lunedì 19 gennaio 2009
Google e l'effetto serra. Un'idea balzana?
Inquinare digitando su Google? Sembra un'assurdità, eppure, secondo un team di scienziati dell’Harvard University di Boston, è proprio quello che ognuno di noi fa inconsapevolmente, quando utilizza il motore di ricerca più famoso del mondo. Gli scienziati statunitensi hanno verificato che due ricerche producono tante emissioni quante quelle prodotte dal consumo di corrente di un bollitore elettrico per il tè, ovvero 7 grammi di CO2 a ricerca. In pratica, utilizzando Google, distruggiamo l’ambiente senza accorgerci, partendo dal presupposto che, in media, ogni 24 ore, avvengono circa 200milioni di ricerche in internet. Alex Wissner-Gross, fisico della Harvard University di Boston, precisa – tramite un articolo apparso ieri sul Times - che l’intero settore informatico, complessivamente, è responsabile di un quantitativo di emissioni di gas serra pari a quello di tutte le linee aeree mondiali messe insieme. “Google è molto efficiente, ma il suo interesse primario è fornire ricerche velocemente, il che porta a bruciare una vasta quantità di energia – rivela il fisico statunitense. Due le cause del problema: l’elettricità consumata dal nostro personal computer durante il tempo di una ricerca online, e quella che consumano i server di Google sparsi su tutto il pianeta. (L’impero Google è formato da oltre 500mila server sparsi in tutto il mondo, con storage dalla capacità totale di 200 petabytes). Inoltre tenere accesso un personal computer fa produrre tra i 40 e gli 80 grammi di CO2 l’ora, mentre un avatar su Second Life si traduce in 1,752 kilowattora. Molta più energia di quanta ne abbia a disposizione un qualsiasi cittadino del cosiddetto Terzo Mondo. Il colosso informatico, dal canto suo, si difende dicendo che le banche dati di Google sono assolutamente efficienti in termini di risparmio energetico: “Per il tempo che un internauta impiega a fare la sua ricerca, l’elettricità consumata dal suo pc è maggiore di quella di cui noi abbiamo bisogno per rispondere alle sue richieste”. In particolare molti esperti del settore tecnologico affermano che le conclusioni di Wissner-Gross sono inesatte e fuorvianti. Parlano infatti di emissioni di anidride carbonica pari a 0,2 grammi a ricerca, un dato 35 volte inferiore a quello espresso dai ricercatori americani. Infine, fra i vari partecipanti al dibattito, anche molti internauti allibiti da tanto allarmismo. In molti, in particolare, fanno notare che un libro “costa” attorno ai 2500 grammi di emissioni di CO2 mentre per cuocere un hamburger se ne liberano 3600 grammi. Quantità superiori rispettivamente 350 e 550 volte a quelle generate da una ricerca su Google. E c’è anche chi sostiene che si tratti di una trovata pubblicitaria per far conoscere agli internauti co2stats.com, progetto nato per migliorare l’efficienza energetica dei siti web.
Perdere chili ridendo. La proposta di Helen Pilcher
Pochi mesi fa uno studio condotto in Florida da esperti dell’American College of Cardiology diceva che ridere fa bene al cuore. Secondo gli scienziati Usa, infatti, una sana risata ha il potere di stimolare l’espansione dell’endotelio - il rivestimento interno dei vasi sanguigni – presupposto chiave per mantenere giovane e in buona salute l’intero apparato cardiovascolare. È di oggi invece la scoperta che ridere non solo migliora le condizioni cardiache, ma aiuta anche a perdere i chili di troppo, e quindi a combattere l’obesità. In questo caso lo studio è stato effettuato dalla neuroscienziata inglese Helen Pilcher, la quale ha concluso che ridere è come sottoporsi a un ‘mini-allenamento aerobico’. La ricercatrice ha stimato che ridere per un’ora al giorno fa consumare le stesse calorie di mezz’ora di sollevamento pesi. E che ridere un’ora al giorno per 365 giorni di fila può far perdere fino a cinque chili in un anno, l’equivalente di una taglia. Con ciò suggerisce di trovare degli stratagemmi per ridere il più possibile come per esempio seguire in tv qualche trasmissione esilarante come The Office, una commedia ‘da morir dal ridere’, incentrata sulle vicende tragicomiche di un gruppo di persone che rischia di perdere il lavoro. In Italia, invece, il riferimento può essere a serie televisive come Friends. Paul Moreton, di UKTV Gold, che ha commissionato la ricerca dice che “ridere quotidianamente potrebbe rappresentare una divertente alternativa alla palestra o al jogging”. Mentre la coordinatrice dello studio afferma che “l’intenzione degli scienziati non è quella di indurre la gente a guardare per troppe ore la tv, ma solo individuare un sistema per ridere il più possibile per mantenersi in forma”. Una sana risata è dunque una vera e propria tempesta per l’organismo che viene messo positivamente sottosopra. Il muscolo cardiaco pompa il sangue per l’organismo con maggiore velocità, mentre i muscoli dell’addome si tonificano. La pressione cala e così i grassi nel sangue come il colesterolo. Anche i muscoli facciali ricavano beneficio da una sana risata. Sono almeno una quindicina quelli che si attivano ridendo. Infine ridere significa anche incrementare la produzione di endorfine, con riduzione dei sintomi legati allo stress e potenziamento del sistema immunitario. Peraltro gli studiosi della Loma Linda University, in California, ci fanno sapere che basta semplicemente la previsione di una situazione divertente a migliorare la nostra salute. Gli esperti in questo caso hanno visto che già l’attesa di una risata incrementa la produzione delle beta-endorfine e dell’ormone della crescita, sostanze in grado di elevare il tono dell’umore e di abbassare la pressione, interferendo con gli ormoni legati allo stress. A tal proposito gli studiosi hanno concluso dicendo che “è ora di cominciare a prescrivere il divertimento e la risata come farmaci a tutti gli effetti”.
Sempre più casi di morbillo in Europa. Ma la speranza è quella di sconfiggere la malattia entro il 2010
Da uno studio pubblicato sulla rivista inglese The Lancet emerge che il morbillo, malattia virale contagiosa, tipica dell’età infantile, sta riprendendo piede in Europa. Secondo gli esperti i casi di morbillo nell’Unione europea - nel biennio 2006/2007 - hanno coinvolto 12.132 persone, uccidendone sette. In un quinto dei casi il riferimento è a persone di età superiore ai venti anni. Mark Muscat - del dipartimento statale danese di epidemiologia di Copenaghen - dice che nella maggior parte dei casi le vittime del morbillo sono bambini non vaccinati. La malattia, in Europa, è frequente soprattutto in Italia, Germania e Gran Bretagna. Anche nel mondo è molto comune e pericolosa, tanto che nel 2003 ha complessivamente causato 30 milioni di malati e 530mila decessi. Ogni giorno muoiono nel mondo 540 persone per colpa del morbillo, la maggior parte di loro ha meno di cinque anni. Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene fondamentali le vaccinazioni antimorbillo, che dovrebbero coinvolgere almeno il 95% dei bambini di un dato paese, tenuto conto del fatto che oggi questo tipo di interventi vengono effettuati in percentuali assai più basse. In Svizzera, per esempio, si ha una copertura media dell’82%; in Inghilterra, Scozia e Galles, inferiore all’85%; in Germania intorno al 70%; in Irlanda e in Italia – nonostante un incremento negli ultimi anni – si rimane comunque al di sotto del 90%. “Per raggiungere l’obiettivo di eliminare il morbillo, sono essenziali la consapevolezza della malattia e l’impegno da parte dei responsabili delle politiche e delle autorità preposte alla sanità pubblica nei paesi europei, per rafforzare i programmi di vaccinazione – spiegano i ricercatori su The Lancet. Mentre Agostino Rocco, direttore del reparto di neonatologia del Fatebenefratelli Isola Tiberina di Roma aggiunge che “vaccinando oltre il 90% dei bambini si proteggono anche i pochi non vaccinati, in quanto il ciclo microbico legato alla malattia viene interrotto”. La speranza è dunque quella di risolvere definitivamente il male entro il 2010-2015. Ma perché il morbillo è così pericoloso? Secondo gli esperti il morbillo è una malattia subdola e può dare luogo a complicazioni gravi, soprattutto se sopraggiunge dopo la pubertà. Di solito inizia con febbre alta seguita da tosse, irritazione nasale e congiuntivite. Al calare della febbre compare un caratteristico rossore della pelle che, a cominciare dal viso, si diffonde per tutto il corpo. Le complicazioni più frequenti sono le infezioni dell’orecchio medio (otite), la polmonite (nel 5-6% dei bambini ammalati di morbillo), e la dissenteria. Fra le complicazioni più severe c’è l’encefalite, un’infezione del cervello che può provocare la morte o danni permanenti al cervello.
Morbillo
Il morbillo è causato da un virus della famiglia dei Paramyxovirus
Sintomi caratteristici sono: febbre, tosse, rinite, congiuntivite e la comparsa sulla cute di particolari macchioline rosse
Le macchie compaiono dopo 2-4 giorni dall’infezione
Nella fase acuta della malattia la febbre può raggiungere anche i 40°C
La durata complessiva del morbillo è, solitamente, di 8-10 giorni
La trasmissione della malattia avviene mediante contatto diretto con il muco o la saliva del paziente malato o tramite colpi di tosse o starnuti
Il rischio di contagio termina 4-5 giorni dopo la scomparsa dell’esantema
Il morbillo colpisce, in genere, bambini tra i 3 e i 10 anni
Un singolo attacco di morbillo conferisce immunità per tutta la vita
Morbillo
Il morbillo è causato da un virus della famiglia dei Paramyxovirus
Sintomi caratteristici sono: febbre, tosse, rinite, congiuntivite e la comparsa sulla cute di particolari macchioline rosse
Le macchie compaiono dopo 2-4 giorni dall’infezione
Nella fase acuta della malattia la febbre può raggiungere anche i 40°C
La durata complessiva del morbillo è, solitamente, di 8-10 giorni
La trasmissione della malattia avviene mediante contatto diretto con il muco o la saliva del paziente malato o tramite colpi di tosse o starnuti
Il rischio di contagio termina 4-5 giorni dopo la scomparsa dell’esantema
Il morbillo colpisce, in genere, bambini tra i 3 e i 10 anni
Un singolo attacco di morbillo conferisce immunità per tutta la vita
sabato 17 gennaio 2009
Più padri che mamme tra i nostri progenitori
Fra 50mila e 70mila anni fa, un gruppo di temerari rappresentanti dell’Homo sapiens sapiens, lasciò l’Africa – culla del genere umano – per conquistare il mondo intero. Raggiunsero prima il sudest asiatico, l’Europa, l’Asia e, infine, le Americhe. Oggi, a questa teoria, giudicata da sempre la più attendibile per spiegare la diffusione dell’uomo moderno, possiamo aggiungere qualcosa di più: quel primo gruppo di conquistatori era rappresentato quasi esclusivamente da maschi e, quindi, la stragrande maggioranza dei popoli del pianeta è figlia di molti papà e di pochissime mamme. Alon Keinan, dell’Harvard School of Medicine (Usa), ha raggiunto questi risultati dopo aver analizzato il genoma di uomini contemporanei africani, europei e asiatici, e aver messo a confronto oltre 100mila differenze del cromosoma sessuale X. Keinan ha in particolare considerato che, in una popolazione in cui la presenza maschile e femminile è equiparabile, la variabilità genetica dei cromosomi X è assai elevata: ciò dipende dal fatto che ogni donna possiede due cromosomi X, mentre gli uomini ne posseggono uno soltanto (oltre all’Y). Se però una popolazione è composta prevalentemente da individui di sesso maschile, il numero di cromosomi X cala drasticamente e con esso la variabilità genetica del cromosoma sessuale. Basandosi, dunque, su questo presupposto, lo scienziato americano ha scoperto che la variabilità genetica del cromosoma X è evidente soprattutto negli africani moderni, mentre è scarsa in tutti gli altri popoli. Da ciò ha quindi concluso che solo gli africani derivano da gruppi ancestrali caratterizzati da una percentuale maschile e femminile simile, mentre tutti gli altri provengono da un’unica popolazione costituta quasi esclusivamente da maschi. In realtà, questa ricerca, contraddice uno studio antropologico diffuso pochi mesi fa su Plos Genetics, nel quale si diceva che tutti gli uomini discendono da un minor numero di maschi rispetto a quello delle femmine: “È la dimostrazione che, nonostante i progressi della scienza molecolare, si è ancora lontani dall’avere conclusioni e dati certi sul numero di antenati partiti dall’Africa per colonizzare gli altri continenti – spiega Donata Luiselli, evoluzionista dell’Università di Bologna. Ma cosa avrebbe spinto questi Homo sapiens sapiens a puntare gli occhi oltre i confini africani? Due le possibilità: motivi bellici o la necessità di individuare nuovi spazi dove cacciare e procreare. “Probabilmente è più verosimile la seconda ipotesi – spiega Marco Ferraguti, evoluzionista dell’Università di Milano -. Questo perché è difficile pensare che 60mila anni fa potessero esserci dei validi presupposti per dichiarare guerra a qualcuno”. Nella storia dell’evoluzione umana, comunque, non è stata questa l’unica volta che uno sparuto numero di rappresentanti dell’Homo sapiens sapiens s’è messo in marcia verso nuovi territori. Secondo un recente studio genetico, anche la colonizzazione delle Americhe sarebbe avvenuta – intorno ai 12mila anni fa - attraverso una sola grande migrazione. I ricercatori, in questo caso, hanno analizzato 678 marker genetici in 29 nativi americani provenienti sia dal nord che dal centro e sud America, confrontandoli con le caratteristiche genetiche dei siberiani. I risultati dimostrano che la diversità genetica tra i nativi americani e gli asiatici aumenta all’aumentare della loro distanza d’insediamento dallo Stretto di Bering, circostanza che dimostrerebbe l’esistenza di un percorso di colonizzazione delle Americhe da nord a sud. In questo caso, però, non è stato possibile appurare se furono soprattutto degli esponenti di sesso maschile a muoversi verso est.
(Pubblicato sul Corriere della Sera il 17 gennaio 09)
(Pubblicato sul Corriere della Sera il 17 gennaio 09)
giovedì 8 gennaio 2009
Grosso e rotondo. Il lato B anti-diabete
A ‘mandolino’ è quello delle veline, piccolo e rotondo. A ‘tortellino’ quello delle ragazze di colore, grande e sodo. ‘Piatto’ quello delle giovani molto magre, privo di adipe e piano. E poi c’è il sedere a ‘melanzana’, detto anche a ‘mongolfiera’, quello delle ragazze dalla tipica silhouette ‘a pera’, da sempre motivo di ironia da parte della popolazione maschile. Oggi, però, uno studio pubblicato da scienziati della prestigiosa Harvard Medical School dice che il sedere a ‘mongolfiera’ non dovrebbe più essere preso ‘in giro’, perché molto probabilmente è indice di buona salute. Chi ha infatti il fondoschiena con questa fisionomia soffre meno di diabete e di tutto ciò che ne consegue, problemi metabolici e cardiaci, anticamera di malattie come l’infarto e l’ictus. Per arrivare a queste conclusioni gli studiosi hanno condotto degli esperimenti sui topi, verificando che gli animali più in salute erano proprio quelli che accumulavano centimetri di adipe sul fondoschiena, esattamente come accade alle donne-pera. Questi animali, in particolare, risultavano più protetti dal rischio di soffrire di diabete di tipo 2, quello che di solito insorge in età avanzata, a differenza del diabete 1, (in passato noto come diabete insulino-dipendente), tipico dei giovani. I ricercatori hanno visto che in questi casi il grasso che si concentra sul fondoschiena finisce per aumentare la sensibilità all’insulina, l’ormone che regola il trasporto dello zucchero nel sangue. Inoltre il ‘sederone’ sembrerebbe anche sollecitare la produzione di adipochine, ormoni ‘amici’ del metabolismo. L’adiponectina, per esempio, contrasta la resistenza all’insulina e protegge la funzione cardiaca; la leptina (la prima adipochina ad essere stata scoperta, nel 1994) controlla il senso di sazietà, il dispendio energetico e la funzione ormonale, e previene l’accumulo di grasso nel fegato. In generale, quindi, le adipochine producono una serie di effetti positivi a catena che contrastano quelli deleteri causati dai centimetri in eccesso accumulati sul giro vita. “È un’ulteriore conferma sperimentale di qualcosa che si sapeva già – racconta a Libero, Matteo Bonomo, primario di Diabetologia presso l’Ospedale Niguarda di Milano -. Nelle donne in età fertile, per motivi ormonali il grasso si accumula soprattutto a livello sottocutaneo, quindi nel fondoschiena, ma anche nella parte inferiore dell’addome e nelle cosce, mentre negli uomini ciò avviene soprattutto nella parte superiore del corpo (collo, spalle, parte dell’addome sopra l’ombelico), e a livello viscerale. Dunque le donne con il sedere a ‘mongolfiera’ sono effettivamente più al riparo dal diabete e dalle malattie cardiovascolari perché è soprattutto il grasso viscerale (e non quello sottocutaneo) che peggiora la sensibilità all’insulina”. Dello stesso parere è anche Luca Falqui, responsabile del servizio ambulatoriale di diabetologia del San Raffaele di Milano, il quale aggiunge che “è meglio un po’ di grasso sul sedere che la ciambella sull’addome”. Lo studio originale pubblicato su ‘Cell Metabolism’ e coordinato da Ronald Khan, mira ora a sviluppare nuovi farmaci per contrastare il diabete e sfatare definitivamente il luogo comune secondo il quale il grasso fa sempre e comunque male. “In realtà esistono già dei farmaci che agiscono modificando la distribuzione del grasso corporeo, migliorando la sensibilità all’insulina – precisa Bonomo -. Sono stati introdotti da pochi anni nella terapia del Diabete di tipo 2, e uno dei loro meccanismi di azione è appunto quello di facilitare l’accumulo di grasso sottocutaneo a discapito di quello viscerale, sia nell’uomo che nella donna”.
(Pubblicato su Libero l'8 gennaio 09)
(Pubblicato su Libero l'8 gennaio 09)
Ansia, coliti e insonnia. I malanni della crisi
Ansia, rabbia, tachicardia, ma anche fastidiosi mal di testa, coliti e insonnia. Sono questi alcuni dei sintomi di quello che in America è già stato battezzato ‘money disorder’, ovvero disturbo legato al denaro. Si tratta di una nuova forma di nevrosi causata dalla grave crisi finanziaria che sta coinvolgendo il mondo intero, specialmente Usa e Europa. Negli Stati Uniti una ricerca condotta dall’Associazione degli psicologi americani ha stabilito che una persona su sette è soggetta al nuovo disordine psichico. Mentre in Europa – in Spagna – un’indagine ha messo in risalto una drastica impennata delle visite dallo psicologo per calmare i nervi. Ciò si è verificato nelle ultime settimane, proprio in corrispondenza del fallimento delle banche americane. Analoga la situazione in Italia – e si presume, quindi, in tutti i paesi industrializzati – dove addirittura sono i medici di famiglia a rendere noto che gli ambulatori, in questo periodo, sono letteralmente presi d’assalto da pazienti che lamentano i sintomi sopra descritti. Anche l’Ordine degli psicologi della Lombardia (Opl) ha affrontato questa nuova forma di nevrosi cercando di individuare le soluzioni possibili per non farsi travolgere. Gli esperti italiani parlano, in particolare, di due tipi di problemi: quelli reali di chi, a causa della crisi, ha perso denaro e quelli legati alla paura destata dai media. Ed è forse questo ultimo caso a preoccupare di più. Ciò è dovuto al fatto che l’italiano medio è molto sensibile al concetto di ‘risparmio’ e dunque toccargli questo aspetto della vita sociale, può voler dire decrementare la sua autostima, aprendo la strada a sentimenti patologici come la paura e il timore infondato di un futuro difficile e avverso. Secondo un servizio apparso sull’ultimo numero di OkSalute il fenomeno non va preso alla leggera, tuttavia lo si considera anche il sintomo di una buona salute psichica complessiva delle persone. Il riferimento è infatti a disordini emotivi comuni che, paradossalmente, colpiscono proprio le persone che di solito non hanno problemi di questo tipo, a differenza dei malati gravi di depressione, per esempio, che sembrano invece quasi del tutto indifferenti alla crisi. In ogni caso gli specialisti non parlano di una vera e propria malattia psichiatrica, ma semmai di ‘un disorientamento cognitivo’, dovuto appunto al crollo delle Borse e alla conseguente difficoltà a far previsioni e pianificare il futuro. Gli studiosi dicono che solo in rare circostanze è necessario rivolgersi allo psicoterapeuta per risolvere il ‘money disorder’. Nella maggioranza dei casi il consiglio è semplicemente quello di analizzare con calma la propria situazione, evitando azioni avventate tipo disinvestire tutto oggi e dopo pochi giorni rimettersi a soffrire con i soldi dirottati su un altro titolo azionario. Anche rimuginare non fa bene. È utile invece sforzarsi di non pensare alla crisi. Come? Magari scegliendo un hobby o concentrarsi sulle cose che riescono meglio, approfondendole e dandogli nuovi significati. Se proprio il malessere non se ne vuole andare, comunque, la carta da giocare è quella dello psicoterapeuta. Ideale è la terapia cognitivo-comportamentale che potrebbe rapidamente portare alla soluzione anche del caso più difficile: “Potrebbero bastare anche solo un paio di mesi – spiegano i ricercatori dell’Opl - il tempo di far capire al piccolo risparmiatore, il più colpito dalle nevrosi da crisi finanziarie, che può sopravvivere anche senza una riserva aurea”.
(Pubblicato su Libero il 7 gennaio 09)
(Pubblicato su Libero il 7 gennaio 09)
Ti amo come vent'anni fa. Succede a uno su dieci
Il vero amore? Esiste eccome. È il parere di un team di scienziati statunitense che ha analizzato il cervello di coppie che vivono felicemente assieme da tanti anni. La scoperta va contro tutte le teorie fin qui elaborate dagli scienziati, secondo le quali l’amore e il desiderio sessuale sono destinati a sparire col tempo, essendo una prerogativa delle coppie appena formate. Gli studiosi della Stony Brook University di New York hanno ‘fotografato’ le attività cerebrali di coppie che vivono insieme da una ventina d’anni e le hanno messe a confronto con quelle di chi sta vivendo le prime fasi d’innamoramento. Ebbene, ciò che emerge non lascia dubbi: ci sono persone innamorate da lustri con la stessa intensità del primo magico incontro. Gli esperti hanno evidenziato che questo accade, mediamente, in una coppia matura su dieci. La chimica del cervello di queste persone, quindi, è esattamente identica a quella di due innamorati della prima ora. Fino a oggi si credeva che il massimo coinvolgimento emotivo e sessuale in una coppia – che gli studiosi definiscono col termine ‘limerence’ (carnale trasporto d’amore) – iniziasse a declinare dopo circa 15 mesi di relazione, per poi sparire del tutto senza lasciare traccia, nel giro di una decina d’anni. Invece non è affatto così. L’analisi cerebrale di coppie mature rivela infatti che gli elementi di ‘limerence’, possono perdurare anche dopo tanti anni, assicurando alla coppia “una felice vita sessuale e una straordinaria vitalità affettiva”. I ricercatori hanno soprannominato “cigni” i partner che vivono insieme felicemente da anni, riferendosi alla prerogativa di alcune coppie di animali - come appunto certi anatidi (ma anche alcune specie di volpi) - che stanno insieme per tutta la vita, offrendo un esempio raro di monogamia. Con la risonanza magnetica nucleare gli esperti hanno dunque osservato che, il cervello delle coppie più resistenti, si comporta come quello di due persone che si sono innamorate da poco: vedendo infatti le foto dei rispettivi partner, in entrambi i gruppi, si accendono le stesse aree cerebrali, e in particolare si ha una iperproduzione di dopamina, l’ormone del piacere. “La scoperta annulla tutte le teorie fin qui avanzate relative allo stato di innamoramento delle coppie che vivono insieme da tanto tempo – spiega Arthus Aron, psicologo della Stony Brook. Precedenti ricerche, in particolare, avevano evidenziato che il cosiddetto ‘punto di rottura’ di una relazione, con drastico calo del desiderio sessuale, si verifica durante tre periodi clou: dopo 12-15 mesi, 3 anni, o dopo il famigerato settimo anno. È lo stesso Aron a dirsi meravigliato della scoperta, asserendo che all’inizio dello studio, giudicava impossibile una cosa del genere, e fondamentalmente una ‘stupidata’ il fatto che due persone potessero ritenersi felicemente appagate sotto ogni punto di vista, anche dopo tanti anni di vita assieme. “Eppure questo è proprio quello che è emerso dalle nostre ricerche – afferma –. Con la risonanza magnetica abbiamo avuto la prova”. Un paio di ‘cigni’ di Aron sono per esempio Billy e Michelle Gordon che, 18 anni dopo il loro primo incontro, ancora fanno morire di invidia gli amici, mostrandosi innamorati come due teenager. I due, vivono a Newport Beach, in California, e si tengono sempre per mano. “Ci viene molto naturale – afferma Michelle, 59 anni. Lisa Baber, 40 anni, e suo marito David, 46 anni, vengono invece da Bristol e dicono di provare ancora la stessa emozione di quando s’erano conosciuti 17 anni fa. Aron, infine, dice lui stesso di non andare male con la moglie con la quale sta insieme da parecchi anni, tuttavia ammette di provare una certa invida per la coppie-cigno. “Le loro relazioni sono invidiabili sotto tutti i punti di vista. Vivono il meglio del rapporto amoroso senza gli svantaggi e gli imbarazzi del primo incontro”.
(Pubblicato su Libero il 6 gennaio 09)
(Pubblicato su Libero il 6 gennaio 09)
Ragni giganti e millepiedi rosa. Mille nuove specie in dieci anni
Ragni giganti, mammiferi simili a topi e lepri, orchidee dai colori sgargianti e completamente prive di foglie. Sono solo alcune delle nuove specie scoperte dal Wwf nella foresta pluviale del Mekong, nel sudest asiatico, uno dei luoghi con maggiore biodiversità della Terra, al pari della foresta Amazzonica. Lo studio, diffuso ieri dal Wwf, parla per la precisione di 1.068 nuove specie viventi – fra piante e animali – individuate nel decennio 1997-2007. Fra gli esemplari più particolari emersi dallo studio spiccano il millepiedi Desmoxytes purpurosea, caratterizzato da una colorazione rosa accesa, mai vista prima in un artropode. Il Laonastes aenigmamus, detto anche ‘topo delle rocce’, un roditore che si credeva estinto da anni e che invece s’è rifatto vivo fra gli scatoloni di un mercato del Laos, nel 2005. Il Nesolagus timminsi, una lepre variopinta, contraddistinta da lunghe linee scure sul dorso, e da grande agilità, individuata soprattutto nel Vietnam. Il Trimeresurus gumprechtiun, crotalo colorato di verde, quasi fosforescente, dotato di particolarissime squame a forma di cuore e dalla testa triangolare. Il Jabouilleia naungmungensis, un uccello con un corpo simile a un comune passeriforme, ma con il becco lungo e ricurvo. Fra gli animali, l’esemplare che ha destato maggiore interesse, è stato sicuramente l’Heteropoda maxima, un aracnide scoperto nel 2001: si tratta probabilmente del ragno più grande del mondo con zampe lunghe fino a 30 centimetri. Nonostante le dimensioni, però, non è pericoloso per l’uomo, benché sia in grado di mordere provocando arrossamenti e prurito. Per quanto riguarda i vegetali - delle cinque nuove specie di orchidee scoperte - tre sono completamente prive di foglie (circostanza assai rara per questo genere di piante), non contengono clorofilla e vivono sulla materia in decomposizione, imitando il comportamento dei funghi e delle muffe. Le altre nuove piante includono una specie di Arum caratterizzata da appariscenti fiori gialli e dalle classiche foglie a forma di imbuto, e due aspidistra (che dalle nostre parti siamo soliti coltivare in vaso), una dal grande fiore quasi nero e l’altra dai delicati fiori gialli. “Il rapporto Wwf sulla biodiversità nella regione del sudest asiatico del grande Mekong, dimostra la straordinaria importanza della ricerca sulla biodiversità del nostro pianeta – rivela a Libero Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia -. Abbiamo speso somme ingenti per spedizioni spaziali ma ancora non conosciamo la meravigliosa ricchezza della vita sul nostro pianeta che, peraltro, è fondamentale per la nostra economia ed il nostro benessere: senza la natura e le risorse viventi non esiste infatti alcun sviluppo socio-economico delle nostre società”. Complessivamente gli scienziati del cosiddetto ‘Greater Mekong Programme’ hanno classificato 519 piante, 279 pesci, 88 rane, 88 ragni, 46 lucertole, 22 serpenti, 15 mammiferi, 4 uccelli, 4 tartarughe, 2 salamandre. “Pensiamo che un simile lavoro sia degno dei libri di storia – ha dichiarato il direttore del programma, Stuart Chapman. Fatta dunque luce sulla straordinaria biodiversità di questo angolo di pianeta, adesso la speranza dei ricercatori del Wwf è quella di vedere i governi locali attivarsi concretamente per la salvaguardia dell’ambiente del sudest asiatico, fortemente compromesso dalla distruzione delle foreste per la raccolta illegale di legna, dallo sfruttamento delle risorse e dalla caccia. Secondo gli scienziati, peraltro, quanto è stato scoperto in questi dieci anni, potrebbe rappresentare solo la punta di un iceberg. “La ricchezza della vita sulla Terra che il Wwf sta esplorando e salvaguardando ovunque sia possibile, è la base fondamentale del mantenimento degli equilibri dinamici che si sono andati evolvendo sul nostro affascinante pianeta – chiude Bologna - e costituiscono una garanzia per il benessere delle nostre attuali e future generazioni”.
(Pubblicato su Libero il 17 dicembre 08)
(Pubblicato su Libero il 17 dicembre 08)
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