche ultranovantenni che se la cavano
benissimo da soli e che, seppur con un po’ di energia in meno, riescono ancora a
fare quello che compivano da giovani. Non è sempre vero, dunque, che la terza
età rappresenta il peggior periodo dell'esistenza. Lo conferma una serie di studi
condotti in varie università: non solo la vecchiaia può essere bella e felice,
ma in alcuni casi può addirittura apportare un miglioramento delle condizioni
di salute. Iniziando dal sonno. Le ricerche smentiscono il luogo comune secondo
il quale gli anziani dormono sempre meno e male. I test dicono che se la salute
è buona, a dormire meglio sono soprattutto gli over 60. E, sempre se le cose
vanno bene a livello organico, i più bei sogni li fanno gli ottantenni. I
grandi vecchi dormono bene perché non sono stressati, non hanno impegni gravosi
da rispettare per l'indomani, e non si coricano di fianco al pc o al telefonino
(che obbligano il cervello a rimanere costantemente vigile). Con
l'incanutimento può migliorare anche l'attività respiratoria, specie per chi
soffre di allergie. Gli anticorpi IgE, responsabili della sensibilità ai
pollini, crollano, impedendo le risposte abnormi del sistema immunitario, alla
base della malattia. Lo stesso sistema che ci protegge dagli agenti patogeni
entra in gioco nel caso del raffreddore, del quale gli anziani sembrano "portatori
sani". Gli studi rivelano, infatti, che in un anno, mediamente, un
ragazzino prende dieci raffreddori; un over 70 è tanto se arriva a tre. I nonni
hanno avuto almeno duecento raffreddori nella loro vita e sono in pratica
diventati molto tolleranti nei confronti di particolari virus; li reggono senza
problemi e spesso li respingono. Con l'età passa anche il mal di denti;
perlomeno quello legato all'ingestione di cibi o bevande gelide. Con gli anni,
infatti, i nervi dentali si assottigliano, fino, in certi casi, a sparire del
tutto. Le cose migliorano anche sul fronte della sudorazione, fenomeno che da
giovani rende spesso complicata la convivenza con amici, colleghi e fidanzate/i.
Le famose camicie pezzate, negli over sessanta, sono una rarità. La Penn
University ha studiato nei dettagli la traspirazione di ragazze di venti anni e
ultracinquantenni verificando che, svolgendo le stesse mansioni, i livelli di
sudorazione nelle signore sono molto più bassi. Nelle donne la senilità porta peraltro
a una diminuzione dei sintomi legati al mal di testa. Complice il superamento
della menopausa, che determina un cambiamento dei fenomeni circolatori e
ormonali, a beneficio dell'organo cerebrale. Negli uomini, invece, più suscettibili
alla dipendenza da superalcolici, una potente sbornia è superata con più
facilità se si hanno alle spalle più primavere; perché con il passare del tempo
il nostro corpo si abitua all'alcol, alzando la soglia di resistenza all'intontimento
dovuto all'etanolo. Perfino il sesso, entro certi limiti, migliora con l'età.
Lo conferma uno studio condotto in Francia lo scorso anno, dal quale emerge
che, per l'83% delle persone sessualmente attive, i rapporti intimi di maggiore
qualità si verificano fra i 45 e i 65 anni. Nelle donne scompare il rischio di
gravidanze indesiderate e aumentano le fantasie erotiche; nell'uomo spariscono
molte ansie legate al corpo e, grazie a una maggiore consapevolezza dei
sentimenti, incrementa il piacere. Infine, invecchiando, si acquistano punti in
ambito psicologico, migliorando a livello caratteriale e comportamentale. Le
ricerche effettuate presso l'Università della California attestano che giorno
dopo giorno si diventa più gentili, disponibili e servizievoli. Si acquisiscono
consapevolezze diverse e anche molte nevrosi si attenuano. Secondo gli
scienziati la personalità di un individuo continua, dunque, a evolversi anche
in tarda età, predisponendo tutti noi a una grande virtù, che i più giovani
possono solo sognarsi: la saggezza.
mercoledì 14 maggio 2014
Il ritorno dell'Ebola
Si sa ancora
poco del virus Ebola, ma il vero problema è che non possediamo un vaccino
adatto per spegnere la sua azione. Per questo motivo qualche giorno fa l'Oms ha lanciato
l'allarme, e sono stati messi in allerta gli aeroporti europei, dove avvengono
i principali scali degli aerei provenienti dall'Africa: Parigi, Bruxelles,
Madrid, Francoforte e Lisbona, sono sotto stretta sorveglianza e chi atterra viene
visitato e tenuto sotto osservazione. Analogamente, nel Continente Nero, molte
compagnie aeree richiedono il certificato medico prima di avviare l'imbarco dei
passeggeri. Il codice rosso arriva dopo gli eventi delle ultime settimane in cui
s'è visto un progressivo avanzamento della malattia dai villaggi africani alle
grandi città, mentre di solito rimaneva circoscritto alle aree rurali. Dalle
metropoli, dunque, potrebbe facilmente arrivare in altre parti del mondo. L'Oms
dichiara che ci troviamo di fronte a un ceppo particolarmente aggressivo,
letale nel 90% dei casi; più virulento, dunque, dei ceppi che lo hanno
preceduto anni fa. Peraltro non esiste cura e in caso di infezione si può solo
sperare nell'auto-guarigione.
«Un'esplosione
virale fra le più difficili mai affrontate dall'uomo», dice Keiji Fukuda,
vice-direttore generale dell'Oms, azzardando che l'epidemia potrebbe proseguire
per quattro mesi. «Una situazione, in effetti, più pesante del solito», rivela Fabrizio
Pregliasco, virologo dell'Università di Milano, «benché si conosca il virus
dagli anni Settanta». I focolai originari sono stati individuati in Guinea e in
Liberia, ma il virus è già stato identificato anche in aree urbane della Sierra
Leone e del Senegal. Si sospettano attacchi anche in Mali e Ghana. Sono stati
predisposti dei centri d'isolamento, per cercare di contenere la sua
espansione, tuttavia in alcuni casi potrebbe già avere preso il largo. Ma gli
esperti invitano alla calma, parlando di "prevenzione". «A oggi non
c'è pericolo per Italia ed Europa», spiega Pregliasco, «tuttavia è necessario
non abbassare la guardia». Fukuda ritiene che ci siano i presupposti per poter
interrompere il contagio, partendo dalle più basilari misure igieniche, come
lavarsi adeguatamente le mani. Di fatto, nessuno ha ancora parlato di
"restrizioni ai viaggi o al commercio". Tutto prosegue regolarmente.
Ma preoccupano i dati. 167 casi in Guinea, con 107 morti, e 25 in Liberia, con undici vittime. E preoccupa l'agente patogeno, conclamato, lo Zaire ebolavirus, il più potente fra quelli riconducibili alla malattia, analizzato per la prima volta il 26 agosto 1976. E' molto contagioso e viene trasmesso tramite fluidi corporei, come muco o sangue, ma anche attraverso le lacrime, l'urina, la saliva e il latte materno. Più dibattuto, invece, il rischio che possa essere veicolato dall'aria: il fenomeno è stato descritto per ora solo nelle scimmie. Ma è in ogni caso agli animali che si guarda, poiché è da essi che proviene. Gli studi dimostrano, infatti, che il virus sopravvive da tempo immemore nelle volpi volanti, chirotteri di grosse dimensioni che potrebbero averlo trasmesso ai primati. All'uomo sarebbe giunto tramite il cosiddetto "bush-meat", vale a dire il consumo di carne proveniente da animali selvatici come gli scimpanzé e le antilopi. Non è detto che la malattia insorga rapidamente. In alcuni casi, infatti, i sintomi compaiono dopo venti giorni dall'infezione. E a volte viene scambiata per malaria, con inutili somministrazioni di farmaci. Diviene palese con le prime emorragie che caratterizzano la patologia, coinvolgendo tutte le aree dell'organismo.
Ma preoccupano i dati. 167 casi in Guinea, con 107 morti, e 25 in Liberia, con undici vittime. E preoccupa l'agente patogeno, conclamato, lo Zaire ebolavirus, il più potente fra quelli riconducibili alla malattia, analizzato per la prima volta il 26 agosto 1976. E' molto contagioso e viene trasmesso tramite fluidi corporei, come muco o sangue, ma anche attraverso le lacrime, l'urina, la saliva e il latte materno. Più dibattuto, invece, il rischio che possa essere veicolato dall'aria: il fenomeno è stato descritto per ora solo nelle scimmie. Ma è in ogni caso agli animali che si guarda, poiché è da essi che proviene. Gli studi dimostrano, infatti, che il virus sopravvive da tempo immemore nelle volpi volanti, chirotteri di grosse dimensioni che potrebbero averlo trasmesso ai primati. All'uomo sarebbe giunto tramite il cosiddetto "bush-meat", vale a dire il consumo di carne proveniente da animali selvatici come gli scimpanzé e le antilopi. Non è detto che la malattia insorga rapidamente. In alcuni casi, infatti, i sintomi compaiono dopo venti giorni dall'infezione. E a volte viene scambiata per malaria, con inutili somministrazioni di farmaci. Diviene palese con le prime emorragie che caratterizzano la patologia, coinvolgendo tutte le aree dell'organismo.
giovedì 8 maggio 2014
La posizione assunta durante il sonno svela la "salute" della coppia
Coppie che
scoppiano e altre che durano l'intera vita. Dipende da numerosi fattori, non
ultima la capacità di reggere i ritmi frenetici della società odierna, che
spesso minano la stabilità fisica e mentale necessaria al consolidamento di una
felice vita a due. Oggi, dunque, per capire meglio quanto funziona il nostro
rapporto possiamo soffermarci su vari aspetti della comunicazione non verbale,
ma anche sul modo in cui trascorriamo la notte; facendo riferimento, in
particolare, alla posizione che assumiamo rispetto al nostro partner. Sono le
conclusioni di uno studio pubblicato nel corso del Festival della Scienza di
Edimburgo. Gli scienziati ritengono che ci siano varie "possibilità"
di affrontare il sonno di fianco al nostro coniuge e che ognuna di esse è in
grado di darci delle indicazioni sulla nostra salute affettiva. Regola
primaria, toccarsi. Se ci si sfiora, si viene a contatto l'uno con l'altro
significa che va tutto bene; il rapporto invece risente di incomprensioni o
difficoltà se la coppia mantiene le distanze, anticipando idealmente la
"separazione dei letti". Se la distanza minima è inferiore ai 2,5
centimetri si è ancora in un range accettabile; oltre i 75 centimetri la
situazione è decisamente compromessa. 1100 persone coinvolte nel test hanno
consentito agli psicologi di stabilire che il 42% delle coppie dorme schiena
contro schiena, il 31% guardando nella stessa direzione e solo il 4%
guardandosi vicendevolmente. Nel 34% dei casi ci si addormenta abbracciandosi o
toccandosi, nel 12% mantenendo una distanza minima, nel 2% stando in pratica ai
bordi del letto. Qual è la posizione migliore?
Se ci si vuole bene e il
rapporto funziona ci si abbandona a Morfeo toccandosi, ma anche in questo caso
ci sono delle differenze. Chi dorme a cucchiaio, volgendo lo sguardo nella
stessa direzione del partner, risulta leggermente meno soddisfatto della coppia
che si corica guardandosi in faccia e in più sfiorandosi. Analogamente - fra
chi non viene a contatto con il partner - è più felice chi è rivolto nella stessa
direzione di moglie o marito. Le differenze in realtà sono minime. Chi si tocca
raggiunge gradi di soddisfazione pari al 90-91%; chi non si tocca scende al
74-76%. Nelle coppie in cui viene mantenuta una distanza netta la percentuale
precipita al 55%. Al di là dell'aspetto relazionale, la posizione assunta nel
sonno è anche in grado di suggerire il tipo di carattere di una persona. In
generale, chi dorme assumendo una posizione fetale dimostra ansia e indecisione,
al contrario della durezza che spesso lascia trapelare; rannicchiarsi lo
tranquillizza, meglio ancora se il partner osserva la stessa posizione. Dormire
"a tronco", formando con il corpo una specie di linea retta,
significa essere testardi e predisposti al comando; alla mattina questi
individui sono anche quelli che soffrono di più di problemi alla schiena dovuti
all'irrigidimento muscolare. Si può dormire a pancia in giù, assumendo una
posizione peculiare detta anche a "caduta libera" (se si tengono le
braccia allargate come un paio d'ali). In questo caso la psicologia suggerisce
figure che tendono a preoccuparsi e che a fatica riescono a gestire gli impegni
di tutti i giorni; caratterialmente possono essere molto estroversi, ma
l'ipersensibilità spesso li frena, compromettendogli anche i rapporti. Infine
c'è la "posizione del soldato" assunta da chi dorme a pancia in su,
con le braccia tese lungo il corpo. E' la posizione più rara, coinvolgente non
più dell'8% delle persone. Indica soggetti che prediligono la calma e la
tranquillità, odiano le luci della ribalta e amano starsene nel loro brodo,
spesso soffrendo di disturbi del sonno, roncopatia e apnee notturne.
venerdì 2 maggio 2014
Il nuovo volto di Gesù
Se si considera
l'immagine impressa nella Sindone, Gesù era caratterizzato da una buona
muscolatura, lunghi capelli, la barba e una discreta statura. Nessuno, però,
può provarlo. Della fisionomia del Nazareno, infatti, non parlano i Vangeli, né
le poche informazioni che arrivano dalle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio
o dagli Annali di Tacito, storici vissuti nel primo secolo. L'idea che abbiamo
oggi del Salvatore è dunque quella maturata in seguito alle opere di artisti e
religiosi succedutesi nel corso dei secoli; che, dalle raffigurazioni
allegoriche dei primi decenni del cristianesimo, sono passati all'iconografia
classica (analoga a quella offerta dal lenzuolo di lino conservato a Torino),
che vuole il Figlio di Dio sostanzialmente simile al ritratto riportato nel
mandylion, l'asciugamano nel quale, stando alla tradizione bizantina, è
riportato il vero volto di Cristo, vivente, con gli occhi aperti, e nessun
segno di tortura. Oggi, però, le cose potrebbero cambiare, se è vero quanto asserisce
Josep Padrò, archeologo dell'Università di Barcellona, in Spagna. Padrò parla
della scoperta di una misteriosa stanza sotterranea, otto metri per quattro, a
Ossirinco, nel medio Egitto, risalente al sesto secolo; dove è stato rinvenuto
il ritratto di un uomo, riccioluto, coperto da una tunica corta, che con il
braccio alzato al cielo, sta per benedire alcune persone. «Potremmo essere di
fronte a una delle primissime immagini di Gesù Cristo», spiega Padrò, «una
scoperta eccezionale». Secondo le prime ricostruzioni, in questa sede si
ritrovavano dei sacerdoti vissuti durante il periodo copto, poco prima
dell'arrivo dell'Islam; i copti, di fatto, rappresentano ancora oggi la più
grande comunità cristiana del medio oriente, legata soprattutto alla chiesa
ortodossa. Gli archeologi stanno ora cercando di decifrare le iscrizioni che
sorgono vicino all'immagine, e di analizzare i numerosi reperti trovati nei
dintorni del dipinto; compresa la sepoltura di uno scriba, morto intorno ai 17
anni, dimostrata dall'alto numero di strumenti necessari a imprimere su fogli
di papiro parole, numeri, pittogrammi, fra cui alcune ciotole per conservare
l'inchiostro. Anche in questo ambito, infatti, si pensava che dopo la morte si
continuasse a fare ciò che si compiva durante l'esistenza terrena, benché il
riferimento non fosse più il dio Anubi, ma il Regno dei cieli decantato dal Redentore.
A pochi metri di distanza sono state rinvenute altre mummie assimilabili al
periodo storico del giovane scriba; mentre le analisi dei muri hanno dimostrato
l'esistenza di strati di pittura che affondano le radici agli albori del sito e
che, verosimilmente, rimandano a "epopee" politeistiche. Padrò e il
suo team sono giunti alla "camera misteriosa" dopo un lungo scavo,
che ha portato allo smantellamento di almeno 45 tonnellate di roccia. Sono
stati rinvenuti anche colonne, cunicoli e corridoi, che hanno indotto gli
studiosi ad associare il tutto a una più ampia struttura architettonica, forse
riconducibile a un antico tempio. E' stata avanzata l'ipotesi di un sito nel
quale veniva venerato anni addietro il dio Serapide, divinità ellenica
introdotta in Egitto dalla dinastia tolemaica; o potrebbe essere stato il
centro di un "cammino processionale" utilizzato per molti secoli,
direttamente collegato alle acque del Nilo. Tesi che, comunque, non desta
grande meraviglia, considerato che nella stessa zona, da tempo, vengono
identificati importanti reperti risalenti all'antichità. E' il caso delle note
Elleniche di Ossirinco, frammenti di papiro databili fra il V e il IV secolo
a.C., riportanti la storia dell'antica Grecia, forse composta da Eforo di Cuma,
autore della "Storia Universale", un'opera comprendente trenta libri.
Dopo la scoperta è stato direttamente coinvolto negli scavi il ministro
egiziano delle Antichità, Mohamed Ibrahim, convinto che sia necessario
preservare ogni traccia delle prime forme di arte cristiana.
lunedì 28 aprile 2014
Sogni maschili e femminili, le differenze
Una ricerca
condotta a Oxford qualche anno fa mostrava, da un punto di vista anatomico, le
differenze riscontrabili fra il cervello maschile e quello femminile. Nella
donna è più sviluppata l'area del linguaggio e dell'intuizione, nell'uomo
quella concernente l'attività motoria. Il cervello maschile possiede il maggior
numero di sinapsi (aree di collegamento fra le cellule del cervello) e uno
spessore più marcato della corteccia; ma nella donna il "cablaggio"
neuronale funziona meglio, mettendo più facilmente in contatto i due emisferi.
Altre differenze sono state evidenziate dal punto di vista fisiologico, con
ripercussioni su carattere, umore ed evoluzione di patologie legate all'ansia e
alla depressione (nelle femmine molto più frequenti). Uomini e donne vivono
dunque su pianeti distinti e un'ulteriore conferma si ha oggi da uno studio
condotto presso l'Università di Montreal, in Canada, dal quale emerge che sesso
forte e debole sognano anche in modo diverso.
572 persone
coinvolte nel test e invitate a redigere un diario quotidiano, hanno permesso
ai ricercatori di mettere in luce i temi ricorrenti dei sogni nei due sessi,
con un occhio di riguardo per gli episodi più "terrificanti". E'
emerso che quando l'uomo è vittima di un "brutto sogno" ha soprattutto
a che fare con terremoti, inondazioni, conflitti a fuoco; la donna con problemi
interpersonali, litigi, e incomprensioni. E' un retaggio evolutivo. Dalla notte
dei tempi, infatti, l'uomo ha il compito di valere soprattutto dal punto di
vista fisico, dimostrando di sapere proteggere il nucleo familiare da calamità
naturali e scontri con altri individui, la donna da quello
"sentimentale". «Senza dubbio vi possono essere differenze fra i sogni
maschili e quelli femminili», racconta Luca Ambrogio, primario neurologo dell'Ospedale
di Cuneo, «partendo dal presupposto che i sogni hanno un elevato contenuto
emotivo, e che la sensibilità femminile è più spiccata di quella
maschile». L'uomo inoltre sogna di volare, raggiungere mondi fantastici e
irreali, la donna di essere attaccata da un animale feroce o pedinata. Entrambi
fanno sogni a sfondo sessuale - compreso quello di ritrovarsi a vestire i panni
di un individuo dell'altro sesso - ma nell'uomo sono più frequenti.
Ma quanto reali e attendibili possono essere considerati i risultati ottenuti dall'equipe canadese? «La verità è che abbiamo una conoscenza formale e non sostanziale dell'attività onirica, di fatto allucinatoria e caotica», continua Ambrogio. «In genere si ricorre a un diario per annotare i sogni, tuttavia quello che ricordiamo è solo l'ultimo o quello sviluppatesi in concomitanza con il risveglio. Comporta un limite qualitativo e quantitativo dell'esperienza maturata nel sonno, per cui si rischia di valutare solo in parte il reale contenuto onirico». Ecco perché, ancora una volta, è lo stesso Freud (capostipite delle ricerche sui sogni) a vacillare. «Anche la teoria freudiana, infatti, rischia di cadere di fronte a queste indicazioni della scienza moderna», prosegue Ambrogio. «Di fatto lo scienziato austriaco aveva basato i suoi studi sui classici ricordi onirici, che però possono essere fuorvianti e limitati». La ricerca di Montreal ha anche permesso di valutare la differenza fra un incubo vero e proprio e un "brutto sogno". Solo nel primo caso, infatti, si possono avere gravi ripercussioni sulla quotidianità, con compromissione definitiva del sonno e uno stato di allerta costante che si ripercuote sulla salute generale.
Ma quanto reali e attendibili possono essere considerati i risultati ottenuti dall'equipe canadese? «La verità è che abbiamo una conoscenza formale e non sostanziale dell'attività onirica, di fatto allucinatoria e caotica», continua Ambrogio. «In genere si ricorre a un diario per annotare i sogni, tuttavia quello che ricordiamo è solo l'ultimo o quello sviluppatesi in concomitanza con il risveglio. Comporta un limite qualitativo e quantitativo dell'esperienza maturata nel sonno, per cui si rischia di valutare solo in parte il reale contenuto onirico». Ecco perché, ancora una volta, è lo stesso Freud (capostipite delle ricerche sui sogni) a vacillare. «Anche la teoria freudiana, infatti, rischia di cadere di fronte a queste indicazioni della scienza moderna», prosegue Ambrogio. «Di fatto lo scienziato austriaco aveva basato i suoi studi sui classici ricordi onirici, che però possono essere fuorvianti e limitati». La ricerca di Montreal ha anche permesso di valutare la differenza fra un incubo vero e proprio e un "brutto sogno". Solo nel primo caso, infatti, si possono avere gravi ripercussioni sulla quotidianità, con compromissione definitiva del sonno e uno stato di allerta costante che si ripercuote sulla salute generale.
mercoledì 9 aprile 2014
Malati di deja-vu cronico
Come è noto la sensazione di aver
già vissuto un certo evento prende il nome di deja-vu. Ma fino a oggi si
pensava che potesse riferirsi solo a brevissimi istanti, secondi. Ora invece si
scopre che c’è anche chi soffre di déjà–vu cronico. Ovvero di "flash
temporali" che possono durare anche un’intera giornata. Il fenomeno è
stato analizzato per la prima volta da un team di studiosi dell’Institute of
Psychological Sciences dell’University of Leeds su due individui: il primo
affetto da demenza, il secondo, da una patologia del lobo temporale. In
entrambi i casi si è avuto a che fare con soggetti che avevano rifiutato degli
incontri perché arciconvinti di averli già avuti. “Un signore non voleva venire
in clinica a farsi visitare perché sosteneva di esserci già stato, anche se era
impossibile", ha rivelato Chris Moulin a capo della ricerca. Secondo gli
scienziati la comprensione dell’esistenza del déjà–vu cronico può aiutare a
risolvere alcune patologie mentali. “Finora abbiamo completato la storia
naturale di questo fenomeno, abbiamo sviluppato un test diagnostico e le
corrette domande cliniche da porre ai pazienti. Il prossimo passo sarà
ovviamente trovare dei trattamenti efficaci contro questa patologia
invalidante”. Il termine déjà-vu (letteralmente “già visto”) venne introdotto
dallo psicologo F. L. Arnauld nel 1896. Contrariamente a quello che si può
pensare, sono esperienze molto diffuse. Un sondaggio Gallup del 1991 ha mostrato che il 56%
degli americani adulti ha provato tale esperienza. La psicoanalisi spiega il
fenomeno del déja-vu in termini di inconscio. In pratica riaffiorerebbero alla
coscienza dei ricordi o pensieri repressi. Il soggetto avrebbe realmente
vissuto l’esperienza in questione ma, anziché un ricordo cosciente,
riaffiorerebbe soltanto una vaga sensazione di familiarità.
sabato 5 aprile 2014
L'intelligenza dei corvi (o di un bimbo di 7 anni)
Gli manca solo la
parola. E' la classica frase che accompagna il commento su un cane che vive
insieme al suo padrone da anni, in un rapporto simbiotico che sembra non
presentare differenze con quello che si instaura, per esempio, con un coniuge o
un figlio. E non è del tutto errata se è vero che, di norma, l'intelligenza di
un quattro zampe è riconducibile a quella di un bimbo di due anni; piccolo,
certo, ma già in grado di provare sentimenti e riconoscere fatti e persone. In
realtà, c'è un animale ancora più intelligente, che di rado coinvolge il nostro
immaginario: il corvo della Nuova Calidonia (Corvus moneduloides), già noto per essere l'unica specie non
appartenente ai primati in grado di utilizzare strumenti e oggetti per ottenere
benefici. La ricerca pubblicata pochi giorni fa su PLOS ONE dice che l'uccello
è in grado di "ragionare" su una serie di cilindri contenenti acqua,
sulla cui superficie giacciono larve di insetto, di cui il volatile è ghiotto.
Si è, infatti, visto che l'animale intuisce la necessità di dover alzare il
livello del liquido per poter giungere a cibarsi della leccornia. E che per compiere
l'operazione non sceglie a caso fra i vari strumenti che gli sono messi a
disposizione, ma utilizza quelli più pesanti, dei sassolini per esempio, capaci
di occupare parte del volume del liquido e incrementare, quindi, il livello
all'interno del contenitore. Gli esperti ritengono che una simile prerogativa sia
assimilabile a quella di un bambino di età compresa fra i 5 e i 7 anni. Sara
Jelbert dell'Università di Auckland è convinta dell'arguzia dei corvi della Nuova
Caledonia e parla senza mezzi termini di "risultati sorprendenti". E
aggiunge che l'intelletto animale è un mondo ancora tutto da esplorare, e che
molto probabilmente fino ad oggi abbiamo sottostimato le potenzialità
intellettive delle specie che ci circondano. Comprese quelle con cui, come nel
caso del corvo, raramente veniamo in contatto. Anche perché evitiamo
appositamente di farlo. Esempio classico, i topi. Ne stiamo vivamente alla
larga, eppure posseggono un intelletto sopraffino. Un sistema di comunicazione
molto efficiente, appannaggio delle specie più evolute, e una rigida gerarchia,
con figure che capeggiano e altre che soccombono alla famiglia. Non mancano
casi di mobbing, in cui un esemplare viene volutamente tenuto lontano dalla
"comunità", in certi casi fino a farlo perire di stenti. Se c'è da
abbuffarsi di un formaggino, sono capaci di tutto: centrare un canestro,
contare monetine, e addirittura scivolare su un mini skateboard. Poco
conosciute anche le performance del cosiddetto "cervellone degli
abissi". Il polpo, al di là della sua innata capacità di cambiare colore
per sfuggire ai predatori e di autoripararsi un tentacolo ferito, è in grado di
aprire bottiglie e barattoli contenenti gamberetti, trovare la via giusta per
uscire da un labirinto, svitare una valvola idraulica (senza però accorgersi
che lo svuotamento di una bacino decreterebbe la sua condanna a morte). Lo
scettro della massima intelligenza animale, però, spetta ai mammiferi più progrediti,
specie come gli elefanti, le scimmie, i delfini. Recentemente s'è visto che i
pachidermi sono in grado di provare sentimenti tipicamente umani come
l'empatia, la pietà, la solidarietà. Fra le scimmie, scimpanzé e gorilla, sono
i più dotati, arrivando a sviluppare un'intelligenza analoga a quella di un
bimbo di 4-5 anni, similmente a ciò che accade nei delfini, capaci perfino di
esprimersi romanticamente, organizzarsi per il futuro, e aiutare persone in
difficoltà.
martedì 1 aprile 2014
Consolide agratesi
Una bellissima colonia di consolida maggiore (Symphytum tuberosum) è spuntata a pochi metri da casa mia, in un
fazzoletto di terra circondato da auto parcheggiate; credo sia la prima volta
che accade, poiché da anni tengo d'occhio il prato in esame e i fiori che ogni
primavera vi spuntano. E' una pianta vigorosa, superba, piena di vita.
Riconoscibile per i fiorellini giallo pallidi e per le foglie pelose e
picciolate. Originaria dell'Europa meridionale, sta bene all'ombra, in terreni
umidi…
Eni cyberspaziale
La prima impressione che si ha indossando gli occhiali forniti dai tecnici dell'Eni e varcando la soglia della cosiddetta "aula Cave", in funzione da pochi mesi, è quella di vivere una sorta di esperienza extracorporea, in cui si ha a che fare con un mondo "vivo e pulsante", ma assolutamente virtuale. Proprio come accade nel cinema o in certi romanzi di fantascienza. E come hanno nei decenni auspicato figure passate alla storia come Jaron Lanier, inventore del termine "virtual reality" e William Gibson, coniatore di "cyberspazio". Ci si muove in un'area di circa sette metri quadrati, circondati da cinque pareti (di cui quattro retroproiettate), interagendo con strutture fisicamente percepibili, ma del tutto inesistenti; grazie anche a speciali pantofole che registrano i movimenti, permettendo di vivere in 3d, e analizzare nei dettagli una strada, un albero, un parcheggio, e a software studiati appositamente per conferire il massimo realismo alla scena. E' uno dei risultati più interessanti ottenuti dall'Eni, all'indomani dello stanziamento di 90 milioni di euro per implementare una nuova classe di professionisti, perfettamente al passo coi tempi e le esigenze del mercato; che sappia destreggiarsi non solo dal punto di vista teorico, ma anche pratico. «Si tratta di un’affascinante e divertente immersione nella realtà virtuale, che stimola e facilita l’apprendimento e costituisce una fase propedeutica alla reale azione sugli strumenti di controllo degli impianti industriali», spiega Gianluigi Castelli, Vice President ICT di Eni. L'aula Cave è un luogo di esercizio, uno spazio virtuale "immersivo" e stereoscopico, che consente di interfacciarsi con scenari simulati che riproducono ambienti reali, stuzzicando i sensi, in particolare la vista. Piattaforme petrolifere, trasporto di greggio, colonne di distillazione, pozzi di perforazione, benzinai, prenderanno vita tramite schermi retroproiettati, consentendo agli ingegneri di comprendere dinamiche meccaniche altrimenti impossibili da decifrare, se non sul posto di lavoro, spesso lontanissimo da casa. «Lo scenario visualizzato nella Cave», continua Castelli, «viene costantemente ricostruito dinamicamente in funzione della posizione e del movimento della persona all’interno dell’ambiente, creando una vera e propria sensazione di immersività». I primi a usufruire di questo servizio saranno i neo progettisti e gli operatori degli impianti delle società del gruppo, con corsi in cui l'attività pratica occuperà un ruolo prioritario. Ma potranno utilizzarla anche figure già rodate, intente allo sviluppo di progetti innovativi, e alla preparazione di nuovi materiali o prodotti. L'esperienza Eni è l'ennesimo traguardo raggiunto nel campo della realtà virtuale, che sempre più spesso è impiegata in ambito industriale, dalla medicina, all'ingegneria navale, dall'industria miliare, alla microbiologia. Non è dunque lontano il giorno in cui, come dice Morpheus, capitano della città di Zion, nel film Matrix, "non sapremo più distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà".
I rifornimenti del futuro:
Una stazione di servizio iper-tecnologica, dove fermarsi a fare benzina in modo rapido e sicuro: è la prima simulazione realizzata con successo nell'aula Cave. Fra pochi anni potrebbe già essere operativa, a San Donato Milanese e a Roma. Si tratta di un'area di rifornimento dotata di numerosi strumenti hitech, pensati per rendere agevole ogni operazione svolta dal benzinaio. Per arrivare a questo risultato i tecnici dell'Eni hanno percorso in lungo e in largo l'Italia nel 2013, evidenziando gli aspetti meno simpatici legati alle stazioni di servizio tradizionali, tipo quello di dover spendere parecchio tempo prima di rifornirsi, perché manca l'addetto alle pompe o il bancomat non funziona. La stazione di servizio del futuro funzionerà grazie all'energia pulita. Si otterrà da una serie di pannelli fotovoltaici posti sul tetto della struttura, disposti in modo esagonale per ottimizzare gli spazi (proprio come fanno le api quando costruiscono un alveare o i fiocchi di neve quando si formano). Altra energia deriverà dalle pale eoliche, poste nelle vicinanze dell'area di rifornimento e da "tappeti hitech", in grado di "assorbire" e trasformare l'energia cinetica dei veicoli. Grande importanza avranno i bracci robotici che si sostituiranno agli arti del benzinaio, e consentiranno di riempire il serbatoio senza scendere dall'auto. Il pagamento sarà semplificato dall'impiego di un'app connessa alla carta di credito (e dunque di uno smartphone) che permetterà passaggi di denaro senza dover utilizzare i contanti o il bancomat. Il servizio si baserà su sistemi di riconoscimento tramite cellulare, lettura della targa e chip che permetteranno al cliente di muoversi verso la pompa di benzina libera più adatta alla sua tipologia di macchina.
Iscriviti a:
Post (Atom)
-
Oggi praticamente ogni organo può essere trapiantato, consentendo la sopravvivenza (anche di molti anni) di individui altrimenti spacciati. ...
-
La maggior parte delle persone, quando parla al telefono o partecipa a una riunione, se ha a disposizione un foglio bianco e una biro, si ri...
-
Adamo: 930 anni. Set: 912. Noè: 950 anni. Matusalemme: 969 anni... Sono gli anni che avevano alcuni dei più importanti personaggi della Bibb...