Nel 1968 Gabriele Veneziano è un ragazzotto di 26 anni, laureatosi in fisica presso l'Università di Firenze, sotto la supervisione di Raoul Gatto, fra i più noti e importanti fisici italiani. Ha da poco cominciato a ragionare sui cosiddetti “modelli duali”, riferiti a complessi calcoli matematici concernenti l'affascinante mondo delle particelle subatomiche: vuole comprendere i misteri che ancora avvolgono l'intimità della materia, per far luce sui limiti che da sempre condizionano la relatività einsteniana, impedendo di perscrutare adeguatamente le dinamiche che si instaurano nel cuore di un atomo. Da qui, inaspettatamente, innesca una serie di studi che porta allo sviluppo di una delle teorie più controverse delle fisica moderna e non ancora del tutto chiarita: la teoria delle stringhe. Di cosa si tratta? È un principio basato sul fatto che le entità fondamentali nel nostro universo non sono rappresentate, come si suol credere, da elettroni, neutrini e quark, bensì da minuscole corde (o, dall'inglese, strings=stringhe) che vibrano nello spazio, dando “forma” alle particelle sub-nucleari. Il fenomeno può essere assimilato alle corde del violino che vibrando producono le note di un pentagramma. A ogni vibrazione corrisponde, dunque, una particolare carica energetica, considerato lo stretto legame che sussiste fra massa ed energia, elaborato da Einstein nella sua più celebre formula, E=mc2. Ma queste entità sono molto più piccole delle corde di un violino. La loro dimensione ha, infatti, a che fare con un mondo totalmente invisibile all'occhio umano, lunghezze dell'ordine della scala di Planck, scale dell'infinitamente piccolo: una stringa misura solo 10 alla -34 centimetri! Inoltre le vibrazioni non avvengono nel tradizionale spazio a quattro dimensioni (lunghezza, altezza, larghezza, cui va aggiunto il tempo), ma in uno spazio a dieci dimensioni, sei in più rispetto al mondo a noi famigliare. Ma come è possibile non accorgerci di un mondo con così tante dimensioni?
Il punto è che quelle che noi non vediamo è come se fossero ripiegate su se stesse in ambiti spaziali ristrettissimi, inconciliabili con la nostra quotidianità, dove anche il concetto di “vista a occhio nudo” risulterebbe un eufemismo. Un piccolo aiuto può esserci fornito da un equilibrista del circo che cammina su un filo. Per lui si tratta di un'entità mono-dimensionale: può, infatti, andare solo avanti o indietro. Ma per una formica alle prese con lo stesso esercizio, in grado, in realtà, anche di ruotare intorno a esso, il filo è bidimensionale. L'equilibrista, dunque, non può sperimentare la seconda dimensione, perché per lui è troppo piccola ed è come se non esistesse. Sicché è solo a ridottissime distanze che si possono osservare le sei dimensioni extra analizzate. Ma allora qual è la relazione fra una stringa, il tempo e lo spazio? «Una stringa occupa una linea nello spazio in ogni istante del tempo, così che la sua storia nello spazio-tempo è data da una superficie bidimensionale chiamata 'foglio d'universo' (world-sheet)», spiega il noto fisico americano Stephen Hawking. Le stringhe, però, non sempre mantengono la loro autonomia: due pezzi di stringa, infatti, possono unirsi per formare un'unica stringa, un po’ come accade con le gambe dei pantaloni; e similmente, un singolo pezzo di stringa, può dividersi in due stringhe, propagarsi nello spazio e interagire con altre strutture analoghe.
La teoria delle stringhe mira a fornire un risultato concettuale molto ambizioso: rendere compatibili i due capisaldi della fisica moderna, la teoria della relatività e la meccanica quantistica. Non è un compito facile, poiché le due teorie non sembrano facilmente conciliabili: da una parte c'è l'universo, l'infinitamente grande, con le sue geometrie spazio-temporali e la gravità, quindi la relatività einsteniana, dall'altra il mondo delle onde e delle particelle, l'infinitamente piccolo, descritto dalla meccanica quantistica, dall'interazione elettromagnetica, dalle due forze nucleari, forte e debole. «La teoria delle stringhe si prefigge di spalmare l'interazione gravitazionale su distanze non nulle, grazie a dei miracoli quantistici», dice Veneziano. «Si parte da un principio piuttosto modesto, ovvero l'ipotesi che tutto sia fatto da piccole cordicelle vibranti, che hanno la possibilità di essere relativistiche e quantistiche». Ecco il succo della teoria delle stringhe, cavillo che ha sempre assillato anche Albert Einstein, che, a tutti coloro che gli chiedevano una teoria in grado di sintetizzare al meglio tutto ciò che ci circonda, rispondeva con sarcasmo: «Devo sembrare uno struzzo che seppellisce la testa nella sabbia relativistica per non far fronte ai quanti demoniaci».
I primi effettivi risultati inerenti il lavoro svolto da Veneziano arrivano nel 1974, con la pubblicazione di un articolo da parte di Joel Scherk e John Schwarz, rispettivamente del California Institute of Technology e dell'École Normale Supérieure di Parigi: si addentrano nei meandri della fisica per dimostrare che la teoria delle stringhe può efficacemente descrivere la forza gravitazionale, purché la tensione di una singola stringa sia estremamente elevata (circa 10 alla 39esima tonnellate). «L'analogia con le corde di un violino può nuovamente tornare utile», afferma Matteo Bertolini, ricercatore nel Settore di Fisica delle Particelle Elementari della SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste. «Per produrre le note, la corda di un violino va fatta vibrare, diversamente non sentiremmo alcun suono. Per farlo, però, occorre esercitare una forza sulla corda stessa. La tensione di una stringa è pertanto la forza (per unità di lunghezza) che bisogna esercitare per fare vibrare la stringa e produrre i cosiddetti “stati di particella”».
Il traguardo conferma che, su scale di lunghezza ordinarie, le predizioni del nuovo principio fisico sono esattamente le stesse di quelle inerenti la relatività generale; le differenze si hanno solo su scale estremamente piccole, minori di 10 alla -33 centimetri. È anche la prova definitiva che consente di coniugare le tre forze che governano le interazioni tra le particelle subatomiche (elettromagnetismo, forza nucleare e forza debole) alla gravità einsteniana. La ricerca del duo, però, non ottiene molto successo, anche perché mancano dati papabili in grado di confermare empiricamente la rivoluzionaria tesi. Peraltro Scherk viene a mancare all'improvviso, per una crisi diabetica, lasciando solo il partner nell'ardua rincorsa alla “teoria del tutto”. Così, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, l'idea di conciliare relatività e meccanica quantistica cade nel dimenticatoio, surclassata da eventi astronomici e di ingegneria spaziale di grido come la scoperta degli anelli di Urano (1977), il lancio del primo shuttle (1981), l'arrivo della cometa di Halley (1986).
A metà degli anni Ottanta, però, nuovi studi condotti da John Schwartz e Michael Green del Queen Mary College di Londra, mostrano come la teoria sia perfettamente attendibile quantisticamente, aprendo una nuova era, la cosiddetta “prima rivoluzione della stringa”. È l'avvento della stringa eterotica, una versione della teoria che sembra in grado di spiegare tutti i tipi di particelle che osserviamo. Il riferimento, in questo caso, è a stringhe ibride, a metà strada fra l'originale stringa bosonica (che ha dato il via a questo tipo di studi) e una superstringa, coinvolgente aspetti più specifici della materia come i fermioni e la supersimmetria (che associa particelle bosoniche a particelle fermioniche).
Dopo un nuovo periodo di relativa tranquillità, una seconda rivoluzione avviene nella seconda metà degli anni Novanta, grazie a una serie di progressi teorici, che permettono di comprendere molto più a fondo le proprietà della teoria, le sue potenzialità e ripercussioni. A questa fase contribuisce anche Brian Greene - secondo il Washington Post il “miglior divulgatore al mondo di concetti astrusi” - co-direttore del Centro per le Stringhe, la Cosmologia e la Fisica Astroparticellare della Columbia University, divenuto celebre dopo la pubblicazione del bestseller L'universo elegante. «Molte cose sono cambiate», rivela Greene. «Negli anni Ottanta la teoria delle stringhe vira da una teoria delle interazioni forti a una teoria di tutte le interazioni, compresa la gravità. Dagli anni Novanta fino a oggi capiamo, invece, che alcune versioni della teoria delle stringhe sono in realtà teorie di gauge», paradigmi in grado di descrivere in un quadro teorico unificato le teorie quantistiche dell'elettromagnetismo, dell'interazione nucleare debole e dell'interazione nucleare forte.
Secondo Stephen Hawking sono due le ragioni che riportano in vita la teoria delle stringhe: «Una di queste è legata al fatto che non si stavano facendo molti progressi nel cammino della dimostrazione che la super-gravità garantisse valori finiti o che fosse in grado di spiegare i tipi di particelle che di fatto osserviamo». Nel 1996 i fisici teorici Andrew Strominger e Cumrum Vafa, dell'Harvard University, mostrano, per primi, come alcune delle misteriose proprietà dei buchi neri - alcuni dei quali presumibilmente “costituiti” da elementi riconducibili all'infinitamente piccolo delle stringhe - possano essere comprese dalla teoria di stringa. In particolare, propongono un procedimento matematico innovativo che consente di calcolare il numero di “riordinamenti” dei minuscoli mattoni alla base dell'enigmatico oggetto spaziale. La cifra ottenuta concorda esattamente con il valore dell'entropia calcolato da Jacob Bekenstein e Stephen Hawking, fondamentale per mantenere valido il secondo principio della termodinamica.
Negli anni successivi diversi studiosi tra i più riconosciuti, tra i quali Edward Witten di Princeton e Joe Polchinski del KITP di Santa Barbara, danno ulteriori contributi allo sviluppo della teoria. Ma è a partire dal 1997, con le ricerche del fisico argentino Juan Maldacena, inerenti la cosiddetta "corrispondenza olografia", che si aprono scenari decisamente sorprendenti. «La rivoluzionaria tesi suggerisce l'esistenza della perfetta equivalenza tra una teoria gravitazionale in uno spazio a n dimensioni, con teorie non gravitazionali in spazi a n-1 dimensioni», precisa Bertolini. La teoria delle stringhe diventa così uno strumento per comprendere fenomeni fisici negli ambiti più diversi, dalla fisica nucleare, all'idrodinamica, fino alla fisica della materia condensata. È, quindi, una rivoluzione anche dal punto di vista sociologico, poiché avvicina alla teoria di stringa non solo i "cercatori della teoria del tutto", ma i fisici di ogni campo.
Ai giorni nostri la teoria delle stringhe continua ad affascinare gli scienziati di tutto il mondo e, come ogni sfida che si rispetti, a generare entusiasmo e dubbi; le perplessità derivano dal fatto che, malgrado i notevoli progressi scientifici compiuti, non esistono ancora prove empiriche e reali della sua validità. Ma i lavori proseguono incessanti. «Ultimamente si sta assistendo a una stretta e vivace cooperazione tra i numerosi "stringhisti" e i fisici teorici della materia condensata», dice Bertolini. «Contemporaneamente, gli studi teorici più formali, continuano a essere orientati a comprendere le caratteristiche più intime della teoria, che presenta ancora molte lacune». Nuove e importanti scoperte potrebbero, dunque, essere dietro l'angolo, grazie soprattutto all'attività dei cosiddetti acceleratori di particelle, dove possono essere condotti esperimenti su piccolissima scala: «Alcune predizioni dei modelli di stringa, concernenti, per esempio, le dimensioni extra, la super-simmetria, i diversi aspetti della corrispondenza olografica, potrebbero trovare una conferma diretta presso l'LHC, l'acceleratore di particelle del CERN di Ginevra», chiude Bertolini. «I prossimi anni saranno sicuramente stimolanti e ricchi di nuove scoperte».
(Pubblicato sulla rivista Newton)