mercoledì 22 aprile 2009

Parole e ricordi: il "lampo" che fissa la memoria

Fino a poco tempo fa si pensava che l’assimilazione di nuovi vocaboli dipendesse esclusivamente dalla memoria a lungo termine, memoria che ci consente di ricordare fatti, luoghi e persone per molto tempo. Una conclusione a cui gli studiosi giunsero studiando il caso Henry Gustav Molaison, paziente che negli anni Cinquanta subì un’operazione che lo privò della capacità di memorizzare parole e ricordi per più di 20 secondi, e che quindi era in grado di ricordare tutto del suo passato, ma nulla del suo presente, nuove parole incluse. Oggi, però, una nuova ricerca condotta dall’Università Milano-Bicocca e di prossima pubblicazione sulla rivista NeuroImage, dice che questa teoria è inesatta: in realtà, l’apprendimento di nuovi vocaboli, dipende anche dalla memoria a breve termine. È un risultato importante – spiegano i ricercatori della Bicocca - da qui sarà infatti possibile curare con maggiore efficacia i piccoli malati di dislessia e disfasia, disturbi del linguaggio. I ricercatori hanno scoperto che l’area della corteccia cerebrale legata al funzionamento della memoria a breve termine si trova in corrispondenza della scissura di Silvio, area che divide il lobo temporale dal lobo parietale del cervello. Tra queste aree vi è anche la famosa area di Broca, dal nome dello scopritore, fondamentale per il controllo delle funzioni linguistiche negli esseri umani. Lo studio ha coinvolto 12 persone sane. I partecipanti al test dovevano apprendere dei neologismi, nuove parole in associazione a parole reali, per esempio chirurgo-ponole, barile-ghevorta, reclamo-gitolla. “È stato un po’ come fargli imparare una nuova lingua facendogli associare un vocabolo italiano a uno straniero – spiega Eraldo Paulesu, docente di Psicobiologia presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca e coordinatore della ricerca -. Il nostro cervello non fa infatti differenza fra un vocabolo sconosciuto di un’altra lingua o un termine inventato di sana pianta”. Lo studio ha previsto anche un compito di controllo durante il quale i volontari hanno appreso più semplicemente coppie di parole esistenti (esempio giardino-tiranno, pietra-gabbiano, abisso-confetto). Contemporaneamente i volontari sono stati sottoposti ad una scansione cerebrale attraverso la PET, tecnica che produce immagini tridimensionali contenenti informazioni relative al flusso cerebrale delle diverse aree del cervello. Le immagini così raccolte, dopo una serie di analisi statistiche, hanno permesso di evidenziare le aree che si attivano di più durante l’acquisizione di nuovi vocaboli. “La nostra ricerca ci ha permesso non solo di identificare le aree cerebrali implicate nell’apprendimento dei nuovi vocaboli – continua Paulesu - ma anche la dinamica di tale apprendimento: l’acquisizione di nuove parole sembra comunque un fenomeno prevalente dell’emisfero sinistro. La particolare predisposizione di tale emisfero ad imparare nuovi vocaboli è probabilmente un altro segno della sua dominanza per il linguaggio”. Prospettive future? Secondo gli scienziati da qui potranno partire nuove ricerche per facilitare la diagnosi dei disturbi del linguaggio tramite tecniche scarsamente invasive come la risonanza magnetica funzionale. Inoltre, con la conoscenza delle aree cerebrali legate all’apprendimento di nuovi vocaboli, sarà più facile sviluppare nuovi strumenti diagnostici per identificare ritardi del linguaggio con una base neurologica distinguendoli da manifestazioni di disagio derivanti per esempio da stati emotivi alterati.

La memoria a breve termine trattiene le informazioni per pochissimi istanti e dimentica quasi tutto. Quella a lungo termine invece conserva le selezioni fatte da quella breve, consentendo di attingere anche dopo anni a un’informazione correttamente memorizzata. Il filtro esistente tra la memoria a breve termine e quella a lungo termine è dato dall’interesse, dal grado di importanza che diamo all’informazione proveniente dall’esterno.

Per far capire meglio la differenza fra le due memorie molti ricercatori paragonano la nostra memoria a quella di un computer. La memoria a breve termine è paragonabile alla memoria RAM, quella a lungo termine all’Hard Disk (disco fisso che accumula ogni dato). A differenza di un computer, però, noi esseri umani non possiamo trasferire i dati dall'una all'altra secondo i nostri desideri.
(Pubblicato su Libero il 22 aprile 09)

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