giovedì 30 settembre 2010
IL FASCINO DELLE LEGGENDE METROPOLITANE
Il cane infilato in un forno a microonde per farlo asciugare. Coccodrilli che si aggirano minacciosi per le fogne di Milano. Senzatetto che vanno per la prima volta dal dentista e tra le gengive gli vengono scoperti tanti piccoli vermiciattoli. Film erotici criptati visibili scuotendo velocemente davanti agli occhi uno scolapasta. Sono solo alcune delle numerosissime leggende metropolitane che da tempo costellano l’immaginario collettivo degli italiani, e che ora per la prima volta sono state meticolosamente recuperate e archiviate. Protagonista dell’iniziativa è un etnologo di Innsbruck, Wolfgang Morscher, il quale ha reso noto il frutto del suo lavoro, ben 14mila favole classiche della cultura contemporanea mondiale, sul sito internet www.sagen.at. Nel sito, disponibile in lingua tedesca e inglese, le leggende urbane vengono raccolte in sezioni. È possibile far visita alla sezione dedicata alle leggende moderne (ce ne sono 387), a quelle tradizionali comprendenti i miti di sempre (9056), alle storie legate al mondo delle fate (1071), e alle informazioni generali (2500). Strano ma vero nel lungo elenco di leggende proposte da Morscher ne manca una veramente famosa che qualche anno fa fece il giro del mondo e che riguardava un piccolo drago conservato in un barattolo di formalina. All’inizio tutti ci cascarono, poi, però, venne fuori la verità: si trattò di una burla di Allistair Mitchell, uno scrittore che aveva messo in piedi la storia del drago in formalina per lanciare la propria carriera. Il drago era stato creato da veri specialisti del settore, quelli della Crawley Creatures, autori dei modelli usati nel noto documentario televisivo Walking with Dinosaurs. Anche in Italia abbiamo un sito analogo: www.leggendemetropolitane.net. Anche qui quindi si parla di mega balzane che continuano ad aver la meglio sul nostro immaginario. Ce n'è davvero per ogni gusto. Fra le ultime entrate c'è quella relativa a Gianni Morandi che soffrirebbe di coprofagia, ossia dell'istinto di nutrirsi di escrementi, oppure questa made in USA (direttamente tratta dal sito italiano): "Siamo in un pensionato femminile di un campus americano, dove una ragazza torna una sera molto tardi e va a letto piano senza svegliare la sua compagna di stanza. Sta attenta a non accendere la luce e si infila le cuffie del walk-man per non sentire i gemiti dell'amica, spesso intenta ad amoreggiare con qualche ragazzo. La mattina, trova l'amica uccisa e un messaggio lasciato accanto al corpo "Non sei contenta di non aver acceso la luce stanotte?".
mercoledì 29 settembre 2010
Scoperte le dorsali oceaniche a crescita lenta
Le hanno battezzate dorsali a crescita lenta. E corrispondono a quelle aree sottomarine, dove lo sviluppo di nuova crosta terrestre avviene con calma e sporadicità: rispetto a quelle tradizionali (come la dorsale medio-atlantica e quella del Pacifico orientale) dove le eruzioni sono invece frequenti, e la formazione di nuova crosta è un fenomeno misurabile nel tempo. Questo tipo di strutture geologiche sono caratterizzate da un magmatismo peculiare, e da un numero limitato di coni vulcanici. Il magma è contrassegnato da elevate quantità di sodio e potassio: elementi di solito scarsamente presenti nei substrati delle altre catene sottomarine. I vulcani si trovano spesso molto distanti gli uni dagli altri. Le tracce di eruzioni sono insignificanti e la quantità di rocce provenienti dal mantello è minima. Secondo gli esperti rappresentano il 40% delle dorsali oceaniche di tutto il pianeta. E complessivamente misurano 20mila chilometri. Lo studio è stato condotto dal geologo marino Henry Dick del Deep Ocean Exploration Institute, in Massachusetts (Usa) e pubblicato da Nature.
martedì 28 settembre 2010
A Torino con Newton per parlare di tecnologie digitali al servizio del patrimonio culturale
Newton, autorevole mensile di divulgazione scientifica sarà presente alla prossima edizione di DNA Italia, salone dedicato alle tecniche (tecnologie e metodologie) per la conoscenza, conservazione, fruizione e gestione del Patrimonio Culturale. DNA Italia è un luogo di incontro e di confronto. L'occasione ideale per imprese, istituzioni, istituti di formazione ed eccellenze professionali che operano in ambiti differenti per conoscersi e riconoscersi come appartenenti a una stessa filiera - esistente ma mai prima d'ora espressa e fatta emergere - e per dare visibilità ai progetti, ai materiali e alla tecnologia applicata, in uno spazio espositivo progettato per valorizzare al massimo contenuti ed esperienze. All'interno del Salone, Sabato 2 ottobre dalle 16.00 alle 18.00 Newton organizza l'incontro: QUANDO IL VIRTUALE E' PIU' REALE DELLA REALTA' (moderato da Federico Pedrocchi, scientific advisor della testata). In questo seminario affronteremo il tema della divulgazione di contenuti scientifici o artistici attraverso il racconto tridimensionale e la digitalizzazione, sfruttando le più avanzate tecnologie digitali. In collegamento con Maurizio Forte, ricercatore presso l’Università della California, vedremo come si sta sviluppando un progetto che mira a creare un ambiente virtuale per collaborazione a distanza fra archeologi che operano in centri di ricerca sparsi per il mondo. Un sito di scavi viene “catturato” digitalmente e messo a disposizione di perlustrazioni con avatar-ricercatori. Si ragionerà, poi, su altre esperienze di tridimensionalità applicata ai beni artistici, tutte rivolte a progetti che consegnano al pubblico una visibilità sui patrimoni non altrimenti percorribile. Con Clelia Arnaldi e Diego Giachello, operativi per Fondazione Torino Musei, con Massimiliano Grasso, del 3D Company Network (una filiera che copre l’intero potenziale della tridimensionalità), con Fulvio Domini Carnino, della Fondazione Ultramundum, impegnata in progetti 3D di grandi dimensioni, e con Fabio Remondino, della 3D Optical Metrology Unit, che sta lavorando con Maurizio Forte su reperti Maya e che opera su molti altri patrimoni italiani.
Salone DNA Italia, 1-3 ottobre 2010 Lingotto Fiere Torino
per informazioni:
Samantha Giuliano – marketing ed eventi Newton
tel. 02.67481832 email: samantha@newtonline.it
lunedì 27 settembre 2010
Generosi si nasce e... si diventa
La generosità è una bella prerogativa dell'essere umano, consolidata dopo millenni di evoluzione per uno scopo ben preciso: consentire il proseguo della specie. Se oggi gli uomini dominano il pianeta è anche perché nel corso della loro storia hanno imparato a "dare" senza necessariamente avere qualcosa in cambio. È vero che, con i tempi che corrono, una simile virtù del genere umano suona piuttosto strana, o perlomeno non fa notizia, tuttavia la generosità è insita in noi e - ci si può scommettere - proseguirà finché l'Homo sapiens sapiens andrà avanti nella sua corsa. Oggi si discute di generosità perfino riflettendo sulle dinamiche che ci consentiranno (?) di uscire dalla crisi. I giorni scorsi qualche giornale ha parlato di ritorno al "baratto", sistema verosimilmente basato sulla generosità, in grado di delegittimare il dio denaro, e suggerire quindi l'ipotesi che paradossalmente si possa progredire regredendo, almeno in termini materialistici. Si passa a nuove categorizzazioni sociali come quella dei Barter o degli Swap che, appunto, si affidano di giorno in giorno agli scambi a costo zero. Si chiama dunque Zero relativo la prima community del Belpaese che propone prestiti gratuiti e mercificazione di prodotti cercando di agevolare il più possibile chi ci circonda. L'Atelier del Riciclo organizza periodicamente i cosiddetti Swap Party, feste per barattare abiti, accessori, oggetti di design; l'Urban Swap Party avviene su un tram bianco. Ma il fenomeno è universale e non riguarda solo l'Italia. In Germania, a Dortmund, abbiamo, per esempio, Heidemarie Schwermer, che vive da sedici anni con meno di un dollaro al giorno. Non ha niente a che vedere con gli homeless. Vive di casa in casa, offrendo gratuitamente il suo aiuto in cambio di un tozzo di pane. Quando può, scrive, scrive delle sue avventure, dell'importanza delle relazioni sociali e della sua filosofia di vita, incentrata sul fatto che per essere sereni e felici, basta veramente poco, nessuna retorica, purché s'impari a comprendere il privilegio che ci è dato di poter offrire senza avere nulla in cambio. Appoggia questo tipo di vita low-cost il celebre antropologo Alberto Salza che si esprime dicendo che "si può vivere con meno di un dollaro al giorno a patto di essere lasciati in pace"; dunque, a patto che la generosità regni sovrana, attualmente una mera utopia. Il fenomeno è palese se si prende in considerazione il curioso studio "World living index", messo in campo dall'Istituto di ricerca Gallup, considerando tre parametri chiave: numero di donazioni per persona, tempo speso nel sociale, volontà di aiutare gli stranieri. Si scopre così che ogni paese è un mondo a sé, caratterizzato da uomini e donne che vivono la generosità differentemente. Non tutti sono generosi allo stesso modo: in cima alla classifica abbiamo gli australiani e i neozelandesi. A seguire gli irlandesi, i canadesi, gli svizzeri e gli americani. E gli italiani? Coi cuginetti francesi sono piuttosto indietro: Italia al 29esimo posto, Francia, addirittura al 91esimo posto. Ma la cosa che stupisce di più di questa classifica è che fra i popoli più generosi ci sono paesi poverissimi come il Laos e la Sierra Leone, entrambi all'undicesimo posto. Follia? Assolutamente no. Lo dicono anche i ricercatori dell'Università di Berkeley, verificando che spesso le campagne di beneficienza a enti no profit, vengono portate avanti proprio dalle nazioni meno abbienti. C'è comunque anche un retroscena psicologico. Secondo le pagine del Journal of Personality and Social Psychology chi ha poco da perdere (i poveri) si fida più del prossimo e di conseguenza è più magnanimo: fondamentalmente chi non ha, non teme di non avere, chi ha, invece, pecca in avarizia temendo di perdere tutto. Eppure basterebbe poco per diventare generosi: basterebbe, semplicemente, osservare chi è più generoso di noi. È la conclusione di una ricerca effettuata da scienziati dell'University of California a San Diego e da esperti di Harvard. Ebbene sì, si è visto che la generosità è addirittura contagiosa, come il riso o lo sbadiglio. C'è un impercettibile meccanismo comportamentale che viene messo in moto dal nostro cervello se vediamo qualcuno dare qualcosa gratuitamente. Uno degli esempi più eclatanti di questo fenomeno riguarda il terremoto di Haiti del 2010, quando si sono mobilitate persone che normalmente non regalerebbero al prossimo nemmeno un centesimo. La generosità può essere sollecitata anche da particolari bevande. Lo sostiene Lawrence Williams dell'University of Colorado. Lo scienziato dice che chi beve caffè o cioccolata calda ha più fiducia nel prossimo e quindi con maggiore facilità elargisce i suoi beni. Probabilmente prende forma un "subliminale" legame fra il calore fisico (della bevanda) e il calore psicologico di colui che la consuma. Ma cos'è veramente la generosità? Possiamo definirla un'attitudine umana, che molti pensatori ritengono fondamentale per la società di oggi e domani. Sofocle la definiva "l'opera umana più bella"; Marziale diceva che si ha "sempre quelle sole ricchezze donate"; Einstein (che ha praticamente una massima per ogni argomento) sosteneva che "il valore di un uomo dovrebbe essere misurato in base a quanto dà e non in base a quanto è in grado di ricevere". Oggi, in ogni caso, abbiamo imparato che la generosità è riconducibile ad aree ben precise del cervello, che sorgono in corrispondenza della corteccia prefrontale ventromediale e dello striato. Queste zone cerebrali sono anche quelle che entrano in gioco quando si è eccitati sessualmente o si è appagati da un cibo particolarmente gradito.
venerdì 24 settembre 2010
CERVELLI PLASTICI
Da tempo si sa che l'attività fisica fa bene al corpo: consente una maggiore ossigenazione dell'organismo, mantiene giovani i tessuti, abbassa la pressione, rinforza le ossa… Quel che però non si sapeva è che l'attività fisica ha un'influenza diretta anche sul cervello. Stando, infatti, alle conclusioni di un team di studiosi americani, lo sport effettuato con giudizio e continuità, migliora notevolmente le capacità cognitive e mnemoniche di una persona. Non solo. Le ultime ricerche dimostrano che, addirittura, un individuo che pratica regolarmente sport, fa sì che il suo cervello possa addirittura accrescersi. È questo il succo di una ricerca condotta dagli esperti dell'University of Illinois (USA). Gli studiosi hanno coinvolto 49 bambini di età compresa fra 9 e 10 anni. Ad ognuno di essi è stato chiesto di compiere degli esercizi fisici sul tapis roulant. Alla fine il cervello dei piccoli è stato esaminato con la risonanza magnetica e messo a confronto con quello di bambini inattivi. L'esito ha lasciato sbalorditi gli stessi scienziati: il cervello di chi pratica attività fisica, infatti, è risultato più grande del 12% rispetto a quello dei bambini sedentari. Secondo gli esperti il riferimento è specificatamente a un'area del cervello legata alle funzioni mnemoniche e all'apprendimento: l'ippocampo. Precedenti studi avevano, infatti, dimostrato che l'assenza di questa area cerebrale crea profondi disagi legati alla memorizzazione degli eventi. In sostanza nei bambini che fanno sport l'ippocampo è decisamente più ampio rispetto alla norma e questo fa sì che il loro rendimento scolastico sia migliore di quello degli altri compagni. È il contrario di ciò che avviene nel cervello degli insonni, dove, si è visto, la massa neuronale tende a ridursi. Da un recente studio pubblicato sulla rivista Biological Psychiatry emerge che la carenza di sonno predispone all'atrofia di varie strutture cerebrali. Con ciò i ricercatori suggeriscono l'importanza di indirizzare il più presto possibile i propri figli verso una disciplina sportiva, di cui poi beneficerà per tutta la vita. "È la prima volta che arriviamo a conclusioni di questo tipo tramite la risonanza magnetica", affermano i ricercatori americani sulla rivista Brain Research. "Prima d'ora si poteva solo ipotizzare un fatto del genere". Gli esperti hanno anche analizzato il cervello d'individui appassionati di videogiochi e anche in questo caso è stato riscontrato un aumento del volume di particolari aree cerebrali: nucleo accumbes e nucleo caudato. Su PNAS invece s'è parlato del fatto che l'attività fisica è in grado di facilitare la produzione di fattori di crescita neuronale, capaci di riparare gravi danni cerebrali: test sui roditori hanno evidenziato che i "topi sportivi" presentano maggiori concentrazioni di "neurotrofica", proteina che - prodotta durante un esercizio fisico - favorisce la rigenerazione di fibre nervose. In generale, comunque, il beneficio sportivo per il cervello va allargato anche ad altre classi di età. Tenuto conto del fatto che dai 20 ai 45 minuti di attività fisica al giorno, regala migliori prestazioni mnemoniche e cognitive a qualunque persona. Accade anche con la meditazione. Ad Harvard hanno, infatti, verificato che la meditazione può influire sulla anatomia del cervello, coinvolgendo soprattutto aree cerebrali legate all'attenzione e all'acquisizione di stimoli sensoriali: questi distretti anatomici subirebbero un ispessimento, direttamente legato al buon funzionamento dei processi emozionali. Ma un cervello più grande potrebbe anche preservare da malattie gravi come l'Alzheimer? Per ora è solo un'interessante ipotesi, che abbisogna di ulteriori approfondimenti. Qualcosa, in ogni caso, è già stato fatto. Lindsay Farrer, infatti, della Boston University School of Medicine, ha osservato attentamente il cervello di 300 anziani malati di demenza, evidenziando una netta correlazione fra grandezza del cervello e malattia neurodegenerativa. In particolare la studiosa ha rivelato che la progressione di malattie come l'Alzheimer è meno evidente in chi ha il cervello più ampio. In pratica in questi soggetti l'atrofia cerebrale va più a rilento e sconvolge meno la vita di un paziente: "Una testa più grande contiene più cellule nervose e più connessioni fra le singole cellule", afferma Robert Perneczky, collega di Farre, "ci vuole perciò più tempo prima che vanga oltrepassata la soglia del danno neurologico".
mercoledì 22 settembre 2010
lunedì 20 settembre 2010
CERVELLI MISTICI
Questo articolo è apparso originariamente su Newsweek nel 2001. Siccome in questi giorni mi sto occupando di Dawkins, Hawking & dintorni, essendo scritto molto bene (da Sharon Begley, nella foto), mi permetto di risportarlo integralmente.
È una domenica mattina di marzo di 19 anni fa, a Londra. James Austin, neurologo, è in Inghilterra per il suo anno sabbatico. Si trova a una stazione della metropolitana e sta aspettando il treno. Non vi è nulla di diverso dal solito. All'improvviso, viene invaso da una sensazione che gli pare di illuminazione, qualcosa mai provato prima. Il senso di esistenza individuale, di separazione dal mondo fisico circostante, svanisce. "Il tempo non esisteva più", ricorda oggi: "Provavo una sensazione di eternità. Desideri, avversioni, paura della morte, si erano dissolti. Avevo avuto in dono la comprensione della natura ultima delle cose". Chiamatela esperienza mistica, momento spirituale, persino illuminazione religiosa se volete. Ma ad Austin non è bastato. Invece di interpretare il suo istante di grazia come la prova di una realtà che va al di là della comprensione dei nostri sensi, e men che mai come prova di un'esistenza divina, lo ha considerato "la prova dell'esistenza del cervello". Da neurologo, condivide la tesi per cui tutto ciò che vediamo, udiamo, sentiamo e pensiamo è mediato o creato dal cervello. E quell'esperienza fu l'inizio di un'avventura scientifica: esplorare le basi neurologiche dell'esperienza spirituale mistica. Da quell'avventura nacque un libro di 844 pagine, "Lo Zen e il cervello", pubblicato, si badi, non da qualche stravagante editore amante della New Age ma dalla Mit Press nel 1998. E con questo nacque una nuova scienza: la neuroteologia, lo studio della componente neurobiologica della religione e della spiritualità. Che negli ultimi anni ha coagulato un bel po' di interesse, risultato in articoli scientifici e libri. Come "Why God Won't Go Away", pubblicato ad aprile da Andrew Newberg della University of Pennsylvania insieme allo scomparso Eugene d'Aquili. Utilizzando le immagini cerebrali raccolte "fotografando" il cervello di monaci buddisti immersi nella meditazione e di suore cattoliche intente alla preghiera, i due neurologi raccontano quello che sembra essere il circuito della spiritualità nel cervello e spiegano perché i rituali religiosi hanno il potere di scuotere credenti e non. L'obiettivo è la scoperta delle basi neurologiche delle esperienze spirituali e mistiche; ovvero, ciò che avviene nel nostro cervello quando "sentiamo di aver incontrato una realtà diversa da quella quotidiana, e in qualche misura superiore ad essa", come dice lo psicologo David Wulff del Wheaton College nel Massachusetts. I neuroteologi cercano di individuare quali regioni si attivano, e quali si disattivano, durante esperienze che sembrano esistere fuori dal tempo e dallo spazio. Sebbene il tema sia del tutto nuovo e le risposte solo provvisorie, una cosa è chiara. Le esperienze spirituali si configurano come tali in ogni cultura e fede", dice Wulff, "tanto da far pensare a un nucleo comune che è un riflesso di strutture e processi all'interno del cervello umano". "Sentivo l'energia concentrarsi in me. uscire verso lo spazio infinito, per poi tornare. Sentivo un profondo allentarsi dei confini intorno a me, e un collegamento con una qualche forma di energia e di essenza piena di chiarezza, trasparenza e gioia", così Michael J. Baime, collega di Newberg, scrive ciò che prova quando pratica la meditazione buddista tibetana. Uno degli esperimenti più comuni raccontati nel libro di Newberg, lo vedeva seduto in meditazione tra incensi e candele con al suo fianco, una cordicella. Concentrandosi su un'immagine mentale, Baime acquietava la sua mente fino a far emergere quello che lui stesso definisce il suo vero io interiore. Una volta raggiunto il picco d'intensità spirituale, dava uno strappo alla cordicella. Newberg che teneva in mano l'altra estremità della fune, sentiva tirare e iniettava un tracciante radioattivo in una cannula inserita nel braccio sinistro di Baime. E così lo sottoponeva a Spect, ossia tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli, una tecnica che rileva il flusso sanguigno nel cervello, flusso che è correlato all'attività neuronica. Le immagini Spect consentono di scattare un'istantanea di un'esperienza trascendentale. A Baime si era illuminata la corteccia prefrontale, sede dell'attenzione. Ma quello che era emerso era un acquietamento dell'attività neuronale nel lobo parietale superiore. Questa regione determina il punto in cui termina il corpo e comincia il resto del mondo. "Se blocchiamo gli input sensori verso questa regione, come accade durante l'intensa concentrazione tipica della meditazione, si impedisce al cervello di operare la distinzione fra io e non-io", dice Newberg. Non arrivando più informazioni dai sensi, l'area di orientamento di sinistra non può rilevare il confine tra l'io e il mondo. Di conseguenza, il cervello sembra non avere altra scelta se non quella di "percepire l'io come eternamente intrecciato con il tutto", scrivono Newberg e d'Aquili. La stessa operazione fatta sul collega, i due neurologi l'hanno fatta su altri meditatori buddisti e su una coorte di suore. Lo stesso risultato. Quando Suor Celeste pregando arriva a "sentire Dio", la Spect rileva cambiamenti uguali a quelli intervenuti nei meditatori buddisti: l'area di orientamento si scuriva. "Il fatto che le esperienze spirituali possano essere associate a un'attività neurale non significa che siano mere illusioni neurologiche", precisa Newberg: "Sarebbe come attribuire a un'illusione il piacere che proviamo mangiando una torta. Non vi è modo per stabilire se i cambiamenti neurologici associati a un'esperienza spirituale significano che il cervello sta causando quell'esperienza o, al contrario, sta percependo una realtà spirituale". In realtà, alcune delle stesse regioni cerebrali coinvolte nell'esperienza della torta creano anche esperienze religiose. Quando l'immagine di una croce o di una torah rivestita d'argento provoca una sensazione di religioso rispetto, la causa va ricercata nell'area del cervello preposta alle associazioni visive, che interpreta quello che l'occhio vede e collega le immagini a emozioni e ricordi. Le visioni che nascono durante un rito o una preghiera vengono generate anche nell'area associativa: la stimolazione elettrica dei lobi temporali produce visioni. L'epilessia dei lobi temporali - scariche abnormi di attività elettrica in queste regioni - porta agli estremi questo fenomeno. Anche se alcuni studi hanno sollevato dubbi sulla connessione fra epilessia dei lobi temporali e religiosità, altri hanno concluso che questa condizione sembra indurre visioni e voci religiose particolarmente vivide. "Non tutti coloro che meditano provano esperienze religiose forti", dice Robert K.C. Forman, studioso di religione dell'Hunter College di New York: "Pensiamo che alcuni individui possano essere predisposti geneticamente o caratterialmente ad avere esperienze mistiche". Le persone più aperte a queste esperienze tendono anche ad essere aperte a nuove esperienze di natura più generale. Sono di solito creative e innovative, con molti interessi e una certa tolleranza per l'ambiguità. Sono inclini alla fantasia, nota David Wulff, "suggerendo una qualche capacità di sospendere il processo di discernimento che permette di distinguere tra fatti reali e immaginari". Dato che "tutti noi abbiamo i circuiti cerebrali che mediano le esperienze spirituali, è probabile che molte persone abbiano la capacità di avere queste esperienze", dice Wulff: "Ma è possibile precludere questa capacità. Se uno è razionale e non incline alla fantasia, probabilmente rifiuterà l'esperienza". Nonostante gli iniziali successi conseguiti dagli scienziati nella ricerca delle basi biologiche dell'esperienza religiosa, spirituale e mistica, c'è un mistero che resterà sicuramente tale. Essi potranno scoprire un senso di trascendenza nella nostra materia grigia e magari anche un sentimento divino, ma è probabile che non riusciranno mai a risolvere il più grande di tutti gli interrogativi, vale a dire se è il nostro cervello a creare Dio o se è stato Dio a creare il nostro cervello. Quale che sia la vostra risposta, è questione di fede.
È una domenica mattina di marzo di 19 anni fa, a Londra. James Austin, neurologo, è in Inghilterra per il suo anno sabbatico. Si trova a una stazione della metropolitana e sta aspettando il treno. Non vi è nulla di diverso dal solito. All'improvviso, viene invaso da una sensazione che gli pare di illuminazione, qualcosa mai provato prima. Il senso di esistenza individuale, di separazione dal mondo fisico circostante, svanisce. "Il tempo non esisteva più", ricorda oggi: "Provavo una sensazione di eternità. Desideri, avversioni, paura della morte, si erano dissolti. Avevo avuto in dono la comprensione della natura ultima delle cose". Chiamatela esperienza mistica, momento spirituale, persino illuminazione religiosa se volete. Ma ad Austin non è bastato. Invece di interpretare il suo istante di grazia come la prova di una realtà che va al di là della comprensione dei nostri sensi, e men che mai come prova di un'esistenza divina, lo ha considerato "la prova dell'esistenza del cervello". Da neurologo, condivide la tesi per cui tutto ciò che vediamo, udiamo, sentiamo e pensiamo è mediato o creato dal cervello. E quell'esperienza fu l'inizio di un'avventura scientifica: esplorare le basi neurologiche dell'esperienza spirituale mistica. Da quell'avventura nacque un libro di 844 pagine, "Lo Zen e il cervello", pubblicato, si badi, non da qualche stravagante editore amante della New Age ma dalla Mit Press nel 1998. E con questo nacque una nuova scienza: la neuroteologia, lo studio della componente neurobiologica della religione e della spiritualità. Che negli ultimi anni ha coagulato un bel po' di interesse, risultato in articoli scientifici e libri. Come "Why God Won't Go Away", pubblicato ad aprile da Andrew Newberg della University of Pennsylvania insieme allo scomparso Eugene d'Aquili. Utilizzando le immagini cerebrali raccolte "fotografando" il cervello di monaci buddisti immersi nella meditazione e di suore cattoliche intente alla preghiera, i due neurologi raccontano quello che sembra essere il circuito della spiritualità nel cervello e spiegano perché i rituali religiosi hanno il potere di scuotere credenti e non. L'obiettivo è la scoperta delle basi neurologiche delle esperienze spirituali e mistiche; ovvero, ciò che avviene nel nostro cervello quando "sentiamo di aver incontrato una realtà diversa da quella quotidiana, e in qualche misura superiore ad essa", come dice lo psicologo David Wulff del Wheaton College nel Massachusetts. I neuroteologi cercano di individuare quali regioni si attivano, e quali si disattivano, durante esperienze che sembrano esistere fuori dal tempo e dallo spazio. Sebbene il tema sia del tutto nuovo e le risposte solo provvisorie, una cosa è chiara. Le esperienze spirituali si configurano come tali in ogni cultura e fede", dice Wulff, "tanto da far pensare a un nucleo comune che è un riflesso di strutture e processi all'interno del cervello umano". "Sentivo l'energia concentrarsi in me. uscire verso lo spazio infinito, per poi tornare. Sentivo un profondo allentarsi dei confini intorno a me, e un collegamento con una qualche forma di energia e di essenza piena di chiarezza, trasparenza e gioia", così Michael J. Baime, collega di Newberg, scrive ciò che prova quando pratica la meditazione buddista tibetana. Uno degli esperimenti più comuni raccontati nel libro di Newberg, lo vedeva seduto in meditazione tra incensi e candele con al suo fianco, una cordicella. Concentrandosi su un'immagine mentale, Baime acquietava la sua mente fino a far emergere quello che lui stesso definisce il suo vero io interiore. Una volta raggiunto il picco d'intensità spirituale, dava uno strappo alla cordicella. Newberg che teneva in mano l'altra estremità della fune, sentiva tirare e iniettava un tracciante radioattivo in una cannula inserita nel braccio sinistro di Baime. E così lo sottoponeva a Spect, ossia tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli, una tecnica che rileva il flusso sanguigno nel cervello, flusso che è correlato all'attività neuronica. Le immagini Spect consentono di scattare un'istantanea di un'esperienza trascendentale. A Baime si era illuminata la corteccia prefrontale, sede dell'attenzione. Ma quello che era emerso era un acquietamento dell'attività neuronale nel lobo parietale superiore. Questa regione determina il punto in cui termina il corpo e comincia il resto del mondo. "Se blocchiamo gli input sensori verso questa regione, come accade durante l'intensa concentrazione tipica della meditazione, si impedisce al cervello di operare la distinzione fra io e non-io", dice Newberg. Non arrivando più informazioni dai sensi, l'area di orientamento di sinistra non può rilevare il confine tra l'io e il mondo. Di conseguenza, il cervello sembra non avere altra scelta se non quella di "percepire l'io come eternamente intrecciato con il tutto", scrivono Newberg e d'Aquili. La stessa operazione fatta sul collega, i due neurologi l'hanno fatta su altri meditatori buddisti e su una coorte di suore. Lo stesso risultato. Quando Suor Celeste pregando arriva a "sentire Dio", la Spect rileva cambiamenti uguali a quelli intervenuti nei meditatori buddisti: l'area di orientamento si scuriva. "Il fatto che le esperienze spirituali possano essere associate a un'attività neurale non significa che siano mere illusioni neurologiche", precisa Newberg: "Sarebbe come attribuire a un'illusione il piacere che proviamo mangiando una torta. Non vi è modo per stabilire se i cambiamenti neurologici associati a un'esperienza spirituale significano che il cervello sta causando quell'esperienza o, al contrario, sta percependo una realtà spirituale". In realtà, alcune delle stesse regioni cerebrali coinvolte nell'esperienza della torta creano anche esperienze religiose. Quando l'immagine di una croce o di una torah rivestita d'argento provoca una sensazione di religioso rispetto, la causa va ricercata nell'area del cervello preposta alle associazioni visive, che interpreta quello che l'occhio vede e collega le immagini a emozioni e ricordi. Le visioni che nascono durante un rito o una preghiera vengono generate anche nell'area associativa: la stimolazione elettrica dei lobi temporali produce visioni. L'epilessia dei lobi temporali - scariche abnormi di attività elettrica in queste regioni - porta agli estremi questo fenomeno. Anche se alcuni studi hanno sollevato dubbi sulla connessione fra epilessia dei lobi temporali e religiosità, altri hanno concluso che questa condizione sembra indurre visioni e voci religiose particolarmente vivide. "Non tutti coloro che meditano provano esperienze religiose forti", dice Robert K.C. Forman, studioso di religione dell'Hunter College di New York: "Pensiamo che alcuni individui possano essere predisposti geneticamente o caratterialmente ad avere esperienze mistiche". Le persone più aperte a queste esperienze tendono anche ad essere aperte a nuove esperienze di natura più generale. Sono di solito creative e innovative, con molti interessi e una certa tolleranza per l'ambiguità. Sono inclini alla fantasia, nota David Wulff, "suggerendo una qualche capacità di sospendere il processo di discernimento che permette di distinguere tra fatti reali e immaginari". Dato che "tutti noi abbiamo i circuiti cerebrali che mediano le esperienze spirituali, è probabile che molte persone abbiano la capacità di avere queste esperienze", dice Wulff: "Ma è possibile precludere questa capacità. Se uno è razionale e non incline alla fantasia, probabilmente rifiuterà l'esperienza". Nonostante gli iniziali successi conseguiti dagli scienziati nella ricerca delle basi biologiche dell'esperienza religiosa, spirituale e mistica, c'è un mistero che resterà sicuramente tale. Essi potranno scoprire un senso di trascendenza nella nostra materia grigia e magari anche un sentimento divino, ma è probabile che non riusciranno mai a risolvere il più grande di tutti gli interrogativi, vale a dire se è il nostro cervello a creare Dio o se è stato Dio a creare il nostro cervello. Quale che sia la vostra risposta, è questione di fede.
domenica 19 settembre 2010
La vera origine degli Indoeuropei
Gli Indoeuropei? Derivano dai pacifici e sedentari contadini dell’Anatolia e non dai feroci e violenti Kurgan come ritenuto finora. Lo afferma un team di studiosi dell’Università di Auckland in Nuova Zelanda. Russel Gray e Quentin Atkinson del Dipartimento di psicologia hanno esaminato 87 linguaggi e 2.449 parole di base, riconducibili all’etimologia in uso presso le più evolute popolazioni antiche. Così sono riusciti a ricostruire la misteriosa origine “turca” degli Indoeuropei. Secondo le nuove ricerche, il ceppo originario che ha innescato l’intero processo evolutivo che ha consentito la differenziazione di tutti gli attuali europei, non si è formato 6 mila anni fa (come si credeva) ma molto prima. I contadini dell’Anatolia si misero infatti in moto alla conquista del “mondo” presumibilmente tra i 7.800 e i 9.800 anni fa. (Nella foto l'albero "genealogico" dei lunguaggi indoeuropei).
sabato 18 settembre 2010
Il calore del telefonino danneggia gli spermatozoi
Il telefonino portato nelle tasche dei pantaloni può creare problemi di sterilità. Lo dice uno studio pubblicato su Biology Letters, giornale della Royal Society. Gli esperti hanno selezionato 52 uomini tra i 18 e i 35 anni, ai quali sono state rivolte domande relative all’utilizzo del proprio cellulare. È emerso che coloro che portano l’apparecchio nelle tasche davanti dei pantaloni presentano un numero di spermatozoi minore degli altri. Specificatamente la ricerca ha evidenziato che gli uomini con questa abitudine subiscono una riduzione degli spermatozoi del 15%: un risultato simile ricavato da una ricerca in Gran Bretagna dello scorso anno parla addirittura di una diminuzione del 29%. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità un uomo sano dovrebbe produrre 75 milioni di spermatozoi per millimetro di seme, mentre si parla di sterilità quando il numero di cellule germinali precipita a 20 milioni per millimetro. Lo studio mette in luce che, portando il cellulare nelle tasche davanti dei pantaloni, il numero di spermatozoi scende in media a 65 milioni per millimetro di seme, dunque se una persona va avanti così, nel giro di un numero imprecisato di anni potrebbe diventare completamente sterile. È un po’ ciò che accade anche con i pc portatili che vengono posizionati sulle gambe degli utilizzatori. Ricerche in tal senso hanno evidenziato che il calore sprigionato dal computer a contatto con l’apparato genitale maschile provoca una diminuzione della qualità e della quantità dello sperma, anticamera della sterilità. L’alta temperatura è in parte imputabile in modo diretto al processore del pc che lavorando può anche raggiungere i 70°C, in parte alla posizione delle gambe, tenuto conto del fatto che le cosce strette per tenere in equilibrio il portatile, ‘intrappolano’ i testicoli in una ‘morsa’ di calore. Al momento, comunque, non è dato di sapere quale sia il tempo sufficiente a un surriscaldamento testicolare eventualmente in grado di compromettere il processo di spermiogenesi.
venerdì 17 settembre 2010
I vegetali? Si svilupparono in seguito a un'esplosione stellare
Il segreto dell’evoluzione dei vegetali è racchiuso nell’esplosione di una stella avvenuta oltre 400 milioni di anni fa. Lo dicono ricercatori statunitensi dell’Università del Kansas. Essi ritengono che a causa dell’esplosione della supernova, lo strato di ozono venne distrutto da onde ad alta energia e i raggi gamma avrebbero determinato una conversione dell’azoto e l’ossigeno atmosferico in diossido di azoto; quest’ultimo avrebbe generato una lunga serie di piogge acide che a lungo andare portarono a un accumulo eccezionale di nitrati nel terreno, prerogativa essenziale allo sviluppo delle specie botaniche. Da quel momento in poi quindi i vegetali cominciarono a colonizzare sempre più spazi, fino a coprire praticamente ogni angolo della Terra. La storia dei vegetali è vero che inizia con le clorofite nel Precambriano (oltre 1 miliardo di anni fa), ma il vero boom evolutivo è da riferirsi al Siluriano (periodo immediatamente successivo all’Ordoviciano e alla presunta esplosione stellare) con l’avvento delle cosiddette piante vascolari; le conifere compariranno nel Carbonifero, mentre per la angiosperme, ovvero le piante a fiore, bisogna aspettare la fine del Giurassico (150 milioni di anni fa). Nel gap temporale analizzato dagli scienziati del Kansas le regine incontrastate del mondo vegetale furono inizialmente i muschi e successivamente le felci e gli equiseti. Se da una parte infine le onde ad alta energia favorirono indirettamente lo sviluppo dei vegetali, dall’altra causarono una grossa estinzione di massa, con la scomparsa di numerose specie animali. Ciò si verificò per via dell’azione nociva dei raggi ultravioletti non più trattenuti dallo strato di ozono, e probabilmente in qualche modo responsabili di una rivoluzione repentina delle condizioni climatiche generali.
giovedì 16 settembre 2010
Risolto il mistero del Triangolo delle Bermuda
Si è sempre parlato di alieni o di fenomeni atmosferici inspiegabili. Ora, però, il mistero della sparizione di navi e aerei nei pressi del Triangolo delle Bermuda, potrebbe finalmente avere una spiegazione scientifica del tutto attendibile. Il fenomeno potrebbe, infatti, essere la conseguenza di particolari fughe di metano che farebbero letteralmente saltare in aria tutto ciò che si trova nei loro dintorni. Studiosi dell'Università di Monash di Melbourne hanno passato al setaccio la superficie dei mari compresi fra Bermuda, Florida e Porto Rico verificando in molti punti grosse concentrazioni del gas a base di carbonio. Quest'ultimo, in determinate circostanze, si organizzerebbe in mastodontiche bolle d'aria che esplodendo, investirebbero pescherecci, navi e qualunque altro mezzo si trovi a solcare le onde marine (permane qualche dubbio sugli aerei che volando ad alta quota non si capisce in che modo possano venire a contatto con le dinamiche fisiche che si instaurano in superficie). Alle stesse conclusioni dei ricercatori australiani è giunto Anatoli Nesterov, direttore dell'Istituto per la cryosphère de la Terre, della sezione siberiana dell'Accademia delle Scienze Russe. In realtà Nesterov fa riferimento a un generico gas idrato che - in determinate condizioni di pressione - si viene a formare dall'incontro fra l'acqua marina e il metano: nello specifico si tratterebbe di cristalli di metano “ghiacciato” circondati da gabbie di molecole d'acqua. Secondo lo scienziato russo la molla viene innescata da scosse sismiche ed eruzioni vulcaniche che provocherebbero una decomposizione di questo gas idrato, che abbassando drasticamente la densità dei mari, crea infine “voragini” richiamando a sé ogni cosa. La presenza di alte concentrazioni di gas “particolari” in corrispondenza del Triangolo delle Bermuda, è stata confermata da innumerevoli perforazioni petrolifere. Qualcosa di analogo, presumibilmente, avviene anche in altre aree del pianeta. Per esempio nel Mare del Nord e nell'Atlantico Occidentale. Nei pressi di Witches Hole, al largo della costa di Aberdeen, una missione scientifica ha da poco scoperto – sui fondali – un vascello affondato, con ogni probabilità, a causa di queste bolle di gas. Fisicamente si sarebbe venuto a creare un calo della spinta idrostatica esercitata dalle acque sulla nave, provocando l'inabissamento dell'imbarcazione. In ogni caso l'idea di forze soprannaturali o ufo che possano esercitare la loro influenza su navi e aerei è già stata smentita da tempo. Il giornalista Larry Kusche ha analizzato tutti i casi di scomparsa documentati negli anni, verificando che per ognuno è disponibile una soluzione del tutto logica e razionale. Due dati su tutti: per ogni scomparsa si era in presenza di tempo perturbato e in molti casi il riferimento era a mezzi che si trovavano a miglia di distanza dal Triangolo delle Bermuda. Tradizionalmente il famigerato Triangolo delle Bermuda comprende un'area di 2.500.000 chilometri quadrati di mare, dove si sarebbero verificati - dal 1800 in poi - numerosi sparizioni di navi e aerei. La fama del triangolo s'è sparsa anche per via di un bestseller, “Bermuda, il triangolo maledetto”, del 1974, scritto da Charles Berlitz.
martedì 14 settembre 2010
IL POTERE DELLE NINNE NANNE
Desiderate che i vostri figli da adulti diventino dei provetti ballerini? Allora fategli ascoltare più ninne nanne possibili. È il suggerimento di uno studio canadese condotto da esperti della McMaster University. Gli scienziati hanno evidenziato che le cantilene delle mamme indirizzate ai neonati hanno il potere di attivare e potenziare determinate aree cerebrali preposte alla percezione del ritmo, e quindi alla base della capacità di seguire una certa melodia senza andare fuori tempo. Gli esperti ritengono che con le ninne nanne sia possibile stimolare l’intelligenza musicale, che è la più precoce a svilupparsi e resta invariata per tutta la vita; melodie semplici, basate sul senso del ritmo e adatte al livello di sviluppo del bambino sono particolarmente adatte alla crescita, e in più hanno un fondamentale valore educativo poiché arricchiscono il vocabolario dei più piccoli. Gli studiosi hanno infine evidenziato che la persona che canta - la mamma, il papà, la tata - crea nei bambini i presupposti per lo sviluppo dell'area cerebrale preposta alla comunicazione. La funzione della ninna nanna è fare addormentare il bambino grazie a un ritmo ripetitivo, che produce una specie di effetto ipnotico. A questo contribuiscono sia la melodia sia le parole, che spesso si ripetono dando un senso di monotonia. Il ritmo è generalmente determinato dal movimento, cui viene sottoposto il bambino, tra le braccia della mamma o in una culla che viene mossa. Musicalmente c’è da osservare che l’estensione delle melodie è ristretta e le scale utilizzate spesso contano su un numero limitato di note. Il canto a bocca chiusa (humming) e la ripetizione, con lunghezza variabile di parole nonsense (simili anche in aree fra loro distanti), sono altre caratteristiche comuni delle ninne nanne.
sabato 11 settembre 2010
ADDIO ITALIANI. ITALIANI CHI?
Guerrieri sanniti, fra i primi abitatori dell'Italia |
giovedì 9 settembre 2010
Il primo antibiotico? Risale a duemila anni fa
Si è soliti pensare alla penicillina come al primo antibiotico comparso nella storia della medicina. In realtà, stando alle ricerche di George Armelagos, della Emory University, le prime tracce di un antibiotico risalirebbero a circa 2mila anni fa. Si tratterebbe della tetraciclina, sostanza che veniva prodotta dai Nubiani – una popolazione che viveva in corrispondenza dell'odierno Sudan – durante la fermentazione della birra. Lo scienziato statunitense ha trovato le tracce dell'antico antibiotico nei reperti ossei di alcuni Nubiani, vissuti fra il 350 e il 500 dopo Cristo. «Le ossa esaminate erano sature di tetraciclina», afferma il chimico Mark Nelson, sulle pagine dell'American Journal of Physical Anthropology. «Il fatto che notevoli quantità di antibiotico siano state trovate anche in un bimbo di 4 anni, dimostra che la sostanza gli era stata somministrata a scopo terapeutico». Allo stesso scopo venivano somministrate anche muffe e piante particolari, benché non si sapesse dell'esistenza di sostanze specifiche in grado di debellare le infezioni. Ufficialmente il primo antibiotico compare nel 1928 con la scoperta casuale della penicillina da parte di Alexander Fleming. Oggi le tetracicline vengono utilizzate soprattutto nel trattamento delle infezioni del tratto respiratorio, dell'apparato genitale, e per combattere l'acne.
mercoledì 8 settembre 2010
Più sani e robusti i bimbi nati in provetta
I bimbi che nascono in provetta sono più alti e godono di una salute cardiovascolare migliore rispetto a quelli nati normalmente. Lo dice una ricerca resa nota nel corso del convegno della società di endocrinologia di San Diego. Gli esperti hanno messo a confronto 50 bimbi di sei anni nati in vitro e altri 60 concepiti secondo i metodi tradizionali. Si è riscontrato che i piccoli del primo gruppo presentano dosi più alte di ormone della crescita e di colesterolo buono, quello che protegge da malattie come l’infarto e l’ictus. Lo studio ne contraddice altri compiuti di recente, in cui si dice che i bimbi nati tramite fecondazione assistita vanno incontro a maggiori problemi di salute; correrebbero, in particolare, un rischio doppio di avere gravi difetti alla nascita e di essere sottopeso. Alcuni studiosi della Johns Hopkins e dell’Università di Washington, hanno messo in risalto che i bambini nati in “vitro” rischiano sei volte di più di andare incontro alla sindrome Beckwith-Wiedemann, un raro disordine ereditario, che causa malformazioni nello sviluppo e tumori: questa sindrome è riconducibile ai problemi di crescita riscontrati negli animali clonati.
lunedì 6 settembre 2010
Oceani sempre più acidi per colpa dell'effetto serra
Gli oceani della Terra stanno diventando sempre più acidi e di questo passo potrebbero causare gravi problemi a numerose specie animali e vegetali alla base della catena alimentare. Gli esperti della Royal Society britannica affermano che il problema è dovuto alle emissioni di anidride carbonica dell’uomo, derivanti soprattutto dalla combustione dei carburanti fossili. Secondo i ricercatori gli oceani del pianeta hanno già assorbito circa la metà del biossido di carbonio prodotto dall’uomo negli ultimi 200 anni. Il fenomeno ha causato una riduzione del pH dell’acqua marina di 0,1 unità (su una scala da 1 a 14). E se le emissioni di CO2 continueranno a crescere come previsto, ci sarà un ulteriore calo di 0,5 unità entro il 2100, un livello che non veniva raggiunto dagli oceani da molti milioni di anni; in particolare durante l’epoca glaciale il pH medio dei mari era di 8,3, mentre oggi si è abbassato a 8,1, e si prevede che arriverà a 7,3 entro il 2300. A rischio sono soprattutto animali come i coralli e alcuni tipi di alghe che necessitano di una certa basicità per formare i propri esoscheletri, la struttura esterna che li riveste e che gli consente di difendersi dai predatori: l’anidride carbonica disciolta in acqua forma infatti l’acido carbonico che dissolvendo i loro gusci, non gli lascia scampo. “Il biossido di carbonio che si dissolve negli oceani non è un problema da poco – rivela John Raven della Royal Society - e gli effetti in alcune parti del globo saranno molto gravi. Forse non si tradurranno immediatamente in perdite economiche, ma avranno importanti conseguenze sul funzionamento del sistema Terra e sui suoi ecosistemi”.
venerdì 3 settembre 2010
L'universo? Non è opera di Dio
"L'universo può essersi creato da sé, può essersi creato dal niente, e quindi non è stato creato da Dio". Parole forti, appannaggio di chi - evidentemente - ha una certa autorità per farlo. Il riferimento è, infatti, a uno dei più importanti astrofisici del mondo: Stephen Hawking. Ieri la sua dichiarazione è stata diffusa sulla prima pagina del Times di Londra, suscitando, com'era prevedibile, un vespaio di polemiche. Con questa affermazione, infatti, Hawking smentisce categoricamente l'esistenza di Dio, e inoltre annulla tutti gli altri tentativi più o meno plausibili di spiegare la nascita della vita e del cosmo grazie al suo intervento. Coinvolto nella discussione anche un altro eccellente ateo, Richard Dawkins, convinto che Darwin abbia smentito l'esistenza di Dio con i suoi studi relativi alle specie viventi, e che ora Hawking lo stia negando, per la prima volta, anche dal punto di vista fisico-matematico. Perché se c'era ancora un dubbio a proposito della veridicità di un creatore di tutte le cose, risiedeva proprio nel condividere (anche religiosamente) la tesi di Darwin - e quindi, in sostanza, l'origine della vita indipendente da forze divine - ma non l'ipotesi che anche il Big Bang possa essersi "auto-innescato" senza un intervento dall'esterno. L'uscita di Hawking smentisce anche le parole del grande Isaac Newton, convinto, invece, che l'universo fosse opera di Dio, tenendo conto del fatto che solo la scintilla innescata da un essere supremo avrebbe potuto generare il Big Bang. Secondo Hawking, quindi, il cosiddetto "disegno intelligente" non è opera del "Principio di tutte le cose", ma fu la "conseguenza inevitabile delle leggi della fisica", partendo dal presupposto che basta una legge come la gravità a giustificare razionalmente la creazione spontanea e naturale del cosmo. In più suppone l'esistenza non solo di altri pianeti come la Terra, ma anche di molti altri universi, ipotesi che cozza sonoramente con l'idea di un Dio che crea il mondo in virtù della sua creatura più eccellente: l'uomo. In pratica, come dice il fisico Alan Guth, l'universo è "un pasto gratis", considerando la negatività dell'energia gravitazionale e la positività di quella del suo contenuto materiale. Ma i credenti non si scandalizzano più di tanto e trovano conforto nelle parole di George Ellis, docente di teologia presso l'University of Cape Town: "Se una persona ha fede continuerà a credere in Dio e nel suo ruolo di creatore". Peraltro i teologi sono sempre riusciti a giustificare Dio anche quando ha rischiato seriamente di finire in soffitta, come durante la rivoluzione copernicana. Nella sua ultima opera The Grand Design, Hawking, rivela infine che si è vicini a formulare "una teoria del tutto", in grado quindi di spiegare ogni mistero che ci circonda, ogni segreto naturale. Per ora è un'ipotesi di fisica teorica. Il termine viene introdotto per la prima volta nel 1986. Ne parlò il fisico John Ellis su un numero di Nature. Fino a oggi sono state proposte molte "teorie del tutto" - la teoria della matrice di stringhe e la teoria delle stringhe perturbative su tutte - ma nessuna s'è rivelata davvero soddisfacente. Il problema fondamentale è la difficoltà di combinazione fra le leggi della meccanica quantistica e quelle della relatività generale formulate da Einstein. Un aiuto potrebbe arrivare dal "principio olografico" formulato dai fisici negli anni Novanta. È la teoria presentata da Gerard't Hooft e sviluppata da Leonard Susskind, corrispondente alla misura di radiazione reattiva della massa attratta dalla gravità di un buco nero. (Mentre Alain Aspect, nel 1982, condusse un esperimento presso l'Università di Parigi verificando che, sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche come gli elettroni, esse sono capaci di comunicare istantaneamente una con l'altra indipendentemente dalla distanza che le separa, sia che si tratti di 10 metri o di 10 miliardi di chilometri). Il discorso, in effetti, per i non addetti ai lavori rischia di farsi complicato. Con ciò, per il momento, accontentiamoci delle parole di Laplace che in qualche modo parafrasano la teoria del tutto: "Un'intelligenza che in un certo istante conoscesse tutte le forze che mettono la natura in moto e tutte le posizioni di tutti gli oggetti la quale natura è sconosciuta, se questo intelletto fosse anche abbastanza vasto per analizzare questi dati, raccoglierebbe in una singola formula i movimenti dai più grandi corpi dell'universo a quelli del più piccolo atomo; per una tale intelligenza niente sarebbe incerto e il futuro, come il passato, sarebbe il presente ai suoi occhi".
Scoperto sistema solare con sette pianeti
Il sistema solare HD 10180 |
Il video:
giovedì 2 settembre 2010
MEDICI DIFENSIVISTI
Per non correre il rischio di andare incontro a beghe legali molti medici raccomandano esami che si potrebbero evitare, e declinano l’invito a affrontare casi giudicati disperati. È quanto emerge da una ricerca condotta David M. Studdert dell’Harvard School of Public Health di Boston e pubblicata sulla rivista “Journal of the American Medical Association”. I dati parlano chiaro: oltre il 90% dei medici della Pennsylvania ammette di ricorrere a pratiche mediche difensive, come la prescrizione di test diagnostici in eccesso o il rifiuto senza motivo di prendersi cura di pazienti molto gravi; specificatamente - degli 824 medici presi in esame - il 93%% ha dichiarato di praticare genericamente “Medicina difensiva”; il 43% riferisce di ordinare test clinici non necessari; il 42% sottoscrive di aver volutamente ristretto il suo campo d’azione professionale negli ultimi 3 anni per evitare complicazioni. Secondo Studdert simili atteggiamenti si possono spiegare esclusivamente sostenendo che molti medici temono di essere denunciati per eventuali responsabilità professionali. Il problema della “Medicina difensiva” è un aspetto della realtà sanitaria statunitense sottovalutato, ma che ha forti ripercussioni sui costi, l’accessibilità e la qualità tecnica ed interpersonale dell’assistenza sanitaria. Inoltre a rimetterci sono sempre più spesso i pazienti. Procedure diagnostiche invasive (come per esempio le biopsie) non necessarie possono rappresentare inutili rischi per i malati, e risultati ambigui o falso-positivi rischiano di indurre a gravi stress emotivi.
mercoledì 1 settembre 2010
I neandertaliani? 'Rappavano' come Eminem
Anche agli uomini di Neandertal piaceva la musica e in particolare cantare. Ma se si dovesse fare un paragone con le hit parade odierne, in quale genere potrebbero essere catalogate le loro opere? La risposta arriva da Steven Mithen, docente dell’Università di Reading: i neandertaliani erano probabilmente cultori e interpreti eccellenti di quella che noi oggi definiamo musica rap. Essi si disponevano in cerchio intorno al fuoco e con l’accompagnamento di percussioni rudimentali, ricavate da bastoni di legno o gusci di conchiglie, “rappavano”, in una lingua non di certo evoluta come la nostra, le proprie storie e vicende. Mithen ha reso note le sue idee tramite un’intervista rilasciata alla BBC. “La gente spesso descrive gli uomini di Neandertal come stupidi o scontrosi - ha detto il ricercatore - ma avevano una grande sensibilità musicale. Credo che sarebbe loro piaciuta soprattutto la musica rap, perché ha quel tipo di effetto che gli uomini di Neanderthal avrebbero senz’altro apprezzato. Nella mia mente posso vederli ‘rappare’”. Secondo i paleoantropologi per gli uomini primitivi, sia neandertaliani che sapiens, la musica ha sempre avuto un’importanza notevole. Ed è pensabile che essa si sia sviluppata insieme con il linguaggio. Per amplificare la voce e mandare richiami a distanza, gli uomini primitivi si servivano di grandi conchiglie o di trombe fatte di scorza d’albero, i primi strumenti a fiato. Oppure battevano su tronchi cavi o su pelli tese sopra un recipiente vuoto, i primi strumenti a percussione. Quando si parla di musica, dicono gli esperti, si intende non solo l’emissione di suoni con la voce e gli strumenti, ma anche una qualche loro organizzazione. Può bastare un suono soltanto per avere della musica, ma ripetuto seguendo un “ritmo”. Più suoni, alti e bassi, emessi successivamente da uno strumento o dalla voce danno una “melodia”. Più suoni emessi simultaneamente creano un’“armonia”. Il lungo cammino della musica attraverso i millenni ha quindi visto uno sviluppo molto complesso di questi tre elementi: ritmo, melodia, armonia. Per quanto diversi siano i risultati presso i differenti popoli e le differenti culture, è certo che la musica ha accompagnato l’uomo in ogni tipo di società.
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