«Ognuno di noi può diventare un santo o un bandito, ma ciò dipende dai nostri primi tre anni di vita, non da dio. E' una legge di una scienza che si chiama epigenetica, in altre parole si può definire il risultato del dialogo che si instaura fra i nostri geni e l'ambiente familiare e sociale nel quale cresciamo. Prendete una bicicletta o un insetto, oggi sono pressoché uguali a com'erano duecento anni or sono. Noi no. L'uomo è darwiniano al cento per cento».
lunedì 31 dicembre 2012
venerdì 28 dicembre 2012
L'esercito degli ipersonni
Sono circa tre milioni le persone in Italia che soffrono
di ipersonnie, patologie che predispongono al sonno durante il giorno. 25mila
sono gli ammalati di narcolessia e tra i due e i tre milioni quelli colpiti
dalla sindrome delle apnee notturne. Entrambe le patologie sono sotto diagnosticate,
al punto che si stima sia solo del 25% la percentuale di persone sofferenti di
ipersonnia curate adeguatamente. Sono i dati ricavati dalle associazioni Malati
di Ipersonnie e Associazione Italiana Medicina del sonno. La narcolessia insorge
dopo i dieci anni e prosegue per tutta la vita con picchi principalmente tra i
quindici e i venticinque anni. Chi ne soffre è letteralmente in balia degli
umori di Morfeo. Può addormentarsi ovunque: durante una conversazione, un
concerto, aspettando l’autobus… Si manifesta con un’incontrollabile tendenza ad
addormentarsi di giorno, aldilà del numero di ore passate a riposare durante la
notte. Il sintomo più eclatante è la “cataplessia”, ovvero la perdita del tono
muscolare causata da manifestazioni emotive come riso, collera, eccitazione e
sorpresa, che precede l’assopimento vero e proprio. La malattia può essere la
conseguenza di lesioni cerebrali, ma può anche essere trasmessa per via
ereditaria. L’apnea notturna è invece l’interruzione del respiro durante il
sonno, di solito legata all’eccesso di peso. È caratterizzata da episodi che si
ripetono anche centinaia di volte con brevi intervalli di 10-30 secondi.
Durante questi episodi l’ossigenazione del sangue tende a ridursi
pericolosamente. Studiosi dello Sleep Disorders Center di Salt Lake City (USA)
sono arrivati alla conclusione che le probabilità di soffrire di apnea
ostruttiva notturna sono più elevate per le persone che assumono
contemporaneamente farmaci antipertensivi e antidepressivi. Secondo le ricerche
condotte dall’ospedale universitario di Barcellona è circa il 20% della
popolazione mondiale a soffrirne.
La narcolessia in un film di Gus Van Sant:
La narcolessia in un film di Gus Van Sant:
domenica 23 dicembre 2012
Selle condivise
Un modo originale per girare in bici rispettando l'ambiente. Ne parlo su Rentalblog, sito italiano dedicato al noleggio: OKOBICI
Intervista ai due soci a capo dell'iniziativa, Marco Lampugnani e Gaspare Caliri:
Come nasce l'idea di Okobici?
L'idea nasce da un'occasione, fortuita come spesso accade: Copenhagen lancia un concorso per l'ideazione di una nuova generazione di bike-sharing e noi sviluppiamo una proposta. Poi decidiamo che questa proposta debba essere trasformata in un progetto d'impresa. Così è iniziata la storia di Okobici, fino al momento in cui ha catturato l'attenzione dei media, con la vittoria di Working Capital.
Un'idea maturata in coppia…
E' infatti frutto del nostro operato, ma anche delle persone che con noi lavorano in Snark, l'agenzia di progettazione per la dimensione pubblica che abbiamo fondato ormai quattro anni fa.
Cosa significa "condividere" una bicicletta?
Vuole dire tante cose e a tanti livelli. In primis spostamento culturale: verso una modalità più sostenibile (sotto ogni punto di vista) di "vivere" la città, verso un sistema di rapporti sociali più articolati e più stratificati; verso una riorganizzazione dei rapporti tra i corpi che compongono la società e i corpi delle istituzioni oggi irrimediabilmente compromessi e bisognosi di nuove modalità e protocolli; verso uno spostamento dei sistemi di valori su cui ci basiamo, perché possano comprendere che il regime d'uso può essere più efficace, ricco, sociale, sostenibile dei regimi di proprietà cui sino ad ora abbiamo fatto affidamento.
Quali le differenze con il bike-sharing tradizionale?
Nel primo caso si è sempre trattato di un sistema di biciclette pubbliche - quindi percepite come di nessuno - erogato da un soggetto terzo. Okobici invece condivide biciclette private, ma non solo; condivide esperienze, le storie di queste biciclette e delle persone che le condividono e le usano. Ogni bicicletta è una storia. Ogni bicicletta è di qualcuno. Magari di un compagno delle medie! Okobici veicola e valorizza questo sistema trasformandolo in una leva per l'aumento della responsabilità dei singoli utenti all'interno del servizio.
Ha, dunque, a che fare con la cosiddetta accountability…
Corresponsabilizza, infatti, chi condivide, ma poi, secondo il modello di governance che abbiamo scelto, quando Okobici sarà consolidata, condividere la bici o partecipare ai servizi di supporto (ciclofficine ecc.) vorrà dire anche partecipare alla società, e quindi condividere la governance. Ci sembra un modello che possa far fronte alle problematiche contemporanee della "dimensione pubblica": ci sono gli strumenti per i servizi di qualità, ma non possono essere emanazione di un unico soggetto.
Qual è la situazione a Milano?
Attualmente Okobici ha attivato una comunità di cinquanta ciclisti, ma le bici non sono ancora in strada, siamo in startup (anche per via dell'inverno imminente!). Si tratta di individui che condividono venti bici, all'interno di barra A - habitat per azioni, il coworking fondato da Avanzi e Make A Cube (www.makeacube.com), l'incubatore che sostiene Okobici.
I piani per il 2013?
Una community di pionieri, su Milano e Bologna, che sono le nostre città di adozione e in almeno tre metropoli europee, se altri finanziamenti che abbiamo richiesto dovessero venirci accordati. Nel 2014 ci piacerebbe, infine, aprire al mercato internazionale.
giovedì 20 dicembre 2012
Malati di fobia sociale
In Italia sono sempre di più le persone che hanno difficoltà a
interagire con il prossimo e a soffrire di un disturbo noto come ‘fobia
sociale’. Fanno fatica ad affrontare situazioni anche banali come telefonare a
uno sconosciuto, guardare negli occhi il proprio interlocutore, entrare in un
negozio per provare dei vestiti. Sono i risultati emersi nel corso di un
recente congresso della Società italiana di psicopatologia, tenutosi a Roma.
Secondo i ricercatori sono almeno otto persone su cento a soffrire
di questo disturbo, definito anche ‘ansia da pubblico’. Stefano
Pallanti, dell’Istituto di neuroscienze di Firenze, ha in
particolare sottolineato che sono soprattutto le donne a essere colpite dalla
fobia sociale, e che negli ultimi tempi il fenomeno sta coinvolgendo sempre più
di frequente anche i giovanissimi. L’ansia
da pubblico, secondo la definizione del DSM-IV (Manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali, 1994), consiste nella “paura di potersi
trovare in imbarazzo in situazioni sociali o prestazionali nelle quali la
persona potrebbe essere esposta a persone non familiari o al possibile giudizio
altrui”. In particolare, quando un soggetto si espone alle situazioni sociali
temute, si manifesta ansia e in casi estremi perfino attacchi di panico. Chi
soffre di ansia da pubblico teme in pratica i segni della propria ansia e il
giudizio negativo che ne seguirebbe. Il problema può insorgere anche in tenere
età ed è per questo motivo che gli scienziati raccomandano ai genitori di fare
molta attenzione al comportamento del proprio figlio con i coetanei, così da
poter intervenire prima che possano instaurarsi problemi seri. La fobia sociale
si presenta spesso in associazione con altri disturbi d’ansia (disturbo di panico,
fobie semplici e disturbo ossessivo-compulsivo).
Come combattere il freddo senza inquinare e risparmiare sulla bolletta
Ecco alcuni stratagemmi per risparmiare sulla bolletta del gas, con un occhio rivolto all'ambiente: Riscaldamento, guida al risparmio
Pubblicato su Lettera43:
Stanotte
la temperatura nel milanese ha toccato i - 4°C. Colpa di un'ondata di freddo
proveniente dai Paesi del nord. Niente di veramente anormale, se si pensa che
siamo oltre la metà di dicembre e che periodicamente, per risapute dinamiche
meteorologiche, le temperature in inverno fanno davvero sbattere i denti. C'è,
però, un particolare che spesso trascuriamo: quando sentiamo il gelo
attanagliarci le ossa, tendiamo a far partire a tutto gas i nostri impianti di
riscaldamento, dimenticandoci che consumiamo tantissimo e inquiniamo
pesantemente l'ambiente. Le spese per stare al caldo costituiscono circa il 60%
dei costi energetici di una famiglia. Eppure basterebbe davvero poco per
rimediare alla situazione, considerando che la temperatura esterna ideale per i
nostri corpi non è di 20-21°C - quella tipicamente registrata negli appartamenti
italiani - ma 18°C: deriva dalla media fra la temperatura che dovrebbe esserci
in soggiorno (19°C) e quella delle camere (17°C).
Bastano,
infatti, pochissimi gradi di differenza per vedere la bolletta ridimensionata e
l'ambiente circostante un po’ meno inquinato. Per essere precisi è sufficiente
un solo grado centigrado in meno per ottenere un risparmio energetico del 7%. Chi
possiede un termostato può regolarlo a proprio piacere, ma è bene che non
superi il limite dei 20°C. Un occhio di riguardo va ai termosifoni. E'
necessario non coprirli con tende, tessuti, mobili, e conviene che non
risiedano ai piedi delle finestre, dove si ha un'alta dispersione di calore. E
quando si desidera arieggiare i locali? Il suggerimento è compiere quest'azione
creando delle correnti d'aria, che permettono una rapida
"riossigenazione" dell'ambiente, senza raffreddare i muri e
interferire con tutto il calore accumulato: una corrente minima (1-2 km/h)
ricambia completamente l'aria in due, tre minuti.
A
volte, però, siamo ingannati dall'umidità. Se è troppo bassa significa che
l'aria è eccessivamente secca: in questi casi percepiamo di più la sensazione
di freddo e respiriamo polveri in eccesso, con ripercussioni negative sul
nostro sistema immunitario e l'insorgenza di disturbi come il mal di testa e le
allergie. L'umidità ideale dovrebbe essere compresa fra il 50 e il 60%.
Altro
aspetto sul quale soffermarsi riguarda il cattivo isolamento, con il calore che
può disperdersi se non teniamo ben tappate le finestre o lasciamo intatti gli
spifferi. Occorre quindi controllare con attenzione gli usci e le guarnizioni
di ogni collegamento con l'esterno, per assicurarci che non entri aria fredda,
mandando in fumo tutti i nostri propositi di creare un clima caldo e
accogliente. Con un ragionato isolamento termico-acustico - considerando un
appartamento di cento metri quadrati - è possibile stimare un risparmio del
51,6% dei consumi e delle emissioni di anidride carbonica. Per intenderci, se riscaldare
un trilocale ci costa annualmente 637 euro, si arriverebbe a spenderne 292. Piccoli
accorgimenti concernano l'installazione di doppi vetri alle finestre, pannelli
di sughero o cartongesso alle pareti, l'abbassamento delle tapparelle con il
sopraggiungere della sera.
Si
tende, infine, a trascurare la manutenzione della caldaia, ma anche in questo
caso, osservando alcune regole basilari, si potrebbe risparmiare un buon 10% sulla
bolletta. Una caldaia pulita non è solo una prerogativa per la sicurezza, ma
anche per il suo corretto rendimento, strettamente legato al dispendio
energetico. Settembre è il mese ideale per intervenire, con i tecnici più
disponibili e i pezzi di ricambio più facili da reperire. E se si è ancora in
pista per acquistarne una, il consiglio degli esperti è quello di valutare una
caldaia a condensazione che, benché più costosa delle altre, è in grado di
sfruttare anche i gas di scarico per un rendimento del 30% superiore alle
caldaie tradizionali.
mercoledì 19 dicembre 2012
Nubi artificiali contro l'effetto serra
Parlo oggi su
Lettera43 di un avveniristico progetto per vincere lo scioglimento dei ghiacci
artici: l'articolo originale
Pubblicato su Lettera43:
Uno dei principali fenomeni
provocati dall'effetto serra riguarda lo scioglimento dell'Artico. Alcuni
geologi ambientali prevedono, entro pochi decenni, di poter attraversare in
lungo e in largo il Polo Nord. Per prevenire la scomparsa definitiva delle
distese glaciali c'è, dunque, chi propone ingegnose (e spesso bizzarre) opere
che possano in qualche modo mantenere “refrigerato” il Polo, stabilizzando nel
tempo la tenuta dei ghiacci. Una delle idee più interessanti è stata da poco
avanzata da Stephen Salter, studioso dell'Università di Edimburgo, convinto di
poter costruire sulle isole Faroe o su quelle che sorgono in prossimità dello
stretto di Bering, delle gigantesche torri in grado di creare nuvole artificiali.
Come? Utilizzando l'acqua del mare.
Salter si rifà all'architettura
dei paesi delle basse latitudini, che contempla le tinte cromatiche più calde,
bianco soprattutto, in virtù della loro capacità di respingere i raggi del
sole. Allo stesso modo ritiene che si possa fare con le nuvole, offrendo delle
superfici ideali per riflettere la luce solare e con essa il calore. Le torri,
montate su un'apposita intelaiatura galleggiante, avrebbero il compito di
assorbire l'acqua del mare per spruzzarla in punti precisi del cielo: le
piccole goccioline d'acqua salata fungerebbero da nuclei di condensazione
ideali per la genesi di nuovi corpi nuvolosi che determinerebbero un calo delle
temperature e la salvaguardia dei ghiacci. «Si pensa alla progettazione di cinquanta
piattaforme in grado di rilasciare trenta chilogrammi al secondo di acqua
nebulizzata», dice Salter, «spendendo per ognuna, prevedibilmente, qualche
milione di dollari. Lo scopo non sarebbe quello di abbassare la temperatura su
scala globale, ma mantenere perlomeno quella attuale, già compromessa
dall'attività umana».
Salter ha avanzato la sua proposta
anche al Parlamento londinese, nella speranza che gli amministratori della
metropoli possano favorire questa sua iniziativa da lui stesso definita “geo-ingegneristica”.
Del resto il problema non riguarda solo lo scioglimento dei ghiacci ma anche i
grossi rischi legati alle ingenti quantità di metano presente nel cuore
dell'Artico; e che potrebbero danneggiare ulteriormente l'atmosfera e il clima
a livello mondiale. Perdite di metano a causa del clima impazzito si stanno già
registrando in molti punti del permafrost siberiano che, liberatosi dalla
coltre glaciale, consente alla sostanza gassosa di raggiungere gli strati
atmosferici: una ricerca da poco pubblicata su Science parla di otto milioni di
tonnellate di molecole di metano che si liberano annualmente nell'aria in
questo punto del pianeta. Lo stesso problema si sta verificando in Alaska, dove
- secondo un articolo pubblicato su Nature Geoscience - il rilascio di gas
serra parrebbe del 50% superiore alle stime fatte fino a oggi.
Il metano ha un impatto ancor più
devastante dell'anidride carbonica sull'andamento climatico, con un potenziale
di riscaldamento globale venti volte superiore a quello del biossido di
carbonio. Gli studi affermano che è responsabile del 18% dell'incremento
dell'effetto serra. La sua alta capacità di trattenere calore dipende dalla
struttura chimica che lo contraddistingue, una molecola asimmetrica dotata di un
atomo di carbonio e quattro idrogeni, ottimale per immagazzinare le radiazioni
infrarosse provenienti dalla superficie terrestre. Prerogativa condivisa,
peraltro, con altri gas serra come l'ossido nitroso e gli idrofluorocarburi.
Non tutti i climatologi, però,
condividono la proposta di Salter. Per alcuni, infatti, le opere di
geo-ingegneria potrebbero avere gravi ripercussioni sul pianeta, partendo dal presupposto
che nessuno può prevedere con certezza ciò che accadrebbe a livello
meteorologico. Inoltre una soluzione del genere avrebbe solo una funzione palliativa:
servirebbe a curare una situazione difficile, ma non a guarirla. sabato 15 dicembre 2012
STRESS BANCARI
Andare in banca? È
peggio che pagare le tasse e avere a che fare con la suocera. Lo dice uno
studio realizzato attraverso quattro focus group, cui hanno partecipato
ottanta titolari di almeno un conto corrente. Gli studiosi affermano che solo
il 18% degli italiani ha un rapporto sereno con il proprio istituto bancario.
Tutti gli altri risentono, infatti, di manifestazioni psichiche che vanno dal
generico stress, nel 31% dei casi, a vere e proprie crisi di angoscia (19%), e
di rabbia (17%), talvolta sfocianti addirittura in alterchi e litigi con i
dipendenti dell’istituto di riferimento. Secondo il 27% degli italiani andare
in banca è più stressante che pagare le tasse, e nel 21% dei casi è più fastidioso
che ricevere all’improvviso in casa la suocera. Ma perché è così difficile recarsi
in banca? Nel 75% dei casi perché c’è troppa burocrazia. A seguire, per colpa
del linguaggio spesso incomprensibile utilizzato dagli operatori (69%), per la
necessità di dover compilare pile di moduli anche per semplici operazioni
bancarie (57%), per la rigidità dei contratti (51%). Interessante è anche il
dato relativo al fatto che a causa di scandali come Parmalat e quello sui Bond
Argentini, molti italiani temono di essere in qualche modo coinvolti in contratti
sfavorevoli. Per di più si ha l’impressione che non sempre gli operatori
facciano bene il loro mestiere e possano quindi commettere errori. Ma le paure
non sono legate solo alla possibilità di perdere i propri risparmi: per molti
abitanti del Bel Paese c’è anche il timore claustrofobico di rimanere bloccati
dentro la bussola del metal detector (19%), di perdere il bancomat (17%), di
scoprire all’improvviso di essere rimasti senza un soldo (13%), o di ritrovarsi
nel bel mezzo di una rapina (7%). Peraltro, “l’orticaria” relativa alle
faccende bancarie, non viene solo agli affiliati di un determinato istituto. Secondo
uno studio condotto da Eta Meta Research, su un panel
di novanta direttori e responsabili di filiali dei maggiori istituti di credito,
colpisce soprattutto chi in banca è costretto a recarvisi per lavoro, e che
giudica l’italiano medio come un incompetente, irascibile, arrogante e isterico.
I dirigenti bancari contestano in particolare ai clienti di non rispettare la
fila, di rivolgersi al primo impiegato che incontrano sulla loro strada, che di
solito è sempre quello sbagliato, di dimenticarsi scadenze e documenti, di non
rispettare regole e procedure e di non chiedere mai informazioni perché pensano
di sapere tutto, di avere sempre ragione senza ascoltare quello che l’impiegato
sta dicendo. Per il 23% dei dirigenti intervistati c’è troppa poca informazione
sui ruoli e le attività di una banca. Per il 19% del panel è la situazione
economica generale a portare i clienti a sfogare sull’impiegato tensioni dovute
all’insicurezza del posto di lavoro e al diminuito potere d’acquisto degli
stipendi. A quanto pare anche i mass media farebbero la loro parte. Per il 17%
dei dirigenti bancari sono certe campagne informative e di comunicazione ad
amplificare semplici disguidi. Una ricerca condotta dalla Fiba–Cisl,
attraverso un questionario, cui hanno risposto oltre 10mila bancari dipendenti
del gruppo Intesa, punta sulla cosiddetta “incentivazione esasperata”, tesa a
vendere prodotti spesso “non adatti al cliente”, a volte definiti persino
“scadenti”, la prima fonte di stress per un operatore bancario: ciò riguarda il
30% degli intervistati. A distanza seguono: il carico di lavoro (13%), la
carenza di personale (8,3%), la mancanza di formazione (2,9%), la distanza
casa-lavoro (2,8%) e l’ambiente di lavoro inadeguato (2,7%).
giovedì 13 dicembre 2012
La Terra dall'infinito
Una Terra così non si era mai vista. Tutto merito di un satellite lanciato dagli USA l'anno scorso. L'alta definizione servirà a comprendere meglio i misteri del clima e delle tempeste tropicali. Il mio articolo su Lettera43: Terra by night
Pubblicato su Lettera43:
Si chiama Suomi
National Polar-orbiting Partnership Satellite (Suomi NPP), il satellite che
pochi giorni fa ha spedito sulla Terra la più bella immagine mai fatta della
superficie terrestre durante la notte. Per arrivare a questo risultato il mezzo
della NASA-NOAA lanciato nel 2011, ha compiuto 312 giri intorno al pianeta e raccolto
2,5 terabyte di dati, necessari a garantire una nitidezza fotografica senza
precedenti. Fondamentale l'azione dell'Imaging Radiometer Suite (VIRS) che ha
consentito di indagare le lunghezze d'onda della luce, dalla banda del visibile
all'infrarosso. La fotografia ad alta definizione è stata presentata per la
prima volta nel corso dell'American Geophysical Union meeting, tenutosi a San
Francisco.
Al di là
dell'aspetto spettacolare dell'immagine della Terra by night, gli scienziati
affermano che grazie a questa avveniristica operazione sarà possibile studiare
con maggiore efficacia le caratteristiche della circolazione atmosferica e
dell'attività delle correnti marine. Perché se è vero che abbiamo a disposizione
numerosi dati in grado di spiegare molti fenomeni meteorologici e oceanici che
si verificano durante il giorno, altrettanto non si può dire delle ore
notturne. "Per la stessa ragione per cui abbiamo bisogno di vedere la
Terra di giorno, è necessario osservarla di notte", afferma Steve Miller,
un ricercatore del NOAA's Colorado State University Cooperative Institute for
Research in the Atmosphere. "Con questa immagine possiamo dichiarare che
l'uomo non dorme mai". Di fatto, molte dinamiche climatiche dipendono
proprio dal sopraggiungere delle tenebre: per esempio, molte nubi condensano proprio
con l'oscurità, così come eventi estremi come gli uragani possono innescarsi al
termine dell'imbrunire. In pratica grazie al Suomi NPP potremo indagare meglio le
variazioni climatiche e monitorare con maggiore precisione la genesi delle
tempeste.
La fotografia mostra
isole urbanizzate che paiono del tutto indifferenti al sopraggiungere delle ore
più buie. Si verifica soprattutto in corrispondenza delle grandi città e dei
grandi poli industriali, a latitudini temperate; per cui gli unici posti del
pianeta dove la notte domina incontrastata si riscontrano in prossimità delle
aree più fredde, Polo Nord e Polo Sud. Il silenzio della notte incombe anche in
gran parte dell'Africa, dove non sussiste un sistema d'illuminazione
artificiale adeguato, così come in gran parte dell'America del Sud. Diversa la
situazione in India, dove nonostante la povertà, l'alto tasso demografico assicura
un'illuminazione pressoché costante del Paese. Per il resto, il pianeta è
totalmente rischiarato dall'energia elettrica. Le aree in assoluto più luminose
sono, in Europa, la pianura padana, l'Inghilterra del sud, l'Olanda e la
Germania occidentale; a est brillano soprattutto le luci del Giappone, della
costa orientale cinese e delle isole del sud est asiatico, Indonesia in primis;
dall'altro capo del mondo, l'illuminazione è capillarmente distribuita negli
Stati Uniti occidentali e in corrispondenza delle più grandi metropoli
sudamericane come Rio de Janeiro e Buenos Aires.
Alla luce di
questi ultimi dati si può, infine, intuire come l'azione del satellite americano
potrà contribuire anche a contrastare l'inquinamento luminoso, problema che,
dalla metà del Novecento in poi, sta avendo gravi ripercussioni a livello
ecologico. Basti pensare ai molti animali costretti a cambiare le proprie abitudini
naturali, in funzione di habitat storditi dalle luci dell'uomo. Eloquente un
recente studio diffuso da Current Biology secondo il quale l'eccessiva
luminosità di alcuni luoghi della Terra influenza negativamente l'attività
riproduttiva di varie specie ornitologiche. Gli uccelli, in pratica, non riescono
più distinguere il giorno dalla notte, cantano in orari sfasati, compromettendo
il regolare rapporto fra individui di sesso opposto.
Giovani bevitori (dal palato fine)
Sempre
più i giovani bevono vino. In particolare c’è stato un netto incremento del
consumo della bevanda alcolica da parte delle donne e dei laureati. La ricerca svolta
da Ac Nielsen, e commissionata da Caviro, primo produttore italiano di vino daily, afferma che il
72,3% dei giovani tra i 25 e i 34 anni consuma regolarmente vino: il 58,4% degli
appartenenti al gentil sesso, che dichiara di berlo solo fuori casa nel 23% dei
casi, e il 58,7% dei laureati. Questi ultimi vivono l’approccio con il vino anche
da un punto di vista “intellettuale”. Per essi è infatti indispensabile
documentarsi sulla marca del vino (determinante per il 58,7% del campione), sul
prezzo che non deve essere proibitivo (55,9%), e sulla produzione (51,2%).
Simili dati, dicono gli esperti, sono in contrasto con il fatto che - come si
evince da numerose ricerche effettuate sul territorio - dal 1971 al 2004 il
consumo pro-capite in Italia di vino è calato da 110 a 49 litri. Perché, dunque, il consumo di vino diminuisce in generale tra la popolazione, ma aumenta tra i
giovani, soprattutto fra i più colti e di sesso femminile? La risposta arriva
da Roberto Sarti, responsabile marketing della Cavino: “Dagli anni ‘50 ad oggi
c’è stata una sorta di evoluzione del consumo di vino da alimento, ad
accompagnamento del pasto, a piacere fine a se stesso”. In pratica oggi i
giovani bevono il vino soprattutto fuori nei locali con gli amici, prima dei
pasti a mo’ di aperitivo, o dopo cena, in rinomate enoteche, mentre ritengono
la sua presenza a tavola facoltativa. "In particolare", continua
Sarti “si tratta di un consumo più elitario che riguarda i vini doc e docg”. La
doc (denominazione di origine controllata) è un marchio che viene
attribuito ai vini prodotti in zone delimitate, di solito di piccole e medie
dimensioni, con indicazione del loro nome geografico. La docg (denominazione
di origine controllata e garantita) è un marchio che viene attribuito ai
vini già riconosciuti doc da almeno cinque anni, di particolare pregio
qualitativo e di notorietà commerciale, nazionale e internazionale. I
produttori di vini a doc e docg devono rispettare una disciplina viticola ed
enologica piuttosto severa, nel rispetto di quanto previsto nel relativo disciplinare
di produzione. Questi vini devono essere prodotti nel rispetto
di alcune regole inerenti le operazioni colturali, le tecniche di vinificazione
ed il contenuto alcolico minimo. È previsto, altresì, dopo l’imbottigliamento,
l’esame sensoriale condotto da un’apposita commissione. In Italia
esistono 336 vini a denominazione di origine, di cui 306 doc e 30 docg per
circa 1.400 tipologie di vini nazionali, distinti per colore, vitigno o altra
specificazione qualitativa.
Tre domande a Ferdervini:
- Quanti sono i produttori di vino in Italia e come sono localizzati?I produttori di vino in Italia sono 265.519 e coprono una superficie dichiarata di 546.621 ettari. Localizzati principalmente nel Nord-Est e nel Sud-Adriatico, sia in termini di numerosità (rispettivamente 29% e 21%) che di superficie di raccolta (rispettivamente 28% e 20%).
- Quanto vino si consuma in Italia?Il consumo di vino nazionale si ripartisce quasi equamente tra consumo di vino sfuso ed imbottigliato, rispettivamente per il 51% e il 49%. Il consumo di vino sul mercato interno, partendo dalla produzione dichiarata, secondo la fonte Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), e considerati i flussi in entrata e uscita delle importazioni, esportazioni, prodotti destinati alla distillazione e alla trasformazione ammonta a circa 29 milioni di ettolitri, che corrisponde ad valore di mercato intorno a 7,2 miliardi di Euro. La commercializzazione passa per il 59% attraverso la distribuzione moderna (ed in particolare ipermercati e supermercati, libero servizio e discount), per il 22% attraverso il circuito Ho.re.ca (hotel, ristoranti e catering) e la rimanente parte segue altri circuiti quali grossisti, dettaglio tradizionale e ricevuto in regalo. Per quanto riguarda lo sfuso i circuiti commerciali prevalenti sono quello della vendita diretta presso le cantine e il consumo presso la ristorazione. Per fornire un ordine di grandezza dei flussi di valore generati dalle due principali forme di commercializzazione possiamo rilevare che il mercato dello sfuso muove un valore di circa 2.6 miliardi di euro, mentre il mercato dell’imbottigliato ammonta a circa 4.6 miliardi di euro.
- Quanti e come sono dislocati i produttori in Italia di liquori e distillati?Le strutture per la produzione di liquori e distillati, rilevate sono complessivamente 863, localizzate prevalentemente nel Nord del Paese, dove si concentra il 62% circa delle unità locali. Analizzando la distribuzione degli impianti per tipo di prodotto e per macroregione emerge la chiara specializzazione del Nord-Est nella produzione di grappa ed acquaviti, con punte di concentrazione produttiva e di forte specializzazione in Trentino Alto Adige. Nel caso dei liquori, oltre al Nord Est, emergono – per la significativa presenza di impianti - l’area del Nord Ovest e quella del Sud Tirreno.
mercoledì 12 dicembre 2012
Capre a noleggio
Pubblicato su Lettera43:
Per quanto
originale possa sembrare, basta semplicemente scrivere una mail per avere tutte
le informazioni che si vogliono e procedere, quindi, con "l'affitto"
di un gregge più o meno nutrito di capre, per poi "rasare a zero" il
prato di qualunque giardino, parco o ranch. Un'idea perfettamente in linea con
i migliori dettami ecosostenibili che sta prendendo sempre più piede in USA,
Canada e Australia per svariati motivi: le capre assolvono perfettamente il
compito di tosaerba, non inquinano e permettono di risparmiare. E' sufficiente
segnalare ai tecnici dell'impresa selezionata alcuni dettagli - come la
grandezza del campo che s'intende far lavorare ai caprini e il tipo di
vegetazione che contraddistingue l'area interessata dall'intervento - e il gioco
è fatto. In ventiquattro ore i responsabili della ragione sociale intervengono
per risolvere ogni richiesta. Perfino Google s'è affidato a duecento capre per
falciare il prato che circonda il campus di Moutain View, in California,
minacciato dagli incendi.
In Italia il
noleggio delle capre è poco noto, ma esistono realtà come l'Azienda Agricola La
Penisola, nei dintorni di Siena, che già da un paio di anni offre questa
alternativa all'utilizzo dei tagliaerba tradizionali. Qui il servizio è rivolto
anche a piccoli privati ed è addirittura possibile noleggiare una sola capra. "Negli
ultimi anni siamo riusciti a creare una rete di squadre di capre addestrate che
lavorano presso altre aziende, nei boschi, sugli argini dei fiumi e sui terreni
incolti", dice Nora Kravis, responsabile dell'azienda senese. "Ma non
è tutto rosa e fiori. Dobbiamo, infatti, fare i conti con il problema del lupo,
che assale i nostri animali, anche in presenza di cani pastori, e
l'indifferenza degli enti pubblici". Concettualmente simile l'operazione
svoltasi a Torino, nel 2008, con l'"assunzione" da parte
dell'Amministrazione di settecento pecore per ripulire i parchi di mezza città.
Rent-A-Ruminant
nasce, invece, dalla lungimiranza di Tammy Dunakin, ingegnoso statunitense di
Vashon Island, sobborgo di Seattle, nello Stato di Washington; che attraverso
il suo sito (www.rentalruminant.com) si mette altresì a disposizione di chi
desidera avere qualche ragguaglio in più in merito ai primi passi da compiere
per avviare un fidato "noleggio di capre". Dunakin ha iniziato nel
2004 con dieci pecore e un cane pastore. "Non è stato facile",
rivela, "tenuto conto del fatto che sono dovuto partire completamente da
zero, spesso rischiando di compiere dei passi falsi". Oggi la sua proposta
ha, però, ottenuto un grande successo. Sono specialmente i campus universitari,
particolarmente attenti al fattore ambientale, a ingaggiarlo: Dunakin dispone un
centinaio di animali, seguiti quotidianamente da veterinari esperti. La sua
"casa" contribuisce, inoltre, alla salvaguardia delle specie
domestiche: è, infatti, aperta anche alle capre che - destinate
all'abbattimento, perché non più in grado di pascolare regolarmente - finiscono
per iniziare una seconda vita fra i giardini delle università e delle famiglie americane.
Ma com'è assolto concretamente il servizio?
"Nel
momento in cui stabiliamo la proprietà sulla quale intervenire, compiamo un
primo sopralluogo per indagare la qualità delle piante presenti, per non
correre il rischio di avere a che fare con specie tossiche", dice Dunakin.
"Poi cintiamo l'area, per evitare il contatto con altri animali e per impedire
alle capre di uscire dal 'seminato'. Infine liberiamo i caprini, che portano a
compimento il lavoro". Sessanta capre sono in grado di tagliare circa
10mila metri quadrati di terreno in tre, cinque giorni. I costi? Sicuramente
più bassi di quelli necessari a sostenere operazioni simili, seguendo le
procedure standard, che non concernano solo il taglio dell'erba, ma anche lo
smaltimento del fieno, la compilazione di determinati permessi, e varie
operazioni manuali. In media, per un trattamento "classico", con un
coinvolgimento di cento capi, si spendono 170 euro al giorno.
Non sarà la fine del mondo, ma il campo magnetico si sta invertendo
Che
il campo magnetico terrestre si stesse progressivamente indebolendo
lasciando presagire una sua imminente inversione lo si sapeva da
tempo (ne abbiamo parlato anche su Spigolature:
http://gianlucagrossi.blogspot.it/2009/06/il-campo-magnetico-terrestre-potrebbe.html),
ma che il processo fosse specificatamente in atto in aree precise
della Terra è una novità. A diffondere la notizia è uno studio
pubblicato su Nature da Gauthier Hulot dell’Institut de Physique du
Globe a Parigi. Per riuscire a fornire un quadro dettagliato della
circolazione nelle regione più centrali della Terra composte di
materiali fluidi a base di ferro, prerogativa del magnetismo
terrestre, sono stati utilizzati i satelliti. Gli scienziati hanno
messo a confronto i dati recenti registrati dal satellite danese
Oersted con quelli raccolti da Magsat venti anni fa: in questo modo è
stato possibile verificare per la prima volta dei punti di “flusso
invertito” concentrati in due regioni differenti del mantello
terrestre. In una zona ubicata sotto l’estrema punta del continente
africano, si è visto che il campo magnetico punta nella direzione
del centro della Terra, muovendosi dalla parte opposta rispetto a
quanto accade normalmente. Mentre è stato possibile appurare una
seconda area di inversione, più piccola della prima, in
corrispondenza del Polo Nord. Secondo Peter Olson della Johns Hopkins
University, a Baltimora negli USA, gli esperimenti mostrano che
l’inversione complessiva del magnetismo terrestre non è molto
lontana, e che quindi sarebbe utile fin da ora premunirsi contro i
due fenomeni che, a causa di ciò, potrebbero maggiormente creare
problemi all’uomo: le tempeste solari e la relativa azione dei
raggi ultravioletti, e il buco dell’ozono che rischierebbe di
aumentare ulteriormente. Il
campo magnetico è prodotto dallo sfregamento degli strati nel nucleo
interno del pianeta che si ripercuote verso gli strati più
superficiali: in questo modo l’energia meccanica si converte in
elettromagnetismo, dando luogo a un fenomeno simile a quello dei
generatori dell’auto, dove l’energia meccanica viene trasformata
in elettricità. L’inversione del campo magnetico terrestre è
stato per la prima volta identificato nei primi anni del ‘900. La
conferma di ciò la si è avuta dallo studio delle rocce magmatiche.
Esse conservano al loro interno il tipo di “magnetismo” relativo
a ogni singolo periodo geologico: basta infatti immaginare di
percorrere il fondo dell’oceano Atlantico dall’Europa alle
Americhe, attraversando la dorsale medio atlantica, per rendersi
conto del continuo avvicendarsi di strati di rocce che indicano prima
il “nord” a nord, e poi a sud.
lunedì 10 dicembre 2012
Antidepressivi per curare cani e gatti stressati
Cani e gatti sempre più ansiosi e
depressi si curano con prodotti farmaceutici simili a quelli utilizzati per
l’uomo. Lo dice una ricerca australiana, dalla quale si evince che sono in
costante aumento gli animali domestici affetti da turbe psichiche, tra cui il disturbo
ossessivo compulsivo (doc), riguardante dal 3 al 6% del campione esaminato. Gli esperti
spiegano che per sopperire a simili problemi è opportuno somministrare agli
animali prodotti come il Clomicalm, medicinale assimilabile al Prozac umano: in
entrambi i farmaci, il principio attivo ha il potere di aumentare i livelli
dell’ormone serotonina, alla base dei disturbi di carattere depressivo.
L’esperto di comportamento animale Robert Stabler ha osservato molti cani e
gatti soggetti a doc: sono immediatamente riconoscibili per via di
manifestazioni tipiche come quella di mordersi la coda, correre in cerchio,
camminare su e giù, cacciare le ombre e pulirsi con eccessiva foga. Stabler ha
reso note le sue conclusioni nel corso del congresso annuale dell’Associazione
australiana veterinari, a Brisbane. In particolare lo scienziato ha detto che
la sindrome ossessiva, così come i disturbi a sfondo tipicamente ansioso –
depressivo, dipendono strettamente dalle condizioni umorali del padrone, e non
meno dalla zona in cui l’animale abita. “Spesso ambienti come la casa all’angolo
fra due strade trafficate, o limitrofa a luoghi molto frequentati come le
scuole, eccitano gli animali che cominciano a correre in circolo", ha
raccontato Stabler, "ci può essere quindi un sovraccarico ambientale o
sociale, ma anche fattori come lo stress dei padroni”. Il ricercatore ha
evidenziato che frequentemente possessori di cani e gatti, rientrando dal
lavoro stanchi e stressati, sfogano la loro ansia sugli animali. Questi ultimi
in un primo momento "annusano" l’adrenalina del padrone, dopodiché
iniziano a mordicchiarsi la coda, o a camminare avanti e indietro senza un
reale motivo. Infine si è visto che farmaci antidepressivi come il Clomicalm
sono molto efficaci perché riescono a ristabilire in breve tempo l’equilibrio
nervoso del cervello dell’animale colpito da nevrosi.
venerdì 7 dicembre 2012
Il ritorno dell'uomo di Neanderthal
Clonare l’uomo di Neanderthal? Per ora è impossibile, ma fra una decina d'anni non
lo sarà più, e si potrà, dunque, ottenere un neanderthaliano assolutamente uguale
all’originale scomparso 40mila anni fa. Ne è convinto Pierre Pontarotti, direttore
del laboratorio di evoluzione del genoma del Cnrs di Marsiglia, il quale ha
reso noto le sette tappe fondamentali che porterebbero alla riuscita
dell’esperimento. La prima tappa si riferisce all’estrazione dei filamenti di DNA
dal nucleo delle cellule fossili di un reperto scheletrico neanderthaliano: fino
a oggi è stato possibile estrarre esclusivamente campioni di DNA mitocondriale,
inutili ai fini riproduttivi. In seguito (seconda tappa), i frammenti di DNA
verrebbero amplificati, ossia riprodotti in gran numero, tramite una tecnica
nota come PCR (Polimerase chain – reaction): l’operazione consente di partire
con il sequenziamento vero e proprio che si basa sulla ricostruzione
complessiva della sequenza dei nucleotidi (unità base dei geni) che dalle
centinaia iniziali, divengono miliardi. Nella terza fase, i segmenti
sequenziati del DNA primitivo vengono comparati con quelli ricavati dal DNA
dell’Homo sapiens sapiens, noti all’uomo dal 2001 (anno del completamento del
genoma umano). Successivamente la ricostruzione della sequenza integrale del
DNA del Neanderthal avverrebbe attraverso la cosiddetta "mutagenesi
pilotata". La tecnica consiste nel modificare la sequenza genotipica umana
per "trasformarla" in quella di un neanderthaliano: in pratica le
specificità di un Neanderthal vengono "traslate" su un DNA completo di
Homo sapiens moderno. Punto cinque. Si trasforma il DNA in cromosomi: oggi non
siamo ancora riusciti a creare cromosomi artificiali davvero efficienti, ma tra
pochi anni secondo Pontarotti lo saremo. Arrivati a questo traguardo saremmo
quasi al termine dell'esperimento. I 46 cromosomi di una donna o di un uomo di
Neanderthal verrebbero, infatti, integrati in un ovulo di una donna di oggi,
prima dell’impianto definitivo nell’utero di una madre portatrice, che consentirebbe
lo sviluppo del primo uomo di Neanderthal dopo 40mila anni. Controindicazioni?
Praticamente un’infinità; partendo dal fatto che ci troveremmo innanzi a una
"clonazione riproduttiva" attualmente bandita da tutti i governi.
Inoltre è necessario rendersi conto dei rischi a cui andrebbe incontro un
ipotetico neanderthaliano dei giorni nostri, primo fra tutti quello di non avere
un sistema immunitario idoneo per combattere le malattie tipiche dell’Homo
sapiens sapiens. "C'è anche un problema etico", dice Bernard Rollin, esperto di
bioetica e docente di filosofia presso la Colorado State University. "Non credo che sia giusto creare persone che sarebbero
forse derise o temute", dice lo studioso. "Dato che gli esseri umani
sono esseri a un certo livello sociale, i Neanderthal si troverebbero in una
condizione gravemente iniqua. I Neanderthal sarebbero portati in un mondo cui
non appartengono".
mercoledì 5 dicembre 2012
L'oro della Transilvania
In Romania estraggono l'oro utilizzando il cianuro e inquinando pesantemente l'ambiente. Un flash sulla situazione attuale: http://www.lettera43.it/ambiente/romania-oro-al-cianuro_4367575044.htm
Rosia Montana: la miniera d'oro |
Una chiesa ortodossa nei pressi dell'area di scavo |
martedì 4 dicembre 2012
Out of body experience: svelato il mistero
Recentemente ha destato
stupore la notizia divulgata da un neurologo di Harvard, Eben
Alexander, relativa all'esistenza dell'aldilà: lo scienziato dice di
poterlo provare, essendo stato per sette giorni in coma, e avendo
visitato un mondo “incommensurabilmente più alto delle nuvole,
popolato di esseri scintillanti e trasparenti”. Ma cosa c'è di
vero in tutto ciò?
Una fonte luminosa in
fondo a un tunnel, la sensazione di distaccarsi dal proprio corpo e
poter osservare i medici dall’alto che tentano di salvarci la vita,
rivivere come in un film la propria esistenza dalla nascita: sono
tutte esperienze che, molti tra coloro che hanno provato il dramma
del coma e che si sono risvegliati, dicono di aver vissuto. Ma la
scienza cosa dice? Secondo Susan Blackmore della University of
Bristol e Harvey Irwin della University of New South Wales si tratta
di semplici condizioni mentali dovute al fatto che nei momenti di
stress estremo (quali il momento del trapasso), il cervello produce
grandi quantità di endorfine, che predisporrebbero a una sorta di
‘sogni euforici’, e che anche chi non si trova in bilico tra la
vita e la morte può provare; a tal proposito Blackmore ritiene che
addirittura il 20% della popolazione avrebbe avuto la sensazione di
uscire dal proprio corpo semplicemente concedendosi una pennichella.
Analogamente è possibile vivere le stesse sensazioni di chi dice di
essere ‘ritornato alla vita’ nel corso di attacchi di emicrania,
convulsioni epilettiche, assunzioni di droghe e sedute di
meditazione. In Australia i due studiosi hanno condotto esperimenti
su gruppi di pazienti che affermano di aver avuto una OBE (Out of
body experience, ovvero esperienza fuori dal proprio corpo), e hanno
scoperto che nella maggior parte dei casi si tratta semplicemente di
persone che più facilmente delle altre possono andare incontro a
fenomeni di natura allucinatoria. Il tunnel luminoso altro non
sarebbe che la conseguenza di uno scollegamento tra la retina e la
corteccia visiva: in questo caso si vede comparire davanti a sé un
punto luminoso che progressivamente si ingigantisce fino a costituire
un tipico tunnel. Infine per ciò che riguarda la sensazione di poter
rivivere la propria vita gli scienziati spiegano che ciò è dovuto
al fatto che in determinate condizioni il cervello riaccende zone
nascoste della memoria, esattamente come accade in molti attacchi di
epilessia.
Potere alla donna (ossia al cromosoma X)
Ora si spiega il motivo
per cui le donne resistono di più a certi tipi di malattie e perché
le cure mediche hanno un effetto diverso nei due sessi. Tutto dipende
dal cromosoma X che le donne presentano in duplice copia, mentre gli
uomini ne posseggono solo uno, a fianco del cromosoma Y (molto più
povero di geni rispetto agli altri): i due cromosomi sessuali umani
rappresentavano un tempo una coppia di autosomi (cioè cromosomi
omologhi, come tutti gli altri del nostro patrimonio genetico), e si
sono separati circa 300 milioni di anni fa, nel momento in cui l’Y
ha acquisito la capacità di determinare il sesso maschile. Secondo
gli scienziati l’X ha caratteristiche eccezionali, non
riscontrabili negli altri cromosomi. È caratterizzato da 1.098 geni,
composti in media da 49 chilobasi, vale a dire 49 mila combinazioni
diverse tra adenina, citosina, guanina, e timina, le quattro basi
nucleotidiche che costituiscono il Dna. I suoi
geni sono responsabili di almeno il 10% delle sindromi genetiche di
ritardo mentale che colpiscono la nostra specie. Dei 1.098 geni
individuati ben 99 sono inoltre responsabili della produzione di
proteine che si trovano nei testicoli dell’uomo e che causano varie
forme tumorali. Ecco quindi la prima differenza tra uomo e donna:
nell’uomo un solo X fa sì che un eventuale difetto genetico in
esso presente emerga sempre e in ogni caso, nella donna invece ciò
può non accadere poiché il difetto può essere compensato dal
corrispettivo gene situato sull’altro cromosoma X. In questo modo
si spiega anche il motivo per cui un alto numero di patologie
ereditarie colpiscono solo il sesso forte. Il riferimento è a
malattie come l’emofilia che ora, grazie appunto alla decifrazione
del cromosoma X, potranno essere combattute con maggiore efficacia.
Ma i segreti del cromosoma femminile non finiscono qui. I ricercatori
sospettano infatti che all’interno di esso possa addirittura
nascondersi il segreto dell’intelligenza umana. Lo dimostrerebbero
studi condotti sui gemelli, in cui si è visto che le coppie
maschili, caratterizzati dal medesimo cromosoma X, hanno
un’intelligenza praticamente identica, mentre le gemelle femmine
(che possono avere due diversi cromosomi X) hanno differenze più
spiccate. Lo studio completo sul cromosoma X effettuato da esperti
della Penn State University, al quale hanno preso parte anche i
ricercatori dell’Istituto Telethon di Genetica Medica di Napoli
guidati da Andrea Ballabio, è comparso
sull’ultimo numero della rivista Nature.
lunedì 3 dicembre 2012
Le case anfibio, un'idea per contrastare le alluvioni
Le case anfibio? Una proposta avveniristica per
fronteggiare le alluvioni. Ne parlo oggi su Lettera43: http://www.lettera43.it/ambiente/alluvioni-case-anfibie-in-uk_4367574864.htm
Pubblicato su Lettera43:
Colpa
dell'effetto serra e degli eventi estremi a esso collegati. Solo così, per
molti scienziati, si possono spiegare le intense piogge avvenute nelle ultime
settimane in Toscana, ma anche in altre parti del mondo come, per esempio, in Inghilterra,
dove molte famiglie (un migliaio circa) sono state fatte evacuare a causa degli
allagamenti. E proprio dalla Gran Bretagna arriva la proposta di vincere
definitivamente il pericolo alluvionale, tramite la costruzione di dimore in
grado di superare il problema e battezzate, non a caso, "case
anfibio". I primi test condotti dagli esperti dell'Architects BACA,
supervisionati dall'Agenzia per l'ambiente, stanno avvenendo nel
Buckinghamshire, a una decina di metri dalle rive del fiume Tamigi.
Come funziona
una casa anfibio? Durante il periodo di secca, l'abitazione poggia regolarmente
su un substrato cementizio, ma in caso d'innalzamento delle acque, è in grado
di sollevarsi sfuggendo all'inondazione: le fondamenta combaciano, infatti, con
il perimetro di una darsena, una sorta di bacino acqueo artificiale,
suscettibile alle bizzarrie delle acque. Prima dell'alluvione vera e propria,
la disposizione strategica di giardini a terrazze, consente di calcolare l'intensità
delle precipitazioni e quindi stimare la portata del rischio di allagamento. La
casa anfibio misura 225 metri quadrati, si sviluppa su tre piani e può
comodamente ospitare una famiglia di quattro persone. Costa il 20% in più
rispetto alle abitazioni tradizionali, ma un buon risparmio è garantito dall'utilizzo
di fonti naturali per la produzione di energia. I tecnici del BACA dicono che
le case anfibio prenderanno sempre più piede in Inghilterra, anche perché
"le spese derivanti dai problemi legati alle alluvioni stanno incidendo
sempre di più sul bilancio pubblico".
La proposta è
vivamente accarezzata anche da Tony Andryszewski, dal 2007 al soldo
dell'Environment Agency, luminare nel campo dell'ingegneria delle costruzioni, per
ciò che riguarda i contesti legati ai disastri naturali. Le sue disamine
considerano anche realtà "ingegneristiche" di spessore antropologico,
riguardanti, per esempio, gli abitanti della Thailandia e del Bangladesh, che
da sempre convivono con il problema delle alluvioni e da tempo immemore edificano
palafitte capaci di sfidare anche gli eventi più disastrosi. Non è l'unico a
guardare al genio di queste etnie che conservano stratagemmi efficaci per
vincere la furia delle acque: anche la Site Specific and Prefab Laboratory, un istituto
di ricerca con sede a Bangkok, è convinta che sia possibile costruire
"case anfibio" affidandosi agli esempi offerti dalle popolazioni
autoctone del sud-est asiatico.
Si pensa, in
questo caso, alla realizzazione di case che poggino con una piattaforma
prefabbricata, in singole depressioni del terreno che, quando si riempiono di
acqua, spingono l'abitazione verso l'alto. I parametri ecosostenibili sono
assicurati dal collaudo d'impianti solari ed eolici di ultima generazione, in
grado di fornire agli abitanti delle case anfibio, l'energia necessaria al
proprio sostentamento. In Thailandia si stanno già progettando mini-comunità
basate su questo tipo di costruzione, pensate anche per far sì che, i singoli proprietari,
possano prestarsi vicendevolmente assistenza.
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