martedì 30 ottobre 2012
La storia della Legge di gravità
Isaac Newton ha tredici anni e segue con vivo interesse dei lavoratori intenti a edificare un mulino a vento nei pressi della città di Grantham. Da poco ha fatto la sua comparsa questo tipo di costruzione, e il piccolo Isaac ne è entusiasta: torna a casa e annota su un taccuino tutto ciò che ha visto, oltre a fabbricare un modello in miniatura del mulino con cui lascia ammutoliti i coetanei. Dopo qualche giorno giunge alla fine dell'opera, ma gli manca il “mugnaio” che possa attivare la ruota. Lo trova pensando al topolino che gli gira per casa, obbligandolo a percorrere un tragitto ben preciso. È un piccolo affresco che racconta la quotidianità del genio secentesco, che grazie a questa sua attitudine a studiare e indagare la funzionalità delle “cose” arriverà addirittura a comprendere il funzionamento dell'universo. A ciò, naturalmente, arriva per gradi, appassionandosi innanzitutto della filosofia naturale, la materia che lo strappa dalla convinzione di essere un reietto, un individuo inadatto al mondo e per questo facilmente attaccabile dai compagni e dalle istituzioni. In casa dei Clark, dove è stato affidato dalla madre per frequentare le scuole secondarie, trova tre autori che rivoluzionano il suo pensiero: René Descartes, autore di una teoria sui colori dell'arcobaleno; Giovanni Keplero, scopritore della tesi secondo la quale un pianeta ruota intorno al Sole tanto più lentamente quanto più è lontano; Christiaan Huygens, che inaugura il concetto di forza centrifuga. Porta a termine con successo il primo ciclo scolastico, ma incalzato dalla madre viene, in pratica, obbligato a prendersi cura della tenuta ereditata dal reverendo Barnabas Smith, col quale era convolata a nozze anni prima; ma il lavoro in una fattoria non si addice al giovane scienziato. Sono, infatti, più i disastri che combina, che non le azioni che possano concretamente giovare alla tenuta. Troppo sbadato per dedicarsi all'agricoltura e all'allevamento, un giorno, mentre è intento a collaudare una piccola ruota idraulica, non si accorge che i maiali sono scappati e che stanno divorando il mais del vicino. La madre, per l'inadempienza del figlio, viene multata e, per l'ennesima volta imbufalita dall'apparente inettitudine del figlio, rispedisce Isaac a Grantham, dove è, invece, accolto con grande calore dai vecchi professori, consci del suo immenso talento. Da lì a poco raggiunge le aule del Trinity College, il collegio più prestigioso di tutta l'università di Cambridge. È un “subsizar”, ossia uno di quei ragazzi che per studiare deve lavorare. Il suo genio, nel frattempo, progredisce: seziona il cuore di un anguilla per capire come funziona e si punge l'occhio con un bastoncino per capire la genesi dei colori, rischiando di ferirsi malamente. Nel 1664, però, per le troppe ore strappate al sonno, crolla ed è costretto a letto per un lungo periodo. Riesce comunque a passare con successo gli esami di fine anno, prima che la peste sconvolga l'Inghilterra, portando alla chiusura dell'università. Durante l'estate del 1665 Isaac gode, dunque, di molto tempo libero, che trascorre in giardino a riflettere sulle meraviglie della natura. Ed è presumibilmente in questo periodo che si sofferma per la prima volta sul problema della gravità, in relazione, per esempio, alla caduta di un frutto dall'albero o al sorgere e tramontare della Luna (da cui sono state tratte numerose leggende sul suo conto). Da qui partono una serie di interrogativi che lo stuzzicheranno per gli anni a venire: perché la mela cade orizzontalmente e non obliquamente? E che cosa sarebbe successo se fosse precipita da un punto più alto? Per esempio dalla Luna? Ha subito, però, una mezza risposta. Tutto ciò dipende dal fatto che la forza centrifuga di Huygens trascina la Luna lontano dalla Terra. Iniziano così i calcoli che porteranno a una delle più rivoluzionarie leggi della scienza: la legge della gravità universale, termine che rimanda al latino “gravis”, pesante. Prende spunto dalle leggi di Keplero. La prima dice che T2=costante x d3. Significa che un anno planetario T elevato al quadrato equivale al multiplo della distanza del pianeta dal Sole elevata al cubo. Ciò spiega perché Mercurio, il pianeta più vicino al Sole, possiede un anno di 88 giorni, contro i 90.410 giorni di Plutone, alle periferia del Sistema solare. La seconda legge dice che i pianeti proseguono lungo la loro orbita a velocità irregolari; mentre la terza si riferisce alle orbite ellittiche dei corpi planetari, e non sferiche come si era sempre creduto. Torna, dunque, ai frutti del suo giardino e alla cascola e rimugina sul fatto che la Luna non cade al suolo come la mela perché, evidentemente, la forza gravitazionale della Terra si oppone alla forza centrifuga della Luna. Valuta che il tutto debba dipendere dalla distanza fra le due masse e dalla velocità con cui il satellite si muove intorno al pianeta di riferimento. Riprende, quindi, la prima legge di Keplero elaborando che la forza centrifuga della Luna possa essere data dalla costante x m x d diviso la costante x d elevato al cubo. Da ciò ricava che la forza gravitazionale terrestre è uguale alla forza centrifuga lunare, a sua volta corrispondente alla costante x m diviso d al quadrato. È la conferma che l'attrazione gravitazione terrestre si indebolisce con l'aumentare della distanza dalla Terra, esattamente del quadrato della distanza. E spiega il motivo per cui una mela che si trova a una distanza due volte maggiore dalla Terra subisce un quarto dell'attrazione. A questo punto si fa largo nella mente del fisico un nuovo quesito: qual è la causa della forza gravitazionale? E per risolverlo si sofferma sul fatto che la forza gravitazionale non è unilaterale, poiché ogni corpo esercita una gravitazione su un altro (anche se piccolo); altrimenti non si spiegherebbero, per esempio, le maree. La sua prima teoria deve, quindi, essere rintuzzata introducendo un nuovo elemento, la massa 2. Si ottiene che la forza gravitazionale terrestre è data dalla costante x M (massa grande) x m (massa piccola) diviso d al quadrato, dove il termine 'costante' può ora essere sostituito con G, la costante gravitazionale di Newton; la misura precisa di G risale agli studi di Cavendish, che utilizza una bilancia di torsione, caratterizzata da due sfere di piombo fissate alle estremità di un'asta lunga due metri. Con questa formula si aprono moltissime prospettive. Si possono compiere calcoli su qualunque rapporto fra due masse, per esempio Galileo e Giove o il Sole e una cometa che ruota intorno ad esso. Nel 1682, quando compare nei cieli di Londra una cometa, per Newton l'universo non ha più misteri. È la stessa vista da Keplero nel 1607, e quella che passerà di nuovo dalla Terra nel 2061. Un'ulteriore prova della legge gravitazionale è data dalla possibilità di ipotizzare l'esistenza di Nettuno, senza osservazioni empiriche, ma solo con calcoli matematici. Oggi abbiamo modo di verificarla osservando il comportamento delle sonde interplanetarie, tipo quelle che hanno consentito all'uomo di atterrare sulla Luna, di visitare Marte e Titano. Va, infatti, tenuto conto del fatto che a dirigere questi mezzi verso l'obiettivo prefisso non sono tanto i motori collaudati dagli ingegneri spaziali, bensì la forza di gravità di questo o quell'altro corpo celeste in grado di attrarre verso la sua superficie qualunque massa che si trovi nella adiacenze. La legge di gravitazione universale ci consente anche di capire perché un corpo come la Luna possiede una gravità inferiore a quella di un pianeta come la Terra; e spiega il motivo per cui un astronauta sulla Luna può compiere balzi di dieci metri con il minimo sforzo, al contrario di ciò che accade sulla Terra e che accadrebbe con ancora maggiore difficoltà su realtà cosmiche come Giove, dotato di un campo gravitazionale molto forte. Nei dettagli sappiamo che, rispetto alla superficie terrestre, la Luna dista dal cuore della Terra di una misura 60 volte maggiore; e che il quadrato di 60 è 3600. La legge di Newton ci dice che l'attrazione gravitazionale terrestre sulla Luna è inferiore di 3.600 volte rispetto alla gravità di superficie. Dati che trovano conferma nel fatto che la gravità superficiale è pari a 9,8 m/s al quadrato, mentre l'accelerazione della Luna indotta dalla Terra è di 0,0027 m/s al quadrato; e in effetti 9,8/0,0027 fa proprio 3.600. Recentemente, però, è stata avanzata l'ipotesi che non tutte le parti del cosmo rispettano la forza di gravità. Uno studio ha infatti evidenziato che le galassie ellittiche sfuggono a questa legge; in questi casi gli scienziati ritengono che la loro esistenza possa essere giustificata soprattutto da un'estensione della teoria della Relatività di Einstein. Per questo sono state battezzate “galassie disobbedienti”.
Sandy, la tempesta (im)perfetta
Qualcuno
ci sta già riprovando a ribadire che la fine del mondo è vicina.
L'uragano Sandy ne è l'ennesima dimostrazione. In realtà ci
troviamo di fronte a un fenomeno naturale assai facile da spiegare,
benché caratterizzato da prerogative molto particolari. La più
importante riguarda le sue dimensioni. La supertempesta ha un
diametro di 289 chilometri ed è attraversata da venti che spirano a
144 chilometri all'ora. Secondo gli esperti è la più grande
tempesta mai avvenuta – a memoria d'uomo – nel punto segnalato
dell'oceano Atlantico. Viene classificato come un uragano di
categoria 1. Ma il dato che stupisce di più, appunto, è la sua
traiettoria: è infatti rarissimo che un uragano che nasce
nell'oceano si spinga direttamente contro la città di New York.
Sembrerebbe un'azione davvero premeditata da misteriose forze
climatiche. Il punto è che si sta verificando un fenomeno
atmosferico diverso dal solito, con l'innesco di una corrente di aria
fredda da nord, e le bizzarrie delle correnti a getto provenienti da
ovest. Mark Saunders, del Dipartimento di Fisica dello Spazio e del
Clima presso l'University College di Londra ha chiaramente ammesso
che “non esistono nei registri degli uragani riferimenti a fenomeni
di questo tipo alle latitudini analizzate”. E i dati riguardano un
ampio range temporale, andando fino al 1851. Sicché la tempesta
potrebbe coinvolgere anche zone del tutto impreparate all'azione
degli uragani, come quelle che circondano i Grandi Laghi. Gli ultimi
bollettini diramati dagli USA parlano di milioni di persone, lungo la
costa orientale degli Stati Uniti, del tutto impotenti di fronte alla
furia della supertempesta. Con essa sono, infatti, arrivati piogge
fortissime, inondazioni ed è caduta la neve negli stati a nord-est.
Nel Queens, quartiere di New York, sono scoppiati vari incendi che
hanno distrutto completamente delle abitazioni. Sette milioni di
persone sono rimaste senza elettricità. Ancora adesso sono in azione
duecento vigili del fuoco. Durante il suo cammino Sandy ha già
ucciso diciassette persone in sette stati e rovinato pesantemente sei
milioni di case. (Mentre una settimana fa ha fatto sessantasei
vittime nei Caraibi). 5.700 i voli annullati: LaGuardia, Newark e
John F. Kennedy dovrebbero riprendere la loro regolare funzione da
domani pomeriggio. Per alcuni scienziati è, comunque, una situazione
figlia dell'effetto serra e dei fenomeni ad esso legati. Il
riferimento è a eventi atmosferici sempre più estremi che non
risparmierebbero anche il nostro paese. Il ministro dell’Ambiente,
Corrado
Clini, intervistato dai microfoni di Tgcom24 ha rivelato che “negli
ultimi
venti anni dobbiamo
purtroppo prendere atto che si stanno manifestando eventi descritti
dai climatologi come conseguenze dei cambiamenti climatici. Bisogna
considerare che dal 1980 i climatologi dicono che è in atto un
cambiamento con l’intensificazione di fenomeni estremi, che non
erano nella memoria, nelle zone temperate, anche in Italia”.
Video: New York invasa dalle acque
martedì 23 ottobre 2012
L'origine del sorriso: Spigolature intervista Andrea Tintori
Area di scavo in Cina medirionale, coordinata da Andrea Tintori |
In occasione della
scoperta diffusa da Nature, relativa all'ipotetica “nascita del
sorriso”, Spigolature Scientifiche ha avuto l'occasione di
intervistare uno dei più importanti paleontologi italiani, Andrea
Tintori, docente presso l'Università degli Studi di Milano.
Attualmente Tintori si trova in Cina per lo studio di un pesce
volante risalente a 240 milioni di anni fa.
Possiamo realmente
dire di avere scoperto le origini del sorriso?
I denti in realtà
compaiono già nel siluriano, almeno quando fanno la loro comparsa
gli attinotterigi (pesci ossei) e i condritti (classe di pesci
comprendente oltre 1100 specie diverse fra cui squali e razze):
anche se i placodermi sono più 'primitivi' evidentemente non
inventano nulla. D'altra parte l'evoluzione è piena di convergenze
adattative. E volendosi attenere a questo studio, non sono i primi
denti segnalati nei placodermi.
La nuova ricerca
scardina l'ipotesi delle cosiddette 'piastre gnatali'?
Credo si debba aspettare
a scardinare vecchi modelli. È probabile che i nuovi metodi di
indagine chiariscano la situazione in molti altri generi, ma non
credo si debbano buttare gli gnatali nel cestino.
Cos'hanno ancora di
interessante da raccontarci i placodermi sulle nostre origini?
Dipende cosa si intende
per nostre origini: mammiferi, tetrapodi, vertebrati? Come tutti i
gruppi che hanno avuto un grande successo, ma si sono estinti,
incuriosiscono molto, i pochi specialisti di pesci che riescono a
sopravvivere in un mondo dominato dai dinosaurologi... Penso che i
placodermi rimarranno comunque in una 'nicchia' costituendo un ramo
laterale del grande albero dell'evoluzione.
Come proseguono gli
scavi in Cina?
Ci stiamo occupando di un
pesce volante vissuto 240 milioni di anni fa. Interessante sarebbe
capire come mai i pesci volanti ricompaiono in un gruppo molto
diverso (gli attuali teleostei) 200 milioni di anni dopo l'esistenza
degli animali da noi presi in esame. Questi sono i veri misteri
dell'evoluzione... alla faccia dei creazionisti!
Il professore con alcuni studenti |
Chi è Andrea Tintori:
Nato a Milano il 4 marzo 1953 e residente a Malgrate, è Professore
Ordinario di Paleontologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra
'A. Desio' dell'Università degli Studi di Milano dal 2001. Docente
di Paleontologia dal 1991, insegna attualmente nel corso di laurea triennale
in Scienze Naturali e nella laurea specialistica in Paleobiologia e Storia
della Vita. La
sua attività di ricerca verte soprattutto sui Vertebrati Fossili del
Triassico Italiano e Svizzero ai quali recentemente si è aggiunto materiale
cinese scavato in collaborazione con l'Università di Pechino nella
Provincia del Guizhou (Cina meridionale). E' responsabile di numerosi
scavi paleontologici sia in Italia che in Svizzera e si occupa anche di
alcuni piccoli musei locali cercando di rendere accessibili al pubblico le
notevoli scoperte scientifiche di questi ultimi anni. Sovraintende la parte
scientifica anche del dossier per l'inserimento della parte italiana del
compartimento paleontologico del Monte San Giorgio (Besano, VA) nel
Patrimonio mondiale dell'Umanità, dopo che già la parte svizzera è
stata inserita nel 2003. Coordina altresì un piccolo gruppo di ricerca sui
pesci mesozoici che comprende specialisti in modo da coprire la maggior
parte delle necessità relative alle principali faune fossili a vertebrati
del Mesozoico italiano: si tratta dell'unico gruppo italiano che lavora
con continuità su tali argomenti e uno dei pochissimi al mondo. Ha
partecipato anche a diverse spedizioni extraeuropee in Himalaya (India e
Nepal), Karakorum (Pakistan), Montagne Rocciose (Canada), Sultanato
dell'Oman (Penisola Arabica), Cina Meridonale, occupandosi sia di pesci
che di vari gruppi di invertebrati. E'
stato finora autore di circa 100 articoli scientifici. E'
attualmente Presidente della Società Italiana di paleontologia per la
quale ha organizzato nel 2007 il convegno annuale a Barzio in Valsassina
presso la sede del Parco regionale della Grigna Settentrionale, ente che
finanzia anche le nuove campagne di scavo nel Triassico medio della
Formazione di Buchenstein.
lunedì 22 ottobre 2012
Le origini del sorriso
I
tipi di sorriso
SORRISO
DI DUCHENNE: spontaneo e genuino
CIVETTUOLO: simile a un ghigno
TIMIDO: appena accennato, quasi "serio"
D'AMORE: con la testa inclinata e lo sguardo dolce
INTERESSATO: si effettua sollevando le sopracciglia e sollevando
leggermente le labbra all'insù
IMBARAZZATO: si esprime abbassando lo sguardo e a volte anche la
testa
lunedì 15 ottobre 2012
Voyager 1, il viaggio infinito
È
una storia cominciata 35 anni fa che nessuno avrebbe mai immaginato
potesse andare così bene. È la storia delle sonde Voyager, in
viaggio nello spazio dal 1977 e ancora oggi perfettamente
funzionanti, benché si trovino ormai oltre i confini del sistema
solare. Sono decollate a bordo di un razzo Titan IIIE-Centaur. Ancora
oggi nel centro di ascolto del Deep Space Network della NASA a
Goldstone, arrivano, infatti, costantemente messaggi dalla sonda
Voyager 1, raccontandoci di mondi lontanissimi e condizioni di vita
pressoché impossibili. Usano ancora registratori a nastro, concetti
tecnologici già ampiamente superati, ma ancora, in questo caso,
incredibilmente “vitali”. Complice il fatto che, dal 1990, sono
stati disattivati tutti gli strumenti “ottici” - idonei per
fotografare i miracoli di Giove e Saturno, ma non le profondità
monotone del cosmo - per recuperare energia preziosa. Attualmente
Voyager 1 si trova a 18 miliardi di distanza dalla Terra, circa 120
volte la distanza che separa il nostro pianeta dal sole. La lunga
antenna della base americana capta segnali particellari, figli del
vento solare. Ad agosto, per esempio, i messaggi parevano più
turbolenti del solito, dimostrazione che la sonda stava attraversando
un'area del cosmo particolarmente “insidiosa”. La situazione è
cambiata il mese successivo, passando da 25 particelle al secondo a 2
particelle al secondo. La NASA fa inoltre sapere che da queste
osservazioni sarà possibile stabilire il limite esatto
dell'eliopausa, con la formazione della tipica bolla formata dallo
spazio interstellare. In generale, per giungere sul nostro pianeta, i
dati raccolti dalla sonda spaziale impiegano 16 ore e 38 minuti.
Voyager 1 è in azione da 35 anni, 1 mese e 10 giorni (dato
riferibile al 15 ottobre 2012). Il viaggio interstellare di Voyager
è, invece, iniziato il 15 giugno 2012, diventando il primo oggetto
umano a lasciare il sistema solare. La sua prima missione ufficiale
risale al 1980, con l'esplorazione di Giove e Saturno. Per
l'esattezza la sonda iniziò a fotografare Giove nel gennaio 1979. Le
scoperte iniziarono fin da subito, con l'individuazione dei vulcani
di zolfo su Io e l'approfondimento delle caratteristiche degli anelli
di Saturno. Secondo i dati raccolti da Nature, Voyager 1 ha superato
il cosiddetto “termination shock” (in corrispondenza del
rallentamento delle particelle del vento solare), nel 2003. Oggi si
muove a 17mila chilometri al secondo, alimentata da una batteria RTG
– un generatore termoelettrico a radioisotopi. Dovrebbe andare
avanti così fino al 2025, anche se la corrispondenza con la Terra
potrebbe bloccarsi nel 2016, con l'avaria del giroscopio, non più in
grado di puntare i suoi occhi verso il pianeta blu. Ma la sua corsa
non si arresterà. Davanti a sé c'è il muro di idrogeno (fra
l'eliopausa e il bow shock, fenomeno particolare della magnetosfera)
che potrebbe superare intorno al 2040 e la costellazione dell'Ofiuco:
fra 40mila anni Voyager 1 si troverà dalle parti di AC+793888, una
stella dalla quale disterà “appena” 1,6 anni luce. Alla luce di
queste considerazioni suonano incredibili le parole da poco
pronunciate da Ed Stone, scienziato del progetto Voyager presso il
Caltech: «Quando le sonde Voyager
furono lanciate, nel 1977, l’era dell’esplorazione spaziale aveva
appena 20 anni», spiega il ricercatore. «Molti di noi del team
sognavamo di arrivare allo spazio interstellare, ma non avevamo idea
di quanto esattamente poteva durare il viaggio o se le due sonde in
cui abbiamo investito così tanto tempo ed energia sarebbero rimaste
operative per abbastanza tempo da arrivarci». Un messaggio, quindi,
per E.T.: Voyager 1 porta con sé un disco registrato di rame e
placcato d'oro che contiene immagini e suoni terrestri, assieme a
qualche istruzione su come suonarlo...
martedì 9 ottobre 2012
Intelligenza carnivora
La Gola di Olduvai, Tanzania |
Il
mistero dell'intelligenza affascina da sempre l'uomo, tuttavia non è
mai stato chiarito in che modo e perché questa prerogativa del
sistema nervoso abbia cominciato a progredire proprio nella nostra
specie. Ora tentano di dare una spiegazione esaustiva degli studiosi
sulla rivista PLOS ONE. Si riferisce alla scoperta di un frammento di
teschio rinvenuto in Tanzania e risalente a 1,5 milioni di anni fa.
Secondo gli studi emersi da questa ricerca le dimensioni del cervello
– e quindi l'incremento intellettivo – sarebbero andati di pari
passo con l'acquisizione della dieta carnivora. Il reperto riportato
alla luce appartiene a un bimbo di due anni e mostra chiari segni di
iperostosi porotica, associata ad anemia, condizioni assimilabili a
carenze nutrizionali e in particolare alla privazione di carne.
Probabilmente il bimbo dopo lo svezzamento avrebbe patito la carenza
di vitamina B12 e B9 (presenti in abbondanza nei prodotti di origine
animale). Secondo gli scienziati, la necessità di cacciare carne,
avrebbe favorito l'ingegno e quindi l'ingrandimento del cervello, con
tutte le sue conseguenze. «Mangiare carne è sempre stata
considerata una delle cosa che ci ha resi umani, grazie alle proteine
che contribuiscono allo sviluppo del nostro cervello», rivela
Charles Musiba, dell'Università del Colorado. «Il nostro lavoro di
ricerca mostra che 1,5 milioni di anni fa non eravamo dei carnivori
opportunisti: ci siamo dedicati attivamente alla caccia per mangiare
carne». Una prova è fornita dal fatto che agli scimpanzé, a noi
fileticamente simili, manca il nostro livello di intelligenza proprio
perché la loro dieta non è mai cambiata. «Questo ci distingue dai
nostri lontani cugini», prosegue Muisba. «Il punto è: che cosa ha
innescato il nostro consumo di carne? Un cambiamento ambientale?
L'espansione del cervello stesso? In realtà, non lo sappiamo». Su
PLOS ONE si legge che la necessità di cacciare prede di grosse
dimensioni stimolò l'aggregazione tra famiglie ed individui diversi,
lo sviluppo di strumenti complessi e di tattiche (e metodi di
comunicazione) sofisticati. Tutti gli elementi che porteranno poi
alla nascita della società in senso moderno. Ora però le cose
sembrerebbero cambiate. L'uomo ha evoluto anche una coscienza e
sentimenti di natura etica. Ad essi si appellano soprattutto i vegetariani,
convinti che la dieta carnivora non sia una prerogativa umana.
Secondo varie ricerche - compresa una recente effettuata dagli
esperti della Majo Foundation For Medical Education and Research,
Minnesota, USA - gli alimenti carnei sono ricchi di fenilalanina e di
tirosina e stimolano due neurotrasmettitori, la dopamina e la
norepinefrina; entrambi provocherebbero il comportamento aggressivo e
violento e la propensione alla lotta, tipico degli animali predatori.
D'altra parte, invece, i vegetali possiedono grandi quantità di
amido e fibra che influenzano la concentrazione di triptofano nel
cervello, aumentandone la disponibilità ad essere trasformato in
serotonina, che ingenera nel comportamento umano tendenza alla
serenità, alla socialità, al gioco. È il caso di tornare alle
usanze dei nostri antichi predecessori?
Il reperto proveniente dalla Gola di Olduvai |
giovedì 4 ottobre 2012
FUORI DAL MONDO
Si
chiudono in camera e dicono addio al mondo. Gli amici salutati per
sempre e sostituiti da realtà virtuali. Mamma e papà obbligati a
farsi da parte e far finta che non siano mai nati. Rappresentano una
fetta di preadolescenti, adolescenti, ventenni e in certi casi
addirittura trentenni che, in pratica, rinunciano a vivere per
dedicarsi esclusivamente a passioni solitarie come playstation, tv,
social network, fumetti. Vengono chiamati hikikomori: il termine, di
origine giapponese, introdotto per la prima volta dallo psichiatra
nipponico Saito Tamaki, significa “stare in disparte, isolarsi”.
Secondo alcuni studiosi è il frutto di un mix educativo derivante da
una società dove i rapporti umani sono sempre più aridi, e da
genitori che crescono i propri figli all'insegna della competitività
e dell'arrivismo. Sotto accusa anche alcuni sistemi scolastici
giudicati troppo rigidi e severi. Se non ci sono caratteri
predisposti a questo tipo di insegnamento, si ha, dunque, l'effetto
opposto, con giovanissimi che anziché lottare per ritagliarsi un
posto della società, si fanno definitivamente da parte, calandosi in
un mondo irreale dove, in qualche modo, ritrovano se stessi. Sembrava
una tendenza tipica del Sol Levante, con il 20% dei giovanissimi
coinvolti nel fenomeno, dove numerose discipline spronano
all'isolamento e alla meditazione, e invece ora si scopre che questa
tipologia di ragazzi si sta diffondendo sempre più anche in Europa,
Italia compresa. Anche se vere e proprie stime non si possono fare,
si parla di centinaia di ragazzi in gravi condizioni e migliaia in
situazioni critiche: «Nel nostro Paese abbiamo circa otto milioni di
adolescenti, molti dei quali dediti a un'attività internauta
esasperante, con una media di otto ore davanti al computer», dice
Roberto Cavaliere, psicologo e psicoterapeuta, presidente
dell'Associazione Italiana Lotta alle Dipendenze Affettive e
relazionali. «Non sono riconducibili alla realtà giapponese,
soprattutto per via di un background sociale differente, ma anche in
questo caso ci si riferisce a ragazzi affetti da un disturbo che
abbisogna di cure, assimilabile alle patologie della fobia sociale
e/o ossessivo-compulsiva». Gli psichiatri lanciano l'allarme e
parlano ufficialmente di “ritiro dal sociale in forma acuta”. Il
male viene spesso associato e confuso con la fobia sociale e con la
sindrome di Asperger, un forma blanda di autismo; di fatto non è
ancora stato incluso nel Diagnostic and Statistical Manual for Mental
Disorders (DSM IV-TR), la Bibbia delle patologie psichiatriche.
«Probabilmente la forma mentale che si avvicina di più a questo
disturbo è la fobia sociale», racconta Cavaliere, «che può essere
considerata alla stregua di una timidezza eccessiva. In Italia può
essere assimilata a giovani che passano tutto il loro tempo
appiccicati al pc o a un videogioco. Mi piace parlare anche di
“anoressia relazionale”. Chi soffre di questo disturbo, infatti,
rifiuta il mondo, il contatto con l'esterno, proprio come un
anoressico tradizionale evita il cibo». Ma mentre l'anoressia tipica
riguarda soprattutto il gentil sesso, in questo caso il male si
riferisce in particolar modo ai maschi. Il fenomeno è infatti
ascrivibile ad essi nel 90% dei casi. Un altro parametro è
rappresentato dall'agiatezza della famiglia colpita dal problema. I
figli dei meno abbienti difficilmente si auto-isolano: le
ristrettezze economiche non consentono a un individuo adulto di poter
essere mantenuto incondizionatamente; semmai subentrano altre
patologie legate al bullismo, alla droga e alla criminalità. Ma
quando si può oggettivamente parlare di un hikikomoro? Quando
l'isolamento sociale prosegue per più di sei mesi, compromettendo
severamente le relazioni sociali. E l'attività scolastica. Gli
hikikomori, infatti, spesso rifiutano di andare a scuola, anche se il
loro grado intellettivo è spesso superiore alla norma e così la
loro creatività. Inizialmente la vittima del disturbo può sentirsi
genericamente a disagio nei confronti del mondo che lo circonda;
fatica a socializzare, a comunicare, a trovarsi a proprio agio fra i
simili. Poi il disagio si trasforma in un vero e proprio malessere
esistenziale, con la comparsa di sindromi depressive e ansiogene.
L'isolamento è sempre più totale. Nei casi estremi si rifiuta
perfino il contatto con i propri familiari. I genitori si ritrovano a
dover lasciare il cibo sull'uscio della camera del figlio e
raccogliere l'ennesima lista di cose da fargli avere. Il giorno viene
scambiato con la notte e il tempo perde di significato. Si parla
sovente di letargia, con rallentamento psicomotorio e alterazioni più
o meno gravi del metabolismo. A questa situazione si arriva per
gradi, non si può, quindi, pensare di risolvere il problema con un
semplice richiamo o una sgridata: «Per riuscire ad aiutare questi
ragazzi occorre utilizzare la loro stessa arma: il mondo virtuale»,
spiega Cavaliere. «Si seleziona una persona, un parente o un amico,
che entri in relazione via web con il malato, per cercare di ottenere
un primo contatto. Da qui, poi, si può lavorare per instaurare una
“alleanza terapeutica” che porti il ragazzo dall'interno della
sua stanza al mondo esterno, il tutto con estrema cautela e
gradualità. Ogni piccola forzatura può interrompere tale percorso».
In Italia non esistono centri specificatamente tarati per questo tipo
di cura, ma ci si può riferire a strutture specializzate nel
recupero di individui soggetti alla dipendenza da internet o da altre
“compulsioni”. A Parma gli hikokomori vengono curati con successo
già da vari anni. «Ottimi risultati vengono ottenuti anche al
Policlinico Gemelli di Roma», chiude Cavaliere, «dove risiedono
centri che curano con successo le dipendenze da internet o social
network».
mercoledì 3 ottobre 2012
Le canzoni di oggi? Sempre più tristi
Le canzoni moderne sono più tristi di quelle del passato? Secondo numerosi studi parrebbe di sì. È necessario innanzitutto partire dal presupposto che l'allegria e la tristezza di un brano dipendono da due aspetti chiave: la tonalità, minore o maggiore, e il tempo, più o meno accelerato. Una canzone è, dunque, triste, tanto più il suo tempo è rallentato in tonalità minore. Sulla base di ciò gli studiosi hanno rivelato che negli ultimi cinquant'anni le canzoni sono divenute più malinconiche poiché questi parametri si sono riscontrati sempre più spesso. Basta dare un'occhiata all'immagine seguente. I pallini blu indicano le melodie in minore, quelli rossi, in maggiore. Come si può notare, col passare degli anni, i pallini blu aumentano, suggerendo che, sostanzialmente, le canzoni sono sempre più tristi.
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