giovedì 3 novembre 2016

Coma neurovegetativo: il parere di Connolly




Il cervello delle persone in coma neurovegetativo funziona più di quanto non si pensi. È quel che sostiene John Connolly dell’Università di Dalhousie in Nova Scozia (Halifax-Canada). Lo scienziato ha studiato l’attività cerebrale di pazienti tenuti in vita dalle macchine e ha scoperto che in alcuni la funzione del cervello è tutt’altro che assente. Per Connolly, dunque, l’eutanasia è un male della società, perché contribuisce a eliminare persone che in qualche modo sono ancora vive.

Secondo lo studioso canadese una buona parte dei pazienti che si trova in coma neurovegetativo possiede infatti un certo grado di consapevolezza: il contrario di quanto ritenuto finora che vede invece gli individui che hanno subito dei gravissimi traumi incapaci di intendere e di volere. A ciò è giunto dopo aver installato degli elettrodi su quattro pazienti selezionati per l’esperimento, inerti da più di un anno. Lo scienziato si è inizialmente rivolto loro pronunciando una serie di frasi sconnesse e prive di significato, e ha in seguito annotato i dati ricavati dalle singole attività cerebrali. Nel 75% dei casi ha rivelato che il cervello dei pazienti in coma irreversibile non è spento, ma ha ancora voglia di lavorare e quindi di sopravvivere. 

Connelly è famoso in patria e nel mondo per le innovative tecniche di indagine nel campo della mente umana. In particolare i suoi studi si basano su indagini di magnetoencefalografia e immagini di risonanza magnetica. Dei risultati analoghi il ricercatore di Halifax li ha conseguiti anche in passato su una ventina di pazienti sempre in stato di coma neurovegetativo.

La notizia è stata accolta da molti esperti del settore con scetticismo e incredulità. A sfavore delle tesi sostenute da Connelly si è schierato David Good della Wake Forest University di Winston – Salem in North Carolina (USA). Secondo lo scienziato statunitense infatti i risultati di Connelly andrebbero presi con le pinze, anche se non ha nascosto che spesso i grandi traguardi della medicina si ottengono proprio dalle piccole osservazioni come quelle appunto effettuate dal medico dell’Università di Dalhousie. 

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