Abbiamo sentito spesso parlare di supernove, stelle di grande massa che alla fine dei loro giorni esplodono trasformandosi in oggetti cosmici superdensi, ma piccolissimi. Oggi abbiamo la conferma di un nuovo fenomeno fisico altrettanto affascinante: la kilonova. Si tratta di uno scontro cosmico fra due oggetti “estremi” dell’universo, le stelle di neutroni, astri in estinzione che condensano tutta la loro energia (decisamente superiore a quella solare) in pochi chilometri di diametro. È il risultato dell’azione del telescopio SMARTS, ospitato dal CTIO (Cerro Tonolo Inter-American Obesrvatory), pubblicato in questi giorni su Nature. Riferimento al sistema stellare CPD-292176, a più di 11mila anni luce dalla Terra, nel cuore della Via Lattea, dove brillano almeno 200 miliardi di stelle. Una decina appena i sistemi stellari soggetti a fenomeni analoghi, fra cui quello individuato in seguito alla scoperta delle onde gravitazionali, nel 2017, grazie agli interferometri americani e europei. Si indagò la natura e la provenienza di queste perturbazioni cosmiche arrivando a identificare il sistema AT2017gfo, simile a quest’ultimo, ma con una tipica nube di fuoco asimmetrica e in fase evolutiva più avanzata. Qui invece è un rarissimo sistema binario, due stelle ruotanti intorno a un baricentro comune, in equilibrio gravitazionale fra loro; soggetto a una geometria perfetta, riconducibile a una elegante e colorata sfera. Di solito due stelle di questo tipo terminano la loro vista esaurendosi e separandosi. In questo caso, riferibile al termine tecnico “supernovae ultra-stripped”, si osserva un avvicinamento fra i due copri celesti, che fondendosi danno origine a una kilonova. Albert Sneppen, del Niels Bohr Institute di Copenaghen, dice che non era prevedile un’evoluzione del genere, e che probabilmente gli studi necessari a comprendere la genesi delle kilonove sono da riformulare. Lo affianca Darach Wastson, comprimario dello stesso istituto, parlando di “bomba magnetica”, capace di distribuire in modo omogeneo la materia intorno a sé; prima del definitivo collasso che potrebbe portare alla nascita di un buco nero. Magnetar, non a caso, indica una stella di neutroni caratterizzata da un enorme campo magnetico, miliardi di volte più potente di quello terrestre. Con la collisione e la relativa esplosione, si assisterebbe dunque alla produzione di elementi pesanti, come ferro, oro e argento. Di fatto le stelle quando esauriscono completamente il tradizionale “carburante” composto da atomi leggeri come l’idrogeno e l’elio, consumano gli elementi che pesano di più, procastinando l’inevitabile fine. Con una massa elevata si formano stelle superdense nel momento in cui protoni carichi positivamente ed elettroni negativi soggetti a forti pressioni si annichiliscono a vicenda trasformandosi in neutroni. Nelle kilonove potrebbe avvenire il contrario, grazie all’intevento dei neutrini, particelle misteriose, di massa piccolissima, che potrebbero mediare la trasformazione dei neutroni in protoni ed elettroni, e dunque in elementi chimici a tutti gli effetti. Gli scienziati si riferiscono alla nucleosintesi da processo r (che indica rapido) per spiegare la nascita ex novo di elementi in un periodo di tempo ristretto. La coalescenza di due stelle di neutroni con relativa esplosione ed emissione di raggi gamma, potrebbe infine aiutarci a comprendere dinamiche cosmologiche che ci tormentano da tempo. Come il mistero riguardante la velocità di recessione che sta portando a un progressivo allontanamento delle galassie, alla base dell’espansione dell’universo.
SPIGOLATURE SCIENTIFICHE
venerdì 17 febbraio 2023
Il luogo più isolato del mondo
Un posto isolato da tutto e da tutti, nel cuore della Sardegna; fra i luoghi più silenziosi del mondo, dove l’impatto antropico è pressoché nullo e così il rischio sismico. Un paradiso terrestre? Piuttosto il posto ideale dove ospitare ET, l’Einstein Telescope, avveniristico progetto coinvolgente vari enti astrospaziali, che mira a fare luce sugli oggetti più misteriosi del cosmo, i buchi neri. Fonte delle cosiddette onde gravitazionali, predette da Einstein, e ufficialmente scoperte cinque anni fa, per via della collisione fra due giganti cosmici dove anche luce non trova scampo. “Riconferma che abbiamo avuto nel 2017, attraverso lo studio di due stelle di neutroni”, racconta al Giornale Enzo Brocato, dell’Inaf, oggetti super densi, figli dell’implosione di astri molto più grandi del sole. Il nuovo telescopio potrebbe essere battezzato fra due o tre anni. E andrebbe ad affiancare altre due potenti apparecchiature, Ligo e Virgo, in attività da qualche anno negli Stati Uniti e in Italia. “Sono interferometri, per l’esattezza”, rivela Brocato, “dunque strumenti che sfruttano un gioco di raggi laser per calcolare misure infinitesimali capaci di svelare dinamiche dell’universo che fino a oggi non abbiamo mai potuto considerare”. In lizza anche un sito in Olanda, al confine con il Belgio e la Germania. Ma la Sardegna sembrerebbe solleticare maggiormente gli interessi degli astronomi. In questi giorni, infatti, è stato divulgato uno studio ufficiale, nel quale si segnalano le ottime caratteristiche ambientali della zona; in corrispondenza di una miniera abbandonata, dove un tempo si estraevano metalli, Sos Enattos, a pochi chilometri da Nuoro. Un mondo fuori dal mondo, dominato dalla natura, e dall’idea che il tempo non passi mai. “Proprio come accade affrontando il concetto di spazio tempo che potrebbe ulteriormente essere messo in evidenza dall’Einstein Telescope”, prosegue Brocato. “Perché le onde gravitazionali hanno mostrato di poterlo modificare muovendosi nello spazio, proprio come i fotoni della luce percorrono la loro strada sottoforma di onde elettromagnetiche”. Le onde gravitazionali, però, sono qualcosa d’altro, “una nuova finestra sul cosmo”, che potrebbe anche aiutarci a comprendere il mistero della materia oscura. Gli elementi della tavola periodica, infatti, rappresentano solo la materia ordinaria, con la quale siamo soliti confrontarci. Ma tutto il resto, che è la percentuale più vasta, rimane un enigma. “Ecco perché è importante l’azione dell’Eistein Telescope”, conclude Bracato. “Se è vero che il cosmo è composto da particelle ancora sconosciute, la possibilità di poter leggere quel che accade a distanze straordinarie, dove i buchi neri impazzano, potrebbe permetterci di fare luce anche su questa sfuggente realtà”.
mercoledì 14 dicembre 2022
Attacco alla fusione (nucleare) # 2
Il presupposto è questo: il deuterio contenuto in un bicchiere d’acqua, con l’aggiunta di un po’ di trizio, potrebbe fornire energia a un comune appartamento per un anno intero. E benché suonino astrusi, deuterio e trizio non sono altro che due semplici forme di idrogeno, l’elemento più diffuso dell’universo. “A differenza del carbone, c’è bisogno solo di una piccola quantità di idrogeno per ricavare energia”, spiega Julio Friedmann, responsabile dell’ente USA Carbon Direct, “l’idrogeno, di fatto, si trova nell’acqua, molecola presente ovunque”. Significa poter contare sulla possiblità di ottenere energia illimitata, incidendo pochissimo sull’ambiente. È il succo dell’attesa conferenza stampa rilasciata ieri dagli scienziati del National Ignition Facility, presso il Lawrence Livermore National Laboratory, in California, USA. Dove è stato reso noto un nuovo procedimento per ricavare energia, imitando le reazioni chimiche che avvengono nelle stelle consentendo la produzione di luce e calore. Jennifer Granholm, segretaria del Dipartimento americano per l’energia ha parlato senza mezzi termini di “risultato storico”. Rincara la dose Arati Prabhakar, consigliere scientifico del presidente Joe Biden, riferendosi a una “pietra miliare scientifica”. E le prospettive sono davvero ghiotte: “Progredendo in questo senso potremo produrre energia in grandi quantità, fornire carburante per i trasporti ed elettricità pulita”. Difficile dire quando, ma il test americano ha fornito una prova inequivocabile: per la prima volta l’energia richiesta per ottenere un processo di fusione nucleare, pressoché identico a quello che avviene negli astri a temperature di milioni di gradi, è stata minore di quella prodotta. Dal punto di vista scientifico è un traguardo eccezionale, che l’ingegneria del futuro potrà raffinare consentendo una distribuzione su larga scala. La strada è ancora in salita, ma si intravede un orizzonte che fino a qualche mese fa era mera utopia. “Ci sono ancora ostacoli da superare e non si possono prevedere risultati concreti se non prima di qualche decennio”, racconta Kim Budil, direttrice del Lawrence Livermore National Laboratory. “Il problema ora è soprattutto di natura tecnologica”. Perché un conto è comprendere e testare un nuovo meccanismo di produzione di energia, un altro è mettere a punto apparecchiature in grado di funzionare con costanza ed efficacia. Al momento gli scienziati hanno bombardato la materia con raggi laser per pochi istanti, obbedendo a un procedimento fisico chiamato “confinamento inerziale”; contrapposto a quello “magnetico”, l’altra tecnica testata in Europa per lo stesso obiettivo. In futuro l’intenzione sarà quella di coinvolgere onde più potenti, non uno sparo al giorno, ma tre o quattro al secondo, con energie ben più elevate. Risultato che potrebbe per la prima volta portare a una tecnologia in grado di produrre energia senza emissioni di carbonio. A tutto vantaggio dell’ambiente. “In futuro dirigeremo i nostri sforzi per dare vita al primo reattore a fusione nucleare a scopo commerciale”, rivela Granholm, “obiettivo che potremmo ottimisticamente raggiungere entro il 2050”. Può sembrare tanto, ma l’uomo non è nuovo a queste sfide contro il tempo. Tony Roulstone, esperto di fusione del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Cambridge, ricorda che nel 1942 scienziati americani di Chicago tentarono la fissione nucleare facendo funzionare un primo avveniristico reattore. A differenza della fusione, impiega elementi più pesanti e più difficili da reperire; tuttavia furono in grado di far ballare l’impianto a uranio per cinque lunghi minuti. Tredici anni dopo, nell’Idaho, USA, fu la volta della prima centrale nucleare americana. Insomma, il sogno di un’energia pulita capace di soddisfare l’ingente richiesta del genere umano salvaguardando l’ambiente, potrebbe davvero non essere così lontano. “Avremo nuove scoperte e sicuramente battute d’arresto”, conclude Jill Hruby, sottosegretario per l’amministrazione della Nuclear Security and National Nuclear Security Administration (NNSA), “ma è certo il primo passo verso una fonte di energia pulita che potrebbe rivoluzionare il mondo”.
Attacco alla fusione (nucleare) # 1
L’ipotesi di poter soddisfare il fabbisogno energetico di otto miliardi di persone parte proprio da esperimenti come questo: ottenere energia imitando quel che avviene da cinque miliardi di anni nel nostro Sole. Riferimento alla fusione nucleare, fenomeno fisico basato sulla possibilità di trasformare atomi leggeri di idrogeno in elio, leggermente più pesante, producendo calore. L’annuncio USA, ufficialmente previsto per oggi, è allettante, si parla di un sistema innovativo per ricavare energia: il laser. Il cosiddetto “sconfinamento inerziale” riguarda 192 raggi laser indirizzati su componenti di materia destinati a fondersi fra loro producendo energia. Vuol dire predisporre un piano per creare megajoule (unità di misura dell’energia) in modo illimitato, senza interferire gravemente con l’ambiente. Quando? Difficile fare una previsione certa, dipende da molti aspetti, ottimisticamente in una trentina d’anni. Il primo dato utile è già stato confermato. E fa riferimento a un test che ha fornito più energia di quella impiegata per produrla, evitando emissioni di carbonio: 2,1 megajoule consumati, a fronte dei 2,4 - 3 megajoule guadagnati. Il risultato è frutto del lungo lavoro effettuato dalla National Ignition Facility presso il Lawarence Livermore National Laboratory, in California. Perché è meglio della fissione nucleare? Per vari motivi. Innanzitutto la materia prima. Nella fissione si utilizzano elementi pesanti come l’uranio, difficili da reperire. Nella fusione si parla di isotopi di idrogeno, l’elemento più abbondante dell’universo, come il deuterio e il trizio; si differenziano solo per il numero di neutroni (uno per il deuterio, due per il trizio) e sono entrambi molto più facili da impiegare in campo industriale. Altro punto a favore della fusione, le scorie. In quest’ultimo processo fisico quelle prodotte sono inferiori a quelle derivanti dalle radiazioni della fissione, e possono essere gestite con maggiore efficacia. Di fatto, il problema centrale oggi, riferito alla fissione nucleare, è l’oggettiva impossibilità di stoccare i detriti in modo davvero redditizio. I depositi geologici prevedono l’accumulo di scorie radioattive a grandi profondità, all’interno di strati litologici composti da argille e salgemma, ma sono palliativi. In termini ambientali significa comunque interferire negativamente con il pianeta, senza contare il dinamismo terrestre figlio della tettonica a zolle, che in un futuro lontano potrebbe risputare tutto in superficie. L’uomo si sarà già estinto, ma potrebbero esserci ancora specie ben felici di fare a meno della quotidiana dose di plutonio. Promesse per il futuro? Dalla conferenza stampa di oggi dovremmo saperne di più, ma la fusione nucleare potrebbe rappresentare l’unica soluzione in grado di andare incontro a una specie in continuo sviluppo, crescita demografica e richieste assillanti di energia. Stiamo lavorando su più fronti e non è solo il laser a promettere la fusione nucleare. Recentemente sono stati ottenuti importanti risultati al Joint European Torus (JET), il più grande reattore al mondo per questo tipo di test, perso fra le campagne che circondano le strade fra Londra e Bristol. Basa la sua azione su un marchingegno altamente sofisticato appannaggio degli studi di fisica più avanzati testati proprio al JET: il tokamak. Potenti magneti superconduttori in grado di confinare e controllare reazioni chimiche ad altissima potenza, e con temperature superiori a quelle registrate nel nucleo stellare. Gioco forza fra temperature di milioni di gradi e lo zero assoluto. Anche per questo motivo, il risultato ottenuto al Lawarence Livermore National Laboratory, potrebbe offrire qualche garanzia in più.
venerdì 25 novembre 2022
Inaugurato il quarto computer più potente del mondo
Il quarto computer più potente del mondo è stato inaugurato ieri a Bologna alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Gigante hitech ben diverso dai pc con cui siamo soliti confrontarci tutti i giorni. Leonardo, così è stato battezzato in onore del genio fiorentino, è infatti caratterizzato da un datacenter distribuito su un’area di settecento metri quadrati, file di armadi e scaffali, per un totale di 340 tonnellate di materiale altamente tecnologico, pronto a divorare dati e informazioni a velocità mai viste prima. Ne beneficeranno gli istituti di ricerca e le università italiane; in parte, gli studiosi dei principali atenei europei. Il coordinamento del supercomputer è affidato a Cineca, consorzio interuniversitario comprendente 69 università italiane, 2 ministeri, 27 istituzioni pubbliche nazionali. L’inaugurazione presso il Tecnopolo di Bologna avviene all’indomani della conferenza SC22, l’incontro più importante a livello internazionale nell’ambito dell’high performance computing; tenutasi a Dallas il 14 novembre. Diverrà ufficialmente operativo nella primavera del 2023. E baserà la sua azione su due moduli di calcolo specifici, in grado di risolvere operazioni interdette alla mente umana. Ripercussioni positive nel campo della medicina e dell’intelligenza artificiale. Il supercomputer aiuterà gli scienziati ad approfondire tematiche sociali e ambientali, confrontandosi con bioingegneria, climatologia e previsioni del tempo, farmaci di nuova generazione. Potrà aiutare a valutare nuove fonti di energia, e così tentare di soddisfare un’umanità sempre più in crisi in questo campo. Diverranno invece operazioni di routine l’utilizzo di veicoli autonomi, il riconoscimento facciale, le applicazioni chimiche e biochimiche in ambito ingegneristico e industriale. Non è la prima volta che si parla di supercomputer. Nel 2018 la notizia di Summit, progettato dallo US Department od Energy’s Oak Ridge National Lab, nel Tennessee. In grado di compiere duecento milioni di miliardi di calcoli al secondo, grande come due campi da tennis. Summit ha contribuito alla lotta al Covid, con l’individuazione di sostanze chimiche potenzialmente capaci di contrastare le infezioni e l’attitudine dei virus a riprodursi sfruttando il DNA delle cellule. Attualmente sta ottenendo risultati importanti nella lotta alle malattie neurodegenerative, con l’identificazione di molecole spia, che anticiperebbero di anni il morbo di Alzheimer. Anche la Cina in prima linea nello sviluppo di macchine sempre più complesse ed efficaci. Il National Reserach Center of Parallel Computer Engineering and Technology (NRCPC), ha realizzato un modello di intelligenza artificiale assimilabile alla fisiologia del cervello umano. Computer che imita l’azione delle sinapsi dell’uomo, capaci di traghettare ed elaborare informazioni, idee e pensieri, basandosi sulla depolarizzazione della membrana cellulare, e sull’impiego dei neurotrasmettitori. La ricerca non si ferma qui. In programma anche l’affinamento dei cosiddetti computer quantistici, basati sulla comprensione dell’infinitamente piccolo, leggi che governano il misterioso moto degli atomi e sembrano sfuggire a ogni logica quotidiana (nonché alle teorie einsteniane). I primi risultati nel 2019, con la possibilità di far compiere a un supercomputer un calcolo da 10mila anni in dieci secondi. Il primo computer quantistico è stato inaugurato a febbraio del 2019 da IBM. Il sistema si basa sui cosiddetti qubit, bit quantistici che operano sfruttando modalità completamente nuove di elaborazione delle informazioni. Niente a che vedere con l’informatica classica, qui il parametro di riferimento è infatti la fisica. Non per niente il primo a immaginarne uno fu Richard P. Feynmann, fra i più geniali scienziati del Novecento, Nobel per la fisica nel 1965.
venerdì 29 luglio 2022
Allarme razzo cinese
Occhi puntati verso l’alto per intercettare la caduta del razzo Lunga Marcia 5B, lanciato dai cinesi il 24 luglio dalla base spaziale di Wenchang, presso l’isola di Hainan. Il 30 luglio è previsto il rientro, ma è impossibile al momento declinare ora e luogo dell’impatto. Un gigante spaziale alto 18 metri e pesante 25 tonnellate, destinato a raggiungere la stazione orbitale cinese. Trasporta il secondo modulo della Tiangong (questo il nome della futura base), undici missioni fra il 2021 e il 2023 per completare l’opera e rafforzare il lavoro della ISS (Stazione spaziale internazionale). C’è però, come è già accaduto nel 2020 e nel 2021, il problema del rientro del veicolo spaziale; che avviene in modo incontrollato. Non si vogliono sollevare inutili allarmismi, ma il mondo dell’ingegneria spaziale insorge, puntualizzando il rischio globale di vedersi cadere in testa da un momento all’altro frammenti di un razzo lanciato da Pechino. Problema di oggi, prevedibilmente di tutte le future azioni spaziali dell’impero del Dragone; e in generale dell’incredibile massa di detriti che ruota intorno alla Terra dal 1958, anno di lancio del primo satellite USA. Interpellato a riguardo, Bill Nelson, amministratore della NASA, ha detto chiaramente che “la Cina non sta rispettando gli standard di responsibilità per quanto riguarda i detriti spaziali”. Di solito i razzi per le manovre spaziali sono composti da due stadi distinti. Il primo serve a garantire il decollo del materiale da lanciare in orbita; il secondo è quello destinato a raggiungere la meta. Il primo stadio, di solito, viene guidato alla caduta in mare aperto, scongiurando qualunque pericolo. E si tratta quasi sempre di oggetti molto piccoli. Nel caso del Lunga Marcia 5B la situazione è più complessa. Un lanciatore pesante, capace di trasportare fino a 20.000 chilogrammi di materiale, ma composto da un solo stadio e da un’ogiva tale da ospitare senza problemi i grossi moduli della stazione cinese. Non si era mai presentata un’emergenza simile. Al termine dell’operazione il razzo rimarrà in orbita a circa 350 km dalla superficie terrestre. Le dinamiche gravitazionali lo faranno precipitare, dove e quando non si sa, perché non c’è possibilità di riattivare i motori. Peraltro, per via delle grandi dimensioni del lanciatore, la fisica vacilla, non si è in grado di calcolare la sezione d’urto con l’atmosfera, né la rotazione del mezzo; parametri indispensabili per comprendere la traiettoria di un corpo sparato nello spazio. “E’ fondamentale che la Cina, come tutte le nazioni impegnate nei viaggi spaziali, agiscano in modo responsabile e trasparente”, va avanti Nelson, “per garantire la sicurezza, la stabilità e la sostenibilità a lungo termine delle attività astronomiche”. Certezze? Poche, ma si possono fare previsioni. Al momento il punto di impatto dovrebbe riguardare l’area geografica dell’Oceano Pacifico settentrionale. Nessun pericolo per città e paesi. Come nel 2020, coinvolto l’Oceano al largo della coste occidentali dell’Africa; e nel 2021, quello Indiano. Parte della struttura spaziale, per via dell’attrito atmosferico, brucerà, ma destano preoccupazione una decina di tonnellate di detriti che potrebbero raggiungere il suolo. Timore che si ripresenterà puntuale in occasione del futuro lancio del terzo modulo necessario all’avvio della stazione spaziale. Percentuali di impatto in una zona densamente abitata? Comunque e per fortuna molto basse. Nel 2021, durante il rientro del Lunga Marcia 5B, furono dello 0,000000005%, vale a dire 1 su 169,8 milioni. Basterà ad assicurarci sogni tranquilli?
sabato 16 luglio 2022
Il telescopio del futuro
Parole cariche di entusiasmo quelle espresse ieri dal presidente degli USA Joe Biden, all’indomani della prima immagine dallo spazio fornita dal James Webb Space Telescope (JWST). “E’ un momento storico per la scienza e la tecnologia, per l’astronomia e l’esplorazione spaziale. Ma anche per l’America e tutta l’umanità”. Un gruppo di galassie lontanissime, brillanti e affascinanti, raccontano una nuova pagina dell’esplorazione spaziale, mondi mai osservati, i primi a essersi formati subito dopo l’esplosione del Big Bang. Con Joe Biden ci sono Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti d’America e il capo della Nasa, Bill Nelson, che aggiunge: “Saremo finalmente in grado di rispondere a domande che ancora non sappiamo formulare”. Non un gioco di parole, ma la consapevolezza che il telescopio James Webb è un miracolo dell’ingegneria, capace di indagare angoli dell’universo fino a oggi imperscrutabili. Per risalire alla vera natura dei buchi neri, ai processi che portano alla formazione dei pianeti, alle caratteristiche delle galassie nate più di tredici miliardi di anni fa. La nitidezza dei particolari, colori e profili degli ammassi stellari, che con gli altri strumenti a nostra disposizione non siamo ancora riusciti a decifrare.
Il telescopio James Webb è all’inizio
del suo lavoro, e nel corso dei prossimi mesi e anni potrà rivoluzionare le
conoscenze astronomiche. Perché caratterizzato da congegni mai sperimentati (o
sperimentati solo in parte) dall’uomo. Innanzitutto la lettura del cosmo a raggi
infrarossi, che bypassano il pulviscolo, rendendo chiare fotografie che oggi
direbbero poco o nulla. Per fare un parallelismo, il telescopio Hubble, gigante
dei cieli che scruta l’universo da trent’anni, punta soprattutto sulla
radiazione visibile e ultravioletta, con lunghezze d’onda sempre più vicine allo
spettro dei raggi x. Questione anche di specchi, qui ce n’è uno, quello
primario, che misura 6,5 metri (contro i 2,4 metri dell’Hubble); e di
materiali. Il James Webb Telescope pesa molto meno dell’Hubble, il vetro, di
fatto, è stato sostituito da componenti modernissimi a base di berillio
ultraleggero. L’avveniristico telescopio, frutto della cooperazione fra NASA ed
ESA, si trova ora in corrispondenza di un’area astronomica strategica: il punto
di Lagrange L2. Dove l’azione gravitazionale di due corpi (in questo caso Sole
e Terra), consentono a un terzo più piccolo di mantenersi stabile lungo un’orbita,
evitando dispendi energetici. Quel che accade a vari satelliti lanciati negli
ultimi anni, come la sonda Gaia, che mira a ricostruire con precisione
certosina le caratteristiche degli astri a noi più vicini.
Lanciato il giorno di Natale del
2021, a bordo del razzo Ariane-5, il JWST resiste alle bizzarrie solari, grazie
alla presenza di un grande scudo termico. Entrato in azione qualche giorno dopo
il lancio dalla base dal Centre Spatial Guyanais a Kourou, nella Guyana
Francese, è rappresentato da fogli di metallo riflettente, 21 metri di
lunghezza per 14 di larghezza (praticamente un campo da tennis). “Un’incredibile
prova dell’ingegnosità e delle capacità ingegneristiche dell’uomo, che
permetteranno al Webb di centrare i suoi obiettivi scientifici”, dice Thomas
Zurbuchen, amministratore associato del direttorato della NASA per le missioni
scientifiche. Il futuro, infine, anche aspetti meno romantici delle galassie
primordiali o della fame dei buchi neri, ma verosimilmente più importanti dal
punto di vista scientifico. Riferimento alle caratteristiche atmosferiche dei
pianeti extrasolari. Oggi ne conosciamo più di 4mila, ma è molto difficile dire
di cosa siano fatti. Il JWST potrà aiutarci in questo senso, anche se la
scoperta della vita al di là del sistema solare rimane un’utopia. “Ci
riusciranno forse i telescopi del futuro”, dice Thomas Beatty, dell’Università
dell’Arizona. “Di certo il James Webb limiterà il campo di azione, indicando i
pianeti con maggiori probabilità di presentare tracce biologiche”.
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