Un popolo
misterioso, che ha contribuito alla storia culturale e artistica dell'Italia.
Sono gli Etruschi, dei quali si continua a parlare senza sapere quale sia la
loro vera origine. Erodoto sosteneva che provenissero da est; dalla Turchia; forse
dalle coste di Smirne. Da qui avrebbero navigato per il Mediterraneo, passando
per le isole greche, per la Sicilia, e poi approdando in centro Italia, dove
vivevano popolazioni autoctone come gli Umbri; descritti da Plinio il Vecchio
come una delle etnie più antiche dello Stivale. Per altri autori non sono
anatolici ma greci, che abitavano l'Arcadia, storica regione ellenica,
sfiorando i confini con la Tracia. Qual è la verità? Di certo la loro arte, gli
usi e i costumi che li contraddistinsero, rimandano a una cultura orientale,
che ebbe contatti con quella greca. Oggi il rebus, grazie all'impegno di un team
di studiosi italiani, parrebbe vicino alla soluzione; tramite l'ingegneria
genetica. Il riferimento è agli abitanti della Toscana e ai bovini domestici
che vengono allevati nel centro Italia da duemila anni. Gli esperti hanno messo
in luce una curiosa circostanza: sia i toscani che i bovidi appartenenti alle
razze Chianina e Maremmana, presenterebbero tratti in comune con i genomi
mediorientali. Le analisi cromosomiche - oggi sempre più raffinate e precise - permettono
infatti di evidenziare la variabilità genetica delle specie prese in esame; delineata
da "marcatori" (differenze a livello di singoli geni) che indicano
mutazioni accorse nel tempo in una popolazione, sulla base dei suoi spostamenti
geografici. Che cosa è emerso?
La razza
Chianina e quella Maremmana sono contraddistinte da un corredo genetico molto
più variabile rispetto a quello delle altre razze italiane, più omogenee.
Dimostra che gli antenati di questi animali potrebbero avere viaggiato più
degli altri bovidi, mutando maggiormente e adattandosi di volta in volta al
nuovo ambiente conquistato. Lo stesso accade con i toscani. Il loro Dna è più
eterogeneo. Un paio di anni fa dei genetisti di Torino l'hanno ufficializzato:
il Dna dei toscani è simile a quello dei turchi. Murlo è il piccolo centro che
fu preso d'esempio, selezionando quasi cento persone, da generazioni presenti
nel territorio senese. Dunque, è accettabile supporre che secoli or sono,
animali e uomini, possano avere viaggiato insieme da est alla conquista
dell'Italia centrale. Da dove esattamente? Dalla Turchia, via mare, se è vera
la tesi di Erodoto; dalla Grecia, via terra, se è attendibile quella degli
altri storici. Ma il discorso, alla fine, non cambia. E il riferimento,
appunto, è al movimento di antiche popolazioni umane, in compagnia dei loro
animali allevati per la prima volta 8mila anni prima di Cristo. E', peraltro, a
ridosso dell'Anatolia che sono avvenuti i primi addomesticamenti. Il Bos taurus
primigenius è l'antenato selvatico di tutte le mucche presenti oggi sulla
Terra, che viveva nel Caucaso meridionale e in Mesopotamia. In Iran, in
particolare, presso i Monti Zagros, sono state rinvenute tracce di queste prime
relazioni "simbiotiche" fra uomo e animali. Di poco precedenti la
domesticazione della capra, della pecora e del maiale; mentre il cavallo verrà
allevato per la prima volta in Kazakistan 6mila anni fa.
Marco
Pellecchia, dell'Università Cattolica di Piacenza, spiega che si è giunti a
questi risultati grazie all'impiego della tecnica genetica approntata per la
prima volta da Kary Mullis nel 1968; il brillante e controverso professore
dell'Università della California di Berkeley, vincitore del premio Nobel per la
chimica nel 1993, ed ex cultore dell'Lsd. Assumendo l'acido lisergico, Mullis
stesso ritiene di avere messo a punto la cosiddetta "Reazione a catena
della polimerasi" (PCR, dall'inglese "Polymerase Chain Reaction");
grazie alla quale, da una ventina d'anni a questa parte, vengono risolti molti
crimini. Con essa è infatti possibile amplificare piccoli frammenti di Dna per
poterli studiare nei dettagli, evidenziando i tratti soggetti a mutazioni.
Partendo dal presupposto che esistono due tipi di Dna: quello nucleare e quello
mitocondriale. Nel secondo caso è più facile condurre gli esperimenti, perché è
presente in piccole quantità in organuli tipici della cellula, detti
mitocondri, normalmente legati all'attività respiratoria. Il Dna mitocondriale
è attivo in tutte le cellule; serve a produrre proteine specifiche, ma deriva
esclusivamente dal corredo genetico materno. Il motivo risiede nel fatto che,
durante l'incontro fra lo spermatozoo e la cellula uovo, i mitocondri del seme
maschile non riescono a penetrare il gamete femminile e perdono la loro
autonomia. E va precisato che il Dna mitocondriale è contraddistinto da un
maggior numero di mutazioni rispetto a quello nucleare, aspetto fondamentale da
tenere in considerazione se si vuole ricostruire correttamente il cammino di popolazioni
sfuggenti come gli Etruschi.
Una
civiltà al femminile
Il ruolo della
donna etrusca, infatti, era completamente diverso da quello delle civiltà
successive, compresa quella dei romani. L'elemento femminile godeva di grande
prestigio ed era molto valorizzato nella società. Le donne potevano possedere
beni e dare il proprio nome alla discendenza, senza dovere dipendere dal
maschio. Anche la morale era più permissiva e il sesso non era vissuto come
tabù; circostanza che portò i greci a diffamarli, introducendo nel proprio
vocabolario il termine "etrusca", per definire una prostituta. Le
cose cambieranno con l'influsso ricevuto dai popoli indoeuropei, in primis
Kurgan e Achei, caratterizzati da un'attitudine patriarcale; favorita da comportamenti
bellicosi e violenti, in antitesi alla grazia femminile.
L'insediamento
etrusco
Dove andare a
trovare tracce degli Etruschi? Per esempio a Forcello di Bagnolo San Vito. E'
il principiale insediamento etrusco-padano del VI sec. a.C., il più importante
rintracciabile a nord del Po. Fu abitato per circa duecento anni, fino
all'arrivo dei Celti in Italia settentrionale, nel 388 a.C. Il sito si trova a
pochi chilometri da Mantova, ed era circondato dalle acque del Mincio. Non a
caso. Il fiume, infatti, offriva risorse idriche e alimentari, e consentiva di
tenere lontani eventuali invasori. Forcello è di grande interesse anche perché
fino agli anni Settanta non se ne sapeva nulla. Gli scavi sono iniziati
ufficialmente fra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, e hanno portato
alla luce oggetti provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo, ma anche da
Golasecca, l'avamposto celtico più importante del periodo etrusco.
Lingua
e calendario
Il mistero degli
Etruschi trova conferma in una lingua mai compresa sufficientemente. I resti
indicano 13mila documenti epigrafici datati fra il VII e il I secolo a.C. che
rimandano a una cultura non indoeuropea. Ma non tutti la pensano così. Ci sono
studiosi convinti che sia riconducibile al luvio, idioma utilizzato dagli
Ittiti, in Anatolia. Si scriveva da destra a sinistra, come accadeva per molte altre
lingue diffuse nel Mediterraneo nell'antichità. Altrettanto ponderate le tesi
che assimilano l'etrusco al lidio, una lingua in voga nell'isola di Lemno,
sorta prima dell'epopea ellenica. Anche il calendario etrusco presenta delle
singolarità: l'anno iniziava a metà febbraio e il giorno veniva calcolato
seguendo i movimenti della luna.
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